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Prosper Startup Accelerator: 50K e tre mesi negli USA per le migliori donne startupper. Deadline 23/10/2015

Prosper Startup Accelerator è alla ricerca delle migliori startup del mondo guidate da donne, da inserire nel suo programma di accelerazione Spring 2016 presso la sede della struttura a St. Louis (USA): l’iniziativa, nata nel 2011 per facilitare l’accesso al mondo dell’imprenditoria innovativa da parte di startupper donne, propone un programma di accelerazione trimestrale e l’accesso a seed investment da 50.000$ per ciascun progetto selezionato.

prosper

Le application sono aperte a startup women-led, nelle quali almeno una delle posizioni di leadership ed una significativa percentuale del capitale siano in mano ad una donna. I progetti imprenditoriali di Prosper Startup Accelerator dovranno essere in fase early-stage e con focus su una delle seguenti aree:

1. Technology
2. Health Care
3. Consumer Products

Nello specifico, saranno tenute in particolare considerazione le startup con progetti in possesso dei seguenti requisiti:

Un prodotto o servizio potenzialmente in grado di avere una crescita significativa,
Rivolto ad un target di mercato considerevolmente ampio,
In grado di risolvere un problema sostanziale per il cliente,
Che abbia già le prime metriche in termini di traction e customer engagement.

Per partecipare alle selezioni è necessario compilare il form di application on-line disponibile qui entro la deadline fissata al 23 ottobre 2015. Durante la prima settimana di novembre, saranno identificati i finalisti che presenteranno il proprio pitch il 19/11/2015 (nella sede di St. Louis o in videoconferenza).

Tra le startup finaliste, infine, saranno selezionate le vincitrici che avranno accesso ai seguenti premi:

50.000$ seed suddivisi in due tranches, di cui una al momento dell’insediamento e l’altra al termine del percorso di accelerazione;
percorso di accelerazione della durata di 3 mesi a St. Louis, con possibilità di accesso al Prosper Startup Accelerator Fund.

Il programma di accelerazione Prosper Startup Accelerator – Spring 2016  partirà il 19 gennaio 2016, per concludersi con un Demo Day finale previsto il 6 aprile 2016.

Per maggiori informazioni: http://www.prosperstl.com/

Napoli, 12/10/2015

The Startup Framework: sei passi per convalidare il prodotto senza investire capitale

Mitchell Harper è CEO di Capital H Labs, startup studio che si occupa di prodotti e strumenti utili alle nuove aziende nel loro percorso di crescita, ed è co-founder di Bigcommerce, startup fondata nel 2009 che conta oggi oltre 100.000 clienti e 500 dipendenti. Sul portale Medium ha recentemente pubblicato i suoi consigli per le startup, con particolare riferimento ad un framework in 6 fasi da utilizzare allo scopo di convalidare l’idea prima di iniziare ad investire denaro nel progetto.

Secondo Harper, sono essenzialmente due le attività da svolgere in una startup prima di lanciare il prodotto:

1) validare il bisogno del prodotto,
2) creare un prodotto che risponda al bisogno riscontrato.

La validazione del prodotto è essenziale per una startup: senza un’adeguata validazione del prodotto rispetto al mercato di riferimento, infatti, si rischia di ritrovarsi tra le mani un prodotto per il quale nessuno sarà disposto a pagare. Ciò significa bruciare un sacco di risorse in termini di tempo, lavoro e denaro, per non parlare degli strascichi che il team porta addosso dopo un fallimento.

Ecco perchè il team di Harper ha realizzato un vero e proprio framework, un canovaccio di attività da seguire ed implementare prima di investire anche un solo euro in una startup: vediamo quali sono le fasi che lo compongono.

FASE 1 – Identificare il problema, non la soluzione

Lo scopo è quello di riuscire a spiegare in maniera chiara ed articolata un problema che si verifica regolarmente per voi e/o per gli altri. Attenzione: in questa fase occorre concentrarsi esclusivamente sul problema, la soluzione sarà in un secondo momento.
Bisogna riuscire a descrivere il problema in una frase, più semplice possibile, ad esempio:

– Non è possibile continuare a mantenere un contatto con la clientela una volta che lasciano il ristorante;
– La progettazione grafica di qualità professionale per i social media è troppo difficile.

In conclusione, si avrà l’idea solo quando si sarà in grado di articolare il problema in una frase unica, semplice ed efficace.

FASE 2 – Determinare se si tratta o meno di un problema di primo livello

Identificare i problemi è piuttosto semplice, ce ne sono ovunque: ciò che davvero una startup deve riuscire a fare è identificare un problema “di primo livello”. Per problema di primo livello si intende che quello che si sta cercando di risolvere rappresenta uno dei tre problemi più importanti che i potenziali clienti stanno vivendo.

Prendiamo, ad esempio, il caso in cui il nostro cliente target sia il CEO di una piccola impresa. I primi cinque problemi del target di riferimento potrebbero essere i seguenti:

1. Generare più vendite
2. Far funzionare in maniera efficiente il marketing (assumere un responsabile marketing)
3. Esternalizzare (outsurcing) il payroll ed i benefit
4. Migliorare la product selection
5. Avviare una campagna social efficiente, investendo in Facebook Ads

Se la nostra startup sta cercando di lanciare sul mercato un social media tool, è evidente che il CEO di una piccola impresa non dovrebbe essere il suo target di riferimento: il problema dei social media, infatti, non è tra i primi tre della sua lista, bensì si trova al quinto posto. I CEO di una piccola impresa saranno, quindi, troppo impegnati a risolvere i primi tre problemi per interessarsi sufficientemente al prodotto della startup in questione.

Questo ragionamento è spesso difficile da accettare per i founder di una startup, che sono convinti di avere il miglior prodotto possibile da offrire: la verità è che bisogna identificare il proprio target in maniera più efficace, costruendo un vero e proprio profilo/base di chi è interessato ad acquistare il prodotto. Ad esempio, identificando le dimensioni dell’azienda, il ruolo, la localizzazione ed il settore di riferimento.

Una volta costruito il profilo-base del potenziale cliente target, è utile costruire una lista di almeno 20 persone che soddisfano i requisiti (ad esempio, basandosi sui profili LinkedIn). A questo punto, occorre inviare un messaggio ad ognuno dei nomi presenti nella lista per proporre una breve chiamata conoscitiva, allo scopo di effettuare una ricerca di mercato.

Quando si scrive il messaggio occorre tenere ben presenti alcuni brevi ed efficaci consigli offerti da Harper: essere brevi e andare dritti al punto, specificare il giorno e l’ora in cui si vuole effettuare la chiamata, costruire una lista di almeno 3 volte il numero di persone che si desidera effettivamente intervistare.

Una volta giunti a questo punto, si avrà a disposizione una lista di potenziali clienti che realmente vivono il problema identificato: si può dunque procedere con le interviste, che dovranno essere costruite in modo tale da convalidare alcuni elementi.

Al termine delle interviste dovranno essere ben chiari i seguenti punti:

1. Il modo in cui si sperimenta il problema
2. Quanto è effettivamente sentito il problema (è un problema di livello 1?)
3. Come cercano di risolvere il problema attualmente
4. Sarebbero disposti a pagare per una soluzione?

FASE 3 – Identificare correttamente le soluzioni attualmente esistenti

Tra le informazioni di cui si dispone dopo aver effettuato le interviste, ci sarà un’idea ben chiara del modo in cui attualmente è possibile risolvere il problema. Ad esempio, gli intervistati potrebbero nominare specifici prodotti o aziende a cui fanno riferimento. A tal proposito, l’autore mette in guardia da un possibile e diffuso errore in fase di intervista: non bisogna chiedere nello specifico “quale prodotto utilizza al momento per affrontare il problema?”, ma mantenersi su un generico “in che modo affronta il problema attualmente?”.

Solitamente, una startup cercherà di risolvere un problema che già altre aziende provano a risolvere: ciò può accadere in un mercato abbastanza grande, con un problema di livello 1 che almeno un concorrente attualmente risolve in maniera efficace (ciò può significare che esiste traction, che ha raccolto fondi, che è in attività da alcuni anni, che è in fase di crescita, etc).

Se non esiste nessuno che sta cercano di risolvere quello specifico problema, invece, bisogna fare attenzione: nella maggior parte dei casi significa che non esiste un mercato di riferimento, o che non è abbastanza grande da giustificare un investimento.

FASE 4 – Cercare i difetti delle soluzioni esistenti

Che ci siano o meno dei prodotti che attualmente risolvano in qualche modo il problema, lo step successivo consiste nel capire quali sono i difetti dell’attuale processo di soluzione del problema.

Se c’è già un prodotto concorrente, lo scopo deve essere quello di capire in che modo la nostra startup può riuscire ad offrire qualcosa di diverso e maggiormente efficace: non basta una semplice differenza, occorre che sia una differenza che rende la nostra soluzione migliore di quella dei concorrenti.

Se non c’è un prodotto concorrente vero e proprio, ma un processo composto da una serie di prodotti, servizi, modalità che gli intervistati utilizzano, è utile capire bene di cosa si tratta per capire quali siano i difetti di questo processo (tempi, complessità, costi, frustrazione).

Lo scopo finale della fase 4 è quello di riuscire ad articolare chiaramente in che modo la nostra soluzione è migliore rispetto agli attuali prodotti/processi utilizzati.

FASE 5 – Verificare se esiste un budget per la soluzione

Se esistono già dei prodotti concorrenti, è possibile osservare e studiare i loro dati in termini di traction: stanno crescendo rapidamente? Hanno un sufficiente volume di clienti? Hanno chiuso con successo operazioni di fund raising? Stanno assumendo personale?

Se ci sono dei segnali di crescita per i concorrenti, significa che questi ultimi hanno un buon prodotto, che sta generando entrate e per cui ci sono dei clienti disposti a pagare. Il che significa che qualcuno ha un budget assegnato per prodotti di questo tipo.

A questo punto può essere utile effettuare alcune interviste di follow-up (possono bastarne 10) per chiedere un parere sul prezzo che sarebbero disposti a pagare per una soluzione al problema che hanno dichiarato di vivere. Questa seconda tornata di chiamate potrebbe essere strutturata nel modo seguente:

ricapitolare il problema,
spiegare la nostra soluzione, focalizzandosi sul perché è migliore di quelle attuali,
chiedere quanto sarebbero orientativamente disposti a pagare per la nostra soluzione.

FASE 6 – Utilizzare le informazioni ottenute per stabilire una roadmap

Una volta identificato il problema, la soluzione, il potenziale mercato di riferimento, la concorrenza, il vantaggio competitivo e il prezzo è possibile prendere una decisione definitiva: avviare o meno una startup?

Se si decide di avviare una nuova impresa, è possibile compiere i successivi passi come la pianificazione del prodotto e la costruzione del MVP. Ma, nella definizione della sua roadmap con tutte le attività e gli obiettivi, la startup prenderà il via con il vantaggio essere riusciti a validare il prodotto senza aver investito capitale, grazie al framework proposto da Harper.

Per leggere il post originale: https://medium.com/swlh/the-startup-framework-to-validate-your-idea-before-you-spend-1-5c475a3bbd6f

Napoli, 09/10/2015

Affrontare le paure per superare gli ostacoli e raggiungere il successo: Startup Tips for Growth

Pubblicato dal portale Entrepreneur, segnaliamo oggi un interessante contributo firmato da Kimanzi Constable (autore, speaker, life e business coach) incentrato sul tema delle paure che possono rallentare la crescita di una startup e, in generale, di un’attività imprenditoriale.
Spesso, infatti, startupper e imprenditori hanno delle paure (derivanti da credenze autolimitanti, o da esperienze negative vissute in passato), che devono essere combattute per permettere all’azienda di “fare il salto” verso lo step di crescita successivo.

In particolare, nel suo articolo Constable analizza tre tra le paure più diffuse tra startupper e imprenditori:

1) Il nostro business non decollerà se alziamo i prezzi

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I prezzi di prodotti e servizi non possono essere prefissati, ma derivano da un continuo work in progress: l’unico modo per sapere davvero quanto far pagare i nostri prodotti/servizi è effettuare dei test. In molti casi, però, il business non arriva nemmeno alla fase di test per la paura di aumentare i prezzi.

La paura di imporre prezzi troppo alti può bloccare la crescita dell’azienda: si rischia infatti di incappare nell’errore di non far pagare il giusto prezzo per il valore offerto. Mai aver paura di far pagare il prezzo più equo, per un servizio o prodotto di valore!

In particolare, bisogna tener conto della risorsa tempo. Il tempo è l’unica cosa che non torna indietro, ed è per questo che è il tempo impiegato per il nostro prodotto/servizio deve essere la voce con prezzo più alto nel nostro business.

2) Concentrarsi su una nicchia di mercato ci farà perdere terreno

Hand pinning a sticky note in the center of a customer target on cork board

Anche se l’autore si dice convinto che essere troppo concentrati sul “micro” non è la strada giusta, è comunque importante tener sempre presente il grande valore aggiunto che può offrire il concentrarsi su una particolare nicchia di mercato.

Quando si riesce a capire precisamente che c’è un gruppo specifico di clienti da poter servire, si hanno anche le informazioni utili per poterli raggiungere: diventa possibile, infatti, capire dove si trovano i potenziali clienti, sia on-line che off-line.

In questo caso è più semplice capire dove e come indirizzare gli sforzi di marketing, per ottenere la miglior risposta possibile dal target di mercato: concentrarsi su una nicchia consente quindi di ottenere buoni risultati, soprattutto per una startup nelle fasi iniziali.

3) Non avremo mai successo se non imitiamo i leader del settore

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Internet e i social media hanno dato accesso ad una serie di informazioni che in passato erano nascoste: oggi è facile vedere cosa fanno i leader di settore, quali strategie applicano, in che modo raggiungono gli obiettivi.

La modellazione è sicuramente una pratica che, implementata nel modo giusto, aiuta ad imparare da chi ha successo: ma modellarsi non significa copiare. Purtroppo oggi molti imprenditori copiano il modello dei leader di settore, senza rendersi conto che non è una strategia utile: perché dovrei acquistare una copia, se posso avere direttamente l’originale?

Bisogna quindi superare la paura che ci vuole come degli imitatori dei leader di mercato: uno startupper deve avere le carte in regola per costruire il proprio business di successo basandosi sulle proprie caratteristiche e sui propri punti di forza. Il modo migliore per raggiungere il cliente e mostrargli le nostre peculiarità.

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Infine, Constable offre qualche suggerimento per superare le paure tipiche di ogni startupper e imprenditore: affrontare le sfide di tutti i giorni cercando di essere sempre onesti con se stessi, guardando con chiarezza ed obiettività alle strategie e ai risultati, applicando le correzioni e le modifiche necessarie quando ci si rende conto che le cose non stanno andando come dovrebbero.

Per leggere il post originale: http://www.entrepreneur.com/article/244174

Napoli, 14/09/2015

Da startup ad azienda globale: consigli utili per il processo di internazionalizzazione

Johan Botes è founder di Consilia, startup sudafricana nata nel 2012 che si occupa di consulenza ERP che ad oggi conta diverse filiali nel Regno Unito, in Medio Oriente e in Australia. Per il prossimo anno, inoltre, l’azienda ha in programma di espandersi negli Stati Uniti: nel corso degli ultimi tre anni, quindi, il business è decisamente cresciuto a livello globale.

Attraverso un post pubblicato su Ventureburns, Botes racconta la sua esperienza con Consilia e offre ai lettori alcuni preziosi consigli che riguardano il tema dell’internazionalizzazione del business: vediamo più da vicino le “5 lezioni” che l’autore elenca nel suo articolo. 

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1) Ritagliarsi una nicchia di mercato

Alcuni anni fa, Botes si è reso conto che il mercato sudafricano stava iniziando a diventare saturo di consulenti SAP, mentre cresceva la domanda di competenze ERP che, invece, scarseggiavano. L’ipotesi fatta dall’autore fu quella secondo cui le competenze ERP erano scarse non soltanto nel suo Paese, ma anche in altri Paesi del mondo: aveva trovato una nicchia di mercato in cui inserire il suo business, e si trattava di un mercato potenzialmente internazionale.

2) La tecnologia c’è, quindi è bene utilizzarla

Negli ultimi anni, si sono sviluppate e diffuse in maniera capillare tecnologie come la banda larga e il cloud computing: oggi è semplice gestire un’azienda semplicemente dal proprio notebook o smartphone, e il giusto provider è in grado di supportare qualsiasi infrastruttura di business.

Lo sviluppo a livello globale delle Internet Solutions rappresenta un’opportunità relativamente semplice e conveniente per aprire una filiale in qualsiasi zona del mondo, senza la necessità di ingenti investimenti in tecnologia.

3) Costruire la giusta cultura

Le persone sono la chiave del successo di qualsiasi business, a maggior ragione nel settore della consulenza: è necessario capire bene quali sono le skills e le competenze necessarie a far crescere la vostra startup, e ancora più importante è trovare le persone giuste per implementare la cultura aziendale.

Consilia, ad esempio, ha stabilito una politica di assunzione incentrata su giovani laureati, flessibili, motivati e veloci nell’apprendimento, che siano in grado di lavorare anche all’estero in maniera indipendente.

4) Sostenere il team

Assumere persone indipendenti e flessibili non significa lasciarli completamente “abbandonati a sé stessi”: in un ambiente di lavoro globale è necessario avere delle strutture per la formazione, il tutoraggio, la motivazione e la gestione del personale che funzionino al meglio.

Inoltre, è importante andare incontro a chi si trova in un momento di difficoltà: ad esempio, prevedendo un periodo di rientro a casa se si sta lavorando da un po’ all’estero.

5) Definire con attenzione il mercato di riferimento

Esportare le skills può essere un business complesso e rischioso: per questo motivo, è fondamentale fare un’attenta due diligence su ogni potenziale mercato, analizzando la domanda e le esigenze di mercato, le possibilità di adattamento culturale, i requisiti normativi, la lingua ed altre eventuali “barriere”.

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In conclusione, Johan Botes si dice convinto che il successo internazionale di un business nasce dai prodotti, dalle persone e dalle infrastrutture: la sfida sta nel trovare il giusto mix di questi tre elementi, senza dover ricorrere ad enormi investimenti di capitale.

Il post originale è disponibile qui: http://ventureburn.com/2015/08/5-lessons-on-globalising-your-self-funded-business/

Napoli, 06/08/2015

Branding Strategy: i consigli alle startup per costruire un brand di successo

Fabian Geyrhalter è founder della branding agency FINIEN e co-autore del libro “How to Launch a Brand”. Proprio sul tema della creazione di un Timeless Brand, un brand “senza tempo”, ha di recente pubblicato su WeWork un post molto interessante dedicato ad una serie di consigli utili in tema di Branding Strategy per startup alle prese con le prime fasi del business.

L’autore parte con un esempio decisamente noto: il brand Coca-Cola. Coca-Cola ha decisamente uno dei brand più famosi ed evocativi al mondo: basta nominarla per immaginare il carattere corsivo, i colori rosso e bianco, le bottiglie curve, gli orsi polari protagonisti dei suoi spot più famosi. Questo risultato è stato possibile solamente grazie a decenni di attività di brand building, con lavoro assiduo e costante sul logo, le immagini, i messaggi inviati al mercato.

Per la maggioranza delle aziende non è facile costruire un brand così forte. Questo accade, secondo Geyrhalter, a causa di un errore parecchio diffuso: gli imprenditori si lasciano troppo spesso trasportare dalle mode del momento.
Ma, anche se cambiano le mode e gli stili, l’azienda deve tenere sempre ben presente che il nome ed il logo non dovrebbero cambiare mai. Bisogna mantenerli fin dall’inizio, dalle fasi di startup, in modo da non confondere il target di riferimento. Creare un marchio, infatti, significa riflettere i valori dell’azienda e la passione condivisa per essi con i clienti: questi dovrebbero essere, per definizione, dei punti fermi.

Il brand che resta più a lungo e fermamente impresso nella mente dei consumatori è quello che è stato costruito con passione, impegno, “anima” e che viene proposto sul mercato in maniera sincera e coerente. Solo in questo modo è possibile ottenere quello che Geyrhalter definisce un “Timeless Brand” come quello di Coca-Cola.

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Vediamo quindi i cinque suggerimenti utili che l’autore fornisce alle startup per costruire fin da subito un Timeless Brand:

1) Lascia perdere le tendenze

Le tendenze (o trend) del momento sono passeggere, è improbabile che resistano nel tempo: le persone, invece, sono alla ricerca di qualcosa di duraturo e distinguibile. Nella creazione del brand bisogna evitare di considerare le mode del momento, e costruire l’identità di marca in maniera creativa e onesta: in questo modo sarà più probabile avere un brand forte e duraturo.

2) Trova un angolatura unica

Non bisogna mai uniformarsi troppo ai concorrenti, anzi: l’obiettivo deve essere quello di definire una propria brand identity unica e distinguibile. Nella costruzione del brand bisogna guardare oltre i competitors e fidarsi ed affidarsi alla proprie convinzioni.
Il marchio va costruito sulla base dei valori più profondi che identificano l’azienda: solo in seguito si potranno scegliere le strategie e gli strumenti migliori per comunicarlo al pubblico.
Una volta che si decide esattamente quale messaggio si vuole comunicare alla clientela, è possibile creare un brand (dal punto di vista visivo e verbale) davvero unico e duraturo.

3) Definisci il tuo brand

Un brand “senza tempo” condivide una passione ben precisa con il suo target di riferimento. Ad esempio, Patagonia produce abbigliamento per chi fa climbing, sci ed altri sport all’aria aperta: il brand si rivolge quindi a tutti coloro che amano il contatto con la natura, ed è stato possibile per l’azienda espandersi con prodotti relativi a vari sport senza perdere l’attenzione dei clienti.

4) Sii coerente

Il nome ed il logo dell’azienda sono le prime due cose a cui la gente pensa quando pensa al brand: è quindi indispensabile fare in modo che questi tre aspetti siano assolutamente coerenti tra loro. Bisogna inoltre assicurarsi che il logo sia distinguibile, facilmente adattabile a diverse tipologie di supporto, che rifletta nel modo migliore il prodotto/servizio dell’azienda.

5) Evita di essere troppo descrittivi

Quando si lancia un brand, è utile non essere troppo descrittivi per evitare costose operazioni di rebranding in futuro. L’incertezza di un’attività di rebranding potrebbe infatti costare molto in termini di tempo, denaro, clienti perduti.

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Per consolidare il brand fin dalle fasi di startup, infine, è possibile concentrare risorse ed investimenti sulla sua stabilizzazione e focalizzazione. Un marchio in sintonia con la sua identità rimane rilevante nel corso del tempo, e le persone sanno quel marchio cosa rappresenta. Basare il proprio brand su un’offerta unica e connettersi attentamente con l’audience di riferimento significa essere sulla buona strada per la creazione di un Timeless Brand.

Per leggere l’articolo originale: https://creator.wework.com/work/5-ways-to-create-a-timeless-brand/

Napoli, 16/04/2015

Consigli per startup e imprese: i 7 tratti distintivi delle aziende di successo

Lean Back, portale on-line dell’Economist Group, ha pubblicato alcuni giorni fa un articolo firmato da Brett Grehan, Bart Delmulle, Tomas Keisers e Vikas Sagar di McKinsey & Co. che nasce da uno studio di benchmarking effettuato su 15.000 dipendenti di oltre 140 aziende mondiali leader nel mercato B2B e B2B2C: lo studio è incentrato sulle capabilities (capacità individuali) di marketing e di vendita di queste aziende.

Secondo i risultati ottenuti, le revenue delle aziende più avanzate in tema di marketing e vendite sono più alte di circa il 30% rispetto alla media registrata nel settore di appartenenza: a partire da questa ricerca, e assieme all’esperienza maturata negli anni, gli autori dell’articolo ed esperti di McKinsey & Co. hanno ricavato i sette tratti distintivi delle aziende leader di mercato.

1) Vedere i costi di marketing e vendite come un investimento, non come una spesa

Investire per costruire un team attentamente selezionato per le attività di marketing e vendita può produrre fino a 5 o 10 volte di più dello stesso investimento in beni materiali o attrezzature. Le aziende con le migliori performance sono quello che si concentrano sulle capabilities strettamente correlate alle opportunità di crescita e ai margini in termini di ROI.

2) Conoscere con chiarezza i propri punti di forza e di debolezza

Le aziende di successo non possono limitarsi a conoscere le proprie capabilities in marketing e vendite, devono anche essere in grado di compararle con le best practices del settore. Diventa quindi fondamentale conoscere con chiarezza e rigore analitico i punti di forza e di debolezza del proprio team, anche e soprattutto rispetto ai competitors.

3) Stabilire il proprio target sulle capabilities che contano di più

Le aziende tendono spesso ad investire in capabilities senza pensare a quelle che possono effettivamente fare la differenza rispetto alla concorrenza, o che possono avere un maggiore impatto sul business. Quando si scelgono le capabilities, bisogna sempre aver ben chiari gli obiettivi di business che l’azienda intende raggiungere.

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4) Non cercare di fare troppo

Costruire le capabilities richiede grande attenzione, e modalità specifiche a seconda del settore economico di appartenenza. Diventa quindi fondamentale muoversi concentrandosi su un massimo di due funzioni per volta.

5) Scegliere l’approccio più adatto alla fase di sviluppo in cui si trova il business

Analizzando i risultati dello studio, gli autori hanno rilevato che la curva delle prestazioni di business è strettamente legata alla fase di sviluppo in cui l’azienda si trova. Ad esempio: 1) Bassa crescita e redditività rispetto al mercato: gli investimenti andrebbero concentrati sulle capabilities di base, che permettono all’azienda di crescere (ad esempio prezzi, prestazioni, gestione dei clienti); 2) Bassa crescita e profitti elevati: l’azienda dovrebbe concentrare gli investimenti sulle attività di brand building, marketing strategy, gestione del ciclo di vita del cliente, customer satisfaction; 3) Crescita e redditività elevate: le imprese in questa fase dovrebbero investire su capabilities di livello elevato, come approcci alternativi al go-to-market, vendite interne ed e-commerce.

6) Pensare alle capacità relazionali dell’intera organizzazione, senza fossilizzarsi su quelle individuali

I singoli individui possono lasciare il team in qualsiasi momento, ma l’azienda rimane: ecco perché le capabilities devono essere sostenibili nel lungo termine. Per questo, è fondamentale costruire un dialogo chiaro ed aperto che consenta di individuare con certezza la vision aziendale.

7) Avere il modello operativo giusto per mettere in atto l’execution

Per avere un modello operativo in grado di sostenere l’execution è necessario avere obiettivi chiari e misurabili attraverso metriche ad hoc, come ad esempio obiettivi annuali di miglioramento delle performance, prestazioni a livello di business unit, incentivi allineati con gli obiettivi istituzionali. Una cultura aziendale top-performing è orientata al cliente, gestita sul lungo termine, in continua evoluzione, creativa, flessibile e basata sulla fiducia.

Per leggere il post originale: http://www.economistgroup.com/leanback/the-next-big-thing/mckinsey-study-revenue-growth-marketing-leadership/

Napoli, 15/04/2015

Consigli per startup B2B: se volete avere successo, scegliete piccole aziende come primi clienti

Thomas Bartman è membro del Forum for Growth and Innovation della Harvard Business School, un think tank che si occupa di studiare le dinamiche dell’innovazione disruptive: il blog della Harvard Business Review ha pubblicato un suo articolo incentrato sui motivi per cui una startup dovrebbe concentrarsi sulla vendita dei propri servizi alle piccole imprese, anziché rivolgersi ai grandi colossi del mercato.

Secondo Bartman è infatti ormai risaputo che le startup B2B rappresentano un segmento fondamentale del panorama imprenditoriale, ma spesso i founder hanno la tendenza, nelle fasi iniziali dell’avvio, a concentrarsi sui clienti sbagliati. L’errore sta nel ritenere che le grandi imprese siano i clienti migliori cui rivolgersi, pensando che inserirle nel proprio portafogli clienti fosse una sorta di “legittimazione” per attirare in futuro nuova clientela.

In realtà questo approccio orientato alle grandi imprese può essere il percorso più difficile per una startup B2B e riduce drasticamente le sue probabilità di successo: Bartman afferma chiaramente che le startup B2B dovrebbero concentrarsi sul segmento di mercato delle piccole imprese.

Il pensiero più diffuso riguardo il target delle piccole imprese è che siano più costose da gestire: questo atteggiamento, secondo l’autore, è miope. Vendere alle piccole imprese è invece un ottimo modo per iniziare un business, che rappresenta una strategia utile per gettare le basi per il futuro di una startup. Una volta acquisite nel portafoglio clienti le imprese di piccole dimensioni, infatti, sarà più facile per la startup proseguire il percorso di crescita e rivolgersi alle imprese più grandi.

Alcuni esempi del successo di questo tipo di strategia sono: Salesforce, che con le sue soluzioni cloud-based è riuscita a ridurre i costi dei database per le imprese; Vistaprint, che ha offerto un servizio disruptive nel mondo delle tipografie, con un servizio web-based di grafica e design caratterizzato da economie di scala e conseguente drastica riduzione dei costi; Stamps.com, che sostituisce costose attrezzature per il mail-processing con applicazioni on-line ad abbonamento mensile.

Un esempio più recente è offerto da HourlyNerd, che si propone di innovare radicalmente il settore delle società di consulenza offrendo agli imprenditori la possibilità di mettersi in contatto con consulenti indipendenti: è proprio analizzando il caso di HourlyNerd che Bartman cerca di spiegare alle startup la migliore strategia per creare aziende B2B disruptive partendo da una clientela di piccole imprese.

Il punto di partenza è che le piccole imprese hanno esigenze simili alle grandi imprese, per cui un modello di business pensato per piccole imprese può essere scalato ed applicato in modo relativamente semplice alle esigenze di medie e grandi imprese.
A ciò si aggiunge il fatto che le piccole imprese hanno un livello di rischio sostanzialmente basso, in quanto sono molto più numerose delle aziende di grandi dimensioni. Per questo motivo, un insuccesso con una piccola impresa non porterebbe a grossi danni reputazionali per una startup.

Inoltre, spesso le piccole imprese non hanno facilmente accesso a prodotti B2B rispetto alle aziende più grandi: per questo motivo, sono alla ricerca di soluzioni offerte da startup anche se con funzionalità ridotte rispetto a quelle pensate per le imprese di maggiori dimensioni. In questo scenario, le startup hanno facile accesso al mercato anche con un minimum viable product, un prototipo da testare e migliorare nel tempo.
Una startup che si rivolge alle piccole imprese può evitare i lunghi cicli di sviluppo pre-lancio per target di mercato più esigenti e iniziare a testare il prodotto con le piccole imprese, anche con disponibilità ridotte di capitale.

Il primo step per questo tipo di strategia aziendale è individuare le opportunità che gli operatori storici del mercato stanno ignorando: bisogna capire quali sono i prodotti troppo costosi o complessi per le piccole imprese, e individuare le possibili soluzioni tecnologiche innovative e a costi relativamente bassi che potrebbero soddisfare il target delle piccole imprese.

Una volta pronto il MVP, la startup può proporla a costi bassi e senza impegno alle piccole imprese: in questa fase è fondamentale lavorare a stretto contatto con i clienti, per accogliere tempestivamente i feedback e capire quali eventuali miglioramenti apportare al prodotto. Uno strumento utile in questa fase sono, ad esempio, le interviste da sottoporre al cliente prima e dopo l’utilizzo del prodotto.

I prodotti offerti devono essere standardizzati in maniera tale da poter incontrare il favore del maggior numero di piccole imprese possibile, lo scopo è quello di avere un offerta che riduca al minimo i costi di modifiche e personalizzazioni. In quest’ottica è utile segmentare la clientela basandosi su criteri relativi alla dimensione, e non alla posizione geografica.
I questo modo sarà possibile studiare soluzioni ad hoc, più semplici o più complesse a seconda delle esigenze dei clienti: la segmentazione va quindi effettuata in termini di benefici offerti, non sulla base di aspetti demografici.

Questo tipo di targeting dei clienti iniziali, inoltre, spesso consente alla startup di non ritrovarsi a competere direttamente con gli operatori che sono già da tempo sul mercato: il segmento di clientela servito, infatti, si discosta da quello di riferimento per i concorrenti “tradizionali”.

Un ultimo aspetto che l’autore considera riguarda infine il continuo miglioramento del prodotto: una startup B2B, attraverso le varie modifiche migliorative apportate al prodotto offerto a imprese di piccole dimensioni, si ritrova ad un certo punto con un prodotto abbastanza evoluto da essere adatto a risolvere le esigenze di grandi aziende. Inoltre, evitando la competizione diretta, i grandi operatori già presenti sul mercato si accorgeranno della nuova startup solo quando quest’ultima sarà abbastanza cresciuta da potersi confrontare con loro.

Naturalmente, conclude Bartman, una strategia di questo tipo non è priva di problematiche e difficoltà (tra cui, ad esempio, la percezione del marchio): ma i risultati ottenuti da startup di successo globale come Salesforce sono la prova che può essere davvero la più consigliata per una startup.

Per leggere l’articolo originale dal sito di HBR: https://hbr.org/2015/01/start-ups-should-sell-to-small-businesses-not-big-enterprises

Napoli, 29/01/2015

Il primo anno di vita di una startup: focus su chiarezza, pianificazione e identificazione del target

Il primo anno di attività di una startup è di importanza cruciale per qualsiasi progetto di impresa: partendo da questa consapevolezza, Stefan Kazakis (business coach australiano con un’ampia esperienza nel mondo startup) stila una serie di utili consigli per aspiranti imprenditori in un post pubblicato qualche tempo fa dal portale Startup Smart.

Il punto di partenza di Kazakis è che qualsiasi progetto di startup parte con una grande idea, che i founder perseguono con passione ed entusiasmo: questi aspetti sono indispensabili per affrontare il duro lavoro che attende chi inizia un progetto di startup, soprattutto nel primo anno di attività, ma secondo Kazakis non bastano la passione e l’entusiasmo per portare una nuova impresa al successo.

Un aspetto imprescindibile che gli startupper devono focalizzare nel primo anno di vita dell’impresa è infatti quella che Kazakis definisce “Clarity”: la chiarezza deve infatti entrare a far parte del DNA di una startup, della sua cultura aziendale, in quanto rappresenta il presupposto fondamentale sul quale poter costruire l’indispensabile fiducia con il team, i clienti e tutti gli stakeholders che interagiscono con una startup nel corso della sua attività.

In secondo luogo, è fondamentale secondo l’autore riuscire a mantenere intatto nel tempo lo slancio iniziale che accompagna qualsiasi nuovo progetto di impresa: per farlo, bisogna passare ad una fase in cui la chiarezza serve come base non solo della fiducia, ma anche di aspetti quali la pianificazione delle attività e la definizione del target di riferimento sul mercato.

Per iniziare al meglio il primo anno di attività di una startup, i founder devono innanzitutto identificare quello che Kazakis definisce “l’obiettivo n° 1”: il suggerimento dell’autore è quello di fissare un obiettivo annuo in termini di profitto, per poter determinare su questa base la strategia, le decisioni di business e le risorse da impiegare.
Altro suggerimento importante: una volta identificato l’obiettivo principale, la startup deve scegliere un adeguato “piano B”. Secondo Kazakis, è importante per una startup alle prese con una situazione nuova e incerta provare a immaginare i peggiori scenari possibili, per poi stabilire un piano B cui affidarsi qualora dovessero verificarsi.

A questo punto, Kazakis consiglia di iniziare la fase che definisce di “Scomposizione”: si tratta di una programmazione delle attività del primo anno di attività della startup, da effettuare suddividendo l’anno in quattro blocchi da 90 giorni ciascuno. Una volta stabilite le attività da svolgere nel primo di questi quattro blocchi, è possibile focalizzare più dettagliatamente le attività su base settimanale.

In questo modo, i founder della startup avranno una programmazione strutturata dei tempi e delle attività da seguire settimana dopo settimana per raggiungere il proprio obiettivo n° 1: si tratta di focalizzarsi per il 50% del tempo su quelle che l’autore definisce IGA (income growth activities), ossia le attività essenziali per raggiungere gli obiettivi di crescita prefissati dalla startup.

Naturalmente, occorre tener conto del fatto che non sempre le cose vanno come previsto e che ogni startup attraversa alti e bassi: ecco perché la costante revisione dei piani è fondamentale, assieme ad una continua attività di team meeting per comunicare in maniera aperta e dettagliata chi sta facendo cosa e in che modo. Kazakis consiglia, inoltre, di raccogliere tutte le idee, gli spunti e le informazioni utili dai team meeting per utilizzarle nella programmazione del successivo blocco da 90 giorni.

Come ultimo consiglio per l’attività di scomposizione, Kazakis suggerisce tre domande da porsi sempre durante il primo anno di startup:

1) A cosa stiamo lavorando?
2) Che cosa non sta funzionando?
3) Cosa stiamo facendo a riguardo?

Per essere certi che una strategia funzioni, infatti, è necessario testare e misurare le attività tutti i giorni, e anche su base settimanale e mensile: il business è un ambiente in rapida evoluzione e le startup devono essere sempre adattabili ai cambiamenti del mercato.

Dopo aver parlato della pianificazione, Kazakis si concentra sul tema del target di riferimento: quando si avvia una startup è fondamentale avere sempre chiaro chi comprerà il prodotto e perché. Per identificare al meglio il proprio target di mercato, la startup deve utilizzare strumenti e metodologie adatte alla fase di creazione dell’idea, che sono differenti da quelli necessari ad accrescere la quota di mercato e che saranno insipensabili in una fase più avanzata del progetto.

In fase di startup, si dispone di un prodotto o servizio che avrà un proprio mercato: per sapere come e perchè i clienti acquisteranno il nostro prodotto/servizio occorre avere una chiara definizione del proprio mercato di riferimento. Solo in questo modo, infatti, una startup può stabilire la strategia di business più adeguata.

Per essere certi di conoscere in maniera chiara il target di riferimento, l’autore suggerisce sei domande utili che la startup deve porsi all’inizio della sua attività:

1) Chi è il nostro cliente? E’ importante essere in grado di dare una definizione dettagliata delle persone (o aziende) che intendiamo servire.
2) Dove si trova il nostro cliente? Una startup deve sapere dove si concentra a livello geografico la propria clientela.
3) Quale problema intendono risolvere grazie al nostro prodotto?
4) Dove arriva il loro “livello di frustrazione”? Significa riuscire a capire quando effettivamente il cliente decide di acquistare il prodotto in questione.
5) Perché dovrebbero scegliere il nostro prodotto? Qualunque sia il prodotto o servizio offerto, è bene tener sempre presente che il potenziale cliente ha altre opzioni a sua disposizione.
6) Come ti aspetti che si svolgano i rapporti con il cliente? Come si pensa di comunicare ed entrare in contatto con la potenziale clientela?

Conoscere al meglio il target di riferimento rappresenta la migliore opportunità per una startup di implementare la strategia di business più adatta: in caso contrario, afferma Kazakis, il business è totalmente affidato alla fortuna.

Infine, Kazakis offre i suoi tre consigli “top” per il primo anno di vita di una startup, adattabili anche a tutti gli anni successivi:

Go slow to go fast: procedere lentamente per riuscire ad andare veloce;
– Il 50% di qualcosa di successo è meglio del 100% di qualcosa che non c’è;
– Ricordare sempre “le 5 R”: “right people, hired for the right roles, who are clear about their responsibilities, getting paid the right money, will deliver the right results” – le persone giuste, assunte per i ruoli giusti, che hanno ben chiare le proprie responsabilità, pagate con la remunerazione giusta, otterranno i risultati giusti.

Il post originale è disponibile qui: http://www.startupsmart.com.au/planning/business-planning/surviving-your-first-year-how-clarity-is-essential-to-achieve-longevity/2014061712529.html?displaypage=start

Napoli, 14/01/2015

Consigli per startup: i 9 passi fondamentali per il successo di una nuova impresa

Laura Dornbush (AHA Strategic Partners), specializzata in Business and Personal Coaching, ha pubblicato attraverso LinkedIn un interessante contributo sul tema delle startup in cui elenca 9 passaggi critici da tenere in attenta considerazione per lanciare un’attività imprenditoriale di successo. Si tratta di un vero e proprio vademecum che i founder dovrebbero cercare di implementare passo dopo passo: vediamo più nel dettaglio i singoli step che lo compongono.

1) Smettere di mirare alla perfezione

La perfezione è soltanto un mito, non è la realtà: attendere che tutto sia perfetto serve solo a rallentare il momento della partenza. In più, bisogna sempre ricordare che “L’ottimo è nemico del bene“, vero più che mai anche quando si parla di startup e impresa.

2) Pianificare il successo

Per raggiungere il successo, in generale e a maggior ragione quando si tratta di startup, occorre prendersi tutto il tempo necessario per l’attività di pianificazione. i piani sono indispensabili per comprendere meglio il percorso da fare.
L’autrice cita in questo caso Benjamin Franklin: “Failing to plan is planning to fail“: quindi, non è possibile raggiungere la perfezione, ma è possibile e indispensabile costruire un piano solido per raggiungere il successo.

3) Fare le proprie ricerche

La ricerca è un aspetto imprescindibile per aspiranti imprenditori: amare ciò che si fa non basta, se non si conosce al meglio il settore, il mercato, tutto ciò che concerne il proprio business. La ricerca è un fattore chiave per capire se la strada che si sta scegliendo di percorrere con la propria startup è quella giusta.

Quindi, quando si sviluppa il business plan, è importante effettuare un’accurata attività di ricerca sul mercato di riferimento, sulla concorrenza, su prodotti e servizi complementari, etc. Infine, riguardo alla ricerca, non bisogna mai trascurare l’attività di documentazione dei risultati: si tratta infatti di dati e informazioni indispensabili sia per l’attuale pianificazione che per le future ricerche di cui la startup avrà bisogno nel corso degli anni.

4) Identificare i “core values”

Si tratta dei valori fondamentali della cultura aziendale, che rappresentano il cuore di qualsiasi attività e, in particolare, di una startup. Saranno indispensabili per affrontare eventuali crisi e periodi di stallo, per avvicinarsi ai clienti e costruire relazioni con loro, per scegliere le attività su cui concentrare il business.

In questo ambito Laura Dornbush consiglia ai founder di tenere sempre a mente che “si tratta di una maratona, non di uno sprint“: occorre lavorare in maniera continuativa per far sì che i clienti conoscano i valori dell’azienda e accrescano la loro fiducia, con la consapevolezza che i risultati arriveranno con il tempo.

5) Definire al meglio il target

La maggior parte delle startup sono convinte che il target di riferimento sia composto semplicemente da chi ha i soldi per comprare il loro prodotto/servizio: purtroppo, questo tipo di ragionamento porta a spendere male le risorse, attirando fasce errate di clientela e finendo per erodere i profitti.

L’autrice consiglia invece di prendere il tempo necessario per definire il target di mercato: partendo da aspetti demografici, occorre restringere sempre più il campo e identificare un target di clienti più possibile specifico. Si tratta infatti del modo migliore per assicurarsi di soddisfare al meglio i bisogni.

6) Trovare finanziamenti

Il sostegno finanziario, naturalmente, è indispensabile per una startup: spesso il rischio è quello di partire con una grande idea e un grande progetto, ma di arrivare a fine percorso senza i capitali necessari per il “salto” dalla fase di startup a quella di impresa consolidata.

Il primo passo che Laura Dornbush consiglia di fare è quello di impostare una rete di sostegno finanziario partendo da amici, famiglia, parenti e poi accedere alla banca. L’obiettivo deve essere quello di assicurarsi un flusso di cassa costante per svolgere le attività quotidiane, più un piccolo budget per eventuali spese impreviste.
Con il passare del tempo, la startup potrà poi avere accesso ad eventuali finanziamenti o prestiti.

7) Affidarsi all’outsourcing quando è possibile

Esternalizzare le attività è un passo indispensabile per assicurare il successo del business: una startup non può pensare di fare tutto da sola, anche perché alcune attività potrebbero togliere tempo prezioso per il core business.

Le aree che una startup dovrebbe esternalizzare sono, secondo l’autrice, soprattutto quelle relative agli aspetti contabili e amministrativi.

8) Assumere le persone migliori

La startup è fatta soprattutto delle persone che la compongono: ecco perché è importante assumere le persone migliori che ci si può permettere. Occorre quindi uscire, parlare con le persone, capire cosa sanno fare e come possono dare un contributo al progetto.

Inoltre, è importante guardare in maniera obiettiva le competenze dei componenti del team e assicurarsi di assumere persone che possono completarlo.

9) Creare una dashboard finanziaria

Molte aziende perdono soldi perché non hanno stabilito fin dall’inizio il proprio schema di riferimento per tenere sotto controllo gli aspetti finanziari del business: occorre invece creare la propria dashboard e aggiornarla in maniera precisa e puntuale nel tempo.

Secondo l’autrice, l’ideale sarebbe dedicare almeno 15 minuti all’aggiornamento settimanale della dashboard finanziaria della startup, per tenere sotto controllo gli aspetti fondamentali del business.

Per leggere il post originale: https://www.linkedin.com/pulse/9-critical-startup-steps-launch-your-dream-business-laura-dornbusch

Napoli, 22/12/2014

Consigli alle startup: come implementare un’efficace strategia di PR fin dalle prime fasi di attività

Shana Starr è Managing Partner presso la LFPR, società di comunicazione globale che si occupa di consulenza in materia di public relations nel settore sanitario, tecnologico e finanziario. Di recente, Entrepreneur ha pubblicato un suo articolo dedicato al tema delle public relations per le startup, nel quale l’autrice offre alcuni consigli ai founder per gestire al meglio questa delicata attività del business.

Le public relations sono infatti un’attività centrale per qualsiasi azienda, ma diventano a maggior ragione di fondamentale importanza in una startup che, all’inizio del suo percorso, deve impegnarsi a fondo per far conoscere il brand, ottenere l’attenzione dei media e guadagnare punti in termini di riconoscibilità e diffusione.

Esistono però delle strategie utili che una startup può adoperare nelle public relations, che Shana Starr elenca nel modo seguente:

1) Be Ready (State pronti)

Il primo passo è essere pronti: se il prodotto non è ancora nella sua versione migliore, non sarà possibile ricevere buone recensioni e difficilmente la stampa parlerà bene di voi. Non c’è niente di peggio, secondo l’autrice, che una cattiva pubblicità da parte dei media: occorre quindi assicurarsi di essere davvero pronti prima di implementare una strategia di public relations.

2) Stabilite la vostra identità

Prima di dire al mondo chi sei, occorre assicurarsi di saper rispondere a questa domanda. Per stabilire l’identità della propria startup, occorre porsi alcune domande: Quali sono i vostri valori? In cosa consiste esattamente la vostra cultura aziendale? Cosa vi differenzia dai concorrenti? State facendo qualcosa che nessun altro ancora fa? Cosa vi rende unici?
Le risposte a queste domande forniscono la precisa identità di una startup: se non siete sicuri delle risposte, è possibile chiedere agli altri come vi vedono. Anzi, può essere molto utile porre queste domande a più persone e prendere nota delle risposte. Se ci sono troppe risposte diverse, vuol dire che la startup ha qualche problema: bisogna risolvere il problema di identità prima di passare allo step successivo, ossia prima di poter raccontare la vostra storia.

3) Condividete la vostra storia

Imparare a comunicare al meglio la storia della propria startup è parte integrante dell’attività di public relations. Dopo aver stabilito la propria identità, è necessario iniziare a lavorare sulla storia, sul racconto della propria startup. Avere una storia da condividere consente alla startup di distinguersi agli occhi dei media, di potenziali investitori e del target di riferimento: diventa quindi fondamentale raccontare chi siete e come avete iniziato.
Lo storytelling consente non soltanto di arrivare più facilmente ai potenziali clienti, ma renderà molto più difficile che le persone si dimentichino di voi.
La storia della startup andrà diffusa sui social, nelle newsletter, durante le interviste, in tutte le opportunità che i founder avranno di parlare in pubblico.

4) Assicuratevi di che il CEO abbia visibilità

Il CEO o il founder di una startup è il portavoce dell’azienda, e svolge pertanto un ruolo fondamentale nel plasmare l’immagine della società, del brand, della cultura. Per questo motivo, lui (o lei) devono essere accessibili, visibili al pubblico: ciò si traduce in una presenza attiva sui social, un rapporto positivo con i media e la capacità di condividere al meglio la storia della startup. La visibilità del CEO consente di accrescere la credibilità e la leadership nel settore, e aiuta anche in termini di networking, rendendo più facile avvicinare le persone giuste per espandere il business.

5) Non sottovalutate l’importanza dei social media

Posizionare il brand in modo che sia al di sopra dei concorrenti è un lavoro impegnativo, lungo e che comprende molte attività differenti. Tra queste, non bisogna mai sottovalutare l’importanza di una strategia social, per rappresentare al meglio il brand, la cultura e i valori della vostra startup.
Secondo Shana Starr la strategia social è fondamentale fin dalle primissime fasi di attività dell’azienda: implementarla in fase early stage significa costruire la propria identità e credibilità nel settore di riferimento, avere la possibilità di raccontare la propria storia e identificare il CEO come opinion leader.
Bisogna quindi dedicare il tempo necessario ai social, impegnarsi direttamente nelle relazioni con fans e followers, rispondere alle domande, condividere informazioni e coinvolgere la community nelle conversazioni.

6) Assumete qualcuno se avete bisogno di aiuto

Nelle fasi iniziali di startup può essere difficile attuare delle forti strategie di public relations: il consiglio dell’autrice è quello di assumere, se necessario, un professionista del settore. La persona scelta per ricoprire il ruolo deve essere entusiasta del progetto, del prodotto o servizio offerto, della vision aziendale: in questo modo, sarà in grado di comunicare in maniera davvero efficace la startup all’esterno. Un professionista del settore PR, quindi, sarà in grado di mettere in atto in maniera ottimale tutti gli step elencati, assicurando una strategia di PR che sia veramente utile alla startup.

Per leggere il post originale di Shana Starr: http://www.entrepreneur.com/article/235339

Napoli, 24/07/2014

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