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Categoria: consigli

Marketing Plan per startup: una vera e propria strategia militare per evitare errori da principiante

Mike Troiano è CMO per la startup Actifio, “unicorno” che è riuscito a cambiare il modo in cui le imprese di tutto il mondo gestiscono i propri dati. Troiano, inoltre, è mentor di TechStars e partner in G20 Ventures, oltre che autore di interessanti post su portali internazionali come Medium. Proprio su Medium ha di recente pubblicato un contributo dedicato alla tematica del Marketing Plan per startup: il suo punto di vista si basa su come applicare una vera e propria strategia militare vincente a questa attività di planning fondamentale per le nuove imprese.

Quando un founder deve scrivere un Marketing Plan per la propria startup, nella maggior parte dei casi, segue il primo istinto di creare una vera e propria lista di cose da fare, cui assegnare un relativo budget. Di solito il Marketing Plan di una startup viene trasformato in una corposa presentazione con decine di slide, da titoli un po’ altisonanti come “High Level Gantt Chart” o “Next Steps”.

Troiano ritiene che questo approccio al Marketing Plan sia assolutamente errato: il suo consiglio è quello di iniziare riflettendo sulla vita e le strategie messe in pratica dal grande militare prussiano Helmuth Karl Bernhard Graf von Moltke, considerato da molti il padre della moderna strategia militare. Anche se il suo nome può essere poco noto, molti probabilmente conoscono una delle sue massime più famose: “No plan of operations extends with certainty beyond the first encounter with the enemy’s main strength”, che semplificata e tradotta suona come “Nessun piano sopravvive al contatto con il nemico”.

Alcuni interpretano questa affermazione in una maniera decisamente radicale, dandogli il significato di “la pianificazione è un’attività inutile”. Ma la citazione riportata è solo la prima parte di un discorso più ampio di Moltke, che prosegue con “la strategia è un sistema di espedienti”. Leggendo la citazione al completo, si capisce che ciò che Moltke intendeva veramente dire è che la strategia militare va intesa come un sistema, un programma di opzioni ed espedienti, dal momento che l’unica parte a poter essere pianificata nel dettaglio è il primo passo. Moltke non era contrario ai piani… anzi, era proprio il contrario! Secondo Moltke, il compito principale di un leader militare sta nell’essere preparato ad affrontare tutti i possibili risultati e le possibili evoluzioni che seguono il primo passo della strategia.

Military-Strategy

Vediamo, quindi, come costruire un Marketing Plan per una startup “in stile Moltke”. Il primo passo consiste, secondo Troiano, nell’accurata definizione di sei termini su cui spesso gli startupper fanno confusione:

1. GOAL – ciò che speriamo di raggiungere;
2. OBIETTIVO – in che modo è possibile misurare il nostro goal;
3. STRATEGIA – l’approccio che riteniamo sia in grado di farci raggiungere l’obiettivo;
4. TATTICA – l’execution vera e propria, che converte la strategia in azione;
5. PROGRAMMA – la raccolta delle tattiche che scegliamo di (e)seguire;
6. PIANO – cosa bisogna fare e quando, con la chiara definizione delle attività cui dare precenza.

Un buon Marketing Plan per una startup inizia da un chiaro consenso riguardo gli specifici goal da raggiungere: si tratta di pensare a ciò che davvero si vuole realizzare nei mesi a venire. Una volta identificati chiaramente i goal, si passa alla fase successiva: tradurli in obiettivi specifici e misurabili. Ecco perchè la parte più difficile è identificare le metriche giuste per misurare i goal della singola startup: solo con le metriche giuste sarà possibile focalizzare le migliori strategie.

Il terzo passo, infatti, è stabilire le strategie: il consiglio generale è quello di mantenere il più possibile un profilo di semplicità e linearità. Ancora, sulla base delle strategie è possibile identificare le tattiche e, quindi, le persone che realmente dovranno metterle in pratica. Le tattiche vanno poi raggruppate in cluster, che raggruppano azioni coordinate che a loro volta formano i programmi. L’ultimo step consiste nell’assegnare le risorse ed i tempi a ciascun programma, secondo un piano ad hoc, da condividere con l’intero team.

In ogni caso, conclude Troiano, il punto di riferimento deve essere sempre la frase iniziale di Moltke: nessun piano sopravvive al contatto con il nemico, ecco perchè la strategia è un insieme di espedienti. Una volta individuati goal ed obiettivi, strategie e tattiche, piani con tempi e risorse, una startup deve essere sempre pronta a scontrarsi con la realtà del mercato e cambiare rapidamente direzione quando necessario.

Il post originale di Troiano, con alcuni esempi pratici di ciascuna delle sei voci analizzate, è disponibile qui: https://medium.com/@miketrap/how-to-write-a-startup-marketing-plan-a6e58bc21dbb

Napoli, 15/10/2015

The Startup Framework: sei passi per convalidare il prodotto senza investire capitale

Mitchell Harper è CEO di Capital H Labs, startup studio che si occupa di prodotti e strumenti utili alle nuove aziende nel loro percorso di crescita, ed è co-founder di Bigcommerce, startup fondata nel 2009 che conta oggi oltre 100.000 clienti e 500 dipendenti. Sul portale Medium ha recentemente pubblicato i suoi consigli per le startup, con particolare riferimento ad un framework in 6 fasi da utilizzare allo scopo di convalidare l’idea prima di iniziare ad investire denaro nel progetto.

Secondo Harper, sono essenzialmente due le attività da svolgere in una startup prima di lanciare il prodotto:

1) validare il bisogno del prodotto,
2) creare un prodotto che risponda al bisogno riscontrato.

La validazione del prodotto è essenziale per una startup: senza un’adeguata validazione del prodotto rispetto al mercato di riferimento, infatti, si rischia di ritrovarsi tra le mani un prodotto per il quale nessuno sarà disposto a pagare. Ciò significa bruciare un sacco di risorse in termini di tempo, lavoro e denaro, per non parlare degli strascichi che il team porta addosso dopo un fallimento.

Ecco perchè il team di Harper ha realizzato un vero e proprio framework, un canovaccio di attività da seguire ed implementare prima di investire anche un solo euro in una startup: vediamo quali sono le fasi che lo compongono.

FASE 1 – Identificare il problema, non la soluzione

Lo scopo è quello di riuscire a spiegare in maniera chiara ed articolata un problema che si verifica regolarmente per voi e/o per gli altri. Attenzione: in questa fase occorre concentrarsi esclusivamente sul problema, la soluzione sarà in un secondo momento.
Bisogna riuscire a descrivere il problema in una frase, più semplice possibile, ad esempio:

– Non è possibile continuare a mantenere un contatto con la clientela una volta che lasciano il ristorante;
– La progettazione grafica di qualità professionale per i social media è troppo difficile.

In conclusione, si avrà l’idea solo quando si sarà in grado di articolare il problema in una frase unica, semplice ed efficace.

FASE 2 – Determinare se si tratta o meno di un problema di primo livello

Identificare i problemi è piuttosto semplice, ce ne sono ovunque: ciò che davvero una startup deve riuscire a fare è identificare un problema “di primo livello”. Per problema di primo livello si intende che quello che si sta cercando di risolvere rappresenta uno dei tre problemi più importanti che i potenziali clienti stanno vivendo.

Prendiamo, ad esempio, il caso in cui il nostro cliente target sia il CEO di una piccola impresa. I primi cinque problemi del target di riferimento potrebbero essere i seguenti:

1. Generare più vendite
2. Far funzionare in maniera efficiente il marketing (assumere un responsabile marketing)
3. Esternalizzare (outsurcing) il payroll ed i benefit
4. Migliorare la product selection
5. Avviare una campagna social efficiente, investendo in Facebook Ads

Se la nostra startup sta cercando di lanciare sul mercato un social media tool, è evidente che il CEO di una piccola impresa non dovrebbe essere il suo target di riferimento: il problema dei social media, infatti, non è tra i primi tre della sua lista, bensì si trova al quinto posto. I CEO di una piccola impresa saranno, quindi, troppo impegnati a risolvere i primi tre problemi per interessarsi sufficientemente al prodotto della startup in questione.

Questo ragionamento è spesso difficile da accettare per i founder di una startup, che sono convinti di avere il miglior prodotto possibile da offrire: la verità è che bisogna identificare il proprio target in maniera più efficace, costruendo un vero e proprio profilo/base di chi è interessato ad acquistare il prodotto. Ad esempio, identificando le dimensioni dell’azienda, il ruolo, la localizzazione ed il settore di riferimento.

Una volta costruito il profilo-base del potenziale cliente target, è utile costruire una lista di almeno 20 persone che soddisfano i requisiti (ad esempio, basandosi sui profili LinkedIn). A questo punto, occorre inviare un messaggio ad ognuno dei nomi presenti nella lista per proporre una breve chiamata conoscitiva, allo scopo di effettuare una ricerca di mercato.

Quando si scrive il messaggio occorre tenere ben presenti alcuni brevi ed efficaci consigli offerti da Harper: essere brevi e andare dritti al punto, specificare il giorno e l’ora in cui si vuole effettuare la chiamata, costruire una lista di almeno 3 volte il numero di persone che si desidera effettivamente intervistare.

Una volta giunti a questo punto, si avrà a disposizione una lista di potenziali clienti che realmente vivono il problema identificato: si può dunque procedere con le interviste, che dovranno essere costruite in modo tale da convalidare alcuni elementi.

Al termine delle interviste dovranno essere ben chiari i seguenti punti:

1. Il modo in cui si sperimenta il problema
2. Quanto è effettivamente sentito il problema (è un problema di livello 1?)
3. Come cercano di risolvere il problema attualmente
4. Sarebbero disposti a pagare per una soluzione?

FASE 3 – Identificare correttamente le soluzioni attualmente esistenti

Tra le informazioni di cui si dispone dopo aver effettuato le interviste, ci sarà un’idea ben chiara del modo in cui attualmente è possibile risolvere il problema. Ad esempio, gli intervistati potrebbero nominare specifici prodotti o aziende a cui fanno riferimento. A tal proposito, l’autore mette in guardia da un possibile e diffuso errore in fase di intervista: non bisogna chiedere nello specifico “quale prodotto utilizza al momento per affrontare il problema?”, ma mantenersi su un generico “in che modo affronta il problema attualmente?”.

Solitamente, una startup cercherà di risolvere un problema che già altre aziende provano a risolvere: ciò può accadere in un mercato abbastanza grande, con un problema di livello 1 che almeno un concorrente attualmente risolve in maniera efficace (ciò può significare che esiste traction, che ha raccolto fondi, che è in attività da alcuni anni, che è in fase di crescita, etc).

Se non esiste nessuno che sta cercano di risolvere quello specifico problema, invece, bisogna fare attenzione: nella maggior parte dei casi significa che non esiste un mercato di riferimento, o che non è abbastanza grande da giustificare un investimento.

FASE 4 – Cercare i difetti delle soluzioni esistenti

Che ci siano o meno dei prodotti che attualmente risolvano in qualche modo il problema, lo step successivo consiste nel capire quali sono i difetti dell’attuale processo di soluzione del problema.

Se c’è già un prodotto concorrente, lo scopo deve essere quello di capire in che modo la nostra startup può riuscire ad offrire qualcosa di diverso e maggiormente efficace: non basta una semplice differenza, occorre che sia una differenza che rende la nostra soluzione migliore di quella dei concorrenti.

Se non c’è un prodotto concorrente vero e proprio, ma un processo composto da una serie di prodotti, servizi, modalità che gli intervistati utilizzano, è utile capire bene di cosa si tratta per capire quali siano i difetti di questo processo (tempi, complessità, costi, frustrazione).

Lo scopo finale della fase 4 è quello di riuscire ad articolare chiaramente in che modo la nostra soluzione è migliore rispetto agli attuali prodotti/processi utilizzati.

FASE 5 – Verificare se esiste un budget per la soluzione

Se esistono già dei prodotti concorrenti, è possibile osservare e studiare i loro dati in termini di traction: stanno crescendo rapidamente? Hanno un sufficiente volume di clienti? Hanno chiuso con successo operazioni di fund raising? Stanno assumendo personale?

Se ci sono dei segnali di crescita per i concorrenti, significa che questi ultimi hanno un buon prodotto, che sta generando entrate e per cui ci sono dei clienti disposti a pagare. Il che significa che qualcuno ha un budget assegnato per prodotti di questo tipo.

A questo punto può essere utile effettuare alcune interviste di follow-up (possono bastarne 10) per chiedere un parere sul prezzo che sarebbero disposti a pagare per una soluzione al problema che hanno dichiarato di vivere. Questa seconda tornata di chiamate potrebbe essere strutturata nel modo seguente:

ricapitolare il problema,
spiegare la nostra soluzione, focalizzandosi sul perché è migliore di quelle attuali,
chiedere quanto sarebbero orientativamente disposti a pagare per la nostra soluzione.

FASE 6 – Utilizzare le informazioni ottenute per stabilire una roadmap

Una volta identificato il problema, la soluzione, il potenziale mercato di riferimento, la concorrenza, il vantaggio competitivo e il prezzo è possibile prendere una decisione definitiva: avviare o meno una startup?

Se si decide di avviare una nuova impresa, è possibile compiere i successivi passi come la pianificazione del prodotto e la costruzione del MVP. Ma, nella definizione della sua roadmap con tutte le attività e gli obiettivi, la startup prenderà il via con il vantaggio essere riusciti a validare il prodotto senza aver investito capitale, grazie al framework proposto da Harper.

Per leggere il post originale: https://medium.com/swlh/the-startup-framework-to-validate-your-idea-before-you-spend-1-5c475a3bbd6f

Napoli, 09/10/2015

Startup Tips – Come affrontare al meglio l’attività di Fund Raising imparando dagli errori più diffusi tra i founder

L’approccio al fund raising rappresenta un aspetto fondamentale per una startup, tanto da poter arrivare a condizionarne la futura stabilità: è da questo presupposto che parte l’analisi di Andrew Thomas, co-founder di SkyBell, pubblicata di recente nella sezione dedicata alle Startup del portale Inc.

Secondo Thomas, la fase di fund raising è decisamente quella più emozionante ed impegnativa per una startup e l’approccio con il quale viene affrontata avrà impatto sulle possibilità di successo del business ma, soprattutto, su quelle di riuscire ad attrarre il giusto investitore. Per prepararsi al meglio alla fase di fund raising è utile osservare e imparare dagli errori più comuni che i founder commettono in questa fase, cercando nel contempo di capire come evitarli.

Le lezioni che l’autore ha imparato derivano dalla sua esperienza diretta di fund raising per SkyBell, assieme ai feedback più comuni raccolti attraverso le storie condivise da altri founder di startup: il fund raising non è certamente un’attività semplice, ma conoscere la lista degli errori più comuni può essere un primo passo avanti.

Errore n.1 – Dare priorità ai soldi, anzichè all’investitore giusto

Anzichè concentrarsi sulla quantità di denaro, la startup dovrebbe dirigere il proprio focus sugli investitori. Occorre capire quali sono le loro esperienze e competenze, per capire cosa possono offrire alla startup oltre al capitale. Tra le cose utili da capire, se sono esperti e ben conosciuti nel vostro settore di riferimento, se possono apportare valore strategico e farvi aprire porte interessanti, cosa davvero vi piace di loro.

Questi aspetti vanno tenuti in attenta considerazione, perché una volta ottenuto il finanziamento si sarà legati all’investitore per un lungo periodo di tempo: ecco perché occorre trovare investitori in grado di apportare valore e di offrire un vero supporto negli inevitabili momenti di difficoltà. E’ sempre preferibile accettare una cifra più bassa o un accordo economicamente meno vantaggioso, ma assicurarsi di aver costruito una relazione con il partner giusto.

Errore n. 2 – Sopravvalutare la propria Valuation

Molti founder si concentrano troppo su come ottenere la massima valutazione possibile da un investitore. La diluizione, infatti, è vista come la peggior cosa per una startup: ma peggio della diluizione, afferma Thomas, c’è il rischio di uscire dal mercato per incapacità di raccogliere capitali. La cosa migliore da fare è concentrarsi su come ottenere un accordo equo con l’investitore giusto.

Sopravvalutare la propria startup provoca una serie di problemi: nella migliore delle ipotesi, creerà opposizione in sede di accordo con un investitore, fino a mandare a monte la contrattazione. Nel peggiore dei casi, può far capire ai potenziali investitori che c’è una visione irrealistica del mercato e della realtà.

I founder devono andare oltre la Valuation in se e per se, e concentrarsi sul trovare il partner più giusto con cui lavorare. Il consiglio è quello di stabilire una Valuation “ideale” e una “accettabile”, più flessibile, di cui è possibile accontentarsi se ci si trova di fronte ad un investitore che offre un valore aggiunto.

Errore n. 3 – Concentrarsi troppo sui numeri

Un investitore ha bisogno di qualcosa che vada oltre il semplice bilancio: occorre porre maggiore enfasi sulla storia e sulla vision della startup, affidandosi ad un valido storytelling che vada a supportare numeri, grafici e metriche presentati durante il pitch.

Bisogna ricordare sempre che le persone comprano (e gli investitori finanziano) sulla base dell’emozione, che poi giustificano in maniera razionale. Non è utile, quindi, concentrarsi troppo sui numeri se non si riesce a suscitare un legame ed una reazione emotiva in chi ascolta. I numeri e le metriche sono utili se presentati come la dimostrazione della capacità del team di eseguire la vision e convalidare l’idea.

Errore n. 4 – Mettere tutte le uova nello stesso paniere

Molti founder smettono di lavorare al pitch quando ricevono il primo term sheet, ma ciò li rende vulnerabili ad un’eventuale marcia indietro degli investitori: se ciò dovesse accadere, il rischio cui si espone la startup è quello di rimanere a corto di denaro e di dover essere costretti a prendere decisioni disperate pur di restare a galla.

Per evitare questo problema, il consiglio dell’autore è quello di continuare a lavorare al pitch e ad incontrare potenziali investitori: le cose possono accadere in qualsiasi momento. Tra le eventualità possibili, c’è quella di investitori che cambiano idea e si tirano indietro, congelando il denaro. L’unico modo per proteggersi è continuare a presentare il proprio pitch ad altri investitori.

Errore n. 5 – Raccogliere capitali senza avere una “via di fuga”

L’attività di fund raising può impegnare una startup per mesi, e non è consigliabile finire i soldi nel corso del processo. Questo perché si rischia di porsi in una posizione negoziale di svantaggio, che può rendere i founder troppo impulsivi nel processo decisionale.
Nel completare la due diligence, gli investitori vorranno visionare i documenti finanziari ed una situazione disperata può farli sentire autorizzati a porre condizioni più dure e meno vantaggiose per la startup, o a rifiutare del tutto l’affare.

Bisogna quindi lavorare con il CFO e stabilire un budget da conservare, una sorta di “via di fuga”, basata sul cash flow e sul burn rate. Il processo di fund raising dovrebbe essere avviato quando si ha un margine di manovra di almeno 4/5 mesi, per partire da una migliore posizione nelle negoziazioni.

Errore n. 6 – Aspettare la prossima Big Milestone

Ci sarà sempre una prossima Big Milestone da raggiungere che rafforzerà la vostra Valuation: se da un lato ha senso aspettare di raggiungerla per avere una Valuation più alta, dall’altro lato questa attesa può rivelarsi molto rischiosa. Ostacoli, difficoltà, problematiche sono sempre in agguato e potrebbero impedirvi di raggiungere la prossima Big Milestone. Questo potrebbe fermare i progressi e la crescita della startup, rendendola meno appetibile per gli investitori.

La soluzione ideale sarebbe quella di fare fund raising prima di averne bisogno, anche con una Valuation più bassa: ciò darà alla startup disponibilità di denaro e maggiori possibilità di raggiungere Milestone e traguardi, ripagando la startup con una crescita rapida.

Errore n. 7 – Guardare solo ai Venture Capitalist

Ci sono molte valide alternative al Venture Capital quando si è alla ricerca di un investitore: in primo luogo, gli investor non istituzionali (come gli angel) potrebbero essere più flessibili ed è probabile riuscire a raggiungere un accordo in tempi più rapidi, rispetto a quelli necessari con un VC. Ancora, è possibile guardare agli incubatori come una possibile fonte di finanziamento da tenere in considerazione.

Da non tralasciare, inoltre, le opportunità offerte dal crowdfunding e dal crowdsourcing. Infine, può essere molto utile seguire i blog degli investitori.

Per leggere il post originale: http://www.inc.com/young-entrepreneur-council/raising-money-don-t-make-these-7-mistakes.html

Napoli, 08/10/2015

Startup e grandi aziende a confronto: puntando a soddisfare il cliente, Davide riesce a vincere contro Golia

Darren Guarnaccia è Chief Strategy Officer per Sitecore, azienda leader globale nel settore del Customer Experience Management: il suo compito è quello di guidare la strategia dell’azienda, plasmare i prodotti in maniera tale da semplificarne la complessità ed offrire al cliente la miglior esperienza possibile.

Alcune settimane fa, il portale Mashable ha pubblicato un articolo di Guarnaccia dal titolo “Size matters: Why it’s better for startups to be David than Goliath”.
Si tratta di un interessante punto di vista che accomuna le startup al piccolo Davide e i grandi colossi dell’industria al gigante Golia: nella leggenda, Davide riesce a vincere la battaglia grazie alle sue tattiche intelligenti fino ad abbattere Golia con una semplice fionda.

Secondo Guarnaccia, le startup devono essere come Davide: con le loro piccole dimensioni e la loro struttura lean e flessibile, devono riuscire a vincere la loro “battaglia” contro la concorrenza grazie ad una buona strategia. Non si tratta, infatti, di dimensioni dell’azienda o di voci di bilancio: ciò che conta davvero è ciò che si fa e come lo si fa.

Da un punto di vista strategico, invece, spesso le startup puntano erroneamente a voler sopraffare i grandi colossi del mercato cercando di imitarli, ricadendo in una vera e propria trappola che li distrae dal vero obiettivo: capire cosa i clienti vogliono, di cosa hanno davvero bisogno.

Una grande azienda, spesso, man mano che cresce su larga scala perde di vista il focus sul cliente: una startup invece, potendo contare su una struttura più piccola e flessibile, dovrebbe concentrarsi proprio sul cliente e sulla sua soddisfazione, anziché sul cercare di imitare i concorrenti di grandi dimensioni.

Vediamo, quindi, i tre consigli che Guarnaccia offre alle startup per abbracciare e far fruttare il vantaggio competitivo derivante dall’essere dei “piccoli Davide”:

1) Rimanere concentrati sulla maniera distintiva in cui possiamo soddisfare il cliente 

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Quando le preferenze del cliente cambiano, una piccola azienda nata da poco riesce a cambiare rotta molto più facilmente di un grande colosso consolidato: la struttura è più snella, l’organigramma e la burocrazia sono meno pesanti. Una startup riesce a cambiare e ad innovare più facilmente ed è per questo che non deve mai perdere di vista le peculiarità che le permettono di soddisfare al massimo i bisogni della sua clientela.

Esempio: Zipcar – Il mercato è pieno di aziende che offrono macchine a noleggio su base giornaliera, ma Zipcar ha capito che molti clienti avevano bisogno di noleggiare un’auto ad ore. Offrendo questo servizio si è differenziata dai concorrenti, basandosi sulla maniera distintiva con cui poter soddisfare i clienti.

2) Domandarsi perché e come 

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Una startup (e, in generale, una piccola azienda) deve affrontare una sfida ben precisa: risolvere in maniera unica ed univoca il più grande problema del cliente. Ecco perché il primo passo è quello di capire qual è il problema da risolvere. Le domande da porsi a riguardo sono essenzialmente due: perché sto creando questo particolare prodotto/servizio? Come questo risolve il problema del mio cliente?

Queste due domande devono guidare l’intera attività di business: ciò significa allineare il team e condurlo il più possibile a contatto con il cliente. Dipendenti e clienti si allineeranno intorno al perché, rafforzando la capacità dell’azienda a trovare il come per raggiungere gli obiettivi di business.

Esempio: Zappos – L’azienda per la vendita on-line di scarpe è nota per la sua cultura aziendale e per la sua struttura piatta, in cui lo scopo è allineare le persone sul come e sul perché.

Rispetto al concorrente Amazon, Zappos rappresenta Davide: ma ciò che la contraddistingue e le consente di avere successo è il suo mettere il cliente al primo posto, concentrandosi sulla sperimentazione di nuovi approcci per soddisfare il cliente. I clienti di Zappos, ad esempio, non erano soddisfatti dalla politica di reso entro 30 giorni: per questo motivo, Zappos li ha accontentati offrendo una politica di reso a 365 giorni.

3) Creare una cultura di empowerment 

Businessman holding lightning in fist. Power and control

La creazione di una cultura aziendale forte è fondamentale e deve partire dai vertici aziendali: ne è un esempio lampante Bradley Tilden, CEO di Alaska Airlines. Nella sua compagnia aerea, Tilden ha creato una cultura aziendale in cui i dipendenti sono liberi di agire come ritengono più opportuno, senza dover sottostare al permesso di chi è più in alto in gerarchia.

Nelle grandi aziende Golia, i dipendenti diventano dei meri esecutori delle linee guida e delle politiche decise dall’alto. Una piccola startup Davide, invece, è in grado di non sottomettersi a questo tipo di cultura: questo rappresenta un grande vantaggio nella soluzione dei piccoli e grandi “intoppi” quotidiani.

Nel caso di Alaska Airlines, Guarnaccia racconta una sua esperienza diretta come cliente: per un errore della compagnia gli era stato prenotato il volo sbagliato e l’agente al banco check-in non gli ha fatto pagare la tassa per la nuova prenotazione. Molte compagnie aeree, in una situazione del genere, avrebbero fatto pagare al cliente un errore non suo a causa della politica aziendale.

Con la sua politica basata sull empowerment, invece, Tilden dimostra fiducia nei propri dipendenti consentendogli di lavorare in autonomia.

In conclusione, molte startup aspirano a diventare dei Golia: la realtà è che dovrebbero abbracciare i vantaggi derivanti dall’essere un piccolo Davide, potendosi permettere di costruire un prodotto/servizio che soddisfa realmente il cliente ed ispira i dipendenti a lavorare nella maniera migliore.

Per leggere il post originale: http://mashable.com/2015/07/01/startups-david-versus-goliath/#fWqaQpUifOqZ

Napoli, 07/10/2015

Startup Tips – Qual è il fattore che distingue una startup di successo da una destinata al fallimento?

Bill Murphy Jr è executive editor per TheMid.com e founder di ProGhostwriters.com e di recente ha pubblicato un post sul portale Inc.com nel quale cerca di trovare la risposta ad una domanda molto interessante: qual è il motivo n°1 per cui alcune startup riescono ad avere successo (e tante altre falliscono)?

Nel suo articolo, quindi, Murphy si propone di mettere in evidenza il più grande ed importante fattore che divide le startup di successo da quelle che non riescono a sfondare sul mercato e lo fa partendo dall’intervento che Bill Gross (imprenditore seriale che ha ideato Idealab) ha tenuto durante una conferenza TED: nel corso del suo intervento, Gross ha analizzato 200 aziende per capire quale fosse il fattore più importante a determinarne il successo o il fallimento.

Gross ha incluso nel suo studio aziende di enorme successo planetario (come AirBnB e YouTube) e, per controbilanciare, aziende che non hanno realizzato fino in fondo le proprie aspettative ed ha analizzato i loro punti di forza in cinque aree: Idea, Team, Business Model, Funding, Timing.

La grande sorpresa nell’analisi dei risultati è stata che, fermo restando l’importanza di tutti e cinque i fattori, il fattore più importante (che rappresenta il 42% della differenza tra successo e fallimento) è stato quello relativo al tempo e alle tempistiche: il Timing.

startup-timing

Riguardo al Timing, una startup dovrebbe porsi domande come quelle che lo stesso Grass si è posto:

– E’ troppo presto per lanciare l’idea e il mercato non è ancora pronto?
– E’ presto, ma ciò rappresenta un vantaggio ed un’opportunità per “educare” il mercato?
– E’ troppo tardi e ci sono già troppi concorrenti in attività?

A titolo di esempio, Gross ha citato AirBnb e Uber.

Prendiamo innanzitutto l’esperienza di AirBnb: il team aveva un’idea apparentemente folle che ben pochi investitori erano disposti a prendere in considerazione. Inoltre, il team aveva molte risorse e capacità, ma una scarsissima esperienza in tema di leadership. Tuttavia, il servizio è stato lanciato in periodo di recessione economica, quando la gente aveva bisogno di fare soldi extra, ed era pertanto propensa a considerare l’idea di affittare una stanza o un posto letto ad un estraneo.
Considerazioni simili possono essere fatte per Uber: il lancio del progetto è coinciso con un periodo di crisi economica, quando le persone erano propense a guidare la propria auto e portare in giro gli stranieri, guadagnando un po’ di soldi extra.

Le esperienze di AirBnb e Uber sono in netto contrasto con quello che è successo invece a Z.com, società di entertainment on-line cui Gross ha collaborato nel 1999: Z.com partiva con la strada spianata in termini di risorse finanziarie ed accesso ai capitali. Ma ciò non è bastato ad evitare il fallimento.
La causa del fallimento è stata che il lancio è avvenuto troppo presto: almeno cinque anni prima che il problema della visualizzazione dei video on-line fosse veramente risolto. Cosa che invece è accaduta qualche anno dopo con YouTube.

Il consiglio finale per chi vuole lanciare una startup, quindi, è di trovare una grande idea ed un grande team ma, cosa ancora più importante, capire se il mercato ed i consumatori sono davvero pronti ad accogliere il nuovo prodotto/servizio.

Per leggere il post originale: http://www.inc.com/bill-murphy-jr/here-s-the-no-1-biggest-reason-why-some-startups-succeed-and-most-others-fail.html

Napoli, 06/10/2015

La terza call di IMPACT Accelerator: 100K per le migliori startup d’Europa con focus su Mobile Internet

Resterà aperta fino alla deadline fissata per il prossimo 15 ottobre la terza call per Impact, aperta a startup europee con focus sull’area Mobile Internet e progetti sviluppati sulla base della tecnologia FiWare. Possono presentare la propria application startup e PMI o web entrepreneurs (persone fisiche), individualmente e in team.

Le application devono essere inviate entro le ore 13:00 (CET) del 15 ottobre 2015 compilando il form disponibile al seguente link: http://www.fundingbox.com/p/impact-accelerator/

Tra tutte le application presentate, saranno selezionate le migliori 22 proposte innovative, che avranno diritto ad un premio del valore di 100.000€ (di cui 90K funding e 10k in servizi).

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Le startup accelerate da Impact avranno diritto ad un percorso di accelerazione della durata di 6 mesi, erogato da uno degli acceleratori Impact con sede a Parma (b-ventures), Madrid e Barcellona (ISDI).

Il percorso di accelerazione prevede un percorso circolare organizzato in due moduli:

1. Training

Si apre con la fase A, consistente in 50 ore di formazione d’aula face-to-face sui seguenti aspetti di business:

From concept to prototype,
Technology,
Digital marketing & sales,
Company creation,
Funds & exiting

La fase B del modulo di training, invece, è denominata E-Learning e consiste in tre corsi sulle tecniche di e-learning con specializzazione digital, da scegliere in un portfolio composto da 10 possibili opzioni.

La fase C è quella degli Entrepreneur Talks, durante la quale imprenditori di successo condivideranno con le startup di Impact la propria esperienza, offrendo consigli e feedback sui progetti accelerati.

Il modulo di training, infine, comprende la fase D, dedicata agli Start-up Exercises: si tratta di momenti operativi nel corso dei quali le startup, sotto la guida dei mentor, convertiranno le conoscenze ed il know-how acquisito in una reale business experience.

2. Mentoring

Il percorso di mentoring delle startup di Impact prevede il raggiungimento delle milestones fissate nell’arco dei 6 mesi di accelerazione, allo scopo di portare il progetto allo step successivo di sviluppo e crescita.
I mentor offriranno follow-up e consigli sulle seguenti aree del business:

Strategy & Biz Models,
Digital Marketing,
Technology,
Legal,
Investment & Funding.

Oltre al percorso di accelerazione presso uno degli spazi Impact, le 22 startup vincitrici avranno diritto ad un finanziamento da 90.000€ erogato in tre fasi, al raggiungimento di specifiche milestones e secondo il seguente schema in tre fasi:

Fase 1: 25% al termine delle selezioni;
Fase 2: 50% al raggiungimento delle milestones concordate con i mentor (a metà del percorso di accelerazione);
Fase 3: 25% al raggiungimento delle milestones concordate con i mentor in due tranches (10% al completamento del percorso di accelerazione e 15% 6 mesi dopo il completamento del percorso).

Infine, al termine del percorso di accelerazione, le migliori startup avranno accesso ad una Extended Investment Phase con i partner del network internazionale di Impact e con la possibilità di accedere ad ulteriori finanziamenti fino a 250.000€ (a fronte della cessione del 10% in Equity).

Per maggiori informazioni: http://www.impact-accelerator.com/#

Napoli, 05/10/2015

Programma Ego Ericsson 2015/2017: un’opportunità per startup e progetti innovativi nel settore ICT

Sono aperte le application per partecipare alla call for projects del Programma Ego 2015/2017, nato dall’iniziativa della Fondazione Lars Magnus Ericsson (ente no-profit di Ericsson Telecomunicazioni SpA) allo scopo di ricercare, selezionare e supportare soluzioni innovative nel campo ICT proposte da giovani under 35 e startup innovative. In particolare, il tema della settima edizione del Programma Ego è “Change-makers per la Società Connessa”.

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Riguardo ai candidati ammissibili, il Programma Ego si rivolge a progetti imprenditoriali proposti da:

startup e imprese innovative ai sensi della Legge n.221/2012 e successive modifiche ed integrazioni;
persone fisiche (individualmente o in team) con meno di 35 anni di età che si impegnano a costituirsi in impresa in caso di accesso ai premi in palio.

I progetti ammessi alla call per il Programma Ego devono caratterizzarsi per i seguenti requisiti:

1) essere attinenti al settore ICT,
2) presentare caratteristiche innovative in termini di prodotto o processo,
3) essere proponibili sul mercato.

Inoltre, le proposte progettuali dovranno ricadere in una delle seguenti aree di intervento:

Internet of Things e M2M
Cybersecurity
Turismo e Cultura
M-Commerce
Mobilità e Trasporto
Ambiente e Innovazione Sociale

E’ possibile presentare la propria candidatura entro la deadline fissata al 30 ottobre 2015, inviando il form scaricabile a questo link all’indirizzo e-mail ego.project@ericsson.com

La domanda di partecipazione deve essere corredata da una presentazione in PPT o PDF del progetto (anche tramite un video, della lunghezza massima di 3 minuti), il curriculum vitae dei proponenti, un Business Plan sintetico del progetto.

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Il Comitato Organizzativo del Programma Ego, assieme al Comitato Tecnico-Scientifico e al Consiglio di Amministrazione della Fondazione, provvederanno alla valutazione delle domande pervenute sulla base dei seguenti criteri:

1) originalità dell’idea di business,
2) innovatività e fattibilità tecnologica del progetto,
3) consistenza economica del business plan,
4) capacità e competenze del proponente.

I primi quattro progetti classificati avranno accesso al Programma Ego per due anni (2016 e 2017), con la possibilità di utilizzare gli spazi del campus Ericsson Telecomunicazioni di Roma (ufficio attrezzato, sala riunioni, supporti informatici di base e servizi specifici).
Inoltre, per i vincitori sarà possibile entrare a far parte del network internazionale di clienti e partner Ericsson e avvalersi del supporto in ambito organizzativo, commerciale, tecnologico, legale e finanziario del colosso svedese.

Il primo classificato avrà infine diritto, oltre alla partecipazione al Programma Ego, ad un contributo economico di 4.000€ e alla partecipazione al Mobile World Congress 2016 a Barcellona (dal 22 al 25 febbraio 2016, con rimborso spese di viaggio e soggiorno).

Per maggiori informazioni, per scaricare il Bando ed il form di iscrizione: http://www.fondazione-ericsson.org/programma_ego.php

Napoli, 30/09/2015

MasterCard Start Path Global: il programma per le migliori startup nel settore della Finanza e del Banking

Start Path Global è il programma semestrale dedicato da MasterCard alle migliori giovani aziende innovative del mondo, che permette di dialogare con un network internazionale di Start Path Partners (composto da oltre 20 aziende leader mondiali) nei settori del Banking, del Retail e della Tecnologia applicata alla Finanza, per poter testare le proprie soluzioni all’interno di grandi aziende.

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L’accesso al programma è aperto a startup in possesso dei seguenti requisiti:

non basate negli USA;
con una soluzione già presente sul mercato;
con un team di esperienza riconosciuta;
pronte a cogliere opportunità di mercato nei settori del retail e della tecnologia applicati alla Finanza;
con un vantaggio competitivo dimostrabile sui competitors;
che si siano recentemente assicurate un investimento in round di serie A o seed.

Le iscrizioni sono aperte fino al 18 settembre 2015, attraverso il form disponibile al seguente link: https://www.f6s.com/startpathglobal/about

Tra tutte le proposte pervenute, saranno selezionate fino ad un massimo di 18 startup finaliste che presenteranno il proprio pitch al team di MasterCard Start Path a Londra, il 27 e 28 ottobre 2015.
Tra i progetti finalisti saranno selezionati, infine 6/8 startup che avranno accesso al Programma.

Il primo evento previsto per le startup vincitrici di MasterCard Start Path Global sarà ospitato a Berlino il 16 e 17 novembre 2015: si tratta dello Start Path Global Partner Summit, dove le aziende avranno l’opportunità di un primo confronto con i futuri partner del Programma.

Per saperne di più: http://www.startpath.com/

Napoli, 15/09/2015

Affrontare le paure per superare gli ostacoli e raggiungere il successo: Startup Tips for Growth

Pubblicato dal portale Entrepreneur, segnaliamo oggi un interessante contributo firmato da Kimanzi Constable (autore, speaker, life e business coach) incentrato sul tema delle paure che possono rallentare la crescita di una startup e, in generale, di un’attività imprenditoriale.
Spesso, infatti, startupper e imprenditori hanno delle paure (derivanti da credenze autolimitanti, o da esperienze negative vissute in passato), che devono essere combattute per permettere all’azienda di “fare il salto” verso lo step di crescita successivo.

In particolare, nel suo articolo Constable analizza tre tra le paure più diffuse tra startupper e imprenditori:

1) Il nostro business non decollerà se alziamo i prezzi

prices

I prezzi di prodotti e servizi non possono essere prefissati, ma derivano da un continuo work in progress: l’unico modo per sapere davvero quanto far pagare i nostri prodotti/servizi è effettuare dei test. In molti casi, però, il business non arriva nemmeno alla fase di test per la paura di aumentare i prezzi.

La paura di imporre prezzi troppo alti può bloccare la crescita dell’azienda: si rischia infatti di incappare nell’errore di non far pagare il giusto prezzo per il valore offerto. Mai aver paura di far pagare il prezzo più equo, per un servizio o prodotto di valore!

In particolare, bisogna tener conto della risorsa tempo. Il tempo è l’unica cosa che non torna indietro, ed è per questo che è il tempo impiegato per il nostro prodotto/servizio deve essere la voce con prezzo più alto nel nostro business.

2) Concentrarsi su una nicchia di mercato ci farà perdere terreno

Hand pinning a sticky note in the center of a customer target on cork board

Anche se l’autore si dice convinto che essere troppo concentrati sul “micro” non è la strada giusta, è comunque importante tener sempre presente il grande valore aggiunto che può offrire il concentrarsi su una particolare nicchia di mercato.

Quando si riesce a capire precisamente che c’è un gruppo specifico di clienti da poter servire, si hanno anche le informazioni utili per poterli raggiungere: diventa possibile, infatti, capire dove si trovano i potenziali clienti, sia on-line che off-line.

In questo caso è più semplice capire dove e come indirizzare gli sforzi di marketing, per ottenere la miglior risposta possibile dal target di mercato: concentrarsi su una nicchia consente quindi di ottenere buoni risultati, soprattutto per una startup nelle fasi iniziali.

3) Non avremo mai successo se non imitiamo i leader del settore

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Internet e i social media hanno dato accesso ad una serie di informazioni che in passato erano nascoste: oggi è facile vedere cosa fanno i leader di settore, quali strategie applicano, in che modo raggiungono gli obiettivi.

La modellazione è sicuramente una pratica che, implementata nel modo giusto, aiuta ad imparare da chi ha successo: ma modellarsi non significa copiare. Purtroppo oggi molti imprenditori copiano il modello dei leader di settore, senza rendersi conto che non è una strategia utile: perché dovrei acquistare una copia, se posso avere direttamente l’originale?

Bisogna quindi superare la paura che ci vuole come degli imitatori dei leader di mercato: uno startupper deve avere le carte in regola per costruire il proprio business di successo basandosi sulle proprie caratteristiche e sui propri punti di forza. Il modo migliore per raggiungere il cliente e mostrargli le nostre peculiarità.

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Infine, Constable offre qualche suggerimento per superare le paure tipiche di ogni startupper e imprenditore: affrontare le sfide di tutti i giorni cercando di essere sempre onesti con se stessi, guardando con chiarezza ed obiettività alle strategie e ai risultati, applicando le correzioni e le modifiche necessarie quando ci si rende conto che le cose non stanno andando come dovrebbero.

Per leggere il post originale: http://www.entrepreneur.com/article/244174

Napoli, 14/09/2015

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