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Tag: mercato

Consigli alle startup: come implementare un’efficace strategia di PR fin dalle prime fasi di attività

Shana Starr è Managing Partner presso la LFPR, società di comunicazione globale che si occupa di consulenza in materia di public relations nel settore sanitario, tecnologico e finanziario. Di recente, Entrepreneur ha pubblicato un suo articolo dedicato al tema delle public relations per le startup, nel quale l’autrice offre alcuni consigli ai founder per gestire al meglio questa delicata attività del business.

Le public relations sono infatti un’attività centrale per qualsiasi azienda, ma diventano a maggior ragione di fondamentale importanza in una startup che, all’inizio del suo percorso, deve impegnarsi a fondo per far conoscere il brand, ottenere l’attenzione dei media e guadagnare punti in termini di riconoscibilità e diffusione.

Esistono però delle strategie utili che una startup può adoperare nelle public relations, che Shana Starr elenca nel modo seguente:

1) Be Ready (State pronti)

Il primo passo è essere pronti: se il prodotto non è ancora nella sua versione migliore, non sarà possibile ricevere buone recensioni e difficilmente la stampa parlerà bene di voi. Non c’è niente di peggio, secondo l’autrice, che una cattiva pubblicità da parte dei media: occorre quindi assicurarsi di essere davvero pronti prima di implementare una strategia di public relations.

2) Stabilite la vostra identità

Prima di dire al mondo chi sei, occorre assicurarsi di saper rispondere a questa domanda. Per stabilire l’identità della propria startup, occorre porsi alcune domande: Quali sono i vostri valori? In cosa consiste esattamente la vostra cultura aziendale? Cosa vi differenzia dai concorrenti? State facendo qualcosa che nessun altro ancora fa? Cosa vi rende unici?
Le risposte a queste domande forniscono la precisa identità di una startup: se non siete sicuri delle risposte, è possibile chiedere agli altri come vi vedono. Anzi, può essere molto utile porre queste domande a più persone e prendere nota delle risposte. Se ci sono troppe risposte diverse, vuol dire che la startup ha qualche problema: bisogna risolvere il problema di identità prima di passare allo step successivo, ossia prima di poter raccontare la vostra storia.

3) Condividete la vostra storia

Imparare a comunicare al meglio la storia della propria startup è parte integrante dell’attività di public relations. Dopo aver stabilito la propria identità, è necessario iniziare a lavorare sulla storia, sul racconto della propria startup. Avere una storia da condividere consente alla startup di distinguersi agli occhi dei media, di potenziali investitori e del target di riferimento: diventa quindi fondamentale raccontare chi siete e come avete iniziato.
Lo storytelling consente non soltanto di arrivare più facilmente ai potenziali clienti, ma renderà molto più difficile che le persone si dimentichino di voi.
La storia della startup andrà diffusa sui social, nelle newsletter, durante le interviste, in tutte le opportunità che i founder avranno di parlare in pubblico.

4) Assicuratevi di che il CEO abbia visibilità

Il CEO o il founder di una startup è il portavoce dell’azienda, e svolge pertanto un ruolo fondamentale nel plasmare l’immagine della società, del brand, della cultura. Per questo motivo, lui (o lei) devono essere accessibili, visibili al pubblico: ciò si traduce in una presenza attiva sui social, un rapporto positivo con i media e la capacità di condividere al meglio la storia della startup. La visibilità del CEO consente di accrescere la credibilità e la leadership nel settore, e aiuta anche in termini di networking, rendendo più facile avvicinare le persone giuste per espandere il business.

5) Non sottovalutate l’importanza dei social media

Posizionare il brand in modo che sia al di sopra dei concorrenti è un lavoro impegnativo, lungo e che comprende molte attività differenti. Tra queste, non bisogna mai sottovalutare l’importanza di una strategia social, per rappresentare al meglio il brand, la cultura e i valori della vostra startup.
Secondo Shana Starr la strategia social è fondamentale fin dalle primissime fasi di attività dell’azienda: implementarla in fase early stage significa costruire la propria identità e credibilità nel settore di riferimento, avere la possibilità di raccontare la propria storia e identificare il CEO come opinion leader.
Bisogna quindi dedicare il tempo necessario ai social, impegnarsi direttamente nelle relazioni con fans e followers, rispondere alle domande, condividere informazioni e coinvolgere la community nelle conversazioni.

6) Assumete qualcuno se avete bisogno di aiuto

Nelle fasi iniziali di startup può essere difficile attuare delle forti strategie di public relations: il consiglio dell’autrice è quello di assumere, se necessario, un professionista del settore. La persona scelta per ricoprire il ruolo deve essere entusiasta del progetto, del prodotto o servizio offerto, della vision aziendale: in questo modo, sarà in grado di comunicare in maniera davvero efficace la startup all’esterno. Un professionista del settore PR, quindi, sarà in grado di mettere in atto in maniera ottimale tutti gli step elencati, assicurando una strategia di PR che sia veramente utile alla startup.

Per leggere il post originale di Shana Starr: http://www.entrepreneur.com/article/235339

Napoli, 24/07/2014

Ricerche di mercato e potenziali clienti: quali sono gli errori più frequenti dei founder prima di lanciare il prodotto di una startup?

Eli Portnoy è stato CEO e co-founder di startup come ThinkNear e ha esperienze lavorative in aziende di successo come Amazon. Di recente ha pubblicato un interessante post su Forbes, dedicato ai più frequenti e costosi errori che molti startuppers fanno all’inizio della propria attività imprenditoriale: lo spunto per l’articolo nasce da un suo incontro con il founder di una startup, finanziata da un VC, che si dichiarava profondamente sorpreso per il fatto che il suo prodotto non sembrava essere in sintonia con le esigenze del mercato.

Nonostante avesse, in precedenza, parlato a lungo con molti potenziali clienti, che avevano espresso pareri positivi sul prodotto della sua startup, una volta sul mercato le vendite faticavano a decollare: purtroppo, afferma Portnoy, questa situazione è piuttosto comune tra le startup. I founder, rinfrancati dalle reazioni positive dei potenziali clienti, si sentono sicuri di avere un prodotto di valore, ma si scontrano con una realtà differente una volta sul mercato.

Secondo l’autore, come spesso accade in molti altri ambiti, lavorare sodo non basta se non si lavora anche in maniera intelligente: parlare con molti potenziali clienti può essere uno spreco di tempo e di risorse se non si pongono le domande giuste. Ci sono infatti alcuni problemi “tipici” quando una startup affronta le ricerche di mercato:

1) Leading Questions

Si tratta di domande che potremmo definire “allusive”, nel senso che la maggior parte dei founders di una startup sono talmente convinti che le loro idee siano entusiasmanti da incappare nell’errore di non chiedere ai potenziali clienti se l’idea è buona o meno, bensì fanno domande che sono utili soltanto a convalidare le loro convinzioni. A volte si pongono domande troppo generiche, senza approfondire ulteriormente la questione, con il risultato che il potenziale cliente risponde semplicemente con un “sì” che può indurre il founder a credere che la persona intervistata vorrà acquistare il suo prodotto.

2) Dirty Lab

Quando gli scienziati conducono degli esperimenti in laboratorio, non tengono conto di alcune variabili. Spesso, gli imprenditori si comportano in maniera simile, conducendo le ricerche di mercato in modo tale da non rappresentare effettivamente la realtà, ma eliminando alcune variabili.
Ad esempio, si può evitare di menzionare fattori come il prezzo o l’impiego di tempo, che rappresentano invece delle variabili fondamentali nella decisione di acquisto di un potenziale cliente. In assenza di considerazioni su questo tipo di variabili, è facile per il cliente affermare che acquisterebbe il prodotto: bisogna quindi fare attenzione alle variabili da inserire nelle domande della ricerca di mercato.

3) Agreement Bias

Un terzo aspetto fondamentale che l’autore mette in evidenza è il fatto che, spesso, le persone si preoccupano di comportarsi in modo tale da rendersi gradevoli agli occhi degli altri. A volte è più facile dare una risposta positiva, che faccia piacere all’interlocutore.
Ecco perché bisogna considerare, quando si fa una ricerca di mercato, che spesso un potenziale cliente indeciso preferisce dire di essere interessato ad un prodotto piuttosto che deludere un founder, entusiasta della propria startup.

In conclusione, Portnoy offre alcuni spunti su come ottenere un buon feedback dai potenziali clienti intervistati prima del lancio. Il consiglio è quello di simulare una vera e propria vendita, andare sul mercato e cercare di vendere il proprio prodotto. Non interpellare i potenziali acquirenti chiedendo un feedback, ma semplicemente presentargli il prodotto.
Se sono entusiasti, chiederanno di iscriversi alla landing page per acquistare il prodotto quando sarà sul mercato. E nulla, afferma l’autore, dice che esiste un mercato per un prodotto più della conferma che c’è qualcuno pronto ad acquistarlo.

Per leggere il post originale, il link di riferimento è: http://www.forbes.com/sites/eliportnoy/2014/07/21/costly-mistakes-almost-every-entrepreneur-make/

Napoli, 21/07/2014

Eccellenze produttive della Campania: la nuova iniziativa di UnionCamere per rafforzare il Brand regionale

“Eccellenze produttive della Campania, ovvero tutto il meglio del fare impresa in Campania” è un’iniziativa organizzata da UnionCamere Campania con la collaborazione delle Camere di Commercio di Napoli, Avellino, Benevento, Salerno e Caserta insieme alla associazioni territoriali di categoria, nata allo scopo di rilanciare il Brand Campania attraverso la valorizzazione e il sostegno delle eccellenze locali.

Si tratta di un’iniziativa dedicata alle migliori imprese campane nei seguenti settori produttivi:

– Agricoltura e agroalimentare industriale
– Agricoltura e agroalimentare artigianale
– Manifatturiero non alimentare industriale
– Manifatturiero non alimentare artigianale
– Commercio, turismo e servizi

Entro il 30 settembre 2014 è possibile partecipare alle selezioni compilando il form disponibile al seguente link: http://www.serviziunioncamere.campania.it/2014/eccellenzeproduttivedellacampania/index.php?reg=1

Un’apposita Commissione di Valutazione di UnionCamere sceglierà tra tutte le proposte inviate le imprese “leader”, che saranno riconosciute “Ambasciatore delle Eccellenze Produttive della Campania”. La selezione sarà effettuata sulla base di un modello di rating che individuerà il posizionamento e le performance delle imprese partecipanti al progetto.

Le imprese che riceveranno il titolo di Ambasciatori avranno diritto ad un “kit dei vantaggi” che gli permetterà di:

– partecipare a momenti di promozione e visibilità;
– accedere ai “Circoli delle Eccellenze Produttive della Campania”, luoghi di ascolto e confronto tra le imprese che andranno a costituire un esclusivo sistema di relazioni;
– divenire opinion leader del proprio settore di riferimento ed essere ascoltato in alcuni momenti decisionali per le politiche di sviluppo locale;
– partecipare gratuitamente a workshop di alta formazione manageriale e/o a momenti di confronto sul marketing e strategie di business per rafforzare la cultura di impresa.

Inoltre, tutte le imprese partecipanti, durante l’evento di premiazione di “Eccellenze produttive della Campania, ovvero tutto il meglio del fare impresa in Campania”, riceveranno il proprio Report di posizionamento, corredato da un raffronto con i dati medi delle altre imprese partecipanti.

Per maggiori informazioni: http://www.unioncamere.campania.it/index.phtml?Id_VMenu=1&daabstract=1398

Napoli, 21/07/2014

Google Ventures e Seedcamp: due nuovi fondi di investimento in arrivo per le startup europee

Negli ultimi giorni sono ben due le buone notizie per le startup europee in cerca di finanziamenti: Google Ventures e Seedcamp metteranno a disposizione dell’ecosistema europeo i propri fondi di investimento per i migliori imprenditori del Vecchio Continente. In entrambi i casi, le decisioni sono motivate dalle grandi potenzialità intraviste nel settore dell’imprenditorialità innovativa in Europa.

Google Ventures ha infatti annunciato alcuni giorni fa il lancio del proprio fondo di 100 milioni di dollari dedicato a startup europee nel settore hi tech. Il fondo dovrebbe rappresentare un primo passo del progetto di investimento di Google in Europa: per sottoporre i progetti, come consiglia Wired in questo articolo, è fondamentale mettersi in luce agli occhi di Google sfruttando al massimo il passaparola on-line, in particolare sui social network.
Inoltre, è consigliabile presenziare agli eventi che Google organizza in diverse città, per farsi conoscere e iniziare ad accedere al network del colosso americano. Al momento non è ancora stato pubblicato un calendario di eventi in Europa.

La seconda buona notizia proviene invece dall’acceleratore londinese Seedcamp, che ha annunciato il suo nuovo fondo da 30 milioni di euro, anche questo destinato a startup europee.
Il fondo è finanziato da investor provenienti da Cina, Russia, Europa (tra cui si segnala EIF – European Investment Found) e dalla Silicon Valley: in questo modo, si assicura alle startup finanziate da Seedcamp l’accesso a una rete di contatti globale.

Il nuovo fondo di Seedcamp avrà un focus particolarmente incentrato su startup dei settori Fintech, Internet of Things e Marketplaces. Grazie a questo fondo, Seedcamp si prepara a finanziare le migliori startup in Europa con ampie possibilità in termini di crescita e di scalabilità, applicando ancora una volta il metodo fondato su tre pilastri: Network, Learning e Capital.

Il “metodo Seedcamp” consiste infatti in un primo finanziamento seed (massimo 75.000$) con un percorso trimestrale di accelerazione e l’accesso al network globale di investitori, mentor, partner a disposizione delle startup.
L’apprendimento, in particolare, non si ferma però ai tre mesi di accelerazione: Seedcamp crede fermamente nel processo di apprendimento continuo, con una consulenza per i founder e i loro team che non si ferma alla fine del percorso di accelerazione ma prosegue per tutto il periodo di crescita e sviluppo della startup.

Per maggiori informazioni, i comunicati stampa di Google Ventures e Seedcamp sono disponibili ai seguenti link:

http://googleblog.blogspot.it/2014/07/google-ventures-invests-in-europe.html
http://seedcamp.com/seedcamp-launches-30m-fund/

Napoli, 18/07/2014

BCFN YES! 2014, il concorso dedicato a studenti under 35, mette in palio un premio da 10.000 € per il miglior progetto innovativo nel campo della sostenibilità alimentare

BCFN YES! 2014 è il Concorso della Fondazione Barilla Center for Food and Nutrition dedicato alle giovani idee nel campo della sostenibilità alimentare: in linea con le tematiche di Expo 2015, si propone di raccogliere le migliori competenze qualificate all’interno del mondo universitario, favorendo un approccio multidisciplinare a progetti presentati da studenti di qualsiasi facoltà e grado (compresi i dottorandi) che non abbiano ancora compiuto il 35° anno di età al 30 novembre 2014.

La partecipazione è aperta a singoli o team (composti da un massimo di tre persone) con idee progettuali in una delle tre seguenti categorie:

1) Healthy Lifestyles: idee incentrate sulla lotta al problema dell’obesità e delle altre patologie legate alla malnutrizione, attraverso la promozione di stili di vita e comportamenti alimentari sani, con particolare focus sull’importanza dell’attività fisica.

2) Sustainable Agriculture: progetti finalizzati a conciliare la produzione alimentare per una popolazione in crescita con le tematiche di difesa dell’ambiente, delle risorse naturali e delle culture locali.

3) Food Waste: idee progettuali con lo scopo di ridurre gli sprechi di cibo che si verificano in tutte le fasi della filiera produttiva agroalimentare, intervenendo sia sui processi di produzione e distribuzione che sui comportamenti delle persone.

Per partecipare a BCFN YES! (Young Earth Solution) occorre caricare la propria idea sulla piattaforma http://www.bcfnyes.com/ entro il 31 luglio 2014: la domanda di partecipazione e la documentazione allegata dovranno essere redatti in lingua inglese.

Tra tutte le idee pervenute, la Giuria selezionerà entro il 15/09/2014 le 10 finaliste sulla base dei seguenti criteri:

– Impatto dell’idea progettuale;
– Originalità e Innovatività;
– Concretezza e Fattibilità.

I 10 team finalisti potranno partecipare al Sesto Forum Internazionale su Alimentazione e Nutrizione che la Fondazione BCFN organizza a Milano il 3 e 4 dicembre 2014: entro il 15/10/2014 sarà necessario caricare sulla piattaforma una presentazione e un video di presentazione dell’idea progettuale, che saranno esaminati dai coach di BCFN per eventuali modifiche e miglioramenti.

Durante la prima giornata del Forum (3 dicembre) i 10 team finalisti potranno effettuare la propria presentazione (tempo massimo 10 minuti) di fronte alla giuria e al pubblico presente, e la Giuria sceglierà il miglior progetto che sarà il vincitore di BCFN YES! 2014. Sarà inoltre premiato il progetto “best on web”, ossia quello che avrà ottenuto il maggior numero di preferenze attraverso la piattaforma web tra i 30 migliori progetti messi on-line a partire dal 1° ottobre.

Il vincitore di BCFN YES! 2014 riceverà un premio di 10.000 € a sostegno della realizzazione della propria idea progettuale.

Per maggiori informazioni si rimanda alla lettura del Bando scaricabile al seguente link: http://www.bcfnyes.com/bando.php

Napoli, 18/07/2014

Social media, brand, influencer e metriche: alcuni consigli per startup e imprese alle prese con le campagne di marketing

Il marketing delle startup e delle nuove imprese si basa in larga parte su campagne social: a differenza di quanto accadeva in passato, quando le campagne di marketing erano incentrate su media “tradizionali” come la stampa, la TV, la radio, i volantini, i manifesti e i cartelloni pubblicitari, le campagne di social media marketing danno la possibilità alle aziende di misurare i risultati ottenuti, a patto di saper utilizzare correttamente i dati e le metriche.

Sull’argomento delle metriche per la misurazione dei risultati di una campagna di social media marketing, Danny Brown (autore di interessanti testi tra cui “Influence Marketing: How to Create, Manage and Measure Brand Influencers in Social Media Marketing” e “The Parables of Business“) ha pubblicato di recente un interessante post sul suo blog dal titolo “Six Easy Metrics to Measure an Influence Marketing Campaign”.

I social media hanno cambiato totalmente le attività di misurazione degli effetti di una campagna di marketing: hanno reso infatti possibile ottenere campagne estremamente mirate, e le piattaforme consentono di misurare i contenuti e le connessioni garantendo un elevato ROI. Per questi motivi, afferma Brown, i social media sono diventati uno strumento imprescindibile per qualsiasi imprenditore “smart”.

I due parametri fondamentali che Brown utilizza per misurare l’influenza di una campagna di marketing sono: Brand Metric e Influence Metric. Per ciascun parametro occorre misurare e analizzare elementi differenti.

BRAND METRIC

Innanzitutto occorre misurare la metrica “Investment”, ossia il costo pre-campagna per la ricerca degli influencer da raggiungere. Il primo passaggio fondamentale è quello di identificazione di Micro e Macro Influencer, poi bisogna stabilire quanto costa portare a compimento l’intera campagna e utilizzare tali valori come un vero e proprio “barometro” per capire il ritorno (in termini finanziari e di consapevolezza del brand) che la campagna ha ottenuto.

La seconda metrica è quella definita dall’autore come “Resources”, che si differenzia dalla precedente perchè non è finalizzata su aspetti essenzialmente monetari bensì sui costi in termini di lavoro e formazione (quanti dipendenti sono necessari e per quante ore, quanto tempo occorre per raggiungere ed informare ciascun influencer riguardo al brand, al prodotto e alla mission aziendale).

Terza e ultima metrica da considerare per la Brand Metric è il costo definito da Brown “Product”: per una campagna di brand marketing efficace, occorre infatti offrire al pubblico e agli influencer la possibilità di testare il prodotto. L’azienda deve quindi predisporre dei campioni gratuiti di prodotto, o delle demo (in caso di software). L’azienda deve quindi tenere in considerazione i costi di questi prodotti “di prova”, compresi eventuali costi sostenuti per inviare i campioni agli influencer.

INFLUENCER METRIC

Anche in questo caso, possiamo suddividere la metrica in tre aree chiave: la prima di queste è definita dall’autore “Ratio”, e riguarda la misurazione delle reazioni degli influencer alla campagna in termini qualitativi. Porre l’accento sull’aspetto qualitativo è fondamentale per ottenere informazioni utili all’azienda, soprattutto quando la community di riferimento è molto numerosa e si rischia di disperdere i risultati in un database tanto ampio quanto sterile.

Un altro aspetto da tenere in considerazione è quello chiamato da Brown “Sentiment”, che riguarda la percezione della campagna da parte del pubblico. Le metriche relative alla percezione consentono all’azienda di capire come il target percepisce il messaggio della campagna, il prodotto, il brand nel suo complesso. Inoltre, può essere di grande aiuto per identificare quali parti del messaggio modificare e a quali target rivolgersi in futuro.

Infine, Brown analizza la metrica “Effect”: ciò che definisce il barometro più prezioso per indicare se la campagna ha funzionato o meno, rappresentato dagli effetti che il messaggio ha comportato negli influencer.
Per misurare gli effetti è possibile lavorare innanzitutto in termini di consapevolezza del brand: tra gli aspetti da monitorare, ritroviamo il traffico generato dalla pagina web, quante volte il marchio o il prodotto è stato menzionato, quanti nuovi fan o seguaci la nostra pagina ha raggiunto sui social network, quanti nuovi iscritti alla newsletter o al blog.

L’articolo di Brown si conclude con alcune linee guida su come utilizzare le metriche una volta raccolti i dati: le informazioni ottenute vanno infatti analizzate e monitorate per essere davvero utili al business. Secondo l’autore, a questo punto tutto dipende dagli aspetti che interessano all’azienda.

E’ possibile che l’azienda sia maggiormente interessata alla consapevolezza del brand: in tal caso investirà maggiormente nelle piattaforme da cui è stato ottenuto il maggior ritorno, e nel frattempo si impegnerà a capire quali sono le nuove piattaforme in cui è possibile investire in futuro.

Ancora, è possibile che l’azienda sia interessata soprattutto ad incrementare le vendite: in tal caso i dati risultanti dalla campagna di social marketing saranno utilizzati per la costituzione di partnership strategiche sulla base degli interessi, delle esigenze e delle connessioni degli influencer.

In ogni caso, il consiglio è quello di determinare accuratamente l’obiettivo finale per tracciare un percorso che identifichi le tappe e le relative metriche da utilizzare, in modo tale da ottenere i migliori risultati da ciascuna campagna di social media marketing.

Per leggere il post originale: http://dannybrown.me/2014/06/03/six-easy-metrics-to-measure-an-influence-marketing-campaign/

Napoli, 16/07/2014

Fallimento e insolvenza delle imprese UE: la Raccomandazione della Commissione Europea per gli Stati Membri

Quando si parla di startup e PMI, il tema del fallimento dell’impresa e dell’insolvenza è di centrale interesse: può capitare spesso che una nuova impresa, a maggior ragione innovativa, si assuma dei forti rischi quando lancia il proprio prodotto e/o servizio sul mercato.

Sui temi in questione è intervenuta di recente la Commissione Europea, con la Raccomandazione del 12/03/2014 “su un nuovo approccio al fallimento delle imprese e all’insolvenza”: il documento nasce con due obiettivi.
Il primo è garantire alle imprese sane in difficoltà finanziaria la possibilità di accedere ad un quadro nazionale in materia di insolvenza che possa permettere una rapida e precoce ristrutturazione; il secondo è dare agli imprenditori onesti che falliscono una seconda opportunità.

La Commissione Europea motiva la scelta di prevedere una specifica Raccomandazione in materia di insolvenza e fallimento per dare una certa omogeneità al quadro normativo esistente: le norme nazionali all’interno dell’Unione sono infatti piuttosto differenti, sia in termini di procedure, sia relativamente alle fasi della vita dell’impresa in cui le procedure possono essere applicate.

Secondo la Commissione, tali disparità nei quadri normativi nazionali comportano costi aggiuntivi ed incertezza nella valutazione dei rischi quando di tratta di offrire una seconda opportunità agli imprenditori, soprattutto se tale opportunità può essere offerta da uno Stato membro diverso da quello in cui il fallimento ha avuto luogo. Inoltre, la disomogeneità delle normative causa una frammentazione nel quadro delle condizioni di accesso al credito e comporta difficoltà alle imprese che vogliano adottare dei piani di ristrutturazione. Infine, le differenze tra i quadri normativi nazionali spesso scoraggia le imprese che vogliano stabilirsi in altri Stati membri.

Creare un approccio condiviso a livello comunitario sui temi del fallimento e dell’insolvenza aiuterebbe a risolvere queste problematiche, e avrebbe effetti positivi sul sistema economico anche in termini di mantenimento dei posti di lavoro. In particolare, la Commissione Europea sottolinea come un quadro normativo condiviso possa portare grossi vantaggi alle piccole e medie imprese, che spesso non dispongono di risorse ingenti da impegnare nella ristrutturazione.

La Raccomandazione adottata dalla Commissione Europea prevede quindi, come accennato, un duplice obiettivo (“incoraggiare gli Stati membri a istituire un quadro giuridico che consenta la ristrutturazione efficace delle imprese sane in difficoltà finanziaria” e “dare una seconda opportunità agli imprenditori onesti”).

Con il raggiungimento di tale duplice obiettivo, la Commissione Europea conta di ridurre alcuni degli ostacoli al buon funzionamento del mercato interno e, in particolare:

a) diminuire i costi della valutazione dei rischi connessi agli investimenti in un altro Stato membro;
b) aumentare i tassi di recupero del credito;
c) eliminare le difficoltà di ristrutturazione dei gruppi transfrontalieri di imprese.

La Raccomandazione si suddivide in quattro parti. In particolare, sono la terza e la quarta parte quelle maggiormente interessanti per startup e imprese: la III parte è dedicata al “Quadro di ristrutturazione preventiva” e la IV parte è dedicata alla “Seconda opportunità agli imprenditori”.

Riguardo al “Quadro di ristrutturazione preventiva”, i punti fondamentali sui quali si concentra la Raccomandazione sono i seguenti:

1) Disponibilità di un quadro di ristrutturazione preventiva cui l’impresa possa accedere per evitare l’insolvenza. Tale quadro dovrebbe prevedere una procedura di ristrutturazione in fase precoce, dovrebbe consentire all’imprenditore di mantenere il controllo della gestione corrente e di chiedere una sospensione temporanea delle azioni esecutive individuali, dovrebbe essere vincolante per tutti i creditori. Inoltre, i nuovi finanziamenti necessari per attuare il piano di ristrutturazione non dovrebbero essere dichiarati nulli o essere annullabili. Infine, la procedura di ristrutturazione dovrebbe essere breve, poco costosa e flessibile in modo tale da limitare al massimo i casi in cui sia necessario il ricorso al giudice.

2) Agevolare i negoziati sui piani di ristrutturazione, attraverso la possibilità di nominare un mediatore e/o un supervisore per gestire al meglio le attività previste dal piano di ristrutturazione. L’agevolazione del piano di ristrutturazione dovrebbe passare anche attraverso la sospensione delle azioni esecutive individuali e della procedura di insolvenza, nel caso in sui potrebbero ostacolare l’adozione del piano di ristrutturazione. La Commissione Europea, su questo punto, specifica che tale sospensione andrebbe revocata qualora non necessaria a facilitare l’adozione del piano.

3) Piano di ristrutturazione: contenuti, adozione, omologazione, diritti dei creditori ed effetti del piano. La Raccomandazione sottolinea l’importanza di stabilire procedure e disposizioni chiare all’interno degli Stati membri per permettere un’adozione precoce e semplice del Piano di ristrutturazione.
Riguardo ai contenuti, è importante ad esempio identificare in maniera chiara e completa i creditori. L’adozione del piano dovrebbe essere il più efficace possibile, specificando le varie classi di creditori dell’impresa. L’omologazione del piano da parte del giudice dovrebbe inoltre garantire che il piano sia vincolante. I creditori hanno il diritto di essere informati dell’adozione e dei contenuti del piano di ristrutturazione.

Riguardo, invece, alla “Seconda opportunità agli imprenditori”, la Raccomandazione dedica spazio ai così detti “Termini di riabilitazione”, partendo dal presupposto che sarebbe opportuno limitare più possibile gli effetti negativi del fallimento sull’imprenditore. Ad esempio, quest’ultimo dovrebbe essere ammesso al beneficio della liberazione integrale dai debiti del fallimento dopo massimo tre anni dalla domanda di apertura della procedura di fallimento o, in caso di piano di ammortamento, dalla data di attuazione di tale piano.
Naturalmente tale procedura di liberazione integrale dai debiti non è applicabile in tutti i casi: si escludono infatti gli imprenditori che hanno agito in modo disonesto o in mala fede e quelli che non aderiscono al piano di ammortamento.

La Commissione Europea invita gli Stati membri dell’Unione ad attuare i principi contenuti nella Raccomandazione del 12/03/2014 “su un nuovo approccio al fallimento delle imprese e all’insolvenza” entro 12 mesi dalla pubblicazione del documento.

Per leggere la Raccomandazione della Commissione Europea: http://ec.europa.eu/justice/civil/files/c_2014_1500_it.pdf

Napoli, 15/07/2014

Il test di prodotto: come ottenere i feedback più utili per una startup fin dalla fase di prototipazione?

Trovare la strada migliore per raggiungere il successo con la propria startup non è sicuramente prevedibile, ma ci sono alcune attività che i founder dovrebbero mettere in pratica per contribuire ad aumentare le possibilità di crescita della propria azienda, anziché quelle di incorrere in un fallimento. Tra queste, una delle principali attività utili alle startup è quella dei test di prodotto.

Recentemente su Entrepreneur è stato pubblicato un contributo di JD Albert (Director of Engineering presso Bresslergroup, società di Philadelphia specializzata in innovazione e accelerazione di imprese) dedicata proprio al tema dei test di prodotto, e a quanto una buona strategia informale basata sul testing possa essere utile per risparmiare tempo e denaro rispetto a ricerche che possono costare anche decine di migliaia di dollari.

Una ricerca informale basata sul testing può infatti essere effettuata prima di una ricerca formale, in quanto risulta essere meno impegnativa e più snella. Albert offre quindi alcuni consigli e spunti interessanti per le startup alle prese con i test di prodotto:

1. Il prototipo deve essere pronto prima possibile.

Aspettare fino ad avere un prototipo di prodotto perfetto da testare è un errore piuttosto comune per le startup, dettato probabilmente dal timore di essere giudicati: in realtà, bisogna fare un vero e proprio “scatto” mentale e capire che testare un prototipo prima possibile consente di risparmiarsi parecchie critiche in seguito, quando tra l’altro sarà molto più costoso apportare delle modifiche.

La cosa migliore da fare è mettere il prototipo tra le mani delle persone, osservare le reazioni ed imparare dai feedback dei clienti, che spesso possono fornire informazioni inaspettate e a maggior ragione utili.

2. Iniziare con un network di contatti già esistenti.

I primi tester per il prodotto di una startup vanno reclutati tra le persone più vicine e facilmente raggiungibili: amici, parenti, contatti on-line. In quest’ottica, i social media rappresentano una grande opportunità per entrare in contatto e ottenere la collaborazione di un gruppo di potenziali clienti fin dalla fase early stage (ad esempio, i social media consentono piuttosto facilmente di effettuare un primo test su un campione di 100 persone).

Anche le piattaforme on-line come Kickstarter e Indiegogo possono rappresentare uno strumento utilissimo per testare un prototipo di prodotto e trovare supporto per il proprio progetto.
Queste piattaforme mettono la startup in comunicazione con un vasto pubblico di early adopter che non vedono l’ora di poter dare il proprio feedback.
L’autore cita a tale proposito il libro di Hardi Maybaum “The Art of Product Design: Changing How Things Get Made”, secondo cui l’idea di open engineering è la strada migliore per abbattere le barriere ed entrare in contatto con la community on-line, avvicinandosi alle conoscenze e agli strumenti più utili per accelerare il processo di product design.

3. Utilizza la critica costruttiva come nutrimento per il processo di sviluppo.

Le iniziali reazioni negativa dei consumatori aiutano molto a plasmare il prodotto. Per ottenere le critiche più preziose per una startup, occorre predisporre la fase di test in modo tale che le persone abbiano la possibilità di scegliere tra differenti opzioni (stili, colori, caratteristiche…).
Inoltre, i founder dovrebbero mantenere un atteggiamento aperto nei confronti dei feedback, per riuscire ad ottenere il meglio dalla fase di testing. Assumere una mentalità chiusa in questa fase trasforma il test di prodotto in una totale perdita di tempo.

Bisogna sempre tenere ben presente il principio di base: qualsiasi modifica e aggiustamento scoperta in fase di test consente di correre ai ripari in fretta e a costi contenuti. Effettuare le modifiche e gli aggiustamenti su un prodotto finale già lanciato sul mercato comporta invece dei costi elevati.

4. Destinare un budget specifico al test di prodotto.

Anche se testare un prototipo in maniera informale è sicuramente meno costoso di una ricerca di mercato formale, bisogna comunque considerare che si tratta di un’attività che comporta dei costi. Il consiglio dell’autore è quello di non sottovalutare mai i costi della fase di testing: si tratta di costi di gestione a livello logistico, costi di raccolta dati, costi per lavorare con i clienti.
Si tratta di attività costose in termini di tempo e di denaro, e di attività piuttosto difficili da non prendere mai sottogamba: per questo è opportuno che la startup metta a disposizione un budget adeguato.

5. Prepararsi in tempo utile.

Se gli utenti di riferimento sono parte di una nicchia di mercato molto specifica, è buona regola iniziare a stabilire i collegamenti con i tester prima possibile. Costruire un network utile richiede infatti parecchio tempo, soprattutto per un prodotto innovativo in cui la rete va costruita da zero.
Inoltre, è consigliabile approcciarsi i propri tester in maniera metodica, non affidandosi alla casualità: questo significa porre a tutti le stesse domande, in modo da avere dei dati e dei risultati davvero utili da analizzare.

In conclusione, Albert ricorda ai propri lettori il principio di base secondo il quale non sarà mai facile modificare un prodotto che è già sul mercato. La fase di test non solo aiuta ad evitare piccoli e grandi intoppi, ma approfondisce la connessione tra una potenziale grande idea e i futuri clienti che un giorno investiranno in essa.

Per leggere il post originale: http://www.entrepreneur.com/article/235201

Napoli, 10/07/2014

A Napoli dal 10 al 12 dicembre la BIAT – Borsa dell’Innovazione e dell’Alta Tecnologia: i termini di partecipazione per startup e imprese scadono il 31/07/14

Sarà ospitata a Napoli dal 10 al 12 dicembre 2014 la BIAT – Borsa dell’Innovazione e dell’Alta Tecnologia: un evento internazionale organizzato da ICE – Agenzia per la promozione all’estero e l’internazionalizzazione delle imprese italiane nell’ambito del Piano Export Sud a sostegno delle Regioni Convergenza (Campania, Calabria, Puglia e Sicilia).

La BIAT nasce grazie alla collaborazione delle quattro Regioni, di Confindustria e di Campania in Hub allo scopo di promuovere la commercializzazione di prodotti e servizi innovativi e ad alta tecnologia nei mercati esteri: in particolare, l’obiettivo è quello di favorire l’incontro tra domanda e offerta tra startup, PMI innovative, reti di impresa, università, parchi tecnologici con le controparti straniere.

L’evento prevede quindi la possibilità di incontrare controparti estere provenienti da seguenti Paesi esteri: Stati Uniti, Canada, Francia, Belgio, Svezia, Germania, Austria, Regno Unito, Giappone, Cina, Emirati Arabi, Israele e Federazione Russa.

Fino al 31 luglio 2014 è possibile inviare le proposte progettuali per partecipare alla BIAT attraverso la compilazione dell’apposito form on-line disponibile al seguente link: http://borsainnovazione.ice.it/home-page/iscrizione-all-evento

Il modulo va compilato in lingua inglese, e l’iscrizione va perfezionata con l’invio tramite e-mail (borsainnovazione@ice.it) del logo dell’azienda.

Le proposte progettuali possono essere presentate da micro, piccole e medie imprese, startup, reti di impresa, consorzi, università, parchi tecnologici in possesso dei seguenti requisiti:

1. Sede operativa in Sicilia, Campania, Calabria, Puglia;
2. Assenza di situazioni di morosità con l’Agenzia ICE;
3. Essere in regola con e norme vigenti in materia fiscale, assistenziale e previdenziale;
4. Essere in possesso di potenzialità di internazionalizzazione e capacità di apertura verso il mercato (requisiti minimi richiesti: avere un sito internet/una pagina in un social network ed essere in grado di garantire una risposta telematica in almeno una lingua straniera alle richieste provenienti da interlocutori esteri);
5. Non essere in stato di fallimento, di liquidazione, di amministrazione controllata.

Per partecipare alla BIAT le proposte progettuali dovranno appartenere ad uno dei seguenti settori: aerospazio, nanotecnologie, biotecnologie, nuovi materiali, energie rinnovabili, ambiente, ICT e meccanica.

Inoltre, le selezioni saranno destinate a idee e progetti ad alto contenuto tecnologico, con buone prospettive di sviluppo di collaborazioni nell’ambito della ricerca e della produzione innovativa, con una buona attrattiva nei Paesi aderenti e nei settori di riferimento.

Il Programma della BIAT prevede nella prima giornata (10 dicembre) una sessione plenaria di carattere istituzionale seguita da un evento di networking tra le aziende selezionate e le controparti estere.
La seconda giornata (11 dicembre) sarà suddivisa in una parte strettamente tecnica (durante la mattinata), dedicata alle tematiche di tutela della proprietà intellettuale, incentivi alla brevettazione e forme di finanziamento per imprese innovative e startup. Nel pomeriggio si terranno le presentazioni delle 4 aree di eccellenza, una per ciascuna delle Regioni coinvolte, per illustrare il potenziale tecnologico di ognuna di esse.
Infine, la terza giornata di lavori (12 dicembre) vedrà una serie di incontri B2B stabiliti direttamente dai singoli operatori esteri con le imprese e startup presenti.

Per saperne di più sulla BIAT – Borsa dell’Innovazione e dell’Alta Tecnologia il link di riferimento è: http://borsainnovazione.ice.it/home-page/evento-borsa

Napoli, 09/07/2014

Consigli alle startup: un imprenditore impara tanto dai successi quanto dai fallimenti

Con migliaia di startup in tutto il mondo a lavorare a nuovi prodotti, non c’è da meravigliarsi se il 75% delle nuove aziende fallisce. In realtà il fallimento delle startup ha anche un suo lato positivo, in quanto aiuta l’ecosistema globale: startupper e imprenditori possono infatti imparare tanto dai successi, quanto dai fallimenti. La cattiva gestione, il marketing inefficace e i problemi del team sono soltanto alcuni dei tanti possibili motivi per cui una startup fallisce.

E’ possibile che si sia fondata una startup con gli amici di sempre, che però non hanno competenze complementari, oppure che si sia fondata una nuova impresa con persone aventi competenze totalmente complementari tra loro, ma che non sono in grado di comunicare efficacemente all’interno del team“: questa è una delle possibili cause di fallimento di una startup, raccontata da Cassandra Phillips, founder di Failcon, dove gli startupper che hanno affrontato il fallimento condividono ciò che hanno imparato con altri founder.

In un recente articolo pubblicato su Entrepreneuer, il giornalista ed esperto di Digital Media John Boitnott raccoglie le storie di 4 startup che sembravano essere sulla strada del successo, ma non sono mai riuscite a decollare e alla fine sono incappate nel fallimento: vediamo cosa può imparare uno startupper da ciascuna di esse.

1) Gowalla

Milioni di persone hanno apprezzato questo social network location-based nato nel 2007 e fallito cinque anni dopo. I problemi hanno bloccato la crescita di Gowalla prima che riuscisse a raggiungere le masse: l’ingresso sul mercato di Foursquare ha infatto rubato la scena a Gowalla.

Il problema principale di Gowalla era il check-in troppo difficile da usare: Gowalla si stava imponendo come mobile web app prima che la tecnologia degli smartphone fosse abbastanza diffusa tra il grande pubblico, per cui l’entusiasmo degli utenti si è spento ben presto lasciando Gowalla nel dimenticatoio.

Nonostante un round di finanziamento da 8,3 milioni di dollari in fase di startup, Gowalla è stata acquisita da Facebook per 3 milioni di dollari: anche un’acquisizione può essere un fallimento.

Il consiglio che è possibile trarre dalla storia di Gowalla è quello di non competere mai con un gigante. Mettersi contro Facebook significa affrontare una strada in salita.
Inoltre, bisogna assicurarsi che la tecnologia sia diffusa abbastanza da consentire agli utenti di utilizzare il tuo prodotto. L’autore del post si chiede cosa sarebbe successo a Gowalla se fosse entrata sul mercato più tardi, quando la app mobile hanno guadagnato parecchio in termini di traction grazie alla maggior diffusione degli smartphone e all’avanzamento della tecnologia.

2) Pay By Touch

Nonostante un lungo elenco di investitori, questa startup che sfruttava le impronte digitali per i pagamenti mobile non ha mai raggiunto il successo. A causa di accuse di frode ed altri problemi legali, il founder ha dovuto dichiarare bancarotta a fine 2007. Nonostante avesse raccolto milioni di dollari in equity, il founder aveva troppe spese e troppi problemi anche per pagare i suoi dipendenti. Un motivo potrebbe essere che le persone erano troppo abituate ad usare le carte di credito e di debito per affidarsi ad una nuova tecnologia di questo tipo.

Secondo Boitnott, il problema di Pay By Touch sta nell’aver proposto una soluzione innovativa ad un problema inesistente: si tratta di uno dei problemi più comuni con cui va a scontrarsi una startup. A volte i founder credono che la loro idea, il prodotto, la tecnologia sia così “cool” e all’avanguardia che la gente deciderà di usarla: in realtà, perché un nuovo prodotto venga effettivamente utilizzato, occorre creare qualcosa di cui le persone non possano fare a meno. Oltre la metà dei fallimenti di una startup, secondo l’autore, sono imputabili a questa causa.

3) RealNames Corporation

Fondata nel 1997, consente agli utenti di Microsoft Internet Explorer di utilizzare un sistema di denominazione basato su parole chiave per registrare domini direttamente dalla address bar del browser Microsoft Internet Explorer. Tutto ciò senza dover appartenere a domini di primo livello, come “.com” e “.net”.

L’azienda ha raccolto oltre 130 milioni di dollari di finanziamenti, ma ha chiuso i battenti nel 2002 a seguito della decisione di Microsoft che ha reindirizzato le oltre 1 miliardo di pagine per trimestre di RealNames direttamente sul motore di ricerca MSN.

Il problema che ha portato al fallimento di RealNames è stata quindi la totale dipendenza della propria sopravvivenza dalle decisioni di un colosso del settore come Microsoft. Non bisogna mai far dipendere la propria società da qualcun altro.

4) Pets.com

Si trattava di una famosa aziendache vendeva on-line prodotti per la cura degli animali, in attività dal 1998 al 2000. L’azienda aveva effettuato investimenti milionari in campagne di marketing, tra cui un annuncio durante il Super Bowl. I founder erano convinti di poter raggiungere il successo grazie ad una nicchia di mercato.
Ma il grosso problema era il costo delle spedizioni, che erano troppo elevati, soprattutto per i prodotti di fascia di prezzo più elevata. Le vendite di Pets.com diventarono presto troppo complicate.

Il consiglio da imparare da questo fallimento secondo l’autore è che occorre essere sempre brutalmente onesti sui progressi della propria startup: molto spesso, infatti, i founder hanno paura di chiedere aiuto, o lo fanno troppo tardi. Le cose, invece, sarebbero molto più facili se si riuscisse ad essere più onesti fin da subito con se stessi e con il proprio team.

L’articolo originale è disponibile a questo link: http://www.entrepreneur.com/article/235028

 

Se sei un aspirante startupper, con un’idea imprenditoriale innovativa e con la voglia di iniziare la tua avventura nel mondo delle startup, puoi ricevere altri consigli e suggerimenti utili lunedì 14 luglio 2014: il CSI – Centro Servizi Incubatore Napoli Est ospita infatti l’evento gratuito dedicato allo storytelling e al networking per startup e imprese Tip & Tricks for startupper!

Per partecipare a Tip & Tricks for startupper basta registrarsi compilando il form disponibile a questo link: https://www.incubatorenapoliest.it/event/t-and-t-for-startupper/

Napoli, 07/07/2014

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