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Partecipare ad una Startup Competition: quali sono i vantaggi per il business?

Il portale Mashable ha recentemente pubblicato un articolo firmato da Minas Apelian, vicepresidente della Saint-Gobain / CertainTeed Corporation, azienda che si occupa di progettazione, sviluppo ed esecuzione di strategie di R&S, laureato in Ingegneria Chimica presso la Columbia University e inventore di diversi brevetti.

L’articolo in questione è incentrato sulla tematica delle Startup Competition e, in particolare, su come la partecipazione a queste iniziative possa aiutare una startup a far decollare il brand.
I motivi che, tradizionalmente, portano una startup a partecipare ad una Competition sono la possibilità di far ascoltare e diffondere la propria idea di impresa, accedere ad opportunità di finanziamento, incontrare mentor e tutor esperti per ottenere preziosi feedback e consigli sull’evoluzione del business.

Ma, secondo Apelian, le Startup Competition possono offrire anche delle opportunità in chiave di marketing, che riescono a rafforzare il brand al di là dei premi in palio. Vediamo quali sono queste opportunità:

1) Sfruttare il Brand Equity di qualcun altro

Le aziende che sponsorizzano Startup Competition sono solitamente tra i più influenti leader di mercato nel loro settore di riferimento: queste aziende hanno solitamente dei valori e delle mission solide e un pubblico di riferimento ben definito, che conosce e comprende tali valori chiave.

Quando dei brand di questo tipo assegnano un premio ad una startup, quest’ultima vede il proprio avvio “garantito”, e agli occhi del mercato e della clientela la startup si propone automaticamente come una realtà di mercato che condivide sinergie ed obiettivi con un brand famoso e consolidato.

In questo modo, sia i potenziali clienti che investitori potranno riconoscere più facilmente ciò che la startup rappresenta: si tratta quindi di un grosso vantaggio in termini di reputazione, che permette alla startup di essere vista immediatamente di buon occhio dal pubblico, dai VC, dai media, etc.

2) Accesso ad esperti di marketing

Spesso gli startupper devono affrontare una serie di attività in differenti ambiti della vita aziendale: tra questi, il branding viene inizialmente tenuto in minor considerazione, in quanto si pensa sia qualcosa su cui concentrarsi più avanti.

Infatti, ad un certo punto, arriva il momento in cui il brand diventa un aspetto prioritario: in questo senso, la partecipazione ad una Startup Competition può essere d’aiuto per la startup in quanto consente di entrare in contatto con esperti di marketing, in grado di sostenere il team nelle strategie di branding, con metodologie e strumenti di comprovata utilità.

Quando il marketing diventa una priorità per la startup, gli esperti incontrati attraverso le competition possono infatti supportare, orientare e offrire consulenza al team nella di pianificazione delle attività di branding e comunicazione.

3) Creare collegamenti e relazioni

Ogni imprenditore con esperienza conferma che la strada del successo di un’azienda è lastricata da incontri casuali e a volte improbabili, che si rivelano delle utili connessioni.

Quando una startup partecipa ad una competition, ha una grossa opportunità di fare networking e, quindi, di accedere ad una serie di contatti che possono rivelarsi utili non soltanto nell’immediato, ma per l’intera vita del business.

Partecipare alle Startup Competition rappresenta infatti l’occasione per incontrare top manager di grandi aziende, opinion leader e tante altre persone in grado di espandere la rete di contatti personali e professionali dei founder. Relazioni di questo genere sono indispensabili per una startup: possono essere fucina di nuovi talenti per accrescere il team, o per instaurare partnership vantaggiose e, più in generale, per far conoscere il proprio prodotto/servizio al mercato.

Da questo punto di vista, Apelian sottolinea l’importanza per uno startupper di costruire e mantenere nel tempo un network di contatti e relazioni che, nel tempo, lo aiuteranno a raggiungere gli obiettivi del business.

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In conclusione, il consiglio di Apelian è quello di valutare tutte le opportunità che la partecipazione ad una Startup Competition può offrire, cercando di ampliare la propria osservazione al quadro generale, senza soffermarsi esclusivamente sui premi in palio.

Per leggere il post originale: http://mashable.com/2015/06/17/startup-competition-perks/

Tutte le competition approfondite nel nostro blog sono ricapitolate nelle tabelle disponibili qui: https://www.incubatorenapoliest.it/bandi-competition-opportunita-per-startup-e-imprese-date-e-scadenze-utili/

Napoli, 18/06/2015

Branding Strategy: i consigli alle startup per costruire un brand di successo

Fabian Geyrhalter è founder della branding agency FINIEN e co-autore del libro “How to Launch a Brand”. Proprio sul tema della creazione di un Timeless Brand, un brand “senza tempo”, ha di recente pubblicato su WeWork un post molto interessante dedicato ad una serie di consigli utili in tema di Branding Strategy per startup alle prese con le prime fasi del business.

L’autore parte con un esempio decisamente noto: il brand Coca-Cola. Coca-Cola ha decisamente uno dei brand più famosi ed evocativi al mondo: basta nominarla per immaginare il carattere corsivo, i colori rosso e bianco, le bottiglie curve, gli orsi polari protagonisti dei suoi spot più famosi. Questo risultato è stato possibile solamente grazie a decenni di attività di brand building, con lavoro assiduo e costante sul logo, le immagini, i messaggi inviati al mercato.

Per la maggioranza delle aziende non è facile costruire un brand così forte. Questo accade, secondo Geyrhalter, a causa di un errore parecchio diffuso: gli imprenditori si lasciano troppo spesso trasportare dalle mode del momento.
Ma, anche se cambiano le mode e gli stili, l’azienda deve tenere sempre ben presente che il nome ed il logo non dovrebbero cambiare mai. Bisogna mantenerli fin dall’inizio, dalle fasi di startup, in modo da non confondere il target di riferimento. Creare un marchio, infatti, significa riflettere i valori dell’azienda e la passione condivisa per essi con i clienti: questi dovrebbero essere, per definizione, dei punti fermi.

Il brand che resta più a lungo e fermamente impresso nella mente dei consumatori è quello che è stato costruito con passione, impegno, “anima” e che viene proposto sul mercato in maniera sincera e coerente. Solo in questo modo è possibile ottenere quello che Geyrhalter definisce un “Timeless Brand” come quello di Coca-Cola.

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Vediamo quindi i cinque suggerimenti utili che l’autore fornisce alle startup per costruire fin da subito un Timeless Brand:

1) Lascia perdere le tendenze

Le tendenze (o trend) del momento sono passeggere, è improbabile che resistano nel tempo: le persone, invece, sono alla ricerca di qualcosa di duraturo e distinguibile. Nella creazione del brand bisogna evitare di considerare le mode del momento, e costruire l’identità di marca in maniera creativa e onesta: in questo modo sarà più probabile avere un brand forte e duraturo.

2) Trova un angolatura unica

Non bisogna mai uniformarsi troppo ai concorrenti, anzi: l’obiettivo deve essere quello di definire una propria brand identity unica e distinguibile. Nella costruzione del brand bisogna guardare oltre i competitors e fidarsi ed affidarsi alla proprie convinzioni.
Il marchio va costruito sulla base dei valori più profondi che identificano l’azienda: solo in seguito si potranno scegliere le strategie e gli strumenti migliori per comunicarlo al pubblico.
Una volta che si decide esattamente quale messaggio si vuole comunicare alla clientela, è possibile creare un brand (dal punto di vista visivo e verbale) davvero unico e duraturo.

3) Definisci il tuo brand

Un brand “senza tempo” condivide una passione ben precisa con il suo target di riferimento. Ad esempio, Patagonia produce abbigliamento per chi fa climbing, sci ed altri sport all’aria aperta: il brand si rivolge quindi a tutti coloro che amano il contatto con la natura, ed è stato possibile per l’azienda espandersi con prodotti relativi a vari sport senza perdere l’attenzione dei clienti.

4) Sii coerente

Il nome ed il logo dell’azienda sono le prime due cose a cui la gente pensa quando pensa al brand: è quindi indispensabile fare in modo che questi tre aspetti siano assolutamente coerenti tra loro. Bisogna inoltre assicurarsi che il logo sia distinguibile, facilmente adattabile a diverse tipologie di supporto, che rifletta nel modo migliore il prodotto/servizio dell’azienda.

5) Evita di essere troppo descrittivi

Quando si lancia un brand, è utile non essere troppo descrittivi per evitare costose operazioni di rebranding in futuro. L’incertezza di un’attività di rebranding potrebbe infatti costare molto in termini di tempo, denaro, clienti perduti.

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Per consolidare il brand fin dalle fasi di startup, infine, è possibile concentrare risorse ed investimenti sulla sua stabilizzazione e focalizzazione. Un marchio in sintonia con la sua identità rimane rilevante nel corso del tempo, e le persone sanno quel marchio cosa rappresenta. Basare il proprio brand su un’offerta unica e connettersi attentamente con l’audience di riferimento significa essere sulla buona strada per la creazione di un Timeless Brand.

Per leggere l’articolo originale: https://creator.wework.com/work/5-ways-to-create-a-timeless-brand/

Napoli, 16/04/2015

Consigli per startup: 4 strategie controintuitive per far crescere il business

Jeremy Goldman è founder e CEO per Firebrand Group, società che si occupa di consulenza in tema di brand management per diverse grandi aziende (tra cui figurano, ad esempio, L’Oreal e Unilever). Grande esperto di startup e social media, ha pubblicato di recente un articolo sul portale Inc.com dedicato ad un tema interessante: quattro strategie controintuitive ma utili per costruire e sviluppare il business.

Business Strategy per startup: consigli anticonvenzionali e controintuitivi
Business Strategy per startup: consigli anticonvenzionali e controintuitivi

Spesso, infatti, uno startupper alle prese con la crescita della sua impresa si imbatte in una serie di consigli e suggerimenti convenzionali, basati sul comune buon senso: molti di questi consigli si rivelano preziosi, ma secondo Goldman in alcuni casi la strategia migliore da adottare per sviluppare il business è pensare “out of the box”, andando contro la logica comune e agendo in maniera anticonvenzionale e controintuitiva.

Pensare “out of the box” è una strategia che molte volte paga, perché porta la startup a distinguersi dalla concorrenza: vediamo quindi quali sono i quattro consigli anticonvenzionali e controintuitivi per startup elencati nel post di Goldman.

1) Promuovere la concorrenza

Di fronte ad aziende con interessi commerciali che si sovrappongono a quelli della nostra startup, un approccio controintuitivo che può rivelarsi vincente è quello di cambiare prospettiva: non considerarli come concorrenti, bensì come potenziali partner. Goldman racconta un esempio personale: la sua azienda, Firebrand, è una società di consulenza specializzata nell’aiutare le imprese a raccontare il proprio brand attraverso i canali digitali. DigitalFlash è una società di grande esperienza con focus sulla Digital Strategy e sul marketing esperienziale: anziché trattare la DigitalFlash come un concorrente, Goldman ha deciso di fare affidamento sui consigli e l’esperienza di DigitalFlash e di pensare alle opportunità di partnership con quest’ultima. Una startup agli inizi della sua crescita, dovrebbe imparare a guardare alle aziende leader nel settore come a degli alleati: condividere i loro contenuti è spesso un’apripista affinchè in futuro ci sia restituito il favore. In sintesi, Goldman sostiene che aiutare gli altri significa aiutare se stessi.

2) Abbassare le aspettative di successo

Avere grandi sogni e obiettivi ed amare ciò che si fa è importante, ma non è abbastanza: per costruire un business di successo è necessario tenere in considerazione tutti gli aspetti. Oltre alla passione, quindi, è di centrale importanza sapere sempre come gestire al meglio il proprio business, mantenersi informati sui trend più importanti del settore e lavorare affinché il team sia sempre coinvolto e informato.

3) Mostrare la propria vulnerabilità

Molte persone, soprattutto nel mondo degli affari, credono che la vulnerabilità sia una debolezza: Goldman la pensa diversamente. Tutti i più grandi leader, secondo l’autore, sanno che la vulnerabilità rappresenta il terreno fertile per la creatività e le idee innovative: riconoscere che le risorse sono limitate, o che si ha bisogno di aiuto, è il primo passo per la crescita sia degli individui che del business.
Mostrare i propri punti di forza è sicuramente fondamentale, ma lo è altrettanto dimostrare la propria umanità e i propri difetti: questo fa infatti capire alle persone che è possibile fidarsi di voi, e accresce lo spirito di gruppo nel team.

4) Pensare per prima cosa al pubblico

Molti founder di startup e piccole imprese hanno un pensiero fisso: l’auto-promozione della propria attività. Ma se si vogliono costruire delle relazioni a lungo termine con il pubblico (e in primis con i clienti) è fondamentale pensare alle loro necessità e ai loro bisogni prima dei vostri.
A nessuno, infatti, piace un promoter egoista, quindi è fondamentale imparare a padroneggiare la promozione del brand in modo tale che i benefici per il pubblico vengano prima di quelli per l’azienda.
Alcuni esempi pratici che Goldman menziona sono i concorsi, i contenuti esclusivi e le campagne a sorpresa: strumenti di questo tipo garantiscono, nel corso del tempo, un’ampia e fedele base di follower del brand.

Per leggere il post originale: http://www.inc.com/jeremy-goldman/4-counterintuitive-strategies-to-build-your-business.html

Napoli, 17/02/2015

Consigli per startup B2B: se volete avere successo, scegliete piccole aziende come primi clienti

Thomas Bartman è membro del Forum for Growth and Innovation della Harvard Business School, un think tank che si occupa di studiare le dinamiche dell’innovazione disruptive: il blog della Harvard Business Review ha pubblicato un suo articolo incentrato sui motivi per cui una startup dovrebbe concentrarsi sulla vendita dei propri servizi alle piccole imprese, anziché rivolgersi ai grandi colossi del mercato.

Secondo Bartman è infatti ormai risaputo che le startup B2B rappresentano un segmento fondamentale del panorama imprenditoriale, ma spesso i founder hanno la tendenza, nelle fasi iniziali dell’avvio, a concentrarsi sui clienti sbagliati. L’errore sta nel ritenere che le grandi imprese siano i clienti migliori cui rivolgersi, pensando che inserirle nel proprio portafogli clienti fosse una sorta di “legittimazione” per attirare in futuro nuova clientela.

In realtà questo approccio orientato alle grandi imprese può essere il percorso più difficile per una startup B2B e riduce drasticamente le sue probabilità di successo: Bartman afferma chiaramente che le startup B2B dovrebbero concentrarsi sul segmento di mercato delle piccole imprese.

Il pensiero più diffuso riguardo il target delle piccole imprese è che siano più costose da gestire: questo atteggiamento, secondo l’autore, è miope. Vendere alle piccole imprese è invece un ottimo modo per iniziare un business, che rappresenta una strategia utile per gettare le basi per il futuro di una startup. Una volta acquisite nel portafoglio clienti le imprese di piccole dimensioni, infatti, sarà più facile per la startup proseguire il percorso di crescita e rivolgersi alle imprese più grandi.

Alcuni esempi del successo di questo tipo di strategia sono: Salesforce, che con le sue soluzioni cloud-based è riuscita a ridurre i costi dei database per le imprese; Vistaprint, che ha offerto un servizio disruptive nel mondo delle tipografie, con un servizio web-based di grafica e design caratterizzato da economie di scala e conseguente drastica riduzione dei costi; Stamps.com, che sostituisce costose attrezzature per il mail-processing con applicazioni on-line ad abbonamento mensile.

Un esempio più recente è offerto da HourlyNerd, che si propone di innovare radicalmente il settore delle società di consulenza offrendo agli imprenditori la possibilità di mettersi in contatto con consulenti indipendenti: è proprio analizzando il caso di HourlyNerd che Bartman cerca di spiegare alle startup la migliore strategia per creare aziende B2B disruptive partendo da una clientela di piccole imprese.

Il punto di partenza è che le piccole imprese hanno esigenze simili alle grandi imprese, per cui un modello di business pensato per piccole imprese può essere scalato ed applicato in modo relativamente semplice alle esigenze di medie e grandi imprese.
A ciò si aggiunge il fatto che le piccole imprese hanno un livello di rischio sostanzialmente basso, in quanto sono molto più numerose delle aziende di grandi dimensioni. Per questo motivo, un insuccesso con una piccola impresa non porterebbe a grossi danni reputazionali per una startup.

Inoltre, spesso le piccole imprese non hanno facilmente accesso a prodotti B2B rispetto alle aziende più grandi: per questo motivo, sono alla ricerca di soluzioni offerte da startup anche se con funzionalità ridotte rispetto a quelle pensate per le imprese di maggiori dimensioni. In questo scenario, le startup hanno facile accesso al mercato anche con un minimum viable product, un prototipo da testare e migliorare nel tempo.
Una startup che si rivolge alle piccole imprese può evitare i lunghi cicli di sviluppo pre-lancio per target di mercato più esigenti e iniziare a testare il prodotto con le piccole imprese, anche con disponibilità ridotte di capitale.

Il primo step per questo tipo di strategia aziendale è individuare le opportunità che gli operatori storici del mercato stanno ignorando: bisogna capire quali sono i prodotti troppo costosi o complessi per le piccole imprese, e individuare le possibili soluzioni tecnologiche innovative e a costi relativamente bassi che potrebbero soddisfare il target delle piccole imprese.

Una volta pronto il MVP, la startup può proporla a costi bassi e senza impegno alle piccole imprese: in questa fase è fondamentale lavorare a stretto contatto con i clienti, per accogliere tempestivamente i feedback e capire quali eventuali miglioramenti apportare al prodotto. Uno strumento utile in questa fase sono, ad esempio, le interviste da sottoporre al cliente prima e dopo l’utilizzo del prodotto.

I prodotti offerti devono essere standardizzati in maniera tale da poter incontrare il favore del maggior numero di piccole imprese possibile, lo scopo è quello di avere un offerta che riduca al minimo i costi di modifiche e personalizzazioni. In quest’ottica è utile segmentare la clientela basandosi su criteri relativi alla dimensione, e non alla posizione geografica.
I questo modo sarà possibile studiare soluzioni ad hoc, più semplici o più complesse a seconda delle esigenze dei clienti: la segmentazione va quindi effettuata in termini di benefici offerti, non sulla base di aspetti demografici.

Questo tipo di targeting dei clienti iniziali, inoltre, spesso consente alla startup di non ritrovarsi a competere direttamente con gli operatori che sono già da tempo sul mercato: il segmento di clientela servito, infatti, si discosta da quello di riferimento per i concorrenti “tradizionali”.

Un ultimo aspetto che l’autore considera riguarda infine il continuo miglioramento del prodotto: una startup B2B, attraverso le varie modifiche migliorative apportate al prodotto offerto a imprese di piccole dimensioni, si ritrova ad un certo punto con un prodotto abbastanza evoluto da essere adatto a risolvere le esigenze di grandi aziende. Inoltre, evitando la competizione diretta, i grandi operatori già presenti sul mercato si accorgeranno della nuova startup solo quando quest’ultima sarà abbastanza cresciuta da potersi confrontare con loro.

Naturalmente, conclude Bartman, una strategia di questo tipo non è priva di problematiche e difficoltà (tra cui, ad esempio, la percezione del marchio): ma i risultati ottenuti da startup di successo globale come Salesforce sono la prova che può essere davvero la più consigliata per una startup.

Per leggere l’articolo originale dal sito di HBR: https://hbr.org/2015/01/start-ups-should-sell-to-small-businesses-not-big-enterprises

Napoli, 29/01/2015

Consigli per startup early stage: come presentare il pitch ad un business angel o a un venture capitalist?

L’incontro con potenziali investitori rappresenta un momento chiave per una startup in fase early stage: Inc.com ha pubblicato qualche tempo fa un’interessante vademecum utile per capire quali sono gli step essenziali per sfruttare al meglio l’occasione e presentare il proprio pitch in maniera efficace per convincere un business angel o un venture capitalist.

La guida si apre con il punto di vista sull’argomento di Mike Levinson, co-founder di DreamIt Ventures, programma di accelerazione per startup di Philadelphia: “Non andare oltre la prima base se non sei in grado di affrontare le quattro aree“. Secondo Levinson, infatti, un potenziale investitore focalizza la propria attenzione su quattro punti essenziali:

1) La business idea è abbastanza semplice perché io possa comprenderla e decidere di investire in essa?
2) La business idea risolve un problema o soddisfa un bisogno?
3) Esiste un mercato o una base di clientela abbastanza grande per la business idea?
4) L’imprenditore che propone l’idea ha le persone giuste nel team per realizzarla?

In sostanza, quando un founder incontra un business angel o un venture capitalist cerca di vendere la propria vision e il proprio team. Occorre però tener presente una differenza: gli angel tendono ad essere più interessati ad ascoltare una storia dietro all’idea, alle emozioni che essa può suscitare, mentre il venture capitalist solitamente presta maggiore attenzione ai numeri, le prestazioni e la traction.

Riguardo ai contenuti essenziali da inserire nel pitch agli investitori, bisogna innanzitutto avere un business plan con una strategia di marketing ben definita e solidi dati di bilancio. Ma ciò che può davvero fare la differenza quando si tratta di ottenere un finanziamento, è il modo di presentarsi, di parlare, e quali sono le informazioni aggiuntive che il pitch contiene.

Vediamo quindi alcuni consigli fondamentali che la guida di Inc.com offre ad aspiranti imprenditori per preparare e presentare il proprio pitch agli investitori:

– Alcuni investor sono molto attenti a cercare l’entusiasmo che gli startupper mettono nel proprio lavoro: la passione è quindi un aspetto fondamentale e che “non si può fingere”, come afferma Barbara Corcoran (investor e magnate nel settore immobiliare).

– Uno degli errori più frequenti dei founder che presentano il proprio pitch è quello di spendere troppo tempo a spiegare la tecnologia o il prodotto anziché focalizzarsi sulle motivazioni per cui un investitore dovrebbe finanziare la startup. Quando incontrano una startup, i potenziali investor partono dal presupposto che la tecnologia funzioni: meglio concentrare la presentazione sui dati, sui numeri, sul patrimonio netto. Qualora l’investitore abbia dei dubbi sulla tecnologia o sul prodotto sarà egli stesso a fare delle domande.

– Un aspetto spesso trascurato è il modo in cui ci si presenta agli investitori: la prima impressione, il primo sguardo, contano molto per costruire la fiducia. Occorre quindi fare attenzione a presentarsi ben curati, mantenere il contatto visivo diretto con l’interlocutore, controllare alcuni aspetti della comunicazione non verbale. Ad esempio, alcuni gesti da evitare sono mettere le mani in tasca o torcersi le dita: si tratta di gesti che tradiscono l’ansia e il nervosismo, mentre è importante dimostrare una certa sicurezza.

– La chiarezza è fondamentale: occorre esprimersi in maniera concisa ma efficace, trasmettendo la passione e l’entusiasmo del team. Occorre comunicare chiaramente l’idea, il mercato, i fattori distintivi, le basi del successo finanziario e perchè si dovrebbe investire nell’idea.

– Presentare il pitch con una presentazione PowerPoint di 12 slide è piuttosto standard, soprattutto per una startup nel settore tecnologico. Se c’è un prototipo funzionante è una buona idea quella di mostrarlo agli investor durante l’incontro, in modo da mostrare effettivamente come è fatto il prodotto e come dovrebbe funzionare. Ancora, un punto in più potrebbe essere presentare dati sulle vendite e gli ordini previsti, e risultati di ricerche di mercato, sondaggi, focus group e test di prodotto.

– Un altro aspetto importante è prepararsi ad anticipare le domande che gli investitori potrebbero porre. Alcuni esempi sono: Quanto è grande il vostro mercato? Chi sono i vostri concorrenti? Perchè il vostro prodotto è migliore di quello che è già sul mercato? Qual è la vostra strategia di acquisizione di nuovi clienti? Allo stesso tempo, è importante essere pronti a fornire strategie alternative, una sorta di “piano B” qualora la strategia ufficiale non dovesse permettere il raggiungimento degli obiettivi. Inoltre, quando un investor pone una domanda, è importante mostrarsi calmi e sicuri di sè, prendendosi il tempo per riflettere prima di rispondere. In questo modo si dimostra anche la propria capacità di reagire in maniera efficace e costruttiva quando di è sotto pressione.

– E’ inoltre fondamentale avere già pronta una exit strategy. L’investitore deve sapere come guadagnerà in futuro i propri soldi, forndendo proiezioni a uno e a tre anni. Occorre inoltre tener presente che la maggior parte degli investimenti di business angel restano nel capitale sociale per circa 7/8 anni, prima di procedere con l’exit e vendere ad un’altra compagnia.

– Tenere sempre presente che alcune delle motivazioni più comuni per respingere un accordo tra investor e startup sono: valuation troppo alta, team con poca esperienza, mancanza di vantaggio competitivo, potenziale di crescita insufficiente, indebitamento troppo alto.

– Infine, non pensare che perché il pitch è andato bene, e l’investitore sembra disposto a finanziare il business, l’affare sia ormai concluso: la parte difficile inizia proprio nella fase di follow-up. E’ fondamentale in questa fare mantenere i contatti per ottenere prima possibile un secondo incontro e, al momento di rivedersi, chiedere un accordo scritto. Naturalmente è necessario presentarsi al secondo incontro con la risposta a tutti i dubbi, le domande e le preoccupazioni che l’investor aveva sollevato e avere a disposizione il business plan e i documenti necessari a sottoscrivere l’accordo.

Per leggere l’articolo originale da cui è tratto questo post: http://www.inc.com/guides/2010/10/how-to-pitch-to-angel-investors.html

Napoli, 29/05/2014

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