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Tag: customer loyalty

Come gestire la customer influence: la strategia social basata sul “4 Gears Model” di Geoffry Moore

Con lo sviluppo e la diffusione globale delle tecnologie digitali, il ruolo ed il comportamento dei clienti è radicalmente cambiato: grazie ai social media, le persone hanno accesso ad un numero molto più elevato di informazioni e hanno la possibilità di mantenersi in contatto in maniera più semplice ed immediata con familiari e amici rispetto al passato. Il risultato di questo processo, di grande importanza per le imprese, è che siamo in un’epoca che è possibile definire “the golden age of customer influence”.

Ne deriva la necessità per imprese e startup di adattarsi al meglio a questa nuova realtà, cercando di rispettare e sfruttare il grande potere che oggi è nelle mani dei clienti: il problema è che troppo spesso le aziende cercano di adattarsi ad una situazione totalmente nuova con metodi tradizionali, basandosi sul percorso strategico di acquisizione/monetizzazione.

Una strategia del genere è troppo semplice per l’attuale situazione in cui si trova il mercato globale: la soluzione per ottenere una strategia efficace e sostenibile può essere quella di applicare il “4 Gears Model” teorizzato da Geoffry Moore (autore di alcuni importanti libri sul tema dello sviluppo tecnologico e delle strategie di mercato, tra cui “Crossing the Chasm”).

Il modello di Moore fornisce infatti un modello affidabile per adattare le strategie imprenditoriali all’attuale social marketplace, in cui l’obiettivo strategico fondamentale che l’azienda deve perseguire è quello di costruire e “far girare” contemporaneamente i quattro “ingranaggi” previsti dal modello.

Il punto di partenza sulla base del quale Moore ha costruito il suo modello è, infatti, l’ampia diffusione dei social: grazie a questi strumenti, i clienti possono condividere un’enorme quantità di contenuti sul web. La strategia social implementata dall’azienda deve essere in grado di adattarsi a tale circostanza, cercando di trarne vantaggio: ciò significa che l’azienda deve guidare un percorso di creazione e crescita di una base di clienti fidelizzati, con i quali costruire delle relazioni durature.

Per ottenere una strategia di questo tipo, che sia efficace e sostenibile, non basta più (come accennato) limitarsi al modello acquisizione/monetizzazione: occorre implementare un sistema di quattro “ingranaggi” interdipendenti sui quali lavorare.
I quattro “ingranaggi” cui Moore si riferisce sono:

1) Acquisition: è il meccanismo che consente all’azienda di attrarre e mantenere nuovi clienti. Si tratta della leva “di partenza”, il primo “ingranaggio” su cui implementare l’intera strategia social. Inoltre, l’Acquisition va di pari passo con il secondo ingranaggio previsto dal modello, l’Engagement.

2) Engagement: è il processo che, in prospettiva, costruisce e mantiene viva la fedeltà a lungo termine della clientela.

L’Engagement è il primo passo per costruire relazioni con i clienti acquisiti, e lo scopo è quello di instaurare rapporti basati sulla fedeltà al brand: è un processo che richiede tempo e attenzione basato sulla reciprocità della comunicazione tra i clienti e con i clienti, ma bisogna fare attenzione a configurarla in modo tale che i clienti non siano considerati semplicemente obiettivi per l’acquisizione di nuove entrate. L’Engagement è infatti un processo di comunicazione trasparente e autentico tra il brand e i clienti, basato sulla fiducia e sulla necessità di costruire un rapporto brand-cliente forte e duraturo.

Per capire lo stretto legame che intercorre tra le prime due leve (o ingranaggi) è importante osservare la differenza tra social network e community: entrambi sono utili per guidare l’interesse e accrescere la consapevolezza dei clienti, ma i social network (ad esempio Facebook, Twitter e LinkedIn) nascono sulla base di relazioni interpersonali pre-esistenti tra le persone, mentre le community (ad esempio YouTube, Instagram e Pinterest) si basano sugli interessi comuni tra i partecipanti.
Per questo motivo, i social network sono utili in fase di Acquisition perchè offrono una grande opportunità di visibilità per il marchio e per l’azienda, mentre le community sono indispensabili per l’Engagement, in quanto sono più focalizzate su interessi particolari e offrono contenuti più rilevanti per i clienti.

Una volta messi in moto i meccanismi dell’Acquisition e dell’Engagement, i clienti diventano dei veri e propri partner dell’azienda, impegnati nella crescita del brand: a questo punto è possibile per l’azienda passare agli “ingranaggi” successivi, creando clienti fidelizzati in grado di co-costruire il successo dell’azienda (Enlistment) e costruendo un meccanismo sostenibile per il successo economico del business (Monetization).

3) Enlistment: è un ambiente che consente ai clienti di partecipare al business in maniera innovativa, attraverso il quale l’azienda può acquisire nuovi clienti e generare idee per nuovi prodotti.
Si tratta di un processo che comporta il coinvolgimento dei clienti nel business, basato sulla collaborazione e l’apprendimento reciproco tra brand e clienti in modo tale da ottenere un valore altrettanto reciproco.
Gli strumenti più utili per mettere in funzione l’ingranaggio di Enlistment sono la co-creation e la gamification: la co-creation è un vero e proprio processo di “arruolamento” dei clienti che collaborano alla condivisione e creazione di contenuti. La gamification è un sistema che il brand può utilizzare per coinvolgere i clienti che non hanno alcun obbligo di collaborazione: si utilizza il gioco per incoraggiare comportamenti prevedibili e produttivi del cliente/giocatore. In questo modo, i clienti vengono coinvolti attraverso un meccanismo di crowdsourcing che può riguardare svariati aspetti, dal servizio clienti all’innovazione di prodotto: in cambio, i clienti/giocatori ottengono punti e altre tipologie di premi e vantaggi.

4) Monetization: è la leva che definisce e quantifica la performance aziendale, ed è assolutamente necessario che i primi tre ingranaggi siano messi in moto e funzionino a pieno regime per ottenere dei risultati a lungo termine in chiave “Monetization”.
L’arruolamento dei clienti social che hanno attraversato le prime tre fasi del modello consente all’azienda di creare user-generated-content, costruire una base di conoscenza condivisa, accrescere il passaparola: tutti questi aspetti sono indispensabili per il successo aziendale, ma è difficile quantificare il loro impatto sul ROI dell’azienda.
Per ottenere dei buoni risultati occorre riuscire ad integrare nella migliore maniera possibile la social strategy con i “monetizazion engines”, ad esempio l’e-commerce o i sistemi CRM, che consentono di convertire le vendite in ricavi.

La strategia social, per essere sostenibile, deve quindi prevedere il funzionamento di tutti e quattro gli “ingranaggi”. Questi ultimi, inoltre, devono muoversi in maniera interdipendente per poter garantire il successo dell’impresa a lungo termine. Una strategia basata sul 4 Gears Model implementata in maniera corretta consente ai clienti di partecipare attraverso i social, aiutando l’azienda nella creazione di contenuti attendibili, rimanendo fedeli più a lungo e consentendo di reclutare nuovi clienti.
Il risultato di una strategia social efficiente è l’aumento delle vendite, la crescita dei margini e un vantaggio competitivo forte e duraturo.

Fonti:

Per maggiori informazioni sul “4 Gears Model”:

Napoli, 28/04/2014

Il branding e la relazione con il cliente: i consigli a startup e imprese per ottenere dei “Die-Hard Followers”

Luke Summerfield è responsabile dell’Inbound Marketing a Savvy Panda, agenzia specializzata in consulenza aziendale che lavora ogni giorno per costruire casi di successo di imprese non profit, e-commerce e tecnologiche.
Un suo interessante post, pubblicato qualche giorno fa da Entrepreneur, è dedicato al tema del Branding e a come sia possibile costruire un marchio che riesca ad attrarre i cosiddetti “Die-Hard Followers”, ossia delle community di seguaci “irriducibili” che diffondono la cultura del marchio.

Nel suo post, Luke Summerfield cerca proprio di spiegare come è possibile per un brand strategist costruire una community in cui siano presenti e numerosi i Die-Hard Followers: punto di partenza dell’autore è spiegare esattamente cosa si intende con la parola “Branding”.

Il Branding è il processo attraverso il quale si formano ricordi, emozioni e una vera e propria relazione tra il marchio e il cervello del consumatore. Obiettivo di una strategia dedicata al brand è quello di costruire tale relazione in modo tale che il legame sia talmente forte da far assumere al consumatore l’identità del marchio come se fosse la sua. Il brand deve diventare lo strumento del quale il cliente si serve per aiutare se stesso a definirsi come individuo.

Un esempio di grande successo nel branding è Harley Davidson: sono stati capaci di costruire una relazione così forte con i clienti che molti di loro si fanno chiamare “Harley Rider”, si vestono con abbigliamento e accessori del marchio e sono addirittura disposti a tatuarlo in maniera permanente sulla pelle.

Creare relazioni di questo tipo non è assolutamente semplice ed è un processo che richiede molto tempo: tuttavia, Summerfield suggerisce alcune strategie utili per iniziare a sviluppare con i propri clienti delle relazioni tali da trasformare questi ultimi in veri e propri sostenitori del brand.

1) “Brandizzare” i propri clienti: una delle azioni più potenti per creare un brand “potente” è partire da tutti i dipendenti e i clienti, promuovendo il proprio marchio come un simbolo di appartenenza ad una “tribù” molto esclusiva. In questo processo è fondamentale creare nel cliente la sensazione di essere coinvolti in qualcosa di grande, di importante che li rende migliori per il solo fatto di farvi parte.

Savvy Panda, ad esempio, invia ad ogni nuovo cliente un dono di benvenuto con adesivi, gadget, e un panda di peluche.

2) Praticare atti casuali di gentilezza: si tratta di impostare dei veri e propri programmi di “random acts of kindness”, offrendo ai clienti qualcosa di inaspettato: si tratta di un modo per scatenare una profonda emozione nel cliente. Ad esempio, è possibile individuare i clienti più attivi ed inviare loro un omaggio, specificando che lo ricevono proprio perchè sono tra i clienti migliori dell’azienda.

Un’altra possibilità è quella di individuare gli influencers nella community dei clieni e offrirgli la possibilità di visitare l’azienda per conoscere chi c’è dietro il brand.

3) Andare oltre il digitale: è facile mantenere la comunicazione con i clienti attraverso mezzi esclusivamente digitali, come le e-mail o i canali social. TUttavia, le comunicazioni digitali non sono in grado di attivare la produzione di ossitocina, una componente chiave nel processo di brand building. L’ossitocina è una sostanza chimica che il cervello umano rilascia soltanto quando interagiamo personalmente con gli altri, ed è alla base della creazione di emozioni e ricordi.

Ecco perché diventa fondamentale fare uno sforzo supplementare (in termini di costi e di tempo) per comunicare con i clienti anche attraverso canali telefonici o di persona.

4) Personalizzare: come ha detto Dale Canergie, “Il suono più dolce in qualsiasi lingua è il proprio nome”. Utilizzare il nome del cliente all’interno delle comunicazioni rende il messaggio molto più potente: occorre tenerne conto, ad esempio nella gestione della customer service e nei messaggi inviati alla clientela attraverso il web.

Oltre al nome, è fondamentale cercare di conoscere gli interessi e gli hobby del cliente per provare a personalizzare sempre di più i messaggi: può sembrare una procedura difficilmente scalabile, ma in realtà la raccolta dati oggi è molto più semplice di quanto di pensi.

In conclusione, il branding è sicuramente un’attività impegnativa e onerosa, di lungo termine, che richiede un’accurata pianificazione ed una fiducia incrollabile nel proprio marchio: ma i benefici per l’azienda che riesce ad ottenere dei Die-Hard Followers altamente fidelizzati al brand sono alti, ed è per questo motivo che i Die-Hard Followers sono l’obiettivo cui ogni marketer aspira.

Per leggere il post originale di Luke Summerfield: http://www.entrepreneur.com/article/232805

Napoli, 07/04/2014

Startup product-based: una serie di consigli per le migliori strategie di pricing

E’ tutto pronto: hai l’idea, il business plan e il prototipo del tuo prodotto. Ma sai come gestire al meglio le strategie di pricing? Alex Mitchell, co-founder di Young Brits Network (impresa sociale che si occupa di costruire un network per la promozione e il sostegno dei giovani talenti imprenditoriali britannici a livello internazionale) e tra i più influenti collaboratori di IoD (Institute of Directors), organizzazione fondata nel 1903 nel Regno Unito allo scopo di stabilire standard e direttive per le imprese, ha pubblicato sul sito www.iod.com una serie di interessanti consigli alle startup per stabilire il prezzo giusto per i propri prodotti.

1. Se il tuo business si basa su un prodotto, controlla attentamente i prezzi dei tuoi concorrenti

Un’impresa business-to-consumer deve sapere esattamente quanto i propri potenziali clienti sono disposti a pagare, quindi è necessario mettere sul mercato il proprio prodotto e fare domande a riguardo. Non basta una foto, la gente deve poter vedere, sentire, gustare, toccare il prodotto e solo allora sarà possibile chiedere quanto sarebbero disposti a pagare per averlo.

2. I sondaggi on-line possono aiutarti a sondare l’opinione dei consumatori

E’ possibile affidarsi a servizi gratuiti come quelli offerti da Survey Monkey, oppure controllare i risultati dei sondaggi di LinkedIn. Si può anche provare a chiedere l’opinione di parenti e amici, ma Mitchell racconta che nella propria esperienza questi ultimi sono propensi a dare pareri positivi. Quindi, il consiglio è quello di assicurarsi di chiedere risposte e pareri alle persone giuste: solo i potenziali clienti potranno dare risposte veritiere ed utili a stabilire i livelli di prezzo.

3. Assicurati di coprire i costi al di là di quelli di produzione

Non basta tener conto dei costi di produzione nel determinare i prezzi di un nuovo prodotto: è indispensabile tenere in considerazione anche i costi in termini di tempo, di marketing, di progettazione e non dimenticare spese di spedizione ed imballaggio.

4. Mantenere la mente aperta

Quando un business di basa sulla proprietà intellettuale o sulla fornitura di servizi, o quando si ha a disposizione una certa esperienza, secondo Mitchell è più facile trovare un livello di prezzo adeguato. Ma questo non è il caso di una startup product-based: bisogna quindi essere creativi anche nella definizione delle strategie di pricing.
L’autore del post consiglia, ad esempio, di mantenere all’inizio un prezzo un po’ più basso di quello dei concorrenti, oppure di affidarsi sinceramente ai clienti chiedendo loro di pagare quanto ritengono meriti il prodotto offerto. Si tratta di una possibilità basata sulla fiducia dei clienti, che si ricollega al punto seguente.

5. Costruire la customer loyalty

Ci sono aziende (Mitchell cita a titolo di esempio King of Shaves e Bean & Ground) che hanno costruito un rapporto di fiducia con i propri clienti assicurandosene la fedeltà a lungo termine, basandosi anche e soprattutto sulla stabilità di prezzi e costi.
King of Shaves, ad esempio, è una società che vende rasoi ed altri prodotti per la rasatura: ha creato un club per i propri clienti, che pagano un abbonamento mensile. In maniera simile, Mitchell racconta di come Bean & Ground consegni caffè a domicilio ai propri clienti grazie ad una piattaforma basata su abbonamenti mensili. Iniziative di questo genere permettono all’azienda di sapere in anticipo di che quantità di prodotto avranno bisogno per soddisfare la domanda e il risparmio conseguente viene trasferito ai clienti, che beneficiano di prezzi più convenienti.
In tal modo, la startup può costruire fiducia, lealtà e valore per se stessa e per i propri clienti e, allo stesso tempo, stabilire un’efficace strategia di pricing.

Napoli, 21/11/2013