Loading...

Tag: fasi

Startup Early Stage: come si definiscono, cosa fanno, di cosa hanno bisogno

Quando si parla di ciclo di vita di una startup, si intendono le varie fasi che quest’ultima attraversa dalla sua nascita fino all’eventuale exit o acquisition. Ci sono molte differenti classificazioni delle fasi di vita di una startup, e le stesse singole fasi vengono definite e identificate in maniera differente.

La primissima fase di una startup, la cosiddetta fase early stage, è sicuramente quella più difficile da identificare e definire: Lee M. von Kraus, esperto di startup e mentor di grande esperienza, ad esempio, sostiene che la startup early stage è quella “in fase pre-money, che sta ancora lavorando allo sviluppo del suo primo prodotto”. In questa fase, la startup sta perfezionando la propria idea di partenza, lavorando alla costruzione di un MVP ed effettuando i primi test del prototipo.

A seconda dei risultati di questi test, una volta analizzati con cura i dati ottenuti, la startup early stage potenzialmente è pronta per le modifiche e gli aggiustamenti (pivot) e per ripartire da capo. L’obiettivo finale della fase early stage è quello di ottenere un prodotto scalabile da presentare ai potenziali investitori attraverso un pitch efficace e convincente. Per von Kraus, quindi, la fase early stage rappresenta per una startup l’intera fase di pre-finanziamento. Una volta ottenuti i primi soldi, la startup è pronta per attraversare la fase successiva, la cosiddetta fase seed.

Per altri esperti, però, è la fase seed a identificarsi con quella di pre-finanziamento. Superata la fase seed, la startup sarà pronta a passare alla fase early stage. Ecco, quindi, che la definizione del ciclo di vita della startup diventa confusa e complicata! Per capire meglio cosa si intende per startup early stage, proviamo a passare in rassegna le definizioni di altri esperti.

Vediamo, ad esempio, cosa ne pensa Kent Gustavson, imprenditore ed esperto di startup: “la fase early stage è come i primi giorni di primavera, in cui le piante crescono più che mai”. Una definizione poetica, in cui la startup early stage è vista come quella più rischiosa e incerta, ma anche come quella più ricca di opportunità.

Secondo Gustavson, l’obiettivo principale della startup in fase early stage non si limita alla ricerca dei primi finanziamenti: “è paragonabile al primo periodo di attività di un artista. In questa fase, l’arte è spesso più semplice, più ideolgica, ma è anche molto importante per la futura crescita dell’artista”. In questo senso, la startup early stage è a suo parere quella in cui il team è visionario, l’idea rivoluzionaria, e il MVP è in grado di agganciare i primi clienti e sostenitori.

Brian Rabben (team lead di Google e mentor a 500 Startups) ha, invece, una definizione decisamente più tecnica: la fase early stage è quella in cui la startup si trova in una situazione di “pre product-market fit” accompagnata da almeno una delle seguenti condizioni aggiuntive: meno di 10 dipendenti, incapacità di pagare ai dipendenti e ai fondatori uno stipendio competitivo, assenza di profitti e/o finanziamenti.

Infine, Mike Moyer, docente universitario e autore di best seller in tema di imprenditorialità, definisce la startup early stage come “una società nella quale tutti i partecipanti mettono a rischio i propri contributi personali in termini di tempo, denaro, relazioni, forniture, strutture o attrezzature”. Secondo Moyer, se una startup ha già abbastanza denaro, ricavi o investimenti per pagare i componenti del team non può essere più considerata in fase early stage.

Rileggendo tutte le definizioni di startup early stage elencate, si nota un comune denominatore: il denaro. Tutti gli esperti concordano sul fatto che la startup early stage è in fase di pre-money e di pre-finanziamento. Per passare alla fase successiva del proprio ciclo di vita, quindi, lo strumento indispensabile per una startup è il capitale.

Per raccogliere capitale, però, è indispensabile che la startup si prepari adeguatamente a presentarsi sul mercato e agli investitori: in questa fase iniziale, una risorsa di valore inestimabile è data da un percorso di mentorship e formazione personalizzato, sotto la guida esperta di chi conosce al meglio l’approccio Lean Startup.

FONTE: https://www.startups.co/articles/startup-stages

Vuoi provare ad accedere al percorso di VulcanicaMente4R? Le application sono aperte fino al 22 ottobre 2018! Compila la tua domanda qui.

Vuoi l’aiuto di un team di esperti per sviluppare la tua idea? Hai bisogno di inserire nel tuo team nuove competenze? Partecipa al nostro Scouting Day, il 28 e 29 settembre 2018! Iscriviti gratuitamente compilando il form disponibile qui.

Napoli, 06/09/2018

Il Bullseye Framework: un processo in cinque fasi per aiutare le startup a generare Traction

Gabriel Weinberg e Justin Mares sono gli autori di un interessante manuale dedicato alle startup dal titolo “Traction – A Startup Guide to Getting Customers”: il testo è incentrato sulla presentazione del “Bullseye Framework”, un processo in cinque fasi che viene utilizzato dalle aziende di successo per generare traction, ed è quindi utile ai founders di startup che sono in cerca dei canali di marketing più utili a portare l’azienda verso la fase di crescita successiva.

Il tema della Traction è di rilevanza centrale per una startup, ma in molti casi viene trascurato dai founders: spesso, i team sono concentrati per mesi a lavorare sul prodotto, per poi iniziare a pensare alla Traction solo quando si trovano ad affrontare il lancio sul mercato. La Traction andrebbe invece curata in tutte le fasi di vita dell’azienda: dovrebbe essere uno sforzo continuo, focalizzato sulla ricerca dei migliori canali di acquisizione dei clienti.

Nella maggioranza dei casi, invece, le startup si approcciano alla questione in maniera casuale e non strutturata: il Bullseye Framework è utile in questo caso perché permette di seguire un processo sistematico di approccio al marketing e, in particolare, alla strategia di distribuzione.

In un articolo pubblicato sul suo blog, Gabriel Weinberg ha offerto una panoramica del Bullseye Framework e di come un approccio di questo tipo possa essere di aiuto ai founders di una startup per generare Traction. Le premesse su cui nasce il Bullseye Framework sono essenzialmente tre:

1) In ogni fase di crescita, esiste solitamente un unico canale di acquisizione clienti (traction vertical) sul quale si basa l’intera strategia della startup. Questa è una conseguenza del fatto che generare Traction è generalmente un “power law problem” (un problema basato sulla legge di potenza, ossia una relazione funzionale tra due quantità nella quale una quantità varia in maniera esponenziale al variare dell’altra).

2) Esistono circa venti differenti traction verticals che le startup possono adoperare nella propria strategia di crescita. E’ difficile prevedere quale di questi venti possibili canali di acquisizione clienti sia maggiormente adatto ad una certa startup: è però possibile (e consigliato dall’autore del post) fare delle ipotesi plausibili in merito, fermo restando le difficoltà ad individuare con certezza il canale giusto quando la startup inizia la fase di execution.

3) La maggior parte dei founders di startup ha maggiore familiarità e propensione ad utilizzare alcuni canali di acquisizione clienti, e scelgono questi ultimi in favore di altre traction verticals. Una delle conseguenze più evidenti di questa situazione è che la maggior parte delle startup si concentra su alcuni canali, lasciandone molti altri sottoutilizzati e trascurati.

Entrando nello specifico del Bullseye Framework, l’autore spiega innanzitutto che il processo si compone di cinque fasi e si basa sulla metafora del bersaglio (bullseye): il cerchio interno rappresenta le traction verticals più promettenti, diventando via via meno promettenti man mano che i cerchi si allontanano dal centro.

Entriamo adesso in una spiegazione più articolata delle cinque fasi:

FASE 1 – BRAINSTORMING

Si tratta di passare in rassegna ciascuno dei possibili canali di acquisizione clienti ed effettuare un brainstorming per capire come ogni canale si potrebbe utilizzare in maniera efficace nel momento storico specifico che la startup sta attraversando.

Questo primo step serve a contrastare i pregiudizi e costringe ad analizzare seriamente e meticolosamente ogni possibile traction vertical. Si tratta quindi di una fase che richiede tempi adeguati, ed è inoltre necessario possedere una certa conoscenza di ciascun canale per poter procedere ad una valutazione utile e coerente.
Una volta analizzati pro e contro di tutti i canali, si passa a mappare il mercato cercando di capire quali traction verticals utilizzano i concorrenti, in che modo e con quali risultati.
Infine, bisogna analizzare singolarmente i possibili percorsi ed eventuali test a basso costo che è possibile effettuare per ciascun canale di acquisizione.

La prima fase del Bullseye Framework è quella che richiede tempi più lunghi: secondo Weinberg può impegnare alcuni giorni o settimane.

FASE 2 – RANKING

Si costruisce il vero e proprio “bersaglio” suddividendo i canali di acquisizione clienti in tre colonne:

Colonna A (Inner Circle / Centro del bersaglio): quali traction verticals sembrano più promettenti in questo momento?

Colonna B (Promising / Cerchi intermedi): quali traction verticals potrebbero funzionare?

Colonna C (Long-shot / Cerchi esterni): quali traction verticals sembrano avere minori possibilità di successo al momento?

FASE 3 – PRIORITIZING

In questa fase si stabiliscono le priorità: si torna ad osservare le tre colonne e si ripensa criticamente alle scelte effettuate. Il risultato di questa fase deve essere uno schema in cui si posizionano le prime tre traction verticals nella colonna A, sei canali nella colonna B e il resto nella colonna C.

FASE 4 – TESTING

I tre canali di acquisizione clienti posizionati nella colonna A rappresentano il centro del bersaglio: occorre iniziare una serie di test su queste tre traction verticals, avendo cura che le prove avvengano in parallelo.

FASE 5 – FOCUSING

Se una delle tre traction verticals del centro del bersaglio inizia a dare segni di early traction, significa che la startup ha trovato il canale giusto (per il momento): a questo punto, il consiglio dell’autore è quello di raddoppiare gli sforzi e le risorse su questo canale, cercando di ottenere i migliori risultati possibili in termini di Traction.

Se, invece, nessuna delle tre traction verticals testate sembra funzionare, occorre tornare alla fase 1 e ricominciare il processo, facendo tesoro delle informazioni e dell’esperienza.

In ogni caso, a prescindere che la startup scelga di utilizzare o meno il Bullseye Framework, è fondamentale approcciarsi alla Traction scegliendo un processo strutturato.

 

Per leggere il post originale di Gabriel Weinberg: http://www.gabrielweinberg.com/blog/2013/01/the-bullseye-framework.html

Napoli, 08/08/2014

Design Thinking e Lean Startup: due approcci differenti con ampie possibilità di integrazione

Alcuni giorni fa Matias Honorato, startupper cileno founder di SlidePick, ha pubblicato nel suo blog un resoconto del recente incontro tra Eric Reis, autore di “The Lean Startup”, Tim Brown, CEO di IDEO e autore di “Change by Design” e Jake Knapp, partner di Google Ventures: la loro conversazione era incentrata sui concetti di Lean Startup e Design Thinking, ed era finalizzata a scoprire quanto i due processi possono convergere nella gestione di una startup consentendo di ottenere ottimi risultati.

Prima di tutto, Honorato riassume brevemente i due concetti in questione, servendosi delle parole dei due autori:

– Il Design Thinking è la capacità di pensiero integrato, finalizzato a fornire un’esperienza soddisfacente attraverso la partecipazione di tutti. In questo senso, è possibile affermare che il Design è un processo che attraversa le seguenti fasi: Understand – Observe – Point of view – Ideate – Prototype – Test.
Si tratta, quindi, di un processo basato sulla comprensione e l’osservazione dei fatti e dei punti di vista di ognuno, per poi procedere con l’ideazione e la costruzione di un prototipo da testare sul mercato.

Design-is-a-process

– L’approccio Lean Startup, invece, può essere rappresentato come un modello circolare, nel quale le tre fasi fondamentali sono: Build – Measure – Learn. Nel modello di Reis, infatti, lo startupper deve imparare ciò che i clienti vogliono realmente dal prodotto, basandosi su fatti reali, e non ciò che dicono di volere o che l’imprenditore pensa possano volere.
Il processo circolare di Lean Startup, quindi, passa dall’idea alla costruzione di un prodotto, prosegue con la misurazione dei risultati ottenuti sul mercato (raccolta dati) e infine con la fase di comprensione (Learn), per poi ripartire da una nuova concezione dell’idea basata sulla conoscenza dei dati.

leanstartup-scaled1000

Basandosi sulle definizioni, a prima vista i due approcci sembrano totalmente differenti: sia per il modo in cui rappresentano il processo produttivo, sia per le attività che compongono tale processo.
Mentre il Design Thinking può essere visto come un processo per trovare soluzioni creative a problemi complessi e specifici per le esigenze dei clienti, l’approccio Lean Startup è una sorta di framework da utilizzare per startup che abbiano intenzione di sviluppare un’idea o una vision già esistente, per la quale sia già stata identificata una nicchia di mercato.

In ogni caso, seppure con queste differenze, gli approcci in questione si intrecciano su una base comune: entrambi possono essere definiti, come fa lo stesso Honorato, “Customer Centric Innovations”, ossia innovazioni incentrate sul cliente.
In tal senso, bisogna pensare ad ogni processo innovativo (che sia la costruzione di un’automobile da parte di una grande multinazionale, o una startup “low budget” nata in un garage) come ad una serie continua di test ed esperimenti, finalizzati a comprendere ed imparare dal mercato per modificare i nostri presupposti iniziali, modellando il prodotto per risolvere il problema di una specifica nicchia di clienti.

Inoltre, entrambi i processi servono ad evitare di proporre al mercato prodotti non desiderabili, di cui nessuno ha bisogno: si può dire che il motto alla base del Design Thinking e dell’Approccio Lean sia “Fail fast, succeed faster”, un continuo provare e sbagliare, per convalidare al meglio la soluzione, l’idea, il prodotto di una startup.

Una volta identificate le similitudini tra i due concetti, è possibile capire in che modo integrarli per ottenere i migliori risultati da entrambi: per farlo, occorre prendere la parte migliore di ciascun approccio e collegare gli elementi.
Secondo Jake Knapp (il quale ha spiegato che l’approccio integrato è quello utilizzato da Google Ventures, che prende il nome di Design Sprint), dall’approccio Lean Startup occorre prendere il processo di iterazione veloce e gli anelli di retroazione, legando il tutto alle valutazioni metric-based. Tutto ciò va poi collegato ai metodi di ricerca qualitativa utilizzati nel Design Thinking, per comprendere meglio come personalizzare il prodotto sulla base delle esigenze dei clienti.

Si ottiene così un nuovo approccio, che Honorato definisce nel modo seguente: Design Thinking + Lean Startup = “Thinking Startup”.
Naturalmente, l’autore del post avverte che questa non è una sorta di formula magica che assicura il successo di una startup: un approccio del genere va visto non come un processo di step consecutivi da seguire, bensì come un framework, un quadro di riferimento, all’interno del quale ogni startup deve compiere i propri passi e rischiare il successo o il fallimento.

In conclusione, l’integrazione tra Lean Startup e Design Thinking offre nuovi, importantissimi strumenti ad una startup che voglia sviluppare la propria idea e le proprie potenzialità di business: ma non assicura in alcun modo il successo, che in ogni caso dipende in larga misura dal team e dalle caratteristiche del mercato.

Il post originale di Honorato è disponibile qui: http://www.mhonorato.com/desing-lean-thinking-startup/

Napoli, 30/07/2014

Opportunità dall’UE: pubblicati i template per le prime due call dello SME INSTRUMENT di Horizon 2020

Horizon 2020 è il programma dell’Unione Europea per la ricerca e l’innovazione 2014-2020: per la prima volta, un unico programma comunitario riunisce tre pilastri fondamentali: Excellent Science; Industrial Technologies e Societal Challenges, con un budget totale di oltre 70 miliardi di euro.
Nell’ambito del secondo pilastro, dedicato alle Industrial Technologies, Consiglio, Parlamento e Commissione Europea hanno previsto uno strumento specificamente rivolto alle PMI degli Stati Membri dell’Unione: si tratta del cosiddetto “SME INSTRUMENT”, concepito con l’obiettivo di promuovere la ricerca, favorire l’innovazione e aumentare la competitività a livello globale delle piccole e medie imprese europee.

Lo SME INSTRUMENT si articola in tre fasi:

FASE 1. Studio di fattibilità – attraverso il quale le PMI potranno ottenere un finanziamento destinato a predisporre l’analisi di fattibilità scientifica, tecnica, economica e commerciale del proprio progetto, che dovrà terminare con l’elaborazione di un business innovation plan.

FASE 2. Innovazione – i progetti che riusciranno a superare con successo la fase 1, potranno accedere ad un ulteriore finanziamento che permetterà la realizzazione e lo sviluppo concreto del business plan elaborato, fino ad arrivare all’effettivo lancio sul mercato del prodotto/servizio.

FASE 3. Commercializzazione – la terza e ultima fase prevede il coinvolgimento diretto di finanziatori privati, oltre ad un sostegno “indiretto” consistente in una serie di agevolazioni per l’accesso al credito e a nuove misure riguardanti i diritti di proprietà intellettuale.

Per tutte le tre fasi, inoltre, l’Unione Europea prevede un servizio di coaching e mentoring per le PMI partecipanti al programma, affidato all’Enterprise Europe Network (EEN).

A partire dal 1 marzo 2014 sarà possibile inviare le candidature per le fasi 1 e 2 del programma: sono già on-line, da pochi giorni, i template per la presentazione delle domande.

Più nel dettaglio, la call per la fase 1 dello SME INSTRUMENT di Horizon 2020 prevede un budget totale di oltre 25 milioni di euro, destinati a PMI innovative con sede in uno degli Stati Membri (o degli stati associati) che abbiano un progetto relativo ad uno dei seguenti settori:

– Crescita sostenibile legata alle attivita marittime
– Spazio
– Open Disruptive Innovation
– Nanotecnologie, materiali avanzati o tecnologie avanzate per I processi e il manifatturiero;
– Validazione clinica di biomarkers e/o strumenti medici diagnostici
– Produzione e lavorazione del cibo efficiente dal punto di vista delle risorse ed eco-innovativa
– Energie pulite
– Trasporti
– Eco-innovazione e fornitura sostenibile di materie prime
– Applicazioni mobile innovative per l’e-government
– Innovazione dei business models delle PMI
– Protezione degli obiettivi urbani sensibili e delle infrstrutture urbane critiche
– Processi industriali basati sulle biotecnologie

La call per la fase 2 dello SME INSTRUMENT, invece, ha un budget totale pari a oltre 220 milioni di euro. Anche in questo caso, la partecipazione è possibile solo per PMI che abbiano sede in uno degli Stati Membri UE (o degli stati associati) e che presentino un progetto imprenditoriale innovativo in uno dei seguenti settori:

– Ecoinnovazione e fornitura di materie prime
– Spazio
– Crescita sostenibile legata alle attivita marittime
– Open disruptive innovation
– Trasporti
– Energia pulita
– Nanotecnologie, materiali avanzati o tecnologie avanzate per I processi e il manifatturiero;
– Protezione degli obiettivi urbani sensibili e delle infrstrutture urbane critiche
– Validazione clinica di biomarkerse/o strumenti medici diagnostici
– Processi industriali basati sulle biotecnologie

Per entrambe le call, il finanziamento UE potrà coprire fino al 100% dei costi ammissibili. I progetti saranno valutati sulla base di tre criteri fondamentali: Eccellenza, Impatto, Qualità ed Efficienza nell’implementazione.

Per entrambe le call la deadline per la presentazione delle domande è fissata al 17 dicembre 2014.

Per maggiori informazioni, il Regolamento delle call è attualmente disponibile al seguente link (in ingua inglese):
http://ec.europa.eu/research/participants/portal/doc/call/h2020/common/1587751-h2020-rules-participation_en.pdf

Per tutte le informazioni utili sulle call per le fasi 1 e 2 dello SME INSTRUMENT:

Fase 1 http://ec.europa.eu/research/participants/portal/desktop/en/opportunities/h2020/calls/h2020-smeinst-1-2014.html#tab1

Fase 2 http://ec.europa.eu/research/participants/portal/desktop/en/opportunities/h2020/calls/h2020-smeinst-2-2014.html#tab1

Napoli, 27 gennaio 2014

Da TechCrunch: i fabbisogni e le fonti di finanziamento migliori per una startup hardware

Un recente post firmato da Cyril Ebersweiler (founder dell’acceleratore di startup hardware HAXLR8R e partner di SOSVentures) e Benjamin Joffe (esperto di ecosistemi startup, angel investor e advisor di HAXLR8R) esamina il fabbisogno in termini finanziari di una startup hardware nelle sue 5 fasi di sviluppo, specificando la fonte di finanziamento più adatta in ciascun momento:

1. Concept
Obiettivo di questa fase è quello di convalidare il problema, ossia di esplorare attentamente la fattibilità dell’idea e le caratteristiche della domanda di mercato. Una startup hardware, in questa prima fase, deve applicare la metodologia “Lean Startup” adoperandosi con interviste e sondaggi ai potenziali clienti: è questo infatti l’unico modo per capire se il problema che il prodotto vuole risolvere è effettivamente percepito come tale dalle persone, e quindi per capire se c’è domanda di mercato e quali/quanti possono essere i potenziali clienti.
Nella fase “Concept” il fabbisogno di capitale di una startup è praticamente vicino allo zero, quindi non è necessario rivolgersi a fonti di finanziamento esterne. E’ quasi impossibile, quindi, che una startup nella sua prima fase di vita ottenga l’attenzione di un Venture Capitalist.

2. MFP – Minimum Functional Prototype
Nella seconda fase tutti gli sforzi di una startup hardware sono rivolti allo scopo di ottenere un dispositivo che funzioni. In questa fase c’è ancora poca attenzione al design e ad argomenti come l’ergonomia, ma si cerca soltanto di capire se il prodotto può essere in grado di risolvere il problema.
In questo momento la startup ha delle esigenze di finanziamento minime, che spesso dovranno essere coperte dai founders di tasca propria.
La fase del MFP può essere per alcune startup il momento per iniziare a guardare a qualche forma di finanziamento: gli autori però consigliano di evitare di richiedere finanziamenti all’esterno, perchè si corre il rischio che le persone possano guardare al prototipo come ad un prodotto finito.

3. CFP – Complete Functional Prototype
E’ la fase in cui l’obiettivo della startup hardware è quello di ottenere un prototipo il più vicino possibile a quello che sarà il prodotto finale: in questo momento bisogna iniziare a far attenzione al design, all’estetica e all’ergonomia per rassicurare le persone sulle capacità dell’azienda di tener testa ad una produzione di massa.
Il CFP spedito ai potenziali clienti deve essere il più possibile perfetto: in caso contrario, chi lo riceve sarà propenso a chiedersi “Se non sono in grado di fare un prodotto perfetto, come potranno farne migliaia da mettere sul mercato?”.
Le esigenze di finanziamento di questa terza fase sono ancora limitate, e la maggior parte del capitale dovrà essere investito per la ricerca e il miglioramento del prodotto. Le fonti di finanziamento più adatte alla fase 3 sono amici e parenti, angels, acceleratori, sovvenzioni e campagne di crowdfunding.

Proprio riguardo al crowdfunding, gli autori mettono in guardia i lettori su un aspetto particolarmente significativo: prima di rivolgersi a questa forma di finanziamento, una startup hardware deve essere sicura di aver concluso la fase di progettazione e, quindi, essere pronta per la produzione.

4. DFM – Design For Manufacture
La fase DFM è quella che gli autori definiscono “Ready to roll”: è il passaggio chiave per diventare dei veri imprenditori del settore hardware. Anche se spesso questo è il momento più difficile, perchè spesso un prodotto hardware non “sopravvive” al primo contatto con il cliente.
Le startup hardware che attraversano la fase 4 hanno esigenze di finanziamento solitamente inferiori ai $ 50k: il dato si basa sull’osservazione delle 30 startup di HAXLR8R, e le spese riguardano aspetti come la stampa 3D, la progettazione, le certificazioni, le spese legali e la produzione.
Questo è, secondo gli autori, il momento migliore per utilizzare il crowdfunding: il prodotto è praticamente pronto, e il team conosce costi di produzione e margini di guadagno.

5. FFR – First Factory Run
In questa fase la startup hardware inizia la produzione del prodotto: il prototipo DFM diventa una serie di prodotti identici. Le esigenze di finanziamento in questa fase sono variabili, in ogni caso è necessario che la startup riesca a coprire le spese per pagare i macchinari, le attrezzature e la prima produzione. In questo momento i finanziamenti possono venire dal crowdfunding, da un business angel, da un acceleratore o un fondo di venture capital.
Il crowdfunding può essere ancora una volta una buona soluzione perchè consente di vendere il prodotto direttamente ai finanziatori.
Inoltre, nella fase 5 c’è ancora la possibilità di far affidamento sui pre-ordini degli appassionati del settore: in alcuni casi, addirittura, è possibile che la startup venda l’intero primo lotto di produzione esclusivamente attraverso i pre-ordini.

6. Retail
L’obiettivo di una startup hardware arrivata a quest’ultima fase è uno solo: scalare! Si tratta di una fase che spesso arriva molto lontano nel tempo per le startup hardware. Ma è anche la fase in cui è più probabile ottenere l’attenzione degli investitori: su questo punto, gli autori del post tengono a sottolineare che i VC stanno ancora imparando a conoscere il settore hardware e pertanto sono molto prudenti quando si tratta di scegliere se investire. Per aumentare il loro interesse verso la propria startup, bisogna quindi poter dimostrare di avere una domanda di mercato piuttosto ampia su cui contare.

Per leggere il post originale, il link di riferimento su TechCrunch è
http://techcrunch.com/2013/11/28/financing-lean-hardware/?utm_source=twitterfeed&utm_medium=twitter&utm_campaign=Feed%3A+Techcrunch+%28TechCrunch%29&utm_content=crowdfunding&utm_term=crowdfunding

Napoli, 29/11/2013