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Tag: mercato

Consigli per startup e imprese: come riconoscere e cogliere le migliori opportunità per la crescita dell’azienda

John Brandon è autore per Inc. Magazine, specializzato in tema “Tech Report”: uno dei suoi ultimi articoli è un’intervista a Lori Ann LaRocco, senior talent producer per CNBC (network americano specializzato in notizie economico-finanziarie, tecnologiche e relative al mondo imprenditoriale).

Lori Ann LaRocco ha scritto un libro intitolato Opportunity Knocking: Lessons From Business Leaders, che spiega come gli imprenditori di successo debbano imparare ad ascoltare e riconoscere il rumore delle opportunità quando bussano alla loro porta. Secondo l’autrice, sono almeno quattro i modi migliori per riuscire a riconoscere e afferrare le migliori opportunità per la crescita di un’impresa:

1) Cavalcare l’onda di un concorrente

Brandon lo presenta come uno degli aspetti più interessanti descritti da Lori Ann LaRocco: molte piccole aziende possono cavalcare l’onda di altre società per crescere più rapidamente. L’esempio dell’autrice su questo tema è quello di Anthony Wood, founder di Roku: si tratta di una realtà che sta creando una grossa community di clienti e sta gettando le basi per diventare un sistema operativo per la televisione.
Roku è stato per sei anni in competizione con Apple TV, e continua a crescere nonostante le nuove versioni lanciate da Apple in questi anni: Roku è riuscita addirittura a raddoppiare le vendite dal lancio di Apple TV sul mercato.

2) Trasformare grandi battute d’arresto in grandi vittorie

In questo caso l’esempio utilizzato da Lori Ann LaRocco è Uber, popolare servizio di ride-sharing che ha dovuto affrontare contestazioni continue, soprattutto da parte dei tassisti. Ma Uber è riuscita a trasformare queste battute di arresto in un’importante vittoria: quando le autorità americane hanno applicato una tassa per emergenza neve pari a 15 dollari, Uber non ha alzato le proprie tariffe (anche se questa sarebbe stata una possibilità di aumentare le entrate). L’azienda ha invece preferito sfruttare l’opportunità di attirare nuovi clienti mantenendo lo stesso livello dei prezzi, sfidando in questo modo coloro che li ostacolavano (i tassisti): Lori Ann LaRocco afferma che, per mantenersi competitivi, i tassisti avrebbero dovuto pensare al proprio business come un servizio da fornire, e non come un “cartello che tiene in ostaggio i clienti”.

3) Lasciar perdere le opportunità che non corrispondono ai vostri punti di forza

Il grande e rapido successo di Apple, secondo l’autrice, dipende dal fatto che la società si è focalizzata sull’engineering e sul marketing, aspetti nei quali il team eccelle. Allo stesso tempo, la Apple non ha sovrastato IBM o Microsoft in altri settori, come quello dei software aziendali: ciò dimostra come le aziende che vogliono avere successo devono insistere sui propri punti di forza e lasciar perdere le opportunità per le quali dovrebbero focalizzarsi sui punti di debolezza.

4) Pesare sempre i rischi

C’è sempre un rischio insito in qualsiasi opportunità: potrebbe richiedere l’assunzione di nuovo personale o l’impiego di risorse finanziarie, rendere più difficile la gestione del processo produttivo o del servizio clienti, etc.
Un esempio di come valutare i rischi secondo Lori Ann LaRocco viene dal CEO di Ford Motor Company, Alan Mulally, cui dedica un intero capitolo nel suo libro.
Mulally ha affrontato in maniera vincente la crisi economica del 2008, accettando il rischio di insicurezza finanziaria di quel periodo e andando a Washington di fronte al Congresso per rappresentare non solo la sua azienda, ma l’intero settore in crisi.
Prima di prendere una tale decisione, Mulally ha soppesato accuratamente i rischi e le opportunità: come afferma Lori Ann LaRocco, “se il rischio di non agire supera il rischio di agire, allora hai già la tua risposta”.

L’articolo originale è disponibile al seguente link: http://www.inc.com/john-brandon/4-ways-to-make-the-most-of-a-business-opportunity.html?utm_content=buffer6ce07&utm_medium=social&utm_source=twitter.com&utm_campaign=buffer

Napoli, 06/05/2014

Consigli alle startup – Il pitch per gli investitori e quello per i clienti: due modi differenti per raccontare il business

Mark Birch è un tech investor e imprenditore newyorkese, CRO di una tech startup (Enhatch) e autore del blog Strong Opinions (il blog di Birch Ventures per la community newyorkese di startup tecnologiche): uno dei suoi più recenti post affronta il tema della differenza tra Investor Pitch e Customer Pitch, partendo dal presupposto di base che utilizzare lo stesso pitch per presentarsi sia agli investitori che ai clienti è una mossa che molto raramente funziona a dovere.

Il motivo fondamentale è che investitori e clienti hanno motivazioni ed interessi differenti: pertanto, guardano il pitch da diversi punti di vista. Ne consegue che lo stesso pitch non è utilizzabile per entrambi: occorre costruire un pitch “su misura” per ciascuna delle due “categorie di pubblico” cui la startup si rivolge.

Gli investitori, infatti, sono alla ricerca di grandi opportunità di mercato, che possano comportare un significativo ritorno in termini di capitale. Il discorso dal punto dell’investitore è sintetizzato da Birch in questo modo: Team Market Product Traction Investors. Occorre dimostrare all’investitore che c’è un bisogno da soddisfare, che il team è in grado di ottenere il prodotto/servizio per soddisfarlo, che c’è un mercato per tale prodotto/servizio e calcolare se tutto ciò possa giustificare un investimento. In altre parole, occorre che il pitch sia in grado di dare all’investitore i dati, i numeri in modo tale che egli possa calcolare se investire o meno nella startup.

I clienti, invece, hanno un problema da risolvere o un bisogno da soddisfare. Per i clienti, le dimensioni del mercato sono assolutamente irrilevanti. La traction può essere un argomento appena interessante, ma sicuramente non importante per loro. Il team può essere leggermente più rilevante, ma in ultima analisi l’unica cosa che interessa ai clienti è cosa fa il prodotto e in che modo risolve il bisogno. Ed è proprio su questo aspetto che occorre concentrarsi quando si comunica con i clienti.

Birch spiega di aver provato a modificare il pitch che aveva sviluppato per gli investitori cercando di adattarlo ai clienti: eliminando un paio di slide e modificandone altre, però, ha ottenuto semplicemente una presentazione poco efficace perché totalmente svuotata dagli aspetti relativi la passione e la vision aziendale. Questa è, secondo l’autore del post, la cosa peggiore che si possa fare: non è possibile vendere senza questi elementi, che sono la forza ed il valore intrinseco di una startup.

Ecco quindi la conclusione di Birch: occorre preparare separatamente due pitch, uno per gli investitori ed uno per i clienti. Occorre inoltre farlo in momenti differenti, vincendo la tentazione di sfruttare alcune diapositive per entrambi i destinatari semplicemente apportando delle piccole modifiche.
E’ importante lavorare ad entrambi i pitch tenendo ben presenti gli aspetti fondamentali per coloro cui è destinato, cercando di guardare con i loro occhi e raccontando una storia differente in ciascuno dei due pitch: la stessa storia vista da due diverse angolazioni.

Il post originale da Strong Opinions è disponibile al seguente link: http://birch.co/post/81359224501/investor-pitches-vs-customer-pitches

Napoli, 02/05/2014

Percorsi di innovazione in azienda: i pro e i contro degli approcci top-down e bottom-up

Vishal Kumar è un imprenditore esperto in tema di innovazione, con focus particolare sul tema Web e Big Data Analytics, Sviluppo Software, Social Media Strategy e Lean Innovations. Attualmente è founder di Cognizeus, società specializzata nell’analisi dei Big Data che offre sistemi di gestione dei dati per la crescita sostenibile delle aziende.

Kumar ha pubblicato un suo recente articolo sulle differenze tra percorsi di innovazione bottom-up e top-down: in un percorso di innovazione bottom-up, le idee e gli spunti per l’innovazione in azienda provengono “dal basso”, ossia da clienti e dipendenti. Nel percorso di innovazione top-down, viceversa, gli spunti provengono dalla leadership aziendale.

Secondo Kumar, ciascuno dei due percorsi ha pregi e difetti, ma l’approccio bottom-up è più efficace per l’innovazione aziendale: per raggiungere la sua tesi, Kumar ha raccolto dati in merito ad entrambi gli approcci, fino a giungere alla conclusione che i benefici di una strategia di innovazione bottom-up superano nella maggior parte dei casi quelli di una strategia di innovazione top-down.

Nel suo post, infatti, Kumar elenca quelli che sono, a suo parere, i benefici di una strategia di innovazione che segue un percorso bottom-up:

1) Data sets you free: i dati rendono liberi.

Il punto di partenza di Kumar per spiegare quest’affermazione risiede in quello che egli definisce “l’incubo più spaventoso per qualsiasi business”: una decisione aziendale errata.
Qualsiasi decisione aziendale porta con sè dei rischi non sempre facilmente misurabili: ma basarsi sui dati per prendere le decisioni consente di diminuire sensibilmente il rischio, consentendo di prendere decisioni più “calcolate” e di conseguenza più sostenibili in termini di rischio. Una strategia bottom-up si caratterizza per essere guidata da un processo decisionale “data driven”, basato su dati misurabili, con la conseguenza di ottenere un’innovazione meno rischiosa e più sostenibile.

2) L’innovazione basata sui feedback dei clienti aiuta a plasmare le caratteristiche “core” del business e ad accrescere la fiducia della clientela.

Secondo Kumar, i clienti sono i più grandi appassionati di qualsiasi prodotto. Sono loro che investono tempo e denaro per integrare un prodotto nella propria vita ed è per questo che nessuno, più dei clienti, è adatto a indicare i cambiamenti, i miglioramenti e le innovazioni necessarie ad un prodotto.
Per implementare un processo di innovazione bottom-up basato sui feedback della clientela occorre stare il più vicino possibile ai clienti, prendere in attenta considerazione i loro pareri e basare le decisioni di innovazione su questi.

3) L’innovazione è solo un passo avanti, ma un posizionamento customer centric è il vero successo.

Per ottenere tutti i vantaggi di un processo di innovazione bottom-up, è necessario cambiare l’intera configurazione della cultura aziendale impostandola in modo che sia “customer centric”, centrata sul cliente. Ciò significa, secondo Kumar, che l’azienda deve imparare ad ascoltare attentamente i clienti e utilizzare i dati ottenuti come guida per una gestione efficace ed ottimale del business. Il risultato sarà, assieme ad un processo di innovazione sostenibile e vincente, che la clientela sarà sempre più soddisfatta.

4) La democrazia porta sempre avanti le idee migliori.

Secondo Kumar, quando si decide di impostare un processo di innovazione aziendale bottom-up, entra in gioco la democrazia come strategia vincente per filtrare le migliori idee su cui basare le decisioni innovative. Bisogna quindi ascoltare tutti i pareri e tenere in attenta considerazione quelli “più gettonati”.

5) Far passare le idee “top-down” attraverso il processo bottom-up.

Se la leadership aziendale ha una grande idea innovativa, o un’intuizione che sembra poter avere successo sul mercato, è possibile farla comunque passare attraverso un processo bottom-up proponendola a clienti e dipendenti per ottenere i loro feedback. In questo modo sarà possibile raccogliere dei dati utili per prendere le decisioni più efficaci e per testare le probabilità di successo dell’intuizione. Inoltre, se ci sono dei punti deboli da modificare, un processo di valutazione bottom-up di un’intuizione della leadership aziendale consente di metterli a fuoco e rimediare.

In conclusione, Kumar afferma che le strategie di innovazione dovrebbero partire da un percorso bottom-up abilmente affiancato da decisioni top-down: in questo modo, l’azienda è in grado di prendere il meglio da ciascuno dei due approcci prendendo le idee innovative “dal basso” e filtrandole/sviluppandole basandosi sui dati e sui feedback di clienti e dipendenti.

Per leggere il post originale: https://www.linkedin.com/today/post/article/20140422124336-1853953-why-bottom-up-innovation-trumps-top-down-innovation?goback=.mpd2_*1_*1_*1_*1_*1_*1_20140422124336*51853953*5why*5bottom*5up*5innovation*5trumps*5top*5down*5innovation&trk=prof-post

Napoli, 22/04/2014

Quali sono gli errori più frequenti per una startup alle prese con il fundraising?

Sam Altman è un imprenditore, attualmente presidente di Y Combinator e precedentemente co-founder e CEO della startup Loopt, applicazione mobile per il social networking, acquisita nel 2012 dalla Green Dot Corporation.

In un post pubblicato qualche tempo fa sul suo blog, Altman ha analizzato una fase fondamentale per una startup in crescita: la fase del fundraising. L’obiettivo del suo post è quello di individuare alcuni degli errori più frequenti che i founder di una startup possono fare quando si affacciano alla fase di fundraising.

1) Rendere il processo “iper-ottimizzato”

Moltissimi founder cercano strade difficili per la raccolta di capitali, mettendo spesso in pratica dei “trucchi” che pensano siano utili ma in realtà non fanno che complicare le cose. In realtà, scrive Altman, è tutto piuttosto semplice: se l’azienda funziona bene, otterrà dei buoni risultati in termini di fundraising. L’unica strada da percorrere, quindi, è quella di lavorare per migliorare il più possibile l’azienda, il suo funzionamento e i suoi risultati.

Il processo di fundraising, infatti, è molto semplice: innanzitutto bisogna trovare il modo di ottenere un incontro con i potenziali investitori. Dopodichè, occore spiegare loro in che modo la startup può riuscire a fargli ottenere guadagni elevati. Ciò significa spiegare agli investitori la mission aziendale, il prodotto, la traction, la visione futura, il mercato, la concorrenza, quale sarà il vantaggio competitivo nel lungo periodo, come hai intenzione di ottenere dei ricavi e come si compone il team.

Occorre riuscire a implementare un vero e proprio ambiente competitivo: le migliori condizioni in termini di raccolta capitali si ottengono quando più investitori sono in concorrenza tra loro per finanziare una startup. Secondo Altman, è questa l’unica “regola del gioco” valida.

Non bisogna, quindi, ricorrere a piccoli e grandi trucchi: l’unica strada percorribile è quella di lavorare sodo per far funzionare il business nel migliore dei modi, gli investitori decidono di finanziare una startup solo se sentono di poterlo fare con fiducia.

2) Numeri, richieste e valutazioni troppo alti

Quando si cerca di ottenere dei finanziamenti, è importante mantenere quelli che Altman definisce “clean terms”: spesso le startup alla ricerca di capitali tendono infatti a valutare per eccesso i numeri, facendo richieste più elevate di quanto sia realmente necessario.

Alla base di questo errore c’è la convinzione dei founder di “impressionare” i potenziali investitori: in realtà questo atteggiamento allontana gli investors, mentre chiedere semplicemente ciò di cui si ha effettivamente bisogno è l’atteggiamento vincente nel fundraising.

3) Non riuscire a creare un ambiente competitivo

Si tratta di una fase critica del “gioco” del fundraising. Come accennato più sopra, secondo Altman è fondamentale mettere “in competizione” più potenziali investitori.

La parte più difficile da gestire è sicuramente quando arriva la prima offerta: una volta ottenuta un’offerta, infatti, se non ne arrivano altre in tempi stretti si corre il rischio di voler aspettare troppo ad accettare (in attesa che altri investitori facciano una proposta) e di perdere quella che potenzialmente potrebbe essere una buona opportunità.

La cosa migliore, sarebbe trovare un investitore che ama davvero ciò che la startup sta facendo e che sia totalmente disposto a finanziarla: quando c’è una prima offerta di questo tipo, la startup può aspettare più tranquillamente e cercare di ottenere altre offerte.
Naturalmente occorre ricompensare il primo investitore, assicurandogli priorità o quanto meno la sicurezza di rientrare nel round di investimento.

Quando si riesce a creare un buon ambiente competitivo tra potenziali investitori, il processo di fundraising diventa davvero in discesa e spesso anche chi in precendenza non aveva mostrato interesse a finanziare il progetto inizia a considerare un possibile investimento.

4) Presentarsi agli investitori in maniera arrogante, irrispettosa, ecc.

Presentarsi ai potenziali investitori con un’aura da “nerdy founder” è un vezzo inutile e controproducente: occorre essere sempre rispettosi quando si incontrano gli investors. Questo significa, avverte Altman, che non bisogna mai pretendere una decisione dopo il primo incontro (a meno che non si stia davvero per chiudere il round di finanziamento).

Altman consiglia di ricordare sempre che gli investitori sono persone che vogliono essere amate, bisogna fargli sapere che si desidera davvero lavorare insieme a loro per renderli più inclini ad investire nella vostra startup.

5) Non ascoltare

Gli investitori sono preoccupati di non rischiare di perdere i propri capitali, mentre i founder sono persone ottimiste per eccellenza. Questo significa che, molto spesso, quella che per un investor è una versione “carina” di un no viene recepita dal founder come un “con un paio di ulteriori incontri, possiamo arrivare ad un sì”.

Bisogna imparare ad ascoltare con molta attenzione, e capire se è il caso di insistere ulteriormente o è più saggio e fruttuoso andare avanti e incontrare altri potenziali finanziatori.

6) Non avere un “lead investor”

Altman spiega che spesso i founder che raccolgono capitali da più investitori si compiacciono del fatto che nessuno di questi ha un particolare “potere” rispetto agli altri. La realtà, però, è che un investitore con poco potere nelle aziende che finanzia non si sente veramente coinvolto e non si adopera per il successo della startup.

Sarebbe invece davvero utile avere un “lead investor”, con il quale organizzare regolari incontri mensili per metterlo al corrente dei progressi: questi incontri fissi creano infatti una tensione positiva nella startup, soprattutto a livello operativo e di raggiungimento dei risultati prefissati.

7) Avere un pitch scarno

Spesso i founder si fanno prendere dalla voglia di seguire alla perfezione un template, spiegando tutto ciò che sanno sui concorrenti, sull’evoluzione del mercato, ecc. Ma altrettanto spesso, sono i primi ad annoiarsi e questa noia è palese anche all’esterno.

Il consiglio di Altman per un pitch vincente da presentare agli investitori è quello di concentrarsi sulle parti del business che davvero ti entusiasmano: ciò renderà entusiasti anche gli investitori. Trasmettere la passione per il proprio business è fondamentale, ed è quasi impossibile mentire a riguardo.

Gli investitori vogliono ascoltare una vera e propria storia, che racconta come il team ha deciso di lavorare all’idea, come si sono incontrati i co-founder, ecc.: sono aspetti da non tralasciare nel proprio pitch.

Inoltre, gli investitori intelligenti sono alla ricerca di progetti che possano realmente avere successo: occorre quindi concentrarsi sugli aspetti fondamentali che facciano capire che si sta davvero costruendo una grande azienda.

8) Non chiedere delle referenze sugli investitori

I grandi investor possono apportare una quantità enorme di valore aggiunto, nella stessa misura in cui i cattivi investitori possono rendere davvero la vita difficile ai founder di una startup: ecco perché Altman succerisce di chiedere sempre informazioni a chi ha già ottenuto finanziamenti, cercando di ottenere delle vere e proprie referenze sugli investitori con cui ci si prepara a collaborare.

9) Non avere una vision sufficientemente chiara

Se non si è fermamente convinti di ciò che si fa, e si è sempre d’accordo con i suggerimenti dell’investitore, significa che la vision della startup non è sufficientemente chiara. Altman sostiene che, pur dovendo sempre ascoltare ciò che l’investitore ha da dire, si dovrebbe rimanere sempre fermi su ciò in cui si crede davvero.

I founder che hanno una vision aziendale chiara riescono a spiegare ciò che stanno facendo e perché il loro progetto è importante in poche e semplici parole: una vision chiara implica solitamente una grande idea. Fermo restando che esistono sempre delle incognite: anche se non è possibile avere tutte le risposte, prima di iniziare la fase di fundraising è fondamentale avere una vision chiara.

10) Non conoscere le metriche chiave

Le possibili domande degli investitori per una startup in fase di early stage sono essenzialmente due: “Il team sa cosa fare?” e “Il team è in grado di farlo?”.
La risposta alla prima domanda è nel punto 9: occorre avere una vision aziendale chiara e definita.
Per la seconda domanda, invece, occorre essere in grado di dimostrare la qualità operativa attraverso i numeri e le metriche chiave: Altman afferma che è davvero sorprendente come spesso le aziende si rivolgano ai potenziali investitori senza conoscere queste informazioni.

Per leggere il post originale di Sam Altman: http://blog.samaltman.com/fundraising-mistakes-founder-make

Napoli, 17/04/2014

Innovazione di prodotto/servizio e “live prototyping”: consigli utili a startup e imprese per proteggere il brand negli esperimenti di mercato

David Aycan, dopo aver co-fondato e gestito due startup di successo, è attualmente Design Director a IDEO, dove collabora con startup e grandi aziende per le attività di progettazione di nuove offerte e business model.
Paolo Lorenzoni lavora al Product Development di Food Genius, azienda che fornisce big data all’industria alimentare ed esperto nella guida di team multidisciplinari per nuove iniziative e progetti nei settori food, tecnologie e retail.

Insieme hanno pubblicato di recente un contributo per il Blog Network di Harvard Business Review, dedicato al tema “Prototype Your Product, Protect Your Brand”: lo spunto nasce dalla crescente diffusione, tra startup e imprese già consolidate, delle attività di “live prototyping”.
Si tratta di lanciare sul mercato reale prodotti non finiti per testarli in reali situazioni di contatto con i clienti, per evitare di investire ingenti risorse su idee di prodotto sbagliate, o comunque che non incontreranno il favore del mercato. Un concetto molto diffuso nel mondo delle startup, assimilabile al MVP di Steve Blank e della metodologia Lean Startup.

La domanda che si pongono Aycan e Lorenzoni è se un’attività del genere possa avere ripercussioni negative: sull’immagine dell’azienda, sul brand, o in termini di “svelamento” delle strategie alla concorrenza. Si tratta, secondo gli autori, di dubbi sicuramente leciti, ma allo stesso tempo assicurano gli imprenditori e aspiranti tali della possibilità di gestire la live prototyping e gli esperimenti di mercato in modo tale da non mettere a rischio i rapporti con i clienti.

Quando si decide di mettere in pratica un esperimento di mercato che coinvolga i clienti per valutare il prototipo di un nuovo prodotto, è importante valutare una serie di aspetti. Nel loro post, Aycan e Lorenzoni elencano i seguenti:

Valutare la Brand History: l’azienda ha già fatto esperimenti di mercato in passato? Come hanno reagito i clienti? I vostri clienti più affezionati hanno apprezzato la vostra inventiva? Bisogna sempre domandarsi se è il caso o meno di innovare il prodotto: un marchio “storico” come Levi’s, ad esempio, ha dei clienti strettamente legati al “classico” e potrebbero non apprezzare eventuali modifiche.

Valutare i Benchmarks competitivi: bisogna fissare il livello minimo di qualità del prodotto (floor). La domanda da porsi è: la qualità rappresenta un aspetto essenziale e imprescindibile oppure no? Tale valutazione è strettamente connessa al settore di attività: ad esempio, un’azienda automobilistica non può mantenere standard qualitativi bassi.

Valutare i concorrenti: Aycan e Lorenzoni mettono in evidenza un punto fondamentale a riguardo. Guardare esclusivamente i concorrenti diretti potrebbe essere fuorviante, bisogna osservare i settori simili e i prodotti sostitutivi: se si lavora in un settore strettamente regolamentato, ad esempio, occorre guardare anche al settore sanitario o della finanza, dove la prototipazione deve seguire normative ben precise.

“Prototype prototyping”: più semplicemente, gli autori si riferiscono alla possibilità di parlare ai clienti della prototipazione prima di lanciare un prototipo. Anzichè limitarsi a lanciare il prototipo sul mercato, si può chiedere ai clienti di immaginare come reagirebbero di fronte a tali prototipi senza sapere che non si tratta di prodotti finiti. Può essere utile domandare se sarebbero entusiasti di provare cose nuove, ed identificare un gruppo di clienti cui sottoporre il test di prodotto per valutare eventuali modifiche e miglioramenti.

Una volta comprese quali siano le aspettative iniziali del cliente, è possibile passare alla pianificazione dell’esperimento: naturalmente, il modo più efficace per ridurre il rischio è quello di investire soltanto quando si sarà raggiunto un livello di qualità sufficientemente alto. Ma anche in questo caso, è fondamentale investire risorse in ciò che va incontro alle necessità ed aspettative del cliente, per assicurarsi di migliorare il livello di qualità mantenendosi in linea con le richieste e i bisogni della clientela.

Un altro approccio utile per ridurre il rischio è quello di contenere l’esperimento ad alcuni momenti specifici della customer experience: è utile concentrarsi inizialmente solo sugli aspetti che mettono in risalto i rischi aziendali più elevati, riducendo il tempo di interazione dei clienti con il prototipo. Ad esempio, per testare il nuovo packaging non è necessario sottoporre il prodotto al cliente: basta mostrargli la nuova confezione esterna senza offrire la possibilità dell’intera esperienza di acquisto e consumo del prodotto.

Un’ulteriore strategia utile per contenere il rischio dell’esperimento è quella di calibrare l’esposizione del prototipo, sperimentandolo con una piccola fetta di potenziali clienti. In questo modo, è possibile osare un po’ di più nelle proposte innovative, senza rischiare nei confronti dell’intero bacino di clienti e misurando l’impatto del cambiamento su un gruppo limitato.

Infine, se nonostante questi accorgimenti l’esperimento di lancio di un prototipo dovesse incontrare ancora difficoltà, Aycan e Lorenzoni suggeriscono una strategia basata sulla trasparenza: si tratta di far sapere ai clienti coinvolti nel test che stanno sperimentando un prototipo non ancora lanciato sul mercato. Per farlo, è opportuno creare un sub-brand con lo scopo di introdurre nuovi prodotti, idee e prototipi ancora incompiuti per testarli.
Si tratta dell’approccio utilizzato da Google con Google Labs, il sub-brand che il colosso americano dedica alla creazione di nuovi prodotti rivoluzionari tra cui i Google Glass.

In quest’ultimo caso è utile offrire al cliente la possibilità di tornare al prodotto/servizio originale in caso di problemi con il prototipo: in questo modo è possibile ottenere dai clienti informazioni e feedback utili per i miglioramenti da apportare al prototipo.

In ogni caso, concludono Aycan e Lorenzoni, anche se le attività di “live prototyping” sembrano difficili da implementare sono sicuramente meno rischiose rispetto a lanciare un prodotto o un servizio difettoso: soprattutto in un mercato come quello attuale, che si muove veloce e in cui tutte le aziende cercano di innovare più rapidamente possibile per non ritrovarsi con un business obsoleto.

Il post originale è disponibile al seguente link: http://blogs.hbr.org/2014/04/prototype-your-product-protect-your-brand/

Napoli, 16/04/2014

Consigli alle startup: come gestire il lancio di un nuovo prodotto sul mercato

Janine Popick è founder e CEO della “VerticalResponse”, una società di commercializzazione specializzata in web-based marketing software con sede a San Francisco. Recentemente Inc.com ha pubblicato un suo post, nel quale racconta la sua esperienza della più grande release fatta dalla società negli ultimi 13 anni.

Di recente, infatti, la VerticalResponse ha affrontato un’esperienza di totale riscrittura da zero del codice, allo scopo di poter offrire ai suoi clienti un prodotto totalmente nuovo, che andasse ad integrare tutte le più recenti innovazioni tecnologiche.
Il progetto di innovazione della VerticalResponse, inoltre, è stato affidato ad un team totalmente nuovo: si tratta quindi di una situazione che può essere d’esempio sia per una startup che per un’azienda già avviata che decide di implementare un’innovazione di prodotto.

Ecco alcuni degli insegnamenti utili che Janine Popick ha ricavato dalla sua esperienza per la release di VerticalResponse:

1) I team vogliono lavorare insieme. Hanno solo bisogno che gli si dia un motivo per farlo.

Il team di VerticalResponse voleva offrire ai propri clienti il miglior prodotto possibile, ed era impossibile farlo con le tecnologie esistenti in azienda. Volevano anche creare un prodotto gratuito per piccole imprese in fase di startup.

Per farlo, il team si è riunito e ha iniziato a confrontarsi per capire chi erano i clienti, di cosa avevano bisogno e come la VerticalResponse poteva risolvere i loro problemi.
E’ stato fatto un piano con le attività da completare, a breve e a lungo termine.

Al termine della riunione, ciascun componente del team sapeva cosa avrebbe dovuto fare, di quali competenze aveva bisogno, quale era la vision aziendale e come comportarsi per raggiungerla. Il risultato è stato una strategia concreta su come e quando il nuovo software sarebbe stato lanciato sul mercato.

2) Tutti vogliono raggiungere il successo, ma come?

Qual è il successo che vogliamo ottenere? Quali indicatori chiave di performance utilizzeremo per monitorarlo e misurarlo? Occorre avere dati e informazioni facilmente accessibili e comprensibili per tutti i livelli aziendali.

Dare accesso ai risultati di ciò che si sta facendo è importante. Il team deve essere informato ed aggiornato sull’evolversi dei processi aziendali e del piano nel suo complesso. Occorre quindi far circolare le informazioni in maniera efficace e trasparente.

VerticalResponse ha deciso di tenere informati i componenti del team attraverso un sistema di comunicazione che invia a tutto il team una mail ogni volta che qualcuno acquista il nuovo prodotto: può sembrare eccessivo, ma sapere che i clienti rispondono positivamente al lavoro fatto riesce a strappare un sorriso a tutti.

3) Bisogna dire alle persone che hanno fatto un buon lavoro.

L’intera squadra aziendale lavora per costruire il successo dell’impresa, ed è importante riconoscere regolarmente gli sforzi di ognuno. Questo fa sentire le persone soddisfatte del modo in cui contribuiscono al risultato dell’azienda e aiuta a tenere alto il livello di entusiasmo per il lavoro.

Nell’esperienza di VerticalResponse, le persone hanno lavorato di notte, hanno fatto il doppio delle ore di lavoro, hanno contribuito in ogni modo possibile al lancio del nuovo prodotto: è stato un lavoro duro ed incredibile, ed era fondamentale che le persone coinvolte lo sapessero.

4) Quando tutto è finito, in realtà è appena iniziato.

Il post di Janine Popick si chiude con questa consapevolezza: quando tutto il lavoro per il lancio è finito, e il prodotto è finalmente sul mercato, il team si trova di fronte al vero banco di prova. Ci saranno nuove metriche da misurare, nuovi risultati da raggiungere: tutto è più facile se si riesce a prenderla come un’avventura.

Per leggere il post originale da Inc.com: http://www.inc.com/janine-popick/4-things-i-learned-from-the-biggest-software-release-in-our-history.html

Napoli, 09/04/2014

Piano Export Sud: ICE ed ENEA (Enterprise Europe Network) organizzano la prima edizione del Corso sulla Proprietà Intellettuale in Campania

E’ ufficialmente aperto il bando pubblico di partecipazione alla prima edizione campana del Corso sulla Proprietà Intellettuale previsto dal Piano Export per le Regioni della Convergenza, detto anche Piano Export Sud (qui, il nostro post di approfondimento).

Il Corso di formazione sulla Proprietà Intellettuale sarà organizzato dall’ICE – Agenzia per la promozione all’estero e l’internazionalizzazione delle imprese italiane in collaborazione con ENEA, nell’ambito delle attività dell’Enterprise Europe Network.

Possono partecipare alla selezione PMI, startup, consorzi, reti di impresa, centri di ricerca e poli tecnologici che abbiano sede operativa nel territorio della Regione Campania, con potenzialità di internazionalizzazione e capacità di apertura verso il mercato e in possesso dei seguenti requisiti minimi:

– siano in possesso di un sito internet o, in alternativa, siano presenti con una pagina informativa in un social network;
– siano in grado di garantire una risposta telematica (es. posta elettronica) almeno in una lingua straniera alle richieste provenienti da interlocutori esteri.

Il Bando una serie di settori prioritari:

– agroalimentare (alimentari, ortofrutta, viticoltura, florovivaismo, ittica);
– moda (tessile/abbigliamento, calzature, conceria, oreficeria);
– mobilità (nautica, aerospazio, logistica, automotive);
– arredo e costruzioni (arredamento, restauro architettonico, sviluppo urbano, lapideo);
– alta tecnologia (nano-biotecnologie, meccatronica, ICT);
– energia (ambiente e energie rinnovabili).

Per partecipare alle selezioni occorre inviare la domanda di ammissione (allegata al Bando), assieme ai documenti richiesti (dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà, anche questa allegata al Bando, e fotocopia del documento di identità del legale rappresentante dell’azienda) tramite PEC all’indirizzo formazione@pec.ice.it (specificando nell’oggetto la dicitura “ICE CORSO PROPRIETA’ INTELLETTUALE – Campania”) entro e non oltre l’8 aprile 2014.

Tra tutte le domande pervenute, un’apposita Commissione di valutazione selezionerà 20 aziende e 5 imprese uditrici sulla base dei seguenti criteri di selezione:

– ordine cronologico di arrivo della domanda;
– settore di appartenenza;
– individuazione di un progetto di brevettazione.

Il Corso si terrà a Napoli (la sede sarà resa nota dopo la pubblicazione della graduatoria degli ammessi) dal 3 al 6 giugno 2014: il programma prevede un modulo formativo comune a tutti i partecipanti sui temi riguardanti i diritti di proprietà intellettuale, il diritto dei brevetti e relativo sfruttamento, i principali strumenti di tutela, le fasi di ottenimento del brevetto, le valutazioni economiche e le modalità di valorizzazione dei brevetti.
Inoltre, sono previsti moduli formativi specifici per ciascuno dei settori merceologici o riguardanti interessi specifici dei singoli partecipanti.

Per maggiori informazioni, rimandiamo alla lettura del testo integrale del Bando, disponibile al seguente link:
http://reasilva.ice.it/sezioni_dirette/intranet/docs/CIRCOLARE%20CORSO%20CAMPANIA%20Propriet%C3%A0%20intellettuale.pdf

Altri link utili:

Napoli, 01/04/2014

La nuova call di LUISS EnLabs per startup ICT con un’idea disruptive

LUISS EnLabs, l’acceleratore di startup con sede a Roma Termini, apre la nuova call for ideas per il programma di accelerazione della durata di cinque mesi che avrà inizio a giugno 2014: il percorso è aperto a idee disruptive “in grado cambiare il mondo”.

Durante i cinque mesi del percorso di accelerazione, le startup insediate a LUISS EnLabs saranno affiancate da un network di esperti e consulenti e seguiranno un approccio XPM (Agile): a ciascuna startup saranno assegnati due consulenti/mentor, che sosterranno il team cercando di diagnosticare precocemente qualsiasi problema ed ostacolo tipico di un progetto imprenditoriale nella sua fase di avvio.

Le startup selezionate per il percorso di LUISS EnLabs riceveranno un investimento pari a 30K di liquidità, inoltre avranno la possibilità di trascorrere alcune settimane in uno degli acceleratori del network internazionale di partner di LUISS EnLabs: in questo modo, i team avranno la possibilità di confrontarsi con persone, realtà ed approcci differenti accrescendo il valore formativo della loro esperienza.

Inoltre, il programma di accelerazione per startup di LUISS EnLabs prevede un ricco calendario di eventi formativi, in particolare seminari, tenuti da esperti internazionali in particolare sui temi del project management.
Tra gli eventi del programma di accelerazione, è particolarmente importante l’occasione offerta dall’Investor Day: si tratta dell’evento conclusivo dell’intero percorso, in cui ciascuna startup avrà a disposizione 7 minuti per presentare il proprio pitch seguiti da 15 minuti di Q&A di fronte ad una platea costituita da venture capitalist, business angels, grandi aziende, esperti di startup, media e giornalisti.

E’ possibile inviare la propria candidatura entro la deadline fissata per il 15 maggio 2014: LUISS EnLabs è alla ricerca di startup del settore ICT in possesso di un’idea disruptive, con un team fortemente motivato e un prodotto (anche in versione alfa o beta) in grado di stupire gli organizzatori.

Per partecipare, occorre inviare una mail all’indirizzo applications@luissenlabs.com contentente il nome della startup nell’oggetto. La mail dovrà contenere il link ad un video pitch della durata massima di 7 minuti e un executive summary (in formato PDF, di massimo due pagine).

Il video e l’executive summary dovranno contenere innanzitutto una breve descrizione del prodotto e dell’idea (Qual è il problema che la tua startup risolve? Come fa a risolverlo? Perché il vostro prodotto è unico?), inoltre dovrà spiegare il mercato potenziale, il modello di business, i concorrenti e il team.

Per maggiori informazioni, qui le FAQ dal sito ufficiale di LUISS EnLabs: http://www.luissenlabs.com/program/application/application-faq.html

Napoli, 25/03/2014

Consigli alle startup: affrontare i Copy Cat Competitors facendo leva sull’innovazione e il contatto con i clienti

I “Copy Cat Competitors” rappresentano i concorrenti che imitano il prodotto/servizio di un’altra impresa, soprattutto quando si tratta di innovazioni lanciate per la prima volta sul mercato: una tipologia di concorrenti che molto spesso una startup si trova a dover fronteggiare, sia quando il suo business nasce dalla creazione di un prodotto/servizio totalmente innovativo che quando il team si occupa di migliorare un prodotto/servizio già esistente.

Sicuramente si tratta di una forma di competizione ingiusta dal punto di vista della startup “copiata”, che ha investito risorse (soprattutto in termini di tempo e lavoro) e si è assunta il rischio di aprire una nuova strada nel mercato: tuttavia, è importante che le startup siano pronte e consapevoli all’idea di ritrovarsi con dei Copy Cat Competitors da fronteggiare.

Vediamo innanzitutto quali possono essere le strategie più utili da adottare in via preliminare, alcune regole di base che i founders devono tener presenti in vista della nascita di concorrenti di questo tipo: una fonte utile di consigli è nel piano elaborato da Paul B. Brown, co-autore di “Just Start” (pubblicato da Harvard Business Review), pubblicato in un recente articolo apparso su Forbes.

Secondo Brown, una startup deve prepararsi all’eventualità di affrontare la concorrenza dei Copy Cat Competitors basandosi sui seguenti punti:

1) Accettare il fatto che qualcuno imiterà il vostro prodotto/servizio innovativo: anche se siamo protetti da strumenti come i brevetti, la posizione di default dovrebbe essere comunque quella di prepararsi ad affrontare gli imitatori. Questo perchè è possibile che qualcuno riesca a trovare un modo per aggirarli, o semplicemente li ignoreranno costringendoci ad intentare una costosa causa legale. La strategia migliore per una startup è quella di accettare l’esistenza dei Copy Cat Competitors tra i concorrenti che dovrà affrontare.

2) Mai sottovalutare la concorrenza: i concorrenti sono implacabili, e agiscono sempre in maniera più veloce di quanto si pensi. Ignorarli o sperare che il mercato ricompensi la nostra azienda non sono scelte sicure: Brown utilizza il detto secondo il quale “I pionieri vengono sempre colpiti da frecce alla schiena”.

3) Non pensare mai di competere sul prezzo: è un loser’s game. Ci sarà sempre qualcuno che potrà proporre un prezzo inferiore al vostro, pur di acquistare una quota di mercato. O semplicemente perchè non hanno idea di quali siano i reali costi di produzione del prodotto/servizio.

4) Continuare ad innovare, il più velocemente possibile: anziché competere sul prezzo, la strategia migliore che una startup deve seguire è continuare a migliorare il proprio prodotto/servizio innovativo, proseguendo il percorso di crescita basato sull’innovazione del prodotto esistente e provando a crearne di nuovi.

5) Mantenersi in costante contatto con i clienti più importanti: saranno proprio loro a dirvi di cosa hanno bisogno, aiutandovi ad identificare sempre meglio il problema da risolvere. Si tratta di un aspetto fondamentale, soprattutto per un business innovativo, inoltre sarà probabile ottenere informazioni utili per un nuovo prodotto/servizio da creare e lanciare sul mercato.

6) Una volta individuato il problema-chiave, adoperarsi per riuscire a risolverlo il più velocemente possibile: in questo modo, la startup può avere ottime chances di essere la prima a lanciare il prodotto/servizio sul mercato.

Questi consigli offrono sicuramente una vision generale utile a qualsiasi startup, soprattutto nelle fasi iniziali del business: ma cosa fare quando i Copy Cat Competitors si presentano sul mercato con un prodotto/servizio che imita palesemente il nostro?
Per avere dei suggerimenti utili è possibile affidarsi al post pubblicato sul tema da EnMast, portale specializzato in coaching per piccole imprese, con la firma di Kaleigh Moore (qui, il link di riferimento).
Kaleigh Moore è founder di Lumen (azienda specializzata in copywriting, social media services e graphic design) e nel suo post parla dell’esperienza di Valerie Beck, imprenditrice di Chicago che si è trovata a dover affrontare dei Copy Cat Competitors per il suo business innovativo “Chicago Chocolate Tours”.

La presenza di un Copy Cat Competitors è diventata un problema per “Chicago Chocolate Tours”, dal momento che un’azienda ha iniziato ad offrire un prodotto molto simile (si tratta di tour a piedi tra le botteghe artigiane del cioccolato in città) offrendo però un servizio di scarsa qualità: i clienti, confusi, hanno iniziato a pubblicare cattive recensioni su “Chicago Chocolate Tours” creando un impatto decisamente negativo sul brand.

Valerie e il suo team si sono trovati quindi a dover affrontare la situazione, e i loro consigli sono essenzialmente cinque:

1) Inviare una comunicazione in cui si chiede la cessazione delle attività, coinvolgendo eventualmente un avvocato (particolarmente utile se si tratta di violazione della proprietà intellettuale);

2) Assumere un “secret shopper” che provi il prodotto/servizio del Copy Cat Competitor e scopra quali sono le differenze tra le offerte.

3) Tenere un registro dei casi di clienti confusi, per documentare l’intera situazione e tenere i dati a portata di mano;

4) Portare a conoscenza della clientela la questione, in particolare attraverso i social media, in modo tale da favorire la diffusione della notizia;

5) Rafforzare l’immagine e il marchio, utilizzando ad esempio termini come “Originale” e rimanendo legati ai propri valori di qualità e di eccellenza.

In ogni caso, i Copy Cat Competitors non devono essere visti come il peggior incubo di una startup: come spiega in un post sull’argomento Marianne Cantwell, autrice di “Be a Free Range Human”, essi rappresentano in ultima analisi una semplice “versione in 2D” di voi e del vostro business, paragonabili alla differenza che c’è tra la realtà e una fotografia.

Occorre quindi fare attenzione a questo tipo di concorrenti, ma continuare a lavorare per far crescere la propria startup restando legati alla propria vision aziendale e facendo leva su aspetti fondamentali come l’innovazione, la comunicazione del brand e il continuo contatto con i clienti.

Napoli, 12/03/2014

Startup In Action: Codemotion e InnovAction Lab selezionano le migliori startup ICT per l’evento dell’11 e 12 aprile a Roma

Startup In Action è “l’evento nell’evento” che Codemotion e InnovAction Lab dedicano all’incontro tra startup tecnologiche ad alto tasso di innovazione e i partecipanti a Codemotion Roma 2014 (sviluppatori, programmatori, ingegneri, aziende ICT italiane e internazionali): è quindi un’importante occasione per le startup in fase di recruiting, alla ricerca di sviluppatori ed altre figure professionali altamente qualificate.

Spesso, infatti, può essere difficile per le startup proporsi in maniera convincente a queste figure professionali, in quanto solitamente i founders sono abituati a presentare il proprio pitch a potenziali investitori e non ad eventuali collaboratori: se a questo si aggiunge il fatto che i developers hanno molte opportunità lavorative tra cui scegliere, diventa ancora più importante creare un’occasione di incontro per le startup alla ricerca di personale.

Le startup tecnologiche che vogliono proporre la propria candidatura a Startup In Action hanno tempo fino al 22 marzo 2014: occorre inviare un file in formato pdf (seguendo la convenzione NomeStartup.pdf) all’indirizzo codemotion@innovactionlab.org
Il file dovrà contenere un testo della lughezza massima di 1.000 parole che dovrà descrivere cosa fa la startup, che tipo di problema risolve, quali sono i clienti e il mercato di riferimento, da chi è composto il team, quali sono gli obiettivi nei prossimi 12 mesi, cosa cerca e perchè (figure professionali, skills, competenze).

Tra tutte le candidature pervenute, saranno selezionate le 15 migliori startup che avranno diritto a:

– partecipazione gratuita al corso che InnovAction Lab terrà a Roma il 5 aprile 2014 sul miglioramento del pitch;

– partecipazione gratuita al Codemotion Roma (11 e 12 aprile 2014) con un mini desk, la pubblicazione del logo sul sito dell’iniziativa e un totem con logo della startup all’evento.

Inoltre, tra le 15 startup selezionate per partecipare a Codemotion, le migliori 8 potranno avere un talk di 5 minuti per presentare il proprio progetto durante Codemotion di fronte alla platea di investitori e professionisti presenti all’evento.

Per maggiori informazioni: http://it.codemotionworld.com/startupinaction/?utm_content=buffer31629&utm_medium=social&utm_source=twitter.com&utm_campaign=buffer

Napoli, 07/03/2014

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