Loading...

Tag: consigli

Consigli per startup: i 9 passi fondamentali per il successo di una nuova impresa

Laura Dornbush (AHA Strategic Partners), specializzata in Business and Personal Coaching, ha pubblicato attraverso LinkedIn un interessante contributo sul tema delle startup in cui elenca 9 passaggi critici da tenere in attenta considerazione per lanciare un’attività imprenditoriale di successo. Si tratta di un vero e proprio vademecum che i founder dovrebbero cercare di implementare passo dopo passo: vediamo più nel dettaglio i singoli step che lo compongono.

1) Smettere di mirare alla perfezione

La perfezione è soltanto un mito, non è la realtà: attendere che tutto sia perfetto serve solo a rallentare il momento della partenza. In più, bisogna sempre ricordare che “L’ottimo è nemico del bene“, vero più che mai anche quando si parla di startup e impresa.

2) Pianificare il successo

Per raggiungere il successo, in generale e a maggior ragione quando si tratta di startup, occorre prendersi tutto il tempo necessario per l’attività di pianificazione. i piani sono indispensabili per comprendere meglio il percorso da fare.
L’autrice cita in questo caso Benjamin Franklin: “Failing to plan is planning to fail“: quindi, non è possibile raggiungere la perfezione, ma è possibile e indispensabile costruire un piano solido per raggiungere il successo.

3) Fare le proprie ricerche

La ricerca è un aspetto imprescindibile per aspiranti imprenditori: amare ciò che si fa non basta, se non si conosce al meglio il settore, il mercato, tutto ciò che concerne il proprio business. La ricerca è un fattore chiave per capire se la strada che si sta scegliendo di percorrere con la propria startup è quella giusta.

Quindi, quando si sviluppa il business plan, è importante effettuare un’accurata attività di ricerca sul mercato di riferimento, sulla concorrenza, su prodotti e servizi complementari, etc. Infine, riguardo alla ricerca, non bisogna mai trascurare l’attività di documentazione dei risultati: si tratta infatti di dati e informazioni indispensabili sia per l’attuale pianificazione che per le future ricerche di cui la startup avrà bisogno nel corso degli anni.

4) Identificare i “core values”

Si tratta dei valori fondamentali della cultura aziendale, che rappresentano il cuore di qualsiasi attività e, in particolare, di una startup. Saranno indispensabili per affrontare eventuali crisi e periodi di stallo, per avvicinarsi ai clienti e costruire relazioni con loro, per scegliere le attività su cui concentrare il business.

In questo ambito Laura Dornbush consiglia ai founder di tenere sempre a mente che “si tratta di una maratona, non di uno sprint“: occorre lavorare in maniera continuativa per far sì che i clienti conoscano i valori dell’azienda e accrescano la loro fiducia, con la consapevolezza che i risultati arriveranno con il tempo.

5) Definire al meglio il target

La maggior parte delle startup sono convinte che il target di riferimento sia composto semplicemente da chi ha i soldi per comprare il loro prodotto/servizio: purtroppo, questo tipo di ragionamento porta a spendere male le risorse, attirando fasce errate di clientela e finendo per erodere i profitti.

L’autrice consiglia invece di prendere il tempo necessario per definire il target di mercato: partendo da aspetti demografici, occorre restringere sempre più il campo e identificare un target di clienti più possibile specifico. Si tratta infatti del modo migliore per assicurarsi di soddisfare al meglio i bisogni.

6) Trovare finanziamenti

Il sostegno finanziario, naturalmente, è indispensabile per una startup: spesso il rischio è quello di partire con una grande idea e un grande progetto, ma di arrivare a fine percorso senza i capitali necessari per il “salto” dalla fase di startup a quella di impresa consolidata.

Il primo passo che Laura Dornbush consiglia di fare è quello di impostare una rete di sostegno finanziario partendo da amici, famiglia, parenti e poi accedere alla banca. L’obiettivo deve essere quello di assicurarsi un flusso di cassa costante per svolgere le attività quotidiane, più un piccolo budget per eventuali spese impreviste.
Con il passare del tempo, la startup potrà poi avere accesso ad eventuali finanziamenti o prestiti.

7) Affidarsi all’outsourcing quando è possibile

Esternalizzare le attività è un passo indispensabile per assicurare il successo del business: una startup non può pensare di fare tutto da sola, anche perché alcune attività potrebbero togliere tempo prezioso per il core business.

Le aree che una startup dovrebbe esternalizzare sono, secondo l’autrice, soprattutto quelle relative agli aspetti contabili e amministrativi.

8) Assumere le persone migliori

La startup è fatta soprattutto delle persone che la compongono: ecco perché è importante assumere le persone migliori che ci si può permettere. Occorre quindi uscire, parlare con le persone, capire cosa sanno fare e come possono dare un contributo al progetto.

Inoltre, è importante guardare in maniera obiettiva le competenze dei componenti del team e assicurarsi di assumere persone che possono completarlo.

9) Creare una dashboard finanziaria

Molte aziende perdono soldi perché non hanno stabilito fin dall’inizio il proprio schema di riferimento per tenere sotto controllo gli aspetti finanziari del business: occorre invece creare la propria dashboard e aggiornarla in maniera precisa e puntuale nel tempo.

Secondo l’autrice, l’ideale sarebbe dedicare almeno 15 minuti all’aggiornamento settimanale della dashboard finanziaria della startup, per tenere sotto controllo gli aspetti fondamentali del business.

Per leggere il post originale: https://www.linkedin.com/pulse/9-critical-startup-steps-launch-your-dream-business-laura-dornbusch

Napoli, 22/12/2014

Startup e ricerche di mercato: i consigli per capire fin da subito se il business avrà successo sul mercato

Entrepreneur ha pubblicato pochi giorni fa un estratto modificato dal libro “Start Your Own Business” (Entrepreneur Media Inc.), su come affrontare i primi tre anni da imprenditore alla guida di una startup e, in particolare, sul tema dell’importanza della ricerca di mercato: quest’ultima è infatti indispensabile per ottenere informazioni utili in tre aree critiche da studiare prima di lanciare il businessIndustry informationConsumer close-upCompetition close-up.

Anche quando si ha una grande idea per un prodotto/servizio innovativo, occorre infatti fermarsi e cercare di determinare se davvero esiste un mercato per tale prodotto/servizio:è necessario, quindi, condurre una ricerca di mercato.
Spesso, purtroppo, i neo-imprenditori pensano di poter bypassare questo passaggio cruciale per il product development perché pensano che il loro prodotto/servizio sia perfetto così com’è, e non vogliono sentire pareri negativi dai potenziali clienti. Altre volte, invece, sono spaventati dai costi che la ricerca di mercato può comportare.

Questo approccio, però, è decisamente sbagliato e pericoloso per la startup: non fare la ricerca di mercato può equivalere ad una condanna a morte per l’azienda. La ricerca di mercato va invece considerata come un investimento per il futuro: fare le eventuali necessarie modifiche al prodotto/servizio fin da subito consente alla startup di risparmiare denaro nel lungo periodo.

Una ricerca di mercato è essenzialmente un modo per raccogliere informazioni da utilizzare per risolvere o evitare problemi di marketing: una buona ricerca di mercato, quindi, consente di avere a disposizione i dati necessari per sviluppare un piano di marketing adatto alle esigenze della startup.
Grazie alla ricerca di mercato, la startup può identificare i segmenti specifici del mercato che desidera raggiungere e creare un’identità di prodotto/servizio che la differenzi dai concorrenti. Inoltre, la ricerca di mercato può aiutare i founder a scegliere la migliore area geografica per il lancio del nuovo business.

Come accennato, una buona ricerca di mercato dovrebbe fornire informazioni su tre aree critiche:

1) Industry information

Si tratta di informazioni sui trend più recenti nel settore di riferimento: in quest’area, una ricerca di mercato ha lo scopo di confrontare le statistiche e i dati sulla crescita del settore; identificare quali aree sembrano essere in espansione e quali in declino; capire se ci sono nuove tipologie di clienti; verificare se ci sono sviluppi tecnologici che stanno interessando il settore e capire se è possibile utilizzarli a proprio vantaggio. L’aspetto più importante da tenere in considerazione è verificare l’esistenza di una fiorente industria nel settore: non bisogna mai rischiare di avviare una startup in un settore del mercato che è in declino.

2) Consumer close-up

Per quanto riguarda i clienti, la ricerca dovrebbe iniziare con un’accurata indagine di mercato, che sia in grado di offrire i dati necessari per fare delle previsioni di vendita ragionevoli. Per un’indagine di mercato di questo tipo, il primo passo è quello di determinare i limiti (o confini fisici) dell’area di mercato in cui il business esiste. A questo punto sarà possibile studiare le caratteristiche di spesa della popolazione afferente quell’area.
La ricerca di mercato per le informazioni sui clienti dovrà fornire dati utili a stimare il potere d’acquisto della popolazione (in base ad elementi quali il reddito pro-capite, il livello medio di reddito, il tasso di disoccupazione e altri fattori demografici) e l’attuale volume di vendita per quella specifica tipologia di prodotto/servizio.
Sarà quindi possibile, sulla base di tali informazioni, stimare in maniera ragionevole il volume di vendita che la startup può ottenere.

3) Competition close-up

Grazie ai dati ottenuti dalle due precedenti aree critiche, la startup può a questo punto proseguire la ricerca di mercato avendo a disposizione un quadro più chiaro della concorrenza: non bisogna mai sottovalutare il numero di concorrenti, né tantomeno dimenticare di tenere in considerazione sia la concorrenza attuale che eventuali potenziali futuri concorrenti.
In questa parte della ricerca occorre esaminare i concorrenti in scala locale e, se necessario, nazionale, studiando le loro strategie e attività. L’analisi deve fornire alla startup un quadro completo delle potenziali minacce, debolezze, punti di forza e di debolezza del nuovo business.
Inoltre, è fondamentale cercare di capire quali sono i trend del settore per identificare vantaggi ed opportunità del business, per capire se la startup potrà avere in futuro un percorso di successo.

Per leggere il post originale: http://www.entrepreneur.com/article/240164

Napoli, 18/12/2014

Consigli per startup – “Continuous Learning”: come costruire una cultura aziendale basata sull’apprendimento

Aaron Skonnard è il CEO di Pluralsight, startup che ha co-fondato nel 2004 e che è attualmente una delle più grandi biblioteche on-line al mondo di video tutorial: di recente, il portale Inc ha pubblicato un suo articolo sul tema della cultura aziendale e, in particolare, su come quest’ultima possa essere implementata all’interno di una startup in maniera tale da creare vantaggio competitivo per l’azienda.

Nello specifico, la cultura aziendale può rappresentare un grande fattore di vantaggio competitivo se è basata sull’apprendimento: la capacità di imparare più velocemente rispetto alla concorrenza può diventare addirittura, secondo il Dr. Arie de Geus (capo della pianificazione strategica per Royal Dutch/Shell Oil), “l’unico vantaggio competitivo sostenibile”.

Per imparare in fretta, secondo Skonnar, bisogna affidarsi al lean thinking e alla mentalità propria dell’approccio Lean Startup: proporre il proprio progetto all’esterno e per capire meglio le esigenze dei clienti e creare valore nella maniera più vicina possibile a questi ultimi.

La metodologia più utile a questo scopo è definita “continuous learning”, apprendimento continuo: deve essere alla base della cultura aziendale e deve permeare ogni aspetto del business.
Secondo Skonnar esistono cinque modi per incoraggiare una cultura aziendale basata sull’apprendimento:

1) Fare dell’apprendimento il nucleo centrale del DNA dell’azienda

I valori fondamentali della cultura aziendale sono lo specchio dei valori e delle caratteristiche delle persone che compongono l’organizzazione: ecco perché un buon modo per costruire una cultura aziendale fondata sull’apprendimento è assumere persone che siano appassionate e abbiano voglia di imparare.

2) Destinare un budget specifico all’apprendimento

Dare priorità all’apprendimento è il punto di partenza, ma il secondo passo fondamentale per costruire la cultura aziendale basata sull’apprendimento è definire il budget da destinare alla formazione specifica che consentirà al team e ai dipendenti di seguire l’approccio di continuous learning.

3) Fornire opportunità di apprendimento e formazione in-house

Non sempre è necessario l’investimento di risorse finanziarie per acquistare la formazione all’esterno: ci sono alcuni passaggi che l’azienda può implementare autonomamente e in maniera gratuita all’interno dell’organizzazione, per ispirare una cultura aziendale fondata sull’apprendimento.
Ad esempio, i job swaps rappresentano un’opportunità unica per aumentare le competenze e facilitare la comprensione e l’interscambio tra i soggetti coinvolti. Si tratta di “scambiare” per un periodo limitato di tempo le posizioni tra i dipendenti per provare a fare uno il lavoro dell’altro. Questa pratica è utile per tutti i soggetti coinvolti e consente di ottenere ottimi risultati in termini di apprendimento quando avviene tra due funzioni che lavorano a stretto contatto (ad esempio il team di vendita e quello di marketing), per comprendere meglio i processi e le responsabilità di ciascun ruolo e trovare una migliore modalità di collaborazione in futuro.

4) Dimostrare la propria passione per l’apprendimento

Il gruppo dirigente dovrebbe essere il primo a dare il buon esempio, riuscendo a partecipare in prima persona alle opportunità di apprendimento offerte dall’azienda inviando così un messaggio positivo sull’importanza del continuous learning e della crescita professionale.
I team leader e i dirigenti dovrebbero essere quindi i primi ad incarnare i valori di una cultura aziendale fondata sull’apprendimento.

5) Valorizzare gli insegnamenti appresi dal fallimento

Il fallimento è sicuramente una delle migliori fonti di apprendimento: per imparare, bisogna prima fallire. Per questo motivo, una cultura aziendale basata sull’apprendimento incoraggia la sperimentazione, il rapido recupero dopo un errore, la creatività e l’inventiva: tutto ciò avviene in base ad un approccio lean e agile, fondamentali per una startup che ha bisogno di testare i prototipi muovendosi rapidamente sul mercato.

Per leggere il post originale di Aaron Skonnard: http://www.inc.com/aaron-skonnard/the-most-important-culture-change-you-can-make.html

Napoli, 17/12/2014

Customer e Brand Loyalty: un percorso rapido ed efficace in tre step per startup che vogliono costruire la fedeltà del cliente

Paige O’Neill è CMO (Chief Marketing Officer) per SDL ed ha venti anni di esperienza lavorativa in ruoli dirigenziali nel settore marketing. Di recente, ha pubblicato un interessante post su Lean Back, rubrica di The Economist Group, riguardo uno dei temi centrali per startup: la Brand (o Customer) Loyalty.

Il post della O’Neill si propone di definire un approccio in tre step per accelerare il processo di costruzione del brand commitment e della fedeltà di marca, partendo dai risultati di una ricerca di mercato particolarmente autorevoli effettuate sull’argomento a inizio 2014.
Tale ricerca analizza un panel di clienti globale, che rappresenta quattro generazioni in sei continenti, nove mercati e in cinque lingue: secondo i risultati, un brand oggi deve “corteggiare” i clienti per almeno due anni prima di avere un livello accettabile di brand loyalty.
Ma la curva della brand loyalty non si ferma ai primi due anni: il vero e proprio punto di svolta, che consente all’azienda di ottenere una considerevole crescita dei ricavi, è attualmente fissato dopo cinque anni dall’inizio degli investimenti sul cliente.

Si tratta obiettivamente di un periodo troppo lungo, che nessuna azienda e in particolare nessuna startup può permettersi di attendere: da qui, la necessità di fissare un programma per diminuire i tempi di costruzione della brand loyalty.
Il programma proposto da Paige O’Neill si articola in tre step:

1) Focalizzarsi sui customer mandates più importanti

Secondo la ricerca, esistono 55 fattori critici che dovrebbero guidare la strategia aziendale in termini di customer commitment. Tra questi fattori, esiste un sottogruppo di elementi che risultano essere di particolare rilevanza per il cliente: è proprio su questi che bisogna concentrare gli sforzi e le risorse aziendali. Le domande da porsi, secondo l’autrice del post, devono servire a capire se il marketing dell’azienda riesce a creare una relazione con il cliente che sia basata su un equo scambio di valore, se l’azienda è in linea con l’etica dei clienti, se ha una leadership sul mercato rispetto ai concorrenti e se tale leadership è percepita dai clienti. Si tratta, in ultima analisi, di assicurarsi che il brand sia in grado di soddisfare le esigenze emotive dei clienti: solo in questo caso è possibile costruire la brand loyalty su basi solide.

2) Soddisfare le esigenze funzionali al miglioramento della customer experience

Come specifica Paige O’Neill, la customer experience deve “incarnare la promessa del marchio”: deve essere rilevante, continua, coerente, significativa e reciprocamente gratificante.
Per ottenere una customer experience con queste caratteristiche, l’azienda deve sviluppare un’esperienza integrata multicanale: ciò implica che i dati dei clienti vengano utilizzati e gestiti dall’azienda in maniera tale da inviare dei messaggi pertinenti e affidabili.
Per questo step è necessario analizzare le preferenze dei clienti per ciascun canale di comunicazione e le eventuali variazioni geografiche di tali preferenze. La brand loyalty, infatti, può essere costruita efficacemente se le attività di marketing si concentrano sui canali più rilevanti per il pubblico chiave dell’azienda.

3) Perfezionare la customer journey eliminando i possibili attriti

La customer journey è il percorso decisionale ed operativo che il cliente attraversa nelle varie fasi che lo portano alla decisione di acquisto. E’ fondamentale, nella costruzione della brand loyalty, che l’esperienza multicanale offerta dall’azienda al cliente sia il più possibile variegata: ad esempio, la O’Neill consiglia di prevedere una varietà di canali (on-line e off-line) per dare al cliente la massima possibilità di scelta.
Inoltre, la direzione più efficace che la comunicazione del brand deve assumere nell’attuale contesto di mercato è quella di creare cosiddetti “content in context”, ossia facendo in modo che i contenuti e i clienti possano incontrarsi davvero.
I clienti devono avere la possibilità di costruire e ritagliare i propri percorsi personalizzati di acquisto: in questo modo è possibile costruire al meglio la brand loyalty, con un percorso breve ed efficace adatto alle esigenze di una startup.

Per leggere il post originale di Paige O’Neill: http://www.economistgroup.com/leanback/consumers/sdl-research-how-to-build-customer-loyalty/

Napoli, 16/12/2014

Il Bullseye Framework: un processo in cinque fasi per aiutare le startup a generare Traction

Gabriel Weinberg e Justin Mares sono gli autori di un interessante manuale dedicato alle startup dal titolo “Traction – A Startup Guide to Getting Customers”: il testo è incentrato sulla presentazione del “Bullseye Framework”, un processo in cinque fasi che viene utilizzato dalle aziende di successo per generare traction, ed è quindi utile ai founders di startup che sono in cerca dei canali di marketing più utili a portare l’azienda verso la fase di crescita successiva.

Il tema della Traction è di rilevanza centrale per una startup, ma in molti casi viene trascurato dai founders: spesso, i team sono concentrati per mesi a lavorare sul prodotto, per poi iniziare a pensare alla Traction solo quando si trovano ad affrontare il lancio sul mercato. La Traction andrebbe invece curata in tutte le fasi di vita dell’azienda: dovrebbe essere uno sforzo continuo, focalizzato sulla ricerca dei migliori canali di acquisizione dei clienti.

Nella maggioranza dei casi, invece, le startup si approcciano alla questione in maniera casuale e non strutturata: il Bullseye Framework è utile in questo caso perché permette di seguire un processo sistematico di approccio al marketing e, in particolare, alla strategia di distribuzione.

In un articolo pubblicato sul suo blog, Gabriel Weinberg ha offerto una panoramica del Bullseye Framework e di come un approccio di questo tipo possa essere di aiuto ai founders di una startup per generare Traction. Le premesse su cui nasce il Bullseye Framework sono essenzialmente tre:

1) In ogni fase di crescita, esiste solitamente un unico canale di acquisizione clienti (traction vertical) sul quale si basa l’intera strategia della startup. Questa è una conseguenza del fatto che generare Traction è generalmente un “power law problem” (un problema basato sulla legge di potenza, ossia una relazione funzionale tra due quantità nella quale una quantità varia in maniera esponenziale al variare dell’altra).

2) Esistono circa venti differenti traction verticals che le startup possono adoperare nella propria strategia di crescita. E’ difficile prevedere quale di questi venti possibili canali di acquisizione clienti sia maggiormente adatto ad una certa startup: è però possibile (e consigliato dall’autore del post) fare delle ipotesi plausibili in merito, fermo restando le difficoltà ad individuare con certezza il canale giusto quando la startup inizia la fase di execution.

3) La maggior parte dei founders di startup ha maggiore familiarità e propensione ad utilizzare alcuni canali di acquisizione clienti, e scelgono questi ultimi in favore di altre traction verticals. Una delle conseguenze più evidenti di questa situazione è che la maggior parte delle startup si concentra su alcuni canali, lasciandone molti altri sottoutilizzati e trascurati.

Entrando nello specifico del Bullseye Framework, l’autore spiega innanzitutto che il processo si compone di cinque fasi e si basa sulla metafora del bersaglio (bullseye): il cerchio interno rappresenta le traction verticals più promettenti, diventando via via meno promettenti man mano che i cerchi si allontanano dal centro.

Entriamo adesso in una spiegazione più articolata delle cinque fasi:

FASE 1 – BRAINSTORMING

Si tratta di passare in rassegna ciascuno dei possibili canali di acquisizione clienti ed effettuare un brainstorming per capire come ogni canale si potrebbe utilizzare in maniera efficace nel momento storico specifico che la startup sta attraversando.

Questo primo step serve a contrastare i pregiudizi e costringe ad analizzare seriamente e meticolosamente ogni possibile traction vertical. Si tratta quindi di una fase che richiede tempi adeguati, ed è inoltre necessario possedere una certa conoscenza di ciascun canale per poter procedere ad una valutazione utile e coerente.
Una volta analizzati pro e contro di tutti i canali, si passa a mappare il mercato cercando di capire quali traction verticals utilizzano i concorrenti, in che modo e con quali risultati.
Infine, bisogna analizzare singolarmente i possibili percorsi ed eventuali test a basso costo che è possibile effettuare per ciascun canale di acquisizione.

La prima fase del Bullseye Framework è quella che richiede tempi più lunghi: secondo Weinberg può impegnare alcuni giorni o settimane.

FASE 2 – RANKING

Si costruisce il vero e proprio “bersaglio” suddividendo i canali di acquisizione clienti in tre colonne:

Colonna A (Inner Circle / Centro del bersaglio): quali traction verticals sembrano più promettenti in questo momento?

Colonna B (Promising / Cerchi intermedi): quali traction verticals potrebbero funzionare?

Colonna C (Long-shot / Cerchi esterni): quali traction verticals sembrano avere minori possibilità di successo al momento?

FASE 3 – PRIORITIZING

In questa fase si stabiliscono le priorità: si torna ad osservare le tre colonne e si ripensa criticamente alle scelte effettuate. Il risultato di questa fase deve essere uno schema in cui si posizionano le prime tre traction verticals nella colonna A, sei canali nella colonna B e il resto nella colonna C.

FASE 4 – TESTING

I tre canali di acquisizione clienti posizionati nella colonna A rappresentano il centro del bersaglio: occorre iniziare una serie di test su queste tre traction verticals, avendo cura che le prove avvengano in parallelo.

FASE 5 – FOCUSING

Se una delle tre traction verticals del centro del bersaglio inizia a dare segni di early traction, significa che la startup ha trovato il canale giusto (per il momento): a questo punto, il consiglio dell’autore è quello di raddoppiare gli sforzi e le risorse su questo canale, cercando di ottenere i migliori risultati possibili in termini di Traction.

Se, invece, nessuna delle tre traction verticals testate sembra funzionare, occorre tornare alla fase 1 e ricominciare il processo, facendo tesoro delle informazioni e dell’esperienza.

In ogni caso, a prescindere che la startup scelga di utilizzare o meno il Bullseye Framework, è fondamentale approcciarsi alla Traction scegliendo un processo strutturato.

 

Per leggere il post originale di Gabriel Weinberg: http://www.gabrielweinberg.com/blog/2013/01/the-bullseye-framework.html

Napoli, 08/08/2014

Consigli alle startup: per raggiungere il successo, bisogna imparare a mantenere il focus e saper scegliere le occasioni giuste

Ty Morse è CEO di Songwhale, startup tecnologica nata nel 2007 che si occupa di soluzioni SMS aziendali e campagne Direct Response a livello nazionale ed internazionale. Di recente, il portale Serious Startup ha pubblicato un suo articolo in cui Morse spiega quanto è importante per una startup in fase early stage mantenere il focus.

La situazione di una startup nelle prime fasi di attività è spesso caotica e condizionata dalla necessità di raccogliere capitali per mettere in pratica l’idea imprenditoriale: in questa fase, il team è portato a “dire sempre di sì” perché ha bisogno di clienti, investimenti, risorse per trasformare l’idea in un business vero e proprio. La voglia di crescere in fretta fa comportare la startup come se chiunque offrisse soldi fosse un potenziale cliente, investitore, partner.

Purtroppo, quello che Morse definisce “l’utilizzo smodato della parola sì” diventa per la startup una vera e propria trappola: rapidamente, ci si rende conto di aver differenziato troppo, proponendo prodotti, opzioni e servizi diversi nel tentativo di compiacere chiunque accenni a un minimo interesse per l’azienda. In pochi anni, la startup rischia di diventare “discreta in troppe cose, piuttosto che ottima in poche”.

La verità, secondo l’autore, è che dire sempre di sì disperde troppo il focus: quando si inizia un’attività imprenditoriale, solitamente lo si fa sulla base di una buona idea. Una startup sa cosa vuole fare, e che Business Model dovrà seguire. C’era un prodotto/servizio principale, una particolare metodologia: insomma, c’era un focus ben preciso e il team era determinato a rispettarlo.

Per avere successo, il consiglio di Morse è quello di mantenere più possibile il focus iniziale, seguendo i seguenti spunti:

La prima cosa da fare è scegliere un modello di business: ovviamente, trattandosi di una startup, il modello iniziale subirà con il tempo delle modifiche. Ma la capacità di adattarsi al contesto è qualcosa che il team di una startup acquisisce rapidamente. Poi, una volta capito come è fatto il mercato e quali sono le opportunità, occorre stabilire un modello di business e perseguirlo.

Per definire il Business Model, la startup deve capire cosa vuole il mercato, perchè i clienti compreranno il prodotto, quanto pagheranno e come è possibile raggiungerli. Potrebbe essere necessario effettuare dei test, ma quando si trova qualcosa che funziona occorre seguire quella strada.

La scelta migliore, quindi, è trovare una o due cose in cui si è davvero bravi e focalizzarsi su queste: in questo modo si può fare esperienza, imparare e costruire il miglior prodotto possibile.
Se si continua a cambiare in base ai “capiricci” di clienti, investitori e partner non si riuscirà mai a raggiungere il massimo.

Infine, Morse consiglia di allontanare i cattivi clienti: probabilmente, questa è la sfida più difficile per una startup. Spesso la paura di perdere clienti e potenziali profitti fa sentire il team quasi obbligato a lavorare con tutti. Ma i cattivi clienti sono un problema: spesso approfittano del bisogno di denaro di una startup, e fanno richieste che possono snaturare il core business.

Il team dovrebbe imparare, quindi, a osservare il ROI: ciò significa considerare i vantaggi e i benefici del lavorare con un potenziale cliente, ed essere pronti a sbarazzarsi di lui qualora non si riescano ad intravedere ritorni significativi.

Ciò che conta per una startup è mantenere il focus sul prodotto, imparando a distinguere le buone occasioni e a lasciar andare le occasioni di distrazione.

Per leggere il post originale: http://seriousstartups.com/2014/08/06/key-to-success/

Napoli, 06/08/2014

Consigli per startup e imprese: adottare un approccio basato sulla trasparenza per ottenere i migliori risultati dal team

Avishai Abrahami è co-founder e CEO di Wix, piattaforma per il web development basata sul cloud che consente ai suoi utenti di realizzare siti web e mobile. Fondata nel 2006, la società ha raccolto un round di finanziamento da 10 milioni di dollari nell’aprile del 2010 e ha la sua sede principale a Tel Aviv, con uffici anche a San Francisco e New York.

Di recente, Entrepreneur ha pubblicato un post di Abrahami incentrato sul concetto della trasparenza, e di come un approccio basato su quest’ultima sia di fondamentale importanza per una startup in fase di crescita: in particolare, secondo l’autore la trasparenza è imprescindibile per i meeting aziendali che una startup dovrebbe organizzare regolarmente per il proprio team, garantendo che gli incontri si svolgano in un ambiente informale e rilassato.

Nella sua esperienza alla Wix, Abrahami ha sempre garantito lo svolgimento di meeting informali tra i componenti del team basati su un clima di onestà e trasparenza: le informazioni sullo stato di avanzamento di qualsiasi campagna di marketing, o dei processi di sviluppo dei prodotti, erano regolarmente messi a disposizione di tutti i membri del team della startup; allo stesso modo, il concetto di trasparenza è espresso anche dall’arredamento degli uffici, dove le pareti sono di vetro.

Abrahami afferma di essere convinto che la trasparenza sia stata il fulcro del successo della sua startup, in quanto ha consentito di ottenere:

1) UNITA’

Quando le startup si trovano in fase di crescita, inevitabilmente si trovano ad affrontare la sfida di dover trasmettere la passione per la mission aziendale a coloro che non facevano parte del team fondatore. La chiave per assicurarsi l’impegno di tutto il team, compresi i nuovi arrivati, secondo l’autore è assicurarsi di dar voce a tutti i componenti della squadra, a prescindere da quando sono arrivati.

In questa situazione la trasparenza gioca un ruolo fondamentale: mantenere informati i dipendenti su tutte le questioni inerenti l’azienda ripaga sempre, perché qualsiasi membro del team potrebbe avere un parere o un’idea che rappresentano un punto di svolta. Anche a livello organizzativo, secondo Abrahami, può essere utile eliminare livelli e divisioni che potrebbero ostacolare il senso di unità all’interno della startup.

Il ruolo dei leader della startup, infine, deve essere quello di mantenere il coinvolgimento del team al completo, dimostrando sempre che ogni membro della squadra è importante e apprezzato: in questo modo sarà più facile per il team far crescere la voglia e l’impegno di lavorare in maniera compatta per raggiungere gli obiettivi dell’azienda.

2) CREATIVITA’

Fin dal primo giorno, spiega l’autore, Wix ha istituito un sistema automatizzato di comunicazione aziendale che informa tutti i membri del team sugli aggiornamenti riguardanti la startup, in tema di prodotti, campagne e vendite. All’interno della sede di Wix sono stati montati degli schermi giganti che mostrano i progetti in corso.

Disporre di un efficiente sistema di comunicazione interna per il personale è fondamentale non solo per una grande azienda, ma anche per una startup, in quanto consente di massimizzare il valore dell’asset più importante: il capitale umano.

Nell’esperienza di Abrahami, è capitato che ottime idee per gli aggiornamenti delle funzionalità provenissero da membri del team addetti al marketing, o che campagne pubblicitarie di successo nascessero da idee stravaganti da alcuni sviluppatori. Non basta, quindi, riuscire ad assumere brillanti talenti nel team della propria startup: bisogna anche massimizzare questi talenti, offrendo loro la possibilità di accesso a tutte le informazioni. E tale possibilità di accesso è ottenibile solo garantendo la trasparenza all’interno del team.

3) RESPONSABILITA’

Quando un’azienda non offre possibilità di accesso alle informazioni, inevitabilmente incorrono in problemi relativi alla responsabilità e si ritrovano in situazioni nelle quali alcuni “puntano il dito” nei confronti di uno o più membri del team. Ad esempio, una decisione relativa ad un’attività specifica potrebbe aiutare lo sviluppo di un certo progetto e, contemporaneamente, danneggiarne un altro. O ancora, i singoli gruppi di lavoro potrebbero lavorare senza conoscere tutte le informazioni utili, perchè solo i dirigenti hanno a disposizione il quadro completo.

In una situazione del genere, chi dirige l’azienda si ritrova a dover incastrare i vari pezzi come se si trattasse di un puzzle e, oltretutto, è l’unico ad avere a disposizione tutte le informazioni per poterlo fare. Il risultato è un team che lavora senza piena consapevolezza e che si ritroverà spesso e volentieri a dire “Come potevo saperlo?”.

Offrire ai dipendenti la responsabilità, derivante dalla trasparenza sulle informazioni, è invece un segnale di stima, rispetto e fiducia: tutti sapranno di essere apprezzati, e saranno invogliati a dimostrare che è stata una buona scelta quella di riporre in loro la fiducia.

Infine, l’autore mette in luce un altro aspetto: lo sforzo di nascondere le informazioni al team, oltre che controproducente, è anche faticoso. La trasparenza, al contrario, è semplice ed efficace, ripaga sempre in termini di coinvolgimento del team e incoraggia il contributo personale che, a sua volta, aumenta la qualità del processo decisionale.

L’articolo originale di Avishai Abrahami è disponibile qui: http://www.entrepreneur.com/article/235873

Napoli, 01/08/2014

Consigli alle startup: come implementare un’efficace strategia di PR fin dalle prime fasi di attività

Shana Starr è Managing Partner presso la LFPR, società di comunicazione globale che si occupa di consulenza in materia di public relations nel settore sanitario, tecnologico e finanziario. Di recente, Entrepreneur ha pubblicato un suo articolo dedicato al tema delle public relations per le startup, nel quale l’autrice offre alcuni consigli ai founder per gestire al meglio questa delicata attività del business.

Le public relations sono infatti un’attività centrale per qualsiasi azienda, ma diventano a maggior ragione di fondamentale importanza in una startup che, all’inizio del suo percorso, deve impegnarsi a fondo per far conoscere il brand, ottenere l’attenzione dei media e guadagnare punti in termini di riconoscibilità e diffusione.

Esistono però delle strategie utili che una startup può adoperare nelle public relations, che Shana Starr elenca nel modo seguente:

1) Be Ready (State pronti)

Il primo passo è essere pronti: se il prodotto non è ancora nella sua versione migliore, non sarà possibile ricevere buone recensioni e difficilmente la stampa parlerà bene di voi. Non c’è niente di peggio, secondo l’autrice, che una cattiva pubblicità da parte dei media: occorre quindi assicurarsi di essere davvero pronti prima di implementare una strategia di public relations.

2) Stabilite la vostra identità

Prima di dire al mondo chi sei, occorre assicurarsi di saper rispondere a questa domanda. Per stabilire l’identità della propria startup, occorre porsi alcune domande: Quali sono i vostri valori? In cosa consiste esattamente la vostra cultura aziendale? Cosa vi differenzia dai concorrenti? State facendo qualcosa che nessun altro ancora fa? Cosa vi rende unici?
Le risposte a queste domande forniscono la precisa identità di una startup: se non siete sicuri delle risposte, è possibile chiedere agli altri come vi vedono. Anzi, può essere molto utile porre queste domande a più persone e prendere nota delle risposte. Se ci sono troppe risposte diverse, vuol dire che la startup ha qualche problema: bisogna risolvere il problema di identità prima di passare allo step successivo, ossia prima di poter raccontare la vostra storia.

3) Condividete la vostra storia

Imparare a comunicare al meglio la storia della propria startup è parte integrante dell’attività di public relations. Dopo aver stabilito la propria identità, è necessario iniziare a lavorare sulla storia, sul racconto della propria startup. Avere una storia da condividere consente alla startup di distinguersi agli occhi dei media, di potenziali investitori e del target di riferimento: diventa quindi fondamentale raccontare chi siete e come avete iniziato.
Lo storytelling consente non soltanto di arrivare più facilmente ai potenziali clienti, ma renderà molto più difficile che le persone si dimentichino di voi.
La storia della startup andrà diffusa sui social, nelle newsletter, durante le interviste, in tutte le opportunità che i founder avranno di parlare in pubblico.

4) Assicuratevi di che il CEO abbia visibilità

Il CEO o il founder di una startup è il portavoce dell’azienda, e svolge pertanto un ruolo fondamentale nel plasmare l’immagine della società, del brand, della cultura. Per questo motivo, lui (o lei) devono essere accessibili, visibili al pubblico: ciò si traduce in una presenza attiva sui social, un rapporto positivo con i media e la capacità di condividere al meglio la storia della startup. La visibilità del CEO consente di accrescere la credibilità e la leadership nel settore, e aiuta anche in termini di networking, rendendo più facile avvicinare le persone giuste per espandere il business.

5) Non sottovalutate l’importanza dei social media

Posizionare il brand in modo che sia al di sopra dei concorrenti è un lavoro impegnativo, lungo e che comprende molte attività differenti. Tra queste, non bisogna mai sottovalutare l’importanza di una strategia social, per rappresentare al meglio il brand, la cultura e i valori della vostra startup.
Secondo Shana Starr la strategia social è fondamentale fin dalle primissime fasi di attività dell’azienda: implementarla in fase early stage significa costruire la propria identità e credibilità nel settore di riferimento, avere la possibilità di raccontare la propria storia e identificare il CEO come opinion leader.
Bisogna quindi dedicare il tempo necessario ai social, impegnarsi direttamente nelle relazioni con fans e followers, rispondere alle domande, condividere informazioni e coinvolgere la community nelle conversazioni.

6) Assumete qualcuno se avete bisogno di aiuto

Nelle fasi iniziali di startup può essere difficile attuare delle forti strategie di public relations: il consiglio dell’autrice è quello di assumere, se necessario, un professionista del settore. La persona scelta per ricoprire il ruolo deve essere entusiasta del progetto, del prodotto o servizio offerto, della vision aziendale: in questo modo, sarà in grado di comunicare in maniera davvero efficace la startup all’esterno. Un professionista del settore PR, quindi, sarà in grado di mettere in atto in maniera ottimale tutti gli step elencati, assicurando una strategia di PR che sia veramente utile alla startup.

Per leggere il post originale di Shana Starr: http://www.entrepreneur.com/article/235339

Napoli, 24/07/2014

Ricerche di mercato e potenziali clienti: quali sono gli errori più frequenti dei founder prima di lanciare il prodotto di una startup?

Eli Portnoy è stato CEO e co-founder di startup come ThinkNear e ha esperienze lavorative in aziende di successo come Amazon. Di recente ha pubblicato un interessante post su Forbes, dedicato ai più frequenti e costosi errori che molti startuppers fanno all’inizio della propria attività imprenditoriale: lo spunto per l’articolo nasce da un suo incontro con il founder di una startup, finanziata da un VC, che si dichiarava profondamente sorpreso per il fatto che il suo prodotto non sembrava essere in sintonia con le esigenze del mercato.

Nonostante avesse, in precedenza, parlato a lungo con molti potenziali clienti, che avevano espresso pareri positivi sul prodotto della sua startup, una volta sul mercato le vendite faticavano a decollare: purtroppo, afferma Portnoy, questa situazione è piuttosto comune tra le startup. I founder, rinfrancati dalle reazioni positive dei potenziali clienti, si sentono sicuri di avere un prodotto di valore, ma si scontrano con una realtà differente una volta sul mercato.

Secondo l’autore, come spesso accade in molti altri ambiti, lavorare sodo non basta se non si lavora anche in maniera intelligente: parlare con molti potenziali clienti può essere uno spreco di tempo e di risorse se non si pongono le domande giuste. Ci sono infatti alcuni problemi “tipici” quando una startup affronta le ricerche di mercato:

1) Leading Questions

Si tratta di domande che potremmo definire “allusive”, nel senso che la maggior parte dei founders di una startup sono talmente convinti che le loro idee siano entusiasmanti da incappare nell’errore di non chiedere ai potenziali clienti se l’idea è buona o meno, bensì fanno domande che sono utili soltanto a convalidare le loro convinzioni. A volte si pongono domande troppo generiche, senza approfondire ulteriormente la questione, con il risultato che il potenziale cliente risponde semplicemente con un “sì” che può indurre il founder a credere che la persona intervistata vorrà acquistare il suo prodotto.

2) Dirty Lab

Quando gli scienziati conducono degli esperimenti in laboratorio, non tengono conto di alcune variabili. Spesso, gli imprenditori si comportano in maniera simile, conducendo le ricerche di mercato in modo tale da non rappresentare effettivamente la realtà, ma eliminando alcune variabili.
Ad esempio, si può evitare di menzionare fattori come il prezzo o l’impiego di tempo, che rappresentano invece delle variabili fondamentali nella decisione di acquisto di un potenziale cliente. In assenza di considerazioni su questo tipo di variabili, è facile per il cliente affermare che acquisterebbe il prodotto: bisogna quindi fare attenzione alle variabili da inserire nelle domande della ricerca di mercato.

3) Agreement Bias

Un terzo aspetto fondamentale che l’autore mette in evidenza è il fatto che, spesso, le persone si preoccupano di comportarsi in modo tale da rendersi gradevoli agli occhi degli altri. A volte è più facile dare una risposta positiva, che faccia piacere all’interlocutore.
Ecco perché bisogna considerare, quando si fa una ricerca di mercato, che spesso un potenziale cliente indeciso preferisce dire di essere interessato ad un prodotto piuttosto che deludere un founder, entusiasta della propria startup.

In conclusione, Portnoy offre alcuni spunti su come ottenere un buon feedback dai potenziali clienti intervistati prima del lancio. Il consiglio è quello di simulare una vera e propria vendita, andare sul mercato e cercare di vendere il proprio prodotto. Non interpellare i potenziali acquirenti chiedendo un feedback, ma semplicemente presentargli il prodotto.
Se sono entusiasti, chiederanno di iscriversi alla landing page per acquistare il prodotto quando sarà sul mercato. E nulla, afferma l’autore, dice che esiste un mercato per un prodotto più della conferma che c’è qualcuno pronto ad acquistarlo.

Per leggere il post originale, il link di riferimento è: http://www.forbes.com/sites/eliportnoy/2014/07/21/costly-mistakes-almost-every-entrepreneur-make/

Napoli, 21/07/2014

Il CFO – Chief Financial Officer: chi è, di cosa si occupa e quando diventa necessario assumerlo in una startup

Jeff Thomson ha recentemente intervistato per Forbes Tridivesh Kidambi, CFO della startup tecnologica CallFire: il tema centrale dell’intervista è capire quando un’azienda necessita di un CFO e cosa significa essere CFO in una startup.

Il CFO (Chief Financial Officer) è il manager responsabile della gestione delle attività finanziarie di un’azienda. Negli ultimi anni la figura del CFO ha assunto un ruolo sempre più rilevante per una startup: il compito centrale del CFO è infatti quello di guidare le decisioni aziendali in maniera efficace, stabilendo su quali opportunità puntare e, di conseguenza, come impiegare il capitale e le risorse per massimizzare le probabilità di successo della startup. Uno dei compiti principali del CFO, quindi, sta nel guidare il focus dell’azienda e della strategia di business.

Interessante è anche la differenza tra il ruolo del CFO in una startup e in un’azienda già consolidata: basandosi sua esperienza, infatti, Kidambi afferma che il ruolo chiave di un CFO all’interno di una startup è quello di costruire l’infrastruttura organizzativa da zero. In un’azienda già consolidata, invece, si presuppone che tale infrastruttura sia già pronta e in grado di fornire le risorse necessarie in termini, ad esempio, di risorse umane, IT, sistemi e processi, etc.
Quando si è CFO di una startup, invece, occorre rimboccarsi le maniche e dare la migliore direzione possibile alla strategia aziendale, in modo tale da rendere il business scalabile e costruire sistemi e processi in grado di supportare la crescita futura.

Riguardo alle competenze necessarie ad un buon CFO per una startup, Kidambi afferma che sono fondamentali la capacità di comunicare in maniera efficace e la logica decisionale. Questo perchè, quando ci si occupa di aspetti finanziari, non basta costruire un modello finanziario integrato o prendere decisioni stratgiche in materia: occorre saper spiegare quali sono le motivazioni alla base di ciascuna decisione, e quali sono le implicazioni per ciascuno degli stakeholders coinvolti. Per guadagnare e mantenere la fiducia dell’organizzazione per cui lavora, infatti, il CFO deve saper essere onesto e trasparente sul come e sul perchè delle decisioni prese, e concentrarsi sull’approccio collaborativo che permetta a tutti gli stakeholders di raggiungere gli obiettivi alla luce del modello finanziario costruito per l’azienda.

Entrando più nello specifico della sua esperienza a CallFire, Kidambi spiega il rapporto con i founder della startup e cerca di aiutare i lettori a capire come individuare il momento giusto per assumere un CFO. Prima di tutto, nel rapporto tra CFO e founder risultano fondamentali la comunicazione e la trasparenza: bisogna sempre essere aperti al confronto con i founder, che conoscono la startup meglio di chiunque altro. Il ruolo del CFO è quindi quello di collaborare allo sviluppo di un progetto cercando di razionalizzare gli aspetti finanziari di un percorso che i founder hanno già in mente.

Riguardo invece al momento giusto per una startup di assumere un CFO, Kidambi afferma che all’inizio le responsabilità inerenti gli aspetti di gestione finanziaria sono condivise tra il team executive e quello finance. Quando, però, la startup inizia a crescere e raggiunge la scalabilità, anche le funzioni relative alla finanza, alla tesoreria, alla contabilità devono essere messe a fuoco in maniera più specifica e precisa. In questo caso diventa importante avere in squadra un CFO, che riesca a gestire gli aspetti finanziari di una startup preoccupandosi del successo futuro dell’azienda.

Il ruolo del CFO è ancora più importante in una situazione economica come quella attuale, caratterizzata da continui e repentini cambiamenti: chi si occupa degli aspetti finanziari dell’azienda deve infatti avere una visione a 360° su tutto ciò che accade nell’organizzazione, occupandosi inoltre di costruire connessioni tra le varie parti di cui l’azienda si compone, offrendo idee e soluzioni creative a sfide che a volte la startup non sa nemmeno di dover affrontare.

A differenza di quanto accadeva in passato, quando gli aspetti finanziari venivano presi in considerazione solo dopo aver preso le decisioni, la gestione finanziaria oggi è vista come parte integrante dell’azienda e del team, che tiene sempre in considerazione il punto di vista finanziario di qualsiasi questione. Il ruolo del CFO non è più quello di dire sì o no ad una decisione già ampiamente discussa, oggi il CFO viene interpellato fin dall’inizio.

Per essere un buon CFO per una startup, Kidambi consiglia di impiegare tempo e buona volontà ad imparare più possibile sul settore di riferimento dell’azienda. Bisogna imparare a capire il punto di vista degli operatori del settore e, solo a questo punto, si può dimostrare loro quanto gli aspetti finanziari possano avere un impatto positivo sulla loro attività. La fiducia e il rispetto dei founder sono assolutamente imprescindibili per il CFO.

Infine, Kidambi dà un consiglio ai giovani che vorrebbero diventare CFO in una startup: dire sempre di sì. Anche se la richiesta è totalmente estranea ai propri compiti, o in generale non rientra negli aspetti strettamente finanziari, potrebbe trasformarsi in un’opportunità per costruire la fiducia con qualcuno all’interno del team, o potrebbe essere la base per creare una connessione significativa. Occorre imparare il business, non fermarsi ai numeri: il contributo di un buon CFO va infatti al di là del bilancio, ma può essere un modo per costruire l’azienda e plasmare il business.

Il post originale è disponibile qui: http://www.forbes.com/sites/jeffthomson/2014/07/15/why-a-startup-cfo-is-like-a-personal-trainer/

Napoli, 15/07/2014

1 2 3 4 5 6 7