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Startup Tips – Allineare Corporate Strategy, Product Strategy ed Execution per portare l’azienda al successo

Jim O’Leary è Vice Presidente del Product Management & Marketing per la Mitchell International, storica società californiana nel settore Software con sede a San Diego. Di recente, ha pubblicato attraverso LinkedIn un articolo molto interessante dedicato al tema della Corporate Strategy e dell’importanza di allineare la Product Strategy e l’Execution per il successo aziendale.

Il punto di partenza della sua analisi nasce dalla sua esperienza diretta nelle varie aziende in cui ha lavorato: in ognuna di esse, c’è un processo di Corporate Straqtegy ben definito, con modelli in PowerPoint e frameworks altisonanti provenienti dalla Harvard Business Review, che vengono discussi e stabiliti dal gruppo dirigente e poi condivisi con il resto dell’organizzazione. I piani di Corporate Strategy, infine, arrivano al team di Product Management e… vengono puntualmente ignorati!

O’Leary sottolinea che ciò accade non perché i responsabili di PM (Product Management) siano volontariamente disobbedienti: il fatto è che non esiste in azienda un processo per assicurarsi che la Corporate Strategy si traduca in Product Strategy e che quest’ultima venga poi effetivamente eseguita.

Per ovviare a questa situazione così diffusa, O’Leary assieme al suo team ha sviluppato e sta diffondendo una soluzione che potrebbe essere utile per risparmiare tempo e risorse, e che si presta ad essere affiancata ed inglobata con altri approcci alternativi.

Vediamo uno schema che riassume in generale la soluzione di O’Leary:

figura1

Sharing the Corporate Strategy

Prima di tutto (come già accade in tutte le aziende) si condivide la Corporate Strategy con i Product Manager: a questo scopo, l’autore consiglia di utilizzare sessioni di gruppo interattive per piccoli team.

Product Portfolio Review Sessions

Per allineare gli investimenti di prodotto alla Corporate Strategy, O’Leary e il suo team hanno istituito delle sessioni dedicate al Product Portfolio Review ogni 10 settimane (cadenzate con il rilascio del prodotto). In queste sessioni, ci si assicura di:

– Revisionare lo stato di avanzamento di ciascun progetto di Product Development in corso (adattando le risorse se necessario),
– Selezionare i nuovi progetti da finanziare, in base alle loro potenzialità di promuovere la Corporate Strategy,
– Raccogliere gli input degli stakeholders più importanti per assicurarsi che tutti diano il proprio parere, in ordine di priorità.

PM Strategy Sessions

Per allineare l’execution delineata dal team di prodotto alla Corporate Strategy, O’Leary ha inoltre stabilito dei regolari incontri dedicati alla “PM Strategy”, da tenersi anch’essi ogni 10 settimane. Ecco come funziona ciascuna PM Strategy Session:

i Product Manager presentano i contenuti relativi a ciascuna linea di prodotto al capo e agli altri responsabili del PM & Marketing interessati a questa tipologia di informazioni;
a ciascuna linea di prodotto vengono dedicati circa 30 minuti, per poter presentare tutti gli aspetti e i dati in modo tale da offrire una visione completa dello stato attuale del prodotto, e dei futuri obiettivi da raggiungere. Le sessioni sono svolte in maniera molto interattiva, dando la possibilità di effettuare modifiche e aggiustamenti alle strategie in corso d’opera;
al termine delle presentazioni di ciascuna linea di prodotto, ogni PM identifica le strategie che potenzialmente vanno perseguite e le azioni che bisogna implementare per raggiungere i risultati desiderati (execution);
il PM stima inoltre i tempi necessari per implementare le azioni stabilite, basandosi su una stima dei tempi a disposizione. A questo punto, si preparano delle tabelle che riassumono i tempi, le azioni e gli obiettivi e che vengono esaminate con cadenza settimanale dal manager e dai dipendentri: ciò garantisce che la strategia e l’execution siano seguite quotidianamente;
in apertura della session successiva, saranno monitorate le azioni e gli obiettivi raggiunti: questa “revisione pubblica” dà grande motivazione a tutti i membri del team,
la PM session è infine indispensabile per identificare in maniera esplicita le strategie e le azioni più urgenti e quelle da tralasciare, in modo tale da ridurre al minimo la quantità di WIP (work in progress) e ottimizzare ulteriormente tempi e risorse.

PM Strategy Sessions – Metriche e Dati

Infine, O’Leary identifica i dati e le metriche fondamentali da passare in rassegna durante ciascuna PM Strategy Session:

1) Value Proposition del prodotto: è fondamentale che un Product Manager sia in grado di articolare la value proposition del suo prodotto in maniera interessante per i prospetti, i clienti, il team di vendita. Se al PM non è chiara la value proposition, infatti, si rischa di investire in capabilities di prodotto che non sono importanti per il mercato, e di veicolare messaggi che non sono efficaci. Con il tempo, l’azienda dovrebbe concentrarsi per allineare ciascuna value propsition di prodotto alla value proposition ae alla comunicazione dell’azienda in generale.

2) Fase del ciclo di vita del prodotto: identificare la fase del ciclo di vita in cui si trova ciascun prodotto è necessario per ottenere informazioni utili su cui basare le aspettative, i livelli di investimento, la quantità di risorse da spendere in marketing, etc. Molto spesso, infatti, il PM di un prodotto in fase di declino cerca di ottenere risorse aggiuntive per lo sviluppo, anzichè dedicarsi al contenimento dei costi (cosa che sarebbe più appropriata per un prodotto in fase di declino).

3) Feedback recenti raccolti dai clienti: che siano feedback raccolti in maniera diretta, o attraverso ricerche di mercato, riscontri positivi in termine di vendite, etc., si tratta di una possibilità per il PM di tenere traccia dei risultati ottenuti attraverso informazioni provenienti da varie fonti. Per il team di PM, inoltre, questo è il modo per essere più in contatto con il mercato.

4) Posizione del prodotto rispetto ai concorrenti sulla curva Prezzo-Performance: è fondamentale per capire il nostro prodotto (anche in termini di prezzo) rispetto a quelli della concorrenza. L’asse dei prezzi è relativamente semplice, mentre ottenere i dati per quella delle prestazioni è più complesso e si tratta di numeri difficili da misurare con precisione. In ogni caso, anche se le metriche di performance sono approssimate, la curva Prezzo-Performance rimane uno strumento indispensabile per il PM, che riesce a capire se il prezzo del nostro prodotto è quello più giusto rispetto a quello applicato dai concorrenti.

5) Obiettivi di Business annui per il prodotto: una volta identificata la fase di vita in cui si trova ciascun prodotto, bisogna definire ciò che significa “avere successo” per ciascun prodotto. Ciò vuol dire stabilire degli obiettivi adatti a ogni prodotto, a seconda delle sue specifiche caratteristiche.

6) Revenue Trend e Customer Trend: probabilmente la metrica più importante di tutte. Serve a capire se il prodotto è in crescita o è in calo.

7) Total Addressable Market (TAM): per quantificare se il prodotto è in un mercato che vale la pena perseguire, occorre osservare il gap tra il TAM e la quota di mercato stimata composta da “nostro fatturato + fatturato dei concorrenti”. In questo modo è possibile capire se ci sono opportunità di mercato non ancora sfruttate, o se l’azienda sta investendo troppo in un TAM in realtà basso. In questo modo è possibile fare degli aggiustamenti efficaci agli investimenti previsti per ciascuna linea di prodotto.

8) Margine di prodotto: presentato di solito con un grafico a cascata, aiuta a visualizzare quanto profitto viene generato da un prodotto e aiuta il team ad identificare le opportunità per migliorare la redditività riducendo i costi.

9) Andamento del Technical Support Case Volume nel tempo: l’indicatore in questione offre informazioni sul livello di soddisfazione dei clienti (i clienti soddisfatti non hanno bisogno di supporto tecnico) e identificano le opportunità per attuare modifiche migliorative al prodotto, abbassando così i costi di Technical Support.

Per leggere il post originale: https://www.linkedin.com/pulse/stop-ignoring-your-corporate-strategy-how-align-product-jim-o-leary

Napoli, 02/09/2015

Innovazione e metodologia Lean: dalle startup alle aziende consolidate, secondo Steve Blank

Negli ultimi 5 anni la metodologia Lean Startup ha permesso agli imprenditori di costruire startup di successo adoperandosi nella ricerca del product/market fit, piuttosto che nel lanciarsi “alla cieca” nelle attività di execution. Le aziende corporate che perseguono l’innovazione cercano un modo efficace per poter applicare i principi di Open Innovation, ma trovare una teoria unificata dell’innovazione, che sia adattabile alle esigenze di aziende corporate e, contemporaneamente, alle esigenze di sviluppo rapido di una startup non è decisamente un’impresa semplice. Ci ha provato Steve Blank, che racconta la sua esperienza e i risultati delle sue attività in un post pubblicato poche settimane fa nel suo blog.

Di recente, alcuni innovatori particolarmente coraggiosi hanno tentato di sovrapporre gli strumenti Lean e le tecniche che funzionano nelle startup ad aziende corporate ed enti governativi, ma i risultati sono stati deludenti, caotici e frustranti: in definitiva, fallimentari. Queste brevi esperienze si sono trasformate in una sorta di “Teatro dell’Innovazione”, fatto di grandi proclami e comunicati stampa, ma senza cambiamenti reali e sostanziali.

Lavorando in collaborazione con Greg Hannon, responsabile dell’Innovazione a W.L.Gore, Steve Blank ha rilevato due strumenti di corporate strategy sviluppati da persone smart che possono aiutare ad intersecare i principi di Lean Startup a quelli di Corporate Innovation:

Il primo è la nozione di “ambidextrous organization” (di O’Reilly e Tushman), secondo cui le aziende che vogliono fare innovazione devono lavorare su due binari paralleli: da un lato, continuare ad eseguire il core business aziendale, dall’altro, lavorare per l’innovazione.

La seconda grande idea per la corporate innovation è rappresentata dai “Three Horizons of Innovation”, identificati da Baghai, Coley e White. Secondo questa teoria, le aziende devono allocare le proprie innovazioni in una delle tre categorie coincidenti con altrettanti “Orizzonti”:

Horizon 1: business maturi
Horizon 2: business in rapida crescita
Horizon 3: business emergenti

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A ciascun orizzonte corrispondono focus, management, strumenti e obiettivi differenti.
I tre orizzonti forniscono una tassonomia incredibilmente utile, ma nella pratica sono utilizzati dalle aziende come una semplice schematizzazione incrementale dell’execution di un business model. In realtà, questo strumento consente di spiegare in un modo del tutto nuovo come funziona l’innovazione all’interno di un’azienda corporate.

Ecco, infatti, che Blank spiega come ottenere un’innovazione più rapida applicando gli strumenti tipici delle startup (Business Model Canvas, Customer Development, Agile Engineering) assieme alla metodologia Lean e, infine, come adattare il tutto alle necessità e peculiarità delle aziende corporate.

Punto di partenza di Blank saranno quindi i “Three Horizons of Innovation”, cui viene applicata la metodologia Lean. A questi sarà affiancato il concetto di “ambidextrous organization”, e il risultato sarà un metodo di sviluppo rapido per idee innovative all’interno di aziende già consolidate.

Applicando la metodologia Lean Startup ai “Three Horizons of Innovation”, il risultato sarà la riformulazione dei tre orizzonti nel modo seguente:

Horizon 1: attività a supporto di business model già esistenti
Horizon 2: focus sullo sviluppo di business esistenti attraverso business model parzialmente noti
Horizon 3: focus su business model sconosciuti

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Il primo orizzonte (Horizon 1) rappresenta il core business dell’azienda: qui, quest’ultima si concentra nell’execution di un business model noto (sono conosciuti i clienti, le caratteristiche di prodotto, il pricing, i canali distributivi, la supply chain, etc). Nell’Horizon 1, l’azienda utilizza capacità e competenze esistenti in attività a basso rischio. Questo tipo di gestione funziona quando esistono processi ripetibili e scalabili, dove e possibile identificare procedure, metriche, KPI per l’execution e misurare i risultati del business.

Nel secondo orizzonte (Horizon 2), l’azienda estende il suo core business cercando nuove opportunità per il suo modello di business (ad esempio, canali di distribuzione differenti, nuovi clienti che utilizzano lo stesso prodotto, nuovi prodotti da vendere ai clienti esistenti, etc). In questo caso, si utilizzano per la maggior parte delle attività capacità e competenze già esistenti in azienda e le attività presentano ancora un livello di rischio moderato. La gestione in caso di Horizon 2 rappresenta quindi una sperimentazione all’interno del business model esitente.

Il terzo orizzonte (Horizon 3) è quello in cui le aziende mettono a lavorare gli “imprenditori folli”, quelli che in una startup sono solitamente rappresentati dal CEO. Si tratta di innovatori che vogliono sperimentare nuovi e rischiosi modelli di business: in questo caso, l’azienda corporate è in una situazione molto simile a quella in cui si trova una startup in fase di incubazione. In questo orizzonte, gli “imprenditori folli” operano con grande rapidità allo scopo di trovare un business model ripetibile e scalabile. I team che lavorano a questi progetti devono essere fisicamente separati dalle divisioni operative dell’azienda (ad esempio in un incubatore d’impresa) e hanno bisogno di piani, procedure, politiche, KPI differenti rispetto a quelli utilizzati nell’Horizon 1. Inoltre, per questo tipo di progetti, bisogna prevedere team di piccole dimensioni (meno di 5 componenti) che devono confrontarsi con almeno 100 persone in 10 settimane, iterando e modificando il prodotto in base ai feedback ricevuti. Date le piccole dimensioni dei team e le scarse spese di gestione, un’azienda corporate può mettere in atto più progetti in parallelo a livello di Horizon 3.

In ogni caso, le attività svolte sugli Horizon 2 e 3 non devono mai essere totalmente distaccate dalla struttura aziendale: ecco perchè è indispensabile che i manager delle attività implementate a livello di Horizon 1 siano in costante contatto e di supporto a chi lavora alle attività a livello degli altri due Horizon.

Ma cosa accade alle innovazioni sviluppate a livello degli Horizon 2 e 3? Blank spiega che lo scopo finale è che queste vengano adottate a livello di Horizon 1, a meno che non raggiungano una dimensione talmente rilevante da poter diventare un’organizzazione autonoma, o da poter essere venduta all’esterno.

Nel caso in cui un’azienda corporate si trovi a gestire numerosi progetti a livello di Horizon 2 e 3, entra in gioco inesorabilmente il concetto di “ambidextrous organization”: i progetti innovativi devono essere sviluppati in parallelo con il business model centrale, che serve i clienti già esistenti. Per ottenere questo tipo di scenario, è fondamentale che i manager condividano un intento strategico, una vision e dei valori comuni: inoltre, la parallela esecuzione delle attività dei tre orizzonti richiedere una grande capacità di gestione e risoluzione dei conflitti.

Per leggere il post originale: http://steveblank.com/2015/06/26/lean-innovation-management-making-corporate-innovation-work/

Napoli, 15/07/2015

Security Startup Challenge 2015: fino a 50K per la cybersecurity da Kaspersky Lab

Security Startup Challenge 2015 (SSC 2015) è il programma di accelerazione dedicato alle startup da Kaspersky Lab, con la collaborazione di mentor della Kaspersky Academy, di Mangrove Capital Partners e di ABRT Venture Fund.
Si tratta di un’iniziativa di livello mondiale, nata con l’obiettivo di selezionare e supportare nuovi talenti e progetti nel settore della sicurezza informatica.

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Il percorso della SSC 2015 si è aperto a fine marzo con una fase preliminare che si snoda in cinque location a livello globale: Berlino, Gerusalemme, San Francisco, Singapore e Mosca.
In ciascuna città è stato un workshop della durata di due giorni ciascuno, i prossimi previsti sono quello di Mosca (23 e 24 aprile) e di Singapore (30 aprile).

Entro il 28 aprile 2015 sarà invece possibile presentare la propria application per il programma di accelerazione Security Startup Challenge 2015, riservato ai migliori progetti di startup che offrano soluzioni di cybersecurity, con focus particolare sui seguenti settori: healthcare, fintech, telecomunicazioni, mobile, Internet of Things, Cloud.

Tra tutte le candidature pervenute saranno selezionato i migliori 40 talenti che parteciperanno al Program Kick-Off dal 26 al 30 maggio a Lussemburgo. durante il Program Kick-Off i mentor creeranno 20 team che lavoreranno al market development delle migliori soluzioni di cybersecurity.

Tra il 31 maggio e il 6 luglio i 20 team lavoreranno insieme ai mentor per migliorare i progetti, che saranno presentati durante l’evento SSC Bootcamp (Lussemburgo): al termine dell’evento saranno selezionati i migliori 16 team per proseguire il lavoro sul product&market fit.

La fase successiva, dal 12 luglio al 16 agosto, è invece riservata ai 10 migliori team che lavoreranno allo sviluppo del proprio MVP. In questa fase i team lavoreranno con il supporto settimanale dei mentor.

cybersecurity

La finale di Security Startup Challenge 2015, dal 17 al 21 agosto al Massachusetts Institute of Technology, sarà infine riservata ai 7 team finalisti che si contenderanno i premi finali messi in palio attraverso una pitch session di fronte a Venture Capitalist e rappresentanti dei media. I premi finali sono:

1° classificato: 50.000$ + accesso al programma Launch Pack;
2° classificato: 20.000$;
3° classificato: 10.000$.

Per maggiori informazioni: http://www.securitystartupchallenge.com/#part-03

Napoli, 08/04/2015

Startup e ricerche di mercato: i consigli per capire fin da subito se il business avrà successo sul mercato

Entrepreneur ha pubblicato pochi giorni fa un estratto modificato dal libro “Start Your Own Business” (Entrepreneur Media Inc.), su come affrontare i primi tre anni da imprenditore alla guida di una startup e, in particolare, sul tema dell’importanza della ricerca di mercato: quest’ultima è infatti indispensabile per ottenere informazioni utili in tre aree critiche da studiare prima di lanciare il businessIndustry informationConsumer close-upCompetition close-up.

Anche quando si ha una grande idea per un prodotto/servizio innovativo, occorre infatti fermarsi e cercare di determinare se davvero esiste un mercato per tale prodotto/servizio:è necessario, quindi, condurre una ricerca di mercato.
Spesso, purtroppo, i neo-imprenditori pensano di poter bypassare questo passaggio cruciale per il product development perché pensano che il loro prodotto/servizio sia perfetto così com’è, e non vogliono sentire pareri negativi dai potenziali clienti. Altre volte, invece, sono spaventati dai costi che la ricerca di mercato può comportare.

Questo approccio, però, è decisamente sbagliato e pericoloso per la startup: non fare la ricerca di mercato può equivalere ad una condanna a morte per l’azienda. La ricerca di mercato va invece considerata come un investimento per il futuro: fare le eventuali necessarie modifiche al prodotto/servizio fin da subito consente alla startup di risparmiare denaro nel lungo periodo.

Una ricerca di mercato è essenzialmente un modo per raccogliere informazioni da utilizzare per risolvere o evitare problemi di marketing: una buona ricerca di mercato, quindi, consente di avere a disposizione i dati necessari per sviluppare un piano di marketing adatto alle esigenze della startup.
Grazie alla ricerca di mercato, la startup può identificare i segmenti specifici del mercato che desidera raggiungere e creare un’identità di prodotto/servizio che la differenzi dai concorrenti. Inoltre, la ricerca di mercato può aiutare i founder a scegliere la migliore area geografica per il lancio del nuovo business.

Come accennato, una buona ricerca di mercato dovrebbe fornire informazioni su tre aree critiche:

1) Industry information

Si tratta di informazioni sui trend più recenti nel settore di riferimento: in quest’area, una ricerca di mercato ha lo scopo di confrontare le statistiche e i dati sulla crescita del settore; identificare quali aree sembrano essere in espansione e quali in declino; capire se ci sono nuove tipologie di clienti; verificare se ci sono sviluppi tecnologici che stanno interessando il settore e capire se è possibile utilizzarli a proprio vantaggio. L’aspetto più importante da tenere in considerazione è verificare l’esistenza di una fiorente industria nel settore: non bisogna mai rischiare di avviare una startup in un settore del mercato che è in declino.

2) Consumer close-up

Per quanto riguarda i clienti, la ricerca dovrebbe iniziare con un’accurata indagine di mercato, che sia in grado di offrire i dati necessari per fare delle previsioni di vendita ragionevoli. Per un’indagine di mercato di questo tipo, il primo passo è quello di determinare i limiti (o confini fisici) dell’area di mercato in cui il business esiste. A questo punto sarà possibile studiare le caratteristiche di spesa della popolazione afferente quell’area.
La ricerca di mercato per le informazioni sui clienti dovrà fornire dati utili a stimare il potere d’acquisto della popolazione (in base ad elementi quali il reddito pro-capite, il livello medio di reddito, il tasso di disoccupazione e altri fattori demografici) e l’attuale volume di vendita per quella specifica tipologia di prodotto/servizio.
Sarà quindi possibile, sulla base di tali informazioni, stimare in maniera ragionevole il volume di vendita che la startup può ottenere.

3) Competition close-up

Grazie ai dati ottenuti dalle due precedenti aree critiche, la startup può a questo punto proseguire la ricerca di mercato avendo a disposizione un quadro più chiaro della concorrenza: non bisogna mai sottovalutare il numero di concorrenti, né tantomeno dimenticare di tenere in considerazione sia la concorrenza attuale che eventuali potenziali futuri concorrenti.
In questa parte della ricerca occorre esaminare i concorrenti in scala locale e, se necessario, nazionale, studiando le loro strategie e attività. L’analisi deve fornire alla startup un quadro completo delle potenziali minacce, debolezze, punti di forza e di debolezza del nuovo business.
Inoltre, è fondamentale cercare di capire quali sono i trend del settore per identificare vantaggi ed opportunità del business, per capire se la startup potrà avere in futuro un percorso di successo.

Per leggere il post originale: http://www.entrepreneur.com/article/240164

Napoli, 18/12/2014

BBVA Open Talent: il contest internazionale per startup innovative technology-based con in premio un contributo di 30.000 euro e una settimana di accelerazione a New York City

BBVA Open Talent è una startup competition internazionale giunta alla sua sesta edizione e promossa da BBVA – Banco Bilbao Vizcaya Argentaria (Madrid) allo scopo di fornire supporto a progetti e imprese in fase di startup. Il focus è su progetti imprenditoriali basati sulle tecnologie innovative, che favoriscano lo sviluppo economico e sociale.

La competition BBVA Open Talent si compone di tre contest regionali simultanei: BBVA Open Talent Europe, BBVA Open Talent Central and South America e BBVA Open Talent North America. Possono partecipare alle selezioni imprese nate a partire dal mese di Aprile 2010, che non abbiano raccolto capitali per oltre 1,5 milioni di euro negli ultimi 12 mesi e con un fatturato annuo inferiore a 1 milione di euro.

I progetti dovranno rientrare in una delle due categorie in gara: New Banking e Digital Life.

New Banking: la categoria comprende progetti che utilizzano le nuove tecnologie per creare modalità innovative di concepire e fornire servizi finanziari customer-oriented. Possono riguardare nuovi servizi, tecnologie e soluzioni B2C, B2B o B2B2C. Tra i progetti possono rientrare quelli relativi a: retail banking, corporate banking, pagamenti, assicurazioni, gestione patrimoniale e degli investimenti, trading and market.

Digital Life: di questa categoria fanno parte i progetti che sviluppano tecnologie innovative riguardanti una serie di elementi, tra cui la società (sanità, istruzione, lavoro, viaggi, turismo, smart city, ecc.), le piattaforme tecnologiche (sicurezza, applicazioni mobile, cloud computing, big data, hardware e software, ecc.), e-business, e-commerce, gaming e multimedia, social network e web 2.0.

Le application per l’edizione 2014 di BBVA Open Talent vanno inviate on line entro il 10/06/2014 compilando il form disponibile al seguente link:
https://www.f6s.com/bbvaopentalent2014-english#/apply

La Commissione di Valutazione selezionerà 60 finalisti: 20 progetti (10 per categoria) in ciascuna delle tre regioni. I finalisti saranno quindi invitati all’evento finale organizzato in ciascuna delle tre regioni per presentare il proprio progetto ad una giuria di esperti internazionali.

La Giuria sceglierà quindi i vincitori, che in questa sesta edizione della competition internazionale saranno in tutto 13:

6 winners: uno per categoria in ciascuna delle tre regioni;
6 runners-up: uno per categoria in ciascuna delle tre regioni (rappresentano i secondi progetti più votati dalla Giuria);
– Un progetto selezionato attraverso le votazioni on line tra tutti i 60 finalisti.

Ciascuno dei team vincitori riceverà un contributo pari a 30.000 euro per sviluppare un progetto di collaborazione con BBVA e un viaggio a New York (per un componente di ciascun team) per partecipare al programma Crash Acceleration in NYC: si tratta di una settimana di accelerazione durante il quale i partecipanti potranno entrare in contatto con potenziali investitori, partner strategici, mentor e advisor a livello internazionale, avendo accesso ad una community mondiale di innovatori cui presentare la propria startup.

Napoli, 28/05/2014

Consigli alle startup – Il pitch per gli investitori e quello per i clienti: due modi differenti per raccontare il business

Mark Birch è un tech investor e imprenditore newyorkese, CRO di una tech startup (Enhatch) e autore del blog Strong Opinions (il blog di Birch Ventures per la community newyorkese di startup tecnologiche): uno dei suoi più recenti post affronta il tema della differenza tra Investor Pitch e Customer Pitch, partendo dal presupposto di base che utilizzare lo stesso pitch per presentarsi sia agli investitori che ai clienti è una mossa che molto raramente funziona a dovere.

Il motivo fondamentale è che investitori e clienti hanno motivazioni ed interessi differenti: pertanto, guardano il pitch da diversi punti di vista. Ne consegue che lo stesso pitch non è utilizzabile per entrambi: occorre costruire un pitch “su misura” per ciascuna delle due “categorie di pubblico” cui la startup si rivolge.

Gli investitori, infatti, sono alla ricerca di grandi opportunità di mercato, che possano comportare un significativo ritorno in termini di capitale. Il discorso dal punto dell’investitore è sintetizzato da Birch in questo modo: Team Market Product Traction Investors. Occorre dimostrare all’investitore che c’è un bisogno da soddisfare, che il team è in grado di ottenere il prodotto/servizio per soddisfarlo, che c’è un mercato per tale prodotto/servizio e calcolare se tutto ciò possa giustificare un investimento. In altre parole, occorre che il pitch sia in grado di dare all’investitore i dati, i numeri in modo tale che egli possa calcolare se investire o meno nella startup.

I clienti, invece, hanno un problema da risolvere o un bisogno da soddisfare. Per i clienti, le dimensioni del mercato sono assolutamente irrilevanti. La traction può essere un argomento appena interessante, ma sicuramente non importante per loro. Il team può essere leggermente più rilevante, ma in ultima analisi l’unica cosa che interessa ai clienti è cosa fa il prodotto e in che modo risolve il bisogno. Ed è proprio su questo aspetto che occorre concentrarsi quando si comunica con i clienti.

Birch spiega di aver provato a modificare il pitch che aveva sviluppato per gli investitori cercando di adattarlo ai clienti: eliminando un paio di slide e modificandone altre, però, ha ottenuto semplicemente una presentazione poco efficace perché totalmente svuotata dagli aspetti relativi la passione e la vision aziendale. Questa è, secondo l’autore del post, la cosa peggiore che si possa fare: non è possibile vendere senza questi elementi, che sono la forza ed il valore intrinseco di una startup.

Ecco quindi la conclusione di Birch: occorre preparare separatamente due pitch, uno per gli investitori ed uno per i clienti. Occorre inoltre farlo in momenti differenti, vincendo la tentazione di sfruttare alcune diapositive per entrambi i destinatari semplicemente apportando delle piccole modifiche.
E’ importante lavorare ad entrambi i pitch tenendo ben presenti gli aspetti fondamentali per coloro cui è destinato, cercando di guardare con i loro occhi e raccontando una storia differente in ciascuno dei due pitch: la stessa storia vista da due diverse angolazioni.

Il post originale da Strong Opinions è disponibile al seguente link: http://birch.co/post/81359224501/investor-pitches-vs-customer-pitches

Napoli, 02/05/2014

Come muovere i primi passi dall’idea alla startup? Le lezioni imparate sul campo dal founder di Buffer

Joel Gascoigne è CEO e founder di Buffer, una app che consente di condividere i propri contenuti nel minor tempo possibile sui propri profili social. Nel suo blog ha condiviso alcune delle lezioni e dei suggerimenti più importanti imparati durante la sua esperienza in una startup di successo, che ha raggiunto oltre 850.000 utenti riuscendo a risolvere un’esigenza importante per molte persone e attraverso una crescita veloce ed esponenziale.

Il primo pensiero quando Gascoigne pensa alla sua esperienza è un passo tratto dal saggio di Paul Graham “How To Make Wealth”: “Si può pensare ad una startup come a un modo per comprimere tutta la tua vita lavorativa in pochi anni. Immaginate lo stress di lavorare in un ufficio postale per 50 anni. In una startup è possibile ridurre questo stress a tre o quattro anni”.

Secondo Gascoigne questo pensiero è assolutamente vero, e lo ribadisce affermando che l’esperienza di dar vita ad una startup è a suo parere il modo migliore di condurre una vita lavorativa appagante.

Il suo post prosegue con una lista di sei consigli per aspiranti startuppers:

1. Experiment. Lots.
E’ fondamentale avere un “piano di riserva”: occorre concentrarsi su un progetto a parte oltre a quello della propria startup, anche se ciò significa maggior impegno e meno tempo libero. Lo stesso Gascoigne prima di lavorare a Buffer ha fatto parecchi tentativi di business e si è impegnato su svariati progetti collaterali.
Non sempre paga concentrarsi anima e corpo su un’unica strada: bisogna continuare ad impegnarsi su cose nuove finchè non si riesce a trovare qualcosa che funzioni, che abbia mercato e che piaccia alla gente.

2. Stay Inspired.
La motivazione è fondamentale per un aspirante startupper, ed è indispensabile per riuscire finalmente a concentrarsi e iniziare a lavorare sul serio. Ma è fondamentale riuscire a documentarsi e a farsi ispirare dalle storie di successi e fallimenti degli altri, di coloro che hanno tentato prima di noi, perchè spesso è proprio dalle storie degli altri che è possibile far scattare la scintilla che può aiutare un progetto a decollare.

3. Travel the world and move.
Prendendo spunto da una massima di Mark Twain (Viaggiare è fatale per il pregiudizio, il bigottismo e la ristrettezza mentale), Gascoigne spiega quanto sia stato importante per il suo progetto viaggiare, parlare con le persone e conoscere altre culture: prima di tutto, perchè spostandosi dal proprio ambiente è possibile incontrare persone e luoghi nei quali la nostra idea può avere successo. Ma soprattutto perchè lasciare ciò che si conosce ed entrare nell’incertezza aiuta la mente a diventare più aperta e capace di creare e vedere nuove opportunità.

4. Choose your friends wisely.
Scegliere bene le persone con le quali condividere la propria esperienza ed il proprio progetto è fondamentale: una startup ha bisogno di un team di persone ottimiste, convinte di poter avere successo, consapevoli che a volte si può fallire ma che è importante rialzarsi e riprovare.
Gascoigne spiega che questa convinzione si riflette anche nelle sue politiche di assunzione: la sua tendenza è quella di assumere persone nel proprio team dalle quali si possa imparare qualcosa ogni giorno.

5. Stay laser focused on building something people want.
Occorre sempre restare concentrati e focalizzati su un prodotto che la gente vuole: come afferma Paul Graham, “Quasi sempre, in una startup che fallisce il problema è che i clienti non vogliono quel prodotto“.
Gascoigne sa che spesso, in una startup, ci si può facilmente distrarre dal prodotto e concentrarsi su altri problemi, come la raccolta di capitali o il personale da assumere: ciò che conta davvero, soprattutto agli inizi, è trovare un problema importante da risolvere e lavorare al product/market fit finchè non si inizia a vendere.

6. Be open and vocal. 
Per spiegare il sesto e ultimo punto, Gascoigne parte da una citazione di George Bernard Shaw: “Se tu hai una mela, e io ho una mela, e ce le scamiamo, ciascuno di noi avrà ancora una mela. Ma se tu hai un’idea e io ho un’idea e ce le scambiamo, ciascuno di noi avrà due idee“.
L’approccio open e la condivisione sono assolutamente fondamentali per una startup: basta pensare che la strategia di marketing seguita da Gascoigne agli inizi consisteva nel condividere l’idea con i suoi 1.700 seguaci su Twitter. Sono stati proprio questi ultimi ad avere un ruolo fondamentale nella crescita di Buffer: ecco perchè il consiglio finale, preso “in prestito” dalle parole di Leah Bursque, è quello di parlare della propria idea ad ogni singola persona che si incontra. Si tratta di un sistema infallibile per riuscire a testare e perfezionare la propria idea, e migliorare di conseguenza il proprio prodotto sulla base dei feedback ricevuti.

Napoli, 03/12/2013

Startup Life Sciences e Healthcare: da Steve Blank all’evento Filarete Healthy Startups

Il settore Healthcare e delle Life Sciences è attualmente di grande interesse, soprattutto per quanto riguarda le innovazioni che le tecnologie digitali possono apportare a questo tipo di prodotti e servizi: se ne parla in un articolo pubblicato recentemente su xconomy.com e in uno degli ultimi post dal blog di Steve Blank, ma anche in Italia qualcosa si muove.

Ne è un esempio pratico l’organizzazione di Filarete Healthy Startups, la tre giorni organizzata dalla Fondazione Filarete, insieme a Fondazione Cariplo e Microsoft YouthSpark per analizzare e scoprire i trends e gli scenari di mercato del settore in Italia.

La riflessione sul tema parte da uno dei primi libri di Blank, “The Startup Owner’s Manual”, nel quale si sosteneva che il metodo per startup basato sul Customer Development elaborato dall’autore non fosse adatto alle aziende produttrici di dipositivi medici o biotech, e quindi al settore delle cosiddette Life Sciences.

La rapida iterazione di prodotto basata su metodi di sviluppo agile dei software, i continui aggiustamenti al modello di business basati sui feedback dei clienti, il cloud outsourcing per aumentare l’efficienza del capitale: tutte queste strategie vengono viste da Blank come in qualche modo totalmente inapplicabili al mondo delle Life Sciences e dell’Healthcare, dove i tempi per la sperimentazione in laboratorio dei prodotti richiedono tempi lunghi.

Le aziende che producono farmaci, dispositivi medici e strumenti diagnostici sono infatti bloccate da un processo di sviluppo lento, follemente costoso ed iper-regolamentato caratterizzato da un rischio elevato. Da questo punto di vista, secondo Blank non c’è da meravigliarsi che i venture capitalist si tengano fuori da questo tipo di business, e che i finanziamenti early-stage per startup nel settore Life Sciences siano così scarsi.

Ma, dopo aver lavorato con alcune startup del settore, Blank si pone oggi una domanda: e se si fosse sbagliato sulle startup Life Sciences? E se il vero problema fosse più semplice, e cioè che agli imprenditori del settore Life Sciences non è stato insegnato come collegare le proprie scoperte di laboratorio alle reali esigenze del cliente?

Nel libro “The Startup Owner’s Manual”, assieme al co-autore Bob Dorf, Blank scrive che esistono due tipologie di startup in fase iniziale: quelle costruite attorno al “customer/market risk” (dove il problema è capire se ci sono clienti interessati ad acquistare il prodotto) e quelle che gravitano attorno all’“invention risk” (dove ciò che conta è capire se il team sarà in grado di costruire un prodotto che funziona).
Dorf e Blank spiegano che l’approccio contenuto nel loro testo si adatta alla prima tipologia di startup, perchè per le seconde possono passare anche 5 o 10 anni prima di riuscire ad ottenere un prodotto che possa uscire dal laboratorio ed essere messo sul mercato (come ad es. nel settore delle biotecnologie).

Adesso, però, Blank sostiene di essersi reso conto, osservando gli attuali imprenditori ed investitori del settore Life Sciences, che quella contenuta in “The Startup Owner’s Manual” sia una svista: essenzialmente, Blank dice che il suo metodo può servire alle startup del settore Life Sciences a porsi in fase di early-stage una serie di domande riguardo il customer/market risk, per evitare di rendersi conto, dopo anni trascorsi a lavorare in laboratorio per scongiurare l’invention risk, di non avere un mercato per il proprio prodotto.

La soluzione proposta da Blank è la cosiddetta “evidence-based entrepreneurship”: basarsi sui dati osservati per capire come muoversi sul mercato.

Insomma, il suggerimento è quello di applicare il metodo Lean Startup anche alle neo-imprese del settore Life Sciences e sanitario, fermo restando che si tratta di settori complessi e con delle specificità ben precise: in ogni caso, Blank sostiene che la maggior parte dei fallimenti in questi settori poteva essere probabilmente evitato con uno studio approfondito del mercato di riferimento.

Per spiegare meglio le modalità di applicazione del Metodo Lean Startup al settore Life Sciences, Blank racconta quali sono stati i Pivot di alcune startup che ha seguito ultimamente in questo campo: ad esempio, alcune startup hanno apportato modifiche al prodotto/servizio a seguito di un’accurata analisi delle esigenze della clientela, altre invece hanno modificato la propria posizione nella catena del valore, trasformandosi in fornitori per gli ospedali anzichè vendere il proprio prodotto direttamente ai medici. Cambiamenti ancora più radicali sono stati effettuati da startup che hanno modificato la propria tecnologia di base (modificando del tutto la propria idea originaria), per affrontare al meglio le esigenze della clientela.

In tutti questi casi, i Pivot hanno consentito alle startup di evitare di arrivare sul mercato con un prodotto/servizio o con una strategia fallimentare.
La conclusione di Blank, quindi, è che il metodo Lean Startup sia assolutamente applicabile anche nelle startup Life Sciences ed Healthcare, e che debba funzionare proprio come gli scienziati testano le proprie ipotesi in laboratorio: ciò che bisogna fare in fase early-stage, per non incorrere in seguito in fallimenti, è uscire dal laboratorio e testare il proprio prodotto parlando con i clienti.

Per chi fosse interessato a sapere di più sulle startup e sull’innovazione nel settore Healthcare nel nostro Paese, in apertura del post si accennava all’evento Filarete Healthly Startups: l’evento, totalmente gratuito previa regstrazione al link http://filaretehsw.eventbrite.it/, si terrà a Milano dal 18 al 20 novembre.

Nei primi due giorni saranno analizzate insieme ai maggiori esperti del settore le opportunità e i trends di mercato dei settori Biomed, Pharma Food, Digital Health e App Marketing, ma la data da segnare in agenda per startuppers ed aspiranti imprenditori è il 20 novembre: durante questa giornata, interamente dedicata alle startup, si terranno infatti un Pitch Training per imparare a presentare la propria idea innovativa a potenziali investitori, mentre il pomeriggio sarà dedicato a “Filarete Healtlhy Startups – extended version”: un momento di incontro per presentare la propria startup a un pubblico di esperti, professionisti, manager e investitori specializzati nel settore.

Per maggiori informazioni, il sito internet dell’iniziativa è http://www.fondazionefilarete.com/it/filarete-healthy-startups-week

Napoli, 25/10/2013