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Tag: marketing

Startup Tips – Come ottenere l’attenzione della stampa per il tuo pitch

La scorsa settimana, in questo post del nostro blog, abbiamo affrontato il tema dei “Believers”: si tratta di coloro che credono nelle potenzialità di una nuova azienda e del suo prodotto, si raggruppano in sei “categorie” e la loro presenza è fondamentale per la crescita ed il successo di una startup.

Tra i Believers di una startup abbiamo elencato la stampa: oggi, attraverso un post firmato da Jerrid Grimm (co-founder di Pressboard) e pubblicato da Entrepreneur, scopriamo alcuni suggerimenti per portare una startup all’attenzione della stampa e per riuscire a trovare degli spazi dedicati al nuovo prodotto/servizio sui media.

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Secondo Grimm, infatti, dopo essersi concentrati sulle prime tre P nelle primissime fasi (prodotto, prezzo, placement) una startup deve iniziare ad occuparsi delle attività di promozione. Naturalmente, ottenere degli spazi sui media e sulla stampa è uno dei modi più efficaci per far parlare della startup e attrarre i primi, importantissimi clienti, indispensabili per convalidare il prodotto.

Molti founder di startup, in prima battuta, sono convinti che la copertura mediatica sia semplice da ottenere: basta mandare una semplice e-mail ad alcuni giornalisti di alto profilo per riuscire a farsi intervistare. Ma nella realtà le cose non sono così semplici. Prendendo spunto dalla propria esperienza di startupper, e dalle storie di altri founder, Grimm decide quindi assieme a Josh Catone (ex redattore di Mashable) di rivolgersi ad alcuni dei più importanti giornalisti, scrittori ed editori in campo tecnologico per chiedergli alcuni consigli utili su come rendere il pitch della propria startup interessante per la stampa.

La storia raccontata dal pitch deve essere interessante

Può sembrare ovvio, ma i giornalisti intervistati da Grimm e Catone dichiarano di ricevere centinaia di pitch ogni settimana, e solo l’1-2% di questi viene utilizzato per pubblicazioni e articoli. La domanda da porsi è: la tua storia è abbastanza unica da rientrare in questa piccola percentuale?

Per assicurarsi che la risposta sia sì, bisogna iniziare il pitch da ciò che rende la vostra startup (o il vostro prodotto) unica rispetto a tutte le altre.

Un altro test utile per capire se il pitch è davvero interessante per la stampa, è chiedersi se, mettendosi nei panni di un potenziale lettore o cliente, troveresti la storia abbastanza interessante da impiegare il tempo necessario a leggerla. Se si esita un po’, allora provare a rendere il pitch più interessante prima di inviarlo alla stampa è una buona idea.

La storia raccontata dal pitch deve sottolineare il ruolo delle persone, più che i numeri della startup

La prima cosa che un giornalista cerca in un pitch è l’aspetto umano: come dice Owen Thomas, redattore capo a ReadWhite, il pitch deve raccontare “una storia personale. Qualcosa di vero, che è realmente accaduto ad un essere umano”.

Le storie che riguardano persone sono decisamente più interessanti per la stampa, rispetto a numeri e dati. La narrazione di una storia personale sviluppa una relazione empatica ed emotiva con il giornalista e con i lettori.

Arrivare dritti al punto, e in fretta

Spesso l’oggetto della mail può essere l’unica cosa che un giornalista super impegnato riesce a vedere: quando si invia un pitch, quindi, è importante prestare attenzione a ciò che si scrive nel campo dedicato all’oggetto.
Riassumere l’intero pitch in poche parole è tutt’altro che semplice, ma è necessario imparare a farlo: se ci vogliono più di due frasi per arrivare al punto, il lettore avrà già perso interesse.

Rispondere rapidamente

Attenzione ad essere rapidi e disponibili nelle risposte: se si invia un pitch ad un giornalista, e si riceve da quest’ultimo una risposta per ulteriori dettagli, occorre essere rapidi e precisi. Il follow-up è fondamentale in un mondo come quello delle startup, in cui le notizie diventano rapidamente stantie.

Poiché è altamente improbabile che un giornalista riesca a scrivere un articolo basandosi esclusivamente sulla mail e il comunicato stampa inviatogli, occorre che la startup abbia una persona pronta a rispondere in maniera tempestiva ed esaustiva alle eventuali richieste di maggiori dettagli ed informazioni.

Ricordarsi che anche i giornalisti sono persone!

Molti dei giornalisti intervistati da Grimm e Catone sottolinea come il tempo e l’attenzione impiegati a costruire un rapporto con i giornalisti sia fondamentale per aumentare la possibilità di veder pubblicata la propria storia.

Inoltre, i founder di una startup devono sempre ricordare di personalizzare il pitch a seconda del destinatario: è importante conoscere il giornalista, il suo lavoro, le sue opinioni e la testata di riferimento, evitando messaggi e commenti superficiali che possono indispettire chi li riceve.

Per leggere il post originale: http://www.entrepreneur.com/article/249478

Napoli, 01/09/2015

5 Startup italiane nel Gaming ad Helsinki con AESVI e dPixel

AESVI è l’Associazione Editori Sviluppatori Videogiochi Italiani e offre, in collaborazione con dPixel, un’interessante opportunità alle migliori startup italiane nel settore del Gaming.
Fino a venerdì 18 settembre, infatti, è possibile candidarsi per la Missione Italia a Slush: saranno selezionati le migliori 5 startup che avranno l’opportunità di partecipare a Slush 2015, evento internazionale del settore Gaming che si svolgerà ad Helsinki (Finlandia) l’11 e 12 novembre 2015.

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Alle cinque startup vincitrici saranno offerti in premio:

4 biglietti per partecipare a Slush 2015
un Europass Ticket, che copre viaggio e soggiorno per due persone ai due più importanti eventi d’Europa per l’ecosistema startup.

Le candidature possono essere inoltrate on-line, entro la deadline fissata al 18 settembre 2015, compilando il form disponibile a questo link: https://www.f6s.com/aesvislush2015/apply

Le cinque startup che voleranno in Finlandia saranno selezionate sulla base dei seguenti criteri:

1) Life Stage della startup (almeno un gioco pubblicato, o molto vicino alla pubblicazione);
2) Team (mix di esperienze e competenze);
3) Qualità del materiale allegato all’application (pitch, video di presentazione, etc);
4) Conoscenza della lingua inglese.

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Napoli, 31/08/2015

Startup Tips – Believers: il successo dipende dalle persone che credono nell’idea

Joseph Walla è CEO e co-founder della startup statunitense HelloSign, lanciata nel 2012 a San Francisco, che conta ad oggi oltre un milione di utenti: HelloSign consente di ottenere firme elettroniche legalmente valide, che eliminano i problemi di stampa, scansione, fax di documenti, offrendo un servizio utile anche e soprattutto alle aziende che ottengono un impatto sulle entrate e sulla customer experience.

Prima di lanciare HelloSign, Walla racconta di averla mostrata ad alcuni familiari: alcuni di loro erano colpiti favorevolmente, altri perdevano attenzione dopo un primo sguardo interessato, altri ancora non hanno mostrato alcun tipo di interesse ed entusiasmo. L’unico a credere, ad avere davvero fiducia nelle potenzialità di HelloSign era proprio Walla.

La fiducia è fondamentale per le grandi aziende: in un post pubblicato su LinkedIn, Joseph Walla scrive che i “believers”, coloro che credono nel business, sono indispensabili per il successo di un’azienda. Dropbox ne ha 100 milioni, Google addirittura un miliardo.

Quando una startup è agli inizi del suo sviluppo, ha un unico believer: il fondatore. Ecco perché, afferma Walla, il primo lavoro di un founder è creare i believersPer creare una community di persone che credono nella startup è necessario credere nel proprio prodotto, avere fiducia nelle sue potenzialità: questo è il primo passo per convicere altre persone a diventare believers. Una startup, per crescere, ha bisogno di differenti tipologie di believers. Vediamo quali sono quelli che Joseph Walla elenca nel suo post.

1) You have to believe

Come accennato, il founder deve essere il primo a credere nella startup. La domanda fondamentale da porsi, quando si ha un’idea di business, è “Voglio davvero lavorare a questa cosa?”. Bisogna capire se si tratta di un’idea per cui valga la pena investire tempo, impegno, risorse.

Un esempio di founders che hanno creduto nella propria idea fino a portarla al successo è Airbnb: hanno investito tutti i risparmi, hanno venduto cereali per restare a galla. Hanno atteso 999 giorni senza vedere un minimo di traction: ma non hanno mai smesso di credere nella propria idea, fino a raggiungere il successo a livello globale.

2) You need customers that believe.

I clienti sono coloro che investono risorse preziose, in termini di tempo e denaro, nel prodotto di una startup: è fondamentale, per invogliarli a farlo, che essi credano nel valore che il prodotto può portare nelle proprie vite.

Un esempio illustre citato da Walla è quello di Evernote, che si è trovato sulla soglia del fallimento: i suoi clienti ci credevano così tanto da investire nell’azienda e salvarla dalla bancarotta.

3) The press has to believe.

Cosa distingue le startup che ottengono spazi sulla stampa da quelle che non ne ottengono? Secondo Walla la risposta è molto semplice: la stampa crede più nelle prime che nelle seconde.

La stampa, ad esempio, ha sempre amato molto Twitter: ci hanno creduto prima della maggior parte delle persone che sono poi diventate suoi utenti. La stampa ci ha creduto, e ha convinto anche altre persone a crederci.

4) Investors have to believe.

Per far sì che gli investitori credano nella startup, bisogna dimostrare che riusciranno a compensare il finanziamento con un ritorno elevato. Bisogna che gli investitori credano nella startup, devono convincersi che abbia il potenziale per diventare un’azienda miliardaria.

Ad esempio, Dropbox ha faticato parecchio a trovare degli investitori, ma è riuscita comunque a raggiungere il successo grazie ad alcuni finanziatori che credevano davvero nel prodotto.

5) The team has to believe.

Il team deve credere davvero nel progetto per lavorare al massimo: in particolare, i migliori sviluppatori, venditori, marketers sono coloro che scelgono di investire il proprio talento in qualcosa per cui valga davvero la pena.

Pandora, ad esempio, ha rischiato la bancarotta nel 2001. Aveva un team di oltre 50 persone che hanno investito nella società oltre 1,5 milioni di dollari, che hanno rinunciato al proprio stipendio per 2 anni: lo hanno fatto perché credevano nell’azienda.

6) Your partners have to believe.

Le giuste partnership sono fondamentali per un business development che faccia crescere l’azienda su larga scala. Per ottenere questi risultati è necessario dimostrare ai potenziali partner di essere in grado di aggiungere valore per i loro utenti: nessuno è disposto ad inviare migliaia o milioni di clienti ad una startup in cui non crede.

Bill Gates, ad esempio, ha concesso i suoi software in licenza a IBM, costruendo un partenariato di successo: IBM, infatti, ha creduto che Microsoft avrebbe apportato valore aggiunto per i suoi clienti.

In conclusione, afferma Walla, tutto ciò ci riporta all’inizio della storia, quando il founder è l’unico believer della startup: il primo lavoro da svolgere è quello di creare nuovi believers, perché la startup ha bisogno di clienti, dell’appoggio della stampa, di investitori, di un team e di partner che credano davvero nelle sue potenzialità.

 

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L’articolo originale è disponibile qui: https://www.linkedin.com/pulse/your-job-founder-create-believers-joseph-walla

Napoli, 28/08/2015

Startup Tips: 4 errori tipici da evitare quando si presenta il pitch a potenziali investitori

Heidi Allstop è founder di Spill, sito web dedicato ai giovani che desiderano condividere consigli e storie sulle problematiche tipiche della loro età: la startup è nata durante il periodo degli studi universitari di Heidi, ed è stata lanciata e diffusa in oltre 150 campus in 15 paesi.
Di recente, il portale AlleyWatch ha pubblicato un articolo firmato da Heidi Allstop dedicato ai 4 errori più diffusi (con i consigli per evitarli) quando i founder presentano il pitch della propria startup di fronte ai potenziali investitori.

L’autrice paragona il pitch agli investitori ad un primo appuntamento: bisogna che i founder siano sicuri di sé, senza tuttavia sembrare presuntuosi; disponibili, senza mostrarsi disperati; appassionati, senza sembrare troppo sopra le righe. Continuando in questa “metafora”, il pitch agli investitori deve essere un incontro che crea curiosità ed interesse senza forzare, lasciando all’interlocutore la voglia di scoprire di più sul prodotto/servizio offerto.

Partendo da questa visione, vediamo quindi quali sono i 4 errori più frequenti degli startupper alle prese con gli investitori e scopriamo alcuni interessanti consigli su come evitarli.

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1) PUSHING RATHER THAN PULLING (Spingere, anziché tirare)

Occorre trovare il giusto equilibrio nell’esporre il proprio progetto di startup, non commettendo l’errore di esporre troppe informazioni, ma raccontando abbastanza da creare la curiosità del potenziale investitore all’ascolto, senza tuttavia forzarne l’interesse.
Lo scopo del pitch deve essere quello di mostrare la propria value proposition facendo capire a chi ascolta che sono applicabili alla vita e alle esigenze quotidiane: in questo modo, il prodotto offerto dalla startup risulterà decisamente più appetibile.

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2) USING BUZZWORDS AND INDUSTRY JARGON (Utilizzare neologismi e gergo settoriale)

I neologismi, spesso molto di moda, possono rendere il discorso banale per chi ascolta, facendo perdere credibilità al progetto di fronte al potenziale investitore. Termini come “rock-star team”, “massively disruption”, “game-changing technology” suonano come ingenui clichè facendo perdere punti allo startupper che sta presentando la propria idea.
Il pitch deve invece trasmettere un’idea originale, e contenere informazioni, metriche, aneddoti utili e significativi per l’ascoltatore.
Allo stesso modo, non è consigliabile infarcire il pitch di termini troppo tecnici e legati al proprio settore di riferimento: per capire un pitch, l’investitore non deve aver bisogno di un dizionario o di una laurea ad hoc. Occorre quindi utilizzare una terminologia semplice e diretta, che chiunque possa comprendere a prescindere dal proprio settore di attività o dal background culturale.

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3) PITCHING AROUND A POWERPOINT (Basare la presentazione del pitch sulle slide del PowerPoint)

Basarsi troppo strettamente sulle slide del PowerPoint fa sembrare il pitch poco sincero e “personalizzato”: quando si presenta la startup ad un potenziale investitore, invece, occorre far capire all’interlocutore che quel pitch è unico. Si tratta infatti di un accorgimento importante per costruire fin dal primo incontro la fiducia necessaria in qualsiasi rapporto.
Il pitch, inoltre, dovrebbe essere costruito in maniera tale da garantire immediatamente un contatto “visuale” per l’interlocutore, che deve guardare le slide ma ascoltare le parole dello startupper.
Tra gli aspetti fondamentali da analizzare nelle prime slide, l’autrice ricorda gli aspetti-chiave di base: problema, soluzione, opportunità e dimensioni del mercato, team, tecnologia, concorrenza, strategia di distribuzione, business model.
Una volta affrontati gli aspetti di base, il suggerimento è quello di costruire le cosiddette “power cards”, slide che raccolgono informazioni quali le metriche più “impressive”, citazioni utili di commenti dei clienti, parteneriati di alto livello, ecc.

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4) CRAFTING THE PITCH ALONE (Costruire il pitch da soli)

Chiedere un secondo parere sul pitch prima di presentarlo è sempre una buona idea, un po’ come quando si chiedere un parere sul vestito scelto per il primo appuntamento. Un secondo parere può essere utile per ricevere consigli, incoraggiamento, critiche su cui impostare eventuali modifiche e miglioramenti al pitch.
Chiedere il parere di una seconda persona, spesso, è difficile da accettare per uno startupper: gli aspiranti imprenditori hanno una mentalità da “self-starters”, che tuttavia deve essere superata per riuscire a costruire un pitch di successo.
L’autrice stessa, infatti, ricorda quanto siano stati utili i confronti con gli altri startupper incontrati durante il suo percorso di accelerazione a TechStars: quello che bisogna ricordare sempre, è ascoltare i feedback altrui attentamente, prendendo tutte le informazioni utili, senza accampare scuse di nessun tipo.

In conclusione, Heidi Allstop afferma che qualsiasi decisione sull’impostazione del pitch deve essere presa alla fine di un processo basato sulla prospettiva, la fiducia e la pratica, ricordando sempre che ciò che si fa e il modo in cui ci si pone può essere più importante delle parole usate.

Il post originale è disponibile qui: http://www.alleywatch.com/2013/12/4-common-startup-pitch-mistakes-to-avoid/

Napoli, 27/08/2015

BIAT 2016: dall’ICE, nuove opportunità al Sud Italia per l’internazionalizzazione di startup e imprese. Iscrizioni entro il 15 settembre

Dopo la prima edizione, ospitata a Napoli nel mese di dicembre 2014, l’ICE – Italian Trade Agency si prepara alla seconda edizione della BIAT – Borsa dell’Innovazione e dell’Alta Tecnologia, che si terrà a Bari l’11 e 12 febbraio 2016.
La manifestazione è dedicata alla valorizzazione e alla commercializzazione di prodotti e servizi innovativi e di beni intangibili (in particolare brevetti) proposti da startup e imprese e dal mondo della ricerca delle Regioni Convergenza (Campania, Calabria, Puglia e Sicilia), al fine di incentivarne la collocazione sui mercati esteri.

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L’edizione 2016 della BIAT sarà incentrata, in particolare, sui seguenti settori di interesse:

Biotecnologie
ICT
Nanotecnologie
Materiali innovativi
Energie rinnovabili
Ambiente
Nautica
Tecnologie per le smart communities

La partecipazione alla manifestazione è aperta a micro e PMI, startup, reti di imprese, consorzi, università, parchi tecnologici con sede operativa in una delle quattro Regioni Convergenza.
La procedura di iscrizione è aperta fino alle ore 17:00 del 15 settembre 2015 e prevede due fasi:

1) compilare, in lingua inglese, il form on-line disponibile al seguente link: http://biat2016.ice.it/iscrizione-all-evento

2) trasmettere via e-mail la scheda progettuale, in lingua italiana, all’indirizzo biat2016@ice.it

Per le startup e imprese che partecipano all’evento, il Programma prevede una prima giornata (11 febbraio) con sessione plenaria di carattere istituzionale e sezione tecnica su argomenti quali gli incentivi, la brevettazione, le forme di finanziamento per l’innovazione.
Nella seconda parte della prima giornata e per tutta la seconda giornata (12 febbraio) si svolgeranno invece gli incontri B2B con le controparti estere, che provengono dai seguenti Paesi: Brasile, Canada, Cina, Corea, Danimarca, Emirati Arabi Uniti, Federazione Russa, Francia, Germania, Giappone, India, Israele, Qatar, Regno Unito, Singapore, Stati Uniti, Svezia, Svizzera.

Oltre alle opportunità di matchmaking e networking offerte dalla BIAT 2016, l’ICE prevede per i partecipanti una serie di servizi, tra cui la validazione del progetto, la raccolta delle schede progettuali in una pubblicazione in lingua inglese, assistenza tecnica in materia di brevettazione e licensing.

Per ulteriori informazioni, il sito web dedicato all’evento è disponibile qui: http://biat2016.ice.it/home

Napoli, 26/08/2015

La leadership condivisa, chiave del successo per i migliori team – Startup Tips

Jim Haudan è CEO della società di consulenza Root Inc., autore del libro “The Art of Engagement: Bridging the Gap Between People and Possibilities” ed esperto di tematiche come la leadership, la strategy execution, l’engagement dei dipendenti, la gestione dei cambiamenti e l’apprendimento rapido. Haudan ha pubblicato un interessante articolo via LinkedIn che elenca cinque azioni “non convenzionali” tipiche dei team aziendali che raggiungono i migliori risultati in termini di performance.

Per scrivere il suo articolo, Haudan ha attinto dalla sua ventennale esperienza di lavoro con i team aziendali: l’idea di partenza è nata da un elemento comune riscontrato nel corso degli anni. L’autore ha infatti riscontrato un aspetto apparentemente piuttosto singolare che accomunava la maggioranza dei team: spesso gli individui di maggiore talento hanno dei problemi ad ottenere buoni risultati quando vengono inseriti in team aziendale. Addirittura, l’autore ha riscontrato che persone con un QI pari a 160, quando vengono riuniti in team, ottengono un QI complessivo pari a 22.

Questa situazione si verifica a causa della difficoltà nel gestire e risolvere i conflitti: spesso, anche le persone con maggiore talento, intelligenza e capacità preferiscono restare in silenzio e non esporsi con critiche, idee e proposte al gruppo per non creare situazioni di discussione. In questo modo, però, ci si ritrova in un compromesso non costruttivo, con il team impantanato in una situazione statica che non porta alcuna crescita, nè sviluppo.

Ecco perché riuscire a costruire un team di successo non è un “evento naturale”, bensì qualcosa a cui lavorare in maniera coerente e continuativa, implementando alcune azioni utili per raggiungere l’obiettivo. L’biettivo cui tali azioni sono orientate a raggiungere è definito “Leadership Condivisa”: vediamo quindi quali sono le cinque azioni più importanti per ottenerla.

1) Shared Truth Statements

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Occorre trovare e dichiarare con chiarezza quella che Haudan definisce “verità condivisa”: si tratta di identificare e condividere tra i membri del team la situazione oggettiva in cui ci si trova, con tutti gli aspetti positivi e negativi inerenti il business, la strategia, il modello operativo, la cultura aziendale.

In parole povere, bisogna che il team impari a “guardarsi allo specchio” per riuscire a concordare e sviluppare la verità condivisa, superando la situazione di stallo in cui ciascun membro del team ha le proprie convinzioni.

I migliori team sono quelli che riescono ad allinearsi sulla verità condivisa, che racchiude gli obiettivi da raggiungere e le azioni da intraprendere a livello strategico e decisionale.

2) Shared Underlying Belief’s

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Le cosiddette “credenze” guidano i comportamenti delle persone e, se i componenti di un team hanno credenze differenti su come dovrebbe essere gestito il business, si creano degli attriti. Spesso queste credenze sono delle convinzioni nascoste sotto la superficie, che costituiscono un insieme non allineato all’interno della squadra.

I migliori team costruiscono un vero e proprio “credo condiviso”, composto da credenze che diventano prioritarie per tutti e guidano il processo decisionale e i comportamenti del team in maniera coordinata e allineata.

3) Shared Behavioral Team Contracts

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In un team di successo, nessuno cerca di trascinare verso il basso i compagni di squadra. Esistono dei veri e propri “contratti comportamentali” che racchiudono le regole di base e gli standard di comportamento indispensabili per interagire e lavorare insieme.

Questi contratti comportamentali sono gestiti con grande attenzione, e periodicamente il team si riunisce per discutere in che modo le regole di base vengono seguite, individualmente e collettivamente. Un consiglio utile per massimizzare l’efficacia dei contratti comportamentali è quello di creare delle schede trimestrali per monitorare i comportamenti, tenere traccia dei progressi, delineare le azioni correttive necessarie.

4) Shared leadership by “Owning the Whole” before Your Piece

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La sfida più difficile per un team è la costruzione dell’intelligenza collettiva e della execution più efficiente, in cui l’interesse collettivo venga prima di quello dei singoli membri. Da questo punto di vista è sempre più fondamentale una leadership condivisa, in cui i grandi temi dell’azienda siano messi al primo posto (rispetto alle problematiche del singolo team o della singola divisione aziendale di riferimento) e la responsabilità sia condivisa tra tutti.

La responsabilità condivisa fa sì che tutti i membri debbano, qualora sia necessario, sacrificare gli interessi del team (o della divisione) per il bene collettivo dell’intera azienda. Il lavoro del team deve quindi essere importando mettendo a fuoco il business e dandogli priorità, per favorire il successo dell’intera azienda.

5) Shared Decisions By Thinking Together

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Thinking Together” significa letteralmente “pensare insieme”: i team di successo puntano molto sulla capacità di ascolto reciproco, di imparare l’uno dall’altro, e di riuscire a pensare insieme. Si tratta di costruire un processo decisionale condiviso, in cui ci si interroga l’un l’altro sulle questioni da risolvere e si cerca di trovare le migliori risposte possibili.

Tra le domande più frequenti nel “Thinking Together”, fondamentali per prendere delle decisioni condivise, l’autore elenca le seguenti: Che tipo di decisioni dobbiamo prendere? Quali sono i problemi reali da risolvere? Su quali basi ci muoviamo per risolvere il problema? Quale base di dati reali possiede ciascuno di noi?

In conclusione, raggiungere l’obiettivo di Shared Leadership non è certamente un compito semplice ed immediato: occorre lavorare duramente per raggiungerlo, ed è indispensabile la condivisione e la collaborazione di tutti i componenti del team.

Per leggere il post originale: https://www.linkedin.com/pulse/five-uncommon-acts-high-performing-teams-jim-haudan

Napoli, 25/08/2015

35K e 4 mesi di accelerazione a San Francisco: fino al 1° settembre, la call for startup di Momentum

Momentum è un acceleratore e un fondo seed-stage specializzato in startup del settore mobile, con sede a San Francisco, che propone ogni anno due programmi di accelerazione (Summer e Winter).
Fino al 1° settembre 2015, è aperta la call per l’accesso al prossimo programma invernale, che si svolgerà tra ottobre 2015 e febbraio 2016.

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In ciascuna delle startup selezionate, Momentum investe 35.000$ a fronte del 5% di Equity, oltre ad offrire la possibilità di investimenti aggiuntivi al termine del percorso di accelerazione.
In caso di accesso al programma, i founder (e, se possibile, l’intero team) dovranno partecipare assiduamente ed attivamente agli eventi e alle sessioni di mentorship settimanali previste: per questo motivo è necessario trasferirsi a San Francisco per la durata del percorso di accelerazione (per startup non statunitensi è prevista assistenza per ricevere il visto).

Momentum si rivolge, come accennato, a startup del settore mobile preferibilmente già in possesso di un prodotto e dei primi clienti. Le startup devono essere fondate da team con ottime abilità tecniche ed esperienza nel settore, portatori di idee con potenziale di crescita a livello internazionale.

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Le candidature possono essere inviate entro il 1° settembre 2015 attraverso il form disponibile qui: https://www.f6s.com/momentummobileaccelerator2015batch4/apply

Per maggiori informazioni, il sito web di Momentum è disponibile a questo link: http://momentum.vc/

Napoli, 24/08/2015

Crucial Conversations e Meeting in azienda: come avere delle conversazioni produttive

Odile Faludi è consulente in materia di Business Development, specializzata nella costruzione di relazioni e di “Crucial Conversations”, e quindi sull’importanza delle conversazioni e dello scambio di opinioni ed informazioni in azienda. Recentemente ha pubblicato un post su LinkedIn in cui raccoglie una serie di spunti e consigli interessanti per startupper e imprenditori alle prese con meeting aziendali e con le conversazioni che si svolgono durante questi incontri.

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Un meeting produttivo è sempre apprezzato dai partecipanti: a nessuno piace perdere tempo prezioso, soprattutto nel mondo del business. Quando un meeting è produttivo si creano conversazioni utili, che portano informazioni e apprendimento ai presenti, ma questo dipende in larga parte dalle capacità di leadership di chi gestisce l’incontro.

Per prima cosa, un buon manager deve dare sempre il buon esempio: arrivare puntuale alle riunioni, scegliere con cura le parole giuste, mostrarsi sensibile e disponibile alle esigenze delle persone, essere cortese. Altro atteggiamento che un buon manager deve avere è quello di utilizzare le lodi al posto delle critiche: un atteggiamento costruttivo con i dipendenti e gli altri membri del team è decisamente più utile e produttivo di un atteggiamento accusatorio e denigratorio.

Ancora, quando si partecipa ad un meeting è importante che l’atmosfera sia rilassata: i presenti devono essere tranquilli, un meeting aziendale non deve trasformarsi in una “tortura” da sopportare. Quando il meeting diventa un momento sgradito viene infatti a mancare la componente fondamentale di apprendimento e di passaggio delle informazioni, ed è difficile riuscire a cooperare e a condividere le conoscenze tra i membri del team.

Chi gestisce e coordina un meeting in azienda deve impostare l’incontro con il giusto tono, garantendo che le conversazioni si svolgano con le seguenti caratteristiche:

1. Motivazione ad agire, che si distingue dal semplice scambio di opinioni;
2. Offrire ai presenti un’opportunità per contribuire con il proprio talento e le proprie conoscenze allo sviluppo dell’azienda;
3. Consentire al gruppo di trovare un modo per realizzare step e obiettivi;
4. Creare un’occasione di prosperità e crescita per i partecipanti;
5. Dar modo alle persone di esprimere le proprie preoccupazioni ed esigenze individuali;
6. Costruire relazioni forti e dare occasione ai nuovi arrivati di entrare a far parte del team (il vero leader sa essere un catalizzatore);
7. Il processo decisionale deve essere caratterizzato da equità;
8. Incoraggiare tutti, nel corso del meeting, ad esternare pareri e idee e a condividere le conoscenze;
9. Evitare metodi di insegnamento poco chiari, nebulosi, in contrasto con il messaggio che si vuole effettivamente trasmettere;
10. Credere davvero a ciò che si sta dicendo… Altrimenti come si può pensare che ci credano gli altri? A tal proposito, è fondamentale ricordare che la resistenza all’ascolto dei partecipanti risulta nella maggior parte dei casi da scarsa fiducia.
11. Anche quando c’è fiducia occorre mantenere alta la motivazione e accogliere eventuali feedback negativi da parte del team.
12. Non far sentire gli altri partecipanti come dei semplici spettatori, bensì come dei protagonisti.
13. Aiutare gli altri a capire e a sostenere un nuovo punto di vista: per raggiungere questo risultato è importante riuscire ad innescare le emozioni. La natura umana è capace di comprendere più con il sentimento che con la ragione.
14. Utilizziamo lo storytelling e le vere esperienze di vita per spiegare le situazioni: si tratta di allontanarsi da una postura da “lezione” per prendere quella da supporto ed incoraggiamento. Per farlo, occorre essere in grado di rispondere a domande come “Ne vale la pena?” o “Posso farlo davvero?”.
15. Riconoscere i successi e mantenere alto il morale e la fiducia.

Il risultato deve essere che, alla fine del meeting, il team deve sentirsi sicuro e consapevole di aver fatto un passo avanti.

Per leggere il post originale: https://www.linkedin.com/pulse/running-your-business-odile-faludi

Napoli, 07/08/2015

Da startup ad azienda globale: consigli utili per il processo di internazionalizzazione

Johan Botes è founder di Consilia, startup sudafricana nata nel 2012 che si occupa di consulenza ERP che ad oggi conta diverse filiali nel Regno Unito, in Medio Oriente e in Australia. Per il prossimo anno, inoltre, l’azienda ha in programma di espandersi negli Stati Uniti: nel corso degli ultimi tre anni, quindi, il business è decisamente cresciuto a livello globale.

Attraverso un post pubblicato su Ventureburns, Botes racconta la sua esperienza con Consilia e offre ai lettori alcuni preziosi consigli che riguardano il tema dell’internazionalizzazione del business: vediamo più da vicino le “5 lezioni” che l’autore elenca nel suo articolo. 

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1) Ritagliarsi una nicchia di mercato

Alcuni anni fa, Botes si è reso conto che il mercato sudafricano stava iniziando a diventare saturo di consulenti SAP, mentre cresceva la domanda di competenze ERP che, invece, scarseggiavano. L’ipotesi fatta dall’autore fu quella secondo cui le competenze ERP erano scarse non soltanto nel suo Paese, ma anche in altri Paesi del mondo: aveva trovato una nicchia di mercato in cui inserire il suo business, e si trattava di un mercato potenzialmente internazionale.

2) La tecnologia c’è, quindi è bene utilizzarla

Negli ultimi anni, si sono sviluppate e diffuse in maniera capillare tecnologie come la banda larga e il cloud computing: oggi è semplice gestire un’azienda semplicemente dal proprio notebook o smartphone, e il giusto provider è in grado di supportare qualsiasi infrastruttura di business.

Lo sviluppo a livello globale delle Internet Solutions rappresenta un’opportunità relativamente semplice e conveniente per aprire una filiale in qualsiasi zona del mondo, senza la necessità di ingenti investimenti in tecnologia.

3) Costruire la giusta cultura

Le persone sono la chiave del successo di qualsiasi business, a maggior ragione nel settore della consulenza: è necessario capire bene quali sono le skills e le competenze necessarie a far crescere la vostra startup, e ancora più importante è trovare le persone giuste per implementare la cultura aziendale.

Consilia, ad esempio, ha stabilito una politica di assunzione incentrata su giovani laureati, flessibili, motivati e veloci nell’apprendimento, che siano in grado di lavorare anche all’estero in maniera indipendente.

4) Sostenere il team

Assumere persone indipendenti e flessibili non significa lasciarli completamente “abbandonati a sé stessi”: in un ambiente di lavoro globale è necessario avere delle strutture per la formazione, il tutoraggio, la motivazione e la gestione del personale che funzionino al meglio.

Inoltre, è importante andare incontro a chi si trova in un momento di difficoltà: ad esempio, prevedendo un periodo di rientro a casa se si sta lavorando da un po’ all’estero.

5) Definire con attenzione il mercato di riferimento

Esportare le skills può essere un business complesso e rischioso: per questo motivo, è fondamentale fare un’attenta due diligence su ogni potenziale mercato, analizzando la domanda e le esigenze di mercato, le possibilità di adattamento culturale, i requisiti normativi, la lingua ed altre eventuali “barriere”.

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In conclusione, Johan Botes si dice convinto che il successo internazionale di un business nasce dai prodotti, dalle persone e dalle infrastrutture: la sfida sta nel trovare il giusto mix di questi tre elementi, senza dover ricorrere ad enormi investimenti di capitale.

Il post originale è disponibile qui: http://ventureburn.com/2015/08/5-lessons-on-globalising-your-self-funded-business/

Napoli, 06/08/2015

Startup Tips: come superare le 9 zone d’ombra che possono sabotare il business

Di recente il portale Entrepreneur ha pubblicato un post firmato da Sangeeta Bharadwaj Badal, ricercatore presso Gallup e co-autore del libro “Entrepreneurial StrengthsFinder”, dedicato a quelli che l’autrice definisce “Blind Sposts”, zone d’ombra, che possono sabotare silenziosamente imprese e startup alle prese con le sfide da affrontare nelle attività quotidiane di business.

Spesso gli startupper e gli imprenditori possono infatti farsi prendere da visioni auto-limitanti, paure, insicurezze, eccessi di fiducia nelle proprie capacità, miopia imprenditoriale: nel suo articolo, Sangeeta Bharadwaj Badal ne elenca nove, e per ciascuno di essi offre ai lettori un consiglio per affrontarli e superarli.

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1) Focus eccessivo sul profitto e la redditività

Fare soldi è l’obiettivo primario di tutti i business, ma se l’orientamento al profitto diventa un’ossessione le relazioni con i clienti possono essere danneggiate. Inoltre, in una cultura aziendale che mette i profitti al primo posto, i dipendenti lavorano sotto una grande pressione, cercando di massimizzare le entrate perdendo di vista gli aspetti fondamentali della customer experience.

Il consiglio, in questo caso, è quello di non perdere mai di vista l’elemento umano nella attività di business: quando si prendono delle decisioni si deve sempre tenere in considerazione l’aspetto relativo alle aspettative e ai bisogni della clientela.

2) Overconfidence

La fiducia è fondamentale nel processo di crescita di un’impresa, ma quando è eccessiva può fare male al business: l’overconfidence porta l’imprenditore a sottovalutare la complessità delle situazioni, e ad investire troppe risorse nel perseguimento di un progetto senza tenere in giusta considerazione la concorrenza.

Per evitare i problemi di eccessiva fiducia, bisogna fare attenzione alla “speed trap”: quando ci si ritrova di fronte ad un’opportunità che non è facile cogliere, è importante rallentare, fermarsi a valutare tutte le ipotesi ed opzioni prima di decidere se e come agire.

3) Unfocused creativity

La curiosità intellettuale stimola la crescite, ma avere troppo idee può essere controproducente: la mancanza di un focus ben definito può portare l’impresa a lanciare più iniziative contemporaneamente, perdendo di vista il core business e confondendo il team.

Per questo motivo, il suggerimento è quello di selezionare le idee che possono davvero ottimizzare il business e offrire valore aggiunto ai clienti.

4) Smania di controllo

Spesso il founder di una startup si trova a dover svolgere diverse attività in contemporanea. Ma, quando l’impresa inizia a crescere, la loro smania di controllo gli impedisce di concentrarsi sulle attività che accrescono davvero il valore dell’azienda.

Il consiglio, in questo caso, è quello di accrescere il team: assumere, formare e delegare la responsabilità agli altri membri è la soluzione.

5) Delegazione inefficace

Delegare i compiti e le responsabilità, quindi, è la chiave per la crescita: ma implementare efficacemente il processo di delega può rivelarsi un compito difficile da realizzare. Spesso gli imprenditori commettono degli errori nel delegare, rischiando degli errori costosi.

E’ fondamentale, quando si sceglie di delegare, individuare la persona giusta per un compito specifico e dare a quest’ultima tutte le informazioni, in maniera chiara e precisa. Delegare richiede inoltre una buona dosa di pazienza: per sviluppare le competenze di un team sono necessari tempo e impegno.

6) Impegno esagerato su determinate attività

Quando uno startupper o un imprenditore sono caratterizzati da forte tenacia e perseveranza, possono avere la tendenza ad attaccarsi a strategie fallimentari, anche se i risultati ottenuti sono al di sotto delle aspettative.

Per evitare questo problema, è importante stabilire delle milestone specifiche per valutare i progressi ottenuti: inoltre, qualora si riveli necessario, è fondamentale essere pronti a cambiare rotta e modificare strategie e programmi.

7) Miopia imprenditoriale

Molto spesso i founder di una startup si innamorano della propria idea o del proprio prodotto: l’attaccamento e la passione non gli consentono di vedere eventuali problemi e difetti.

La capacità di valutazione oggettiva della realtà e del mercato rappresenta un requisito fondamentale per uno startupper, e può essere utile circondarsi di collaboratori e consulenti capaci di valutare in maniera obiettiva la situazione.

8) Network inefficace

Un network personale solido e diversificato è di fondamentale importanza per la crescita del business, ma a volte gli imprenditori non sono capaci di costruire una rete efficace, o di accrescerla in maniera adeguata di fronte ad evoluzioni e cambiamenti del mercato.

Per costruire il proprio “social quotient” occorre impostare la giusta strategia, senza dimenticare di aggiornare e modellare il network al cambiare delle esigenze.

9) Conferma delle proprie convinzioni

Gli imprenditori di successo hanno un’immagine di sé molto positiva, che li porta a privilegiare input ed informazioni che confermino le loro credenze ed opinioni, tralasciando quelli che invece contraddicono il loro punto di vista: si tratta di un vero e proprio pregiudizio, che interferisce nel processo decisionale.

Per evitare questo meccanismo è utile interagire con chi ha punti di vista differenti, consentendogli di criticare idee e concetti per osservare in maniera più realistica la situazione.

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In chiusura, Sangeeta Bharadwaj Badal riconosce la difficoltà nel cambiare il proprio comportamento: allo stesso tempo, però, sapere quali sono gli aspetti su cui intervenire rappresenta un buon punto di partenza. Una volta capito quali sono i propri punti di forza e di debolezza, è possibile impegnarsi e lavorarci su. Il consiglio finale è quello di imparare a nutrire e rafforzare i punti di forza, nutrendo gli aspetti positivi: a questo punto sarà più semplice trovare le strategie migliori per gestire i punti di debolezza.

Accrescere gli aspetti positivi e imparare a modificare quelli negativi è una strategia impagabile per migliorare il proprio business, influenzandone in senso positivo la crescita e la sostenibilità.

Il post originale è disponibile qui: http://www.entrepreneur.com/article/240190

Napoli, 06/08/2015

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