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Ikigai per imprenditori: la tua startup rappresenta la massima espressione del tuo valore?

Quando si parla di startup, ci si riferisce spesso ad aspetti quali l’entità dei finanziamenti raccolti, gli step da seguire per implementare il Business Model, le capacità di natura tecnica e imprenditoriale dei founder, l’impatto che l’azienda avrà sul mercato, etc.

Spesso la vita di uno startupper di successo viene immaginata come una sorta di favola, tralasciando tutti gli aspetti e i momenti negativi che un neo-imprenditore è spessp costretto ad affrontare: elevato rischio di fallimento, incertezza di natura finanziaria, decisioni difficili (che spesso hanno un impatto notevole anche su terze persone) sono soltanto alcuni di questi.

Anche gli indicatori che sembrano rappresentare il successo, a ben vedere, possono avere un’accezione negativa: gli investimenti raccolti, ad esempio, sono essenzialmente dei debiti per cui più prendi, meno controllo hai sulla tua attività di startup…Ci sono tanti consigli utili per chi si prepara ad affrontare l’esperienza adrenalinica e al tempo stesso difficile ed impegnativa di dar vita ad una startup, ma anche questi non riescono a tener conto degli innumerevoli e imprevedibili cambiamenti che il mercato può attraversare.

Non bisogna sottovalutare, poi, un altro aspetto importante: in una startup, non basta considerare i numeri e gli indicatori di natura quantitativa. Una startup richiede passione, vision, motivazione, sacrificio. Tutti aspetti che hanno un impatto enorme nella vita dello startupper e che andrebbero presi in attenta considerazione fin dalle primissime fasi di vita del business.

In un interessante contributo apparso su Medium, Kacy Qua ha analizzato la possibilità di applicare al mondo dell’imprenditorialità e, in particolare, delle startup un segreto tipico della cultura giapponese: l’Ikigai.

Il termine Ikigai è traducibile con l’espressione italiana “ragione di vita” e rappresenta nella cultura nipponica “la ragione per svegliarsi al mattino”. Secondo i giappoonesi, tutti dovrebbero trovare il proprio Ikigai facendo un importante sforzo di ricerca interiore, per raggiungere la più profonda soddisfazione nella propria vita.Secondo Kacy Qua, applicare l’Ikigai alla propria startup significa garantirsi una vera e propria bussola personalizzata, utile a trasformare il proprio scopo individuale e le proprie competenze professionali in un’azienda che riesca, al contempo, ad avere un impatto sociale e a realizzare profitto.

Nel lavoro di imprenditore, gli aspetti personali e quelli professionali sono profondamente connessi, più che in tanti altri mestieri. Secondo Kacy Qua, per questo motivo, la valutazione dei propri punti di forza e di debolezza, dei propri talenti e risorse, delle proprie passioni e dei propri valori andrebbe pertanto fatta non soltanto da un punto di vista professionale, ma anche dal punto di vista personale.

Così come si analizzano gli aspetti relativi alla strategia, alla mission, alla vision, alle competenze chiave e al vantaggio competitivo della startup, è fondamentale guardare agli scopi, alle capacità, alle passioni, alle modalità operative e alle esperienze di vita dello startupper.

Kacy Qua suggerisce una serie di domande utili che lo startupper dovrebbe porsi per trovare il proprio Ikigai: Cosa ti interessa? Per cosa sei disposto a combattere? Cosa puoi offrire in modo unico, che gli altri non possono offrire? Cosa intendi per natura? Cosa ti fa star male?

Le risposte a queste domande sono il punto di partenza per riempire gli spazi relativi ai quattro elementi del proprio Ikigai:

Applicando il contetto di Ikigai all’imprenditorialità, vediamo che l’ideale è fare in modo che si intersechino quattro elementi: ciò per cui si può essere pagati, ciò in cui si è bravi, ciò di cui il mondo ha bisogno (impatto sociale) e ciò che si ama. Per quest’ultimo elemento, in particolare, non si intende una semplice passione o hobby: è ciò per cui si è disposti a lottare, ciò che più conta per noi.

Naturalmente, nella realtà dei fatti, è molto difficile trovare l’equilibrio perfetto tra i quattro elementi che compongono l’Ikigai dello startupper. Bisogna considerare le condizioni e le priorità specifiche di ciascun momento della vita di un impresa, di un imprenditore, del mercato, etc.

In questo senso è necessario considerare l’Ikigai come una vera e propria bussola, da tener sempre in considerazione per cercare di tenere meglio possibile le cose in equilibrio, tenendo conto alcuni aspetti importanti: ad esempio, non sempre ciò di cui il mondo ha bisogno è ciò che ha successo sul mercato. Spesso non si riesce a bilanciare l’impatto sociale di un’azienda con la necessità di produrre profitti.

Ciò non toglie che l’Ikigai possa rappresentare un interessante esercizio di ricerca interiore e di riflessione sugli scopi e gli obiettivi più profondi di uno startupper e della sua impresa, per provare a costruire un business che rispecchi a pieno i valori e le passioni dei propri founder.

FONTI:
https://medium.com/swlh/ikigai-for-entrepreneurs-b100f6a00650
https://it.wikipedia.org/wiki/Ikigai


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Startup e Pivot: ascolta il mercato e non aver paura di cambiare i tuoi programmi!

Nell’ultimo post pubblicato qui nel nostro blog, dal titolo “Startup Tips: 6 suggerimenti utili in materia di Customer Service”, abbiamo affrontato il tema del servizio clienti e dell’importanza fondamentale che il feedback dei clienti assume nel processo di sviluppo del prodotto.

Il Customer Service è quindi una funzione tanto delicata quanto critica per lo sviluppo della startup, perché rappresenta una fonte di informazioni indispensabili per la definizione dei pivot necessari alla crescita di un business nelle sue prime fasi di sviluppo.

Il portale Forbes ha pubblicato un’interessante testimonianza sull’argomento, raccontando l’esperienza di Sinan Ozdemir e Jamasen Rodriguez, co-founder di Kylie.ai, sistema che sfrutta le potenzialità dell’intelligenza artificiale (AI) allo scopo di automatizzare le comunicazioni delle grandi aziende in tema, appunto, di assistenza clienti.

Nell’intervista, Ozdemir racconta l’esperienza di startupper concentrandosi su quanto i vari pivot affrontati per migliorare il business siano stati la chiave del successo internazionale di Kylie.ai: il messaggio di base che il co-founder vuole trasmettere a startupper e aspiranti tali è di non aver paura di affrontare uno o più pivot, perché sono proprio questi ultimi a dare il via al percorso di una startup verso il successo.

Prima di trovare la perfetta combinazione in termini di Product-Market Fit, il team ha dovuto affrontare molti pivot, di natura differente: da un cambio di nome, a cambiamenti legati al marketing e al mercato di riferimento, Kylie.ai ha attraversato grandi cambiamenti prima di raggiungere la sua attuale conformazione.

Qualsiasi founder di startup ti dirà che l’azienda che sta portando avanti ora non è quella che gestiva un anno fa, o addirittura qualche mese fa.

Il punto di partenza per il team di una startup early stage è comprendere l’importanza fondamentale del chiedere ai propri clienti cosa vogliono realmente. Bisogna chiedere feedback ai clienti, continuamente, con costanza: per sapere cosa vogliono davvero le persone, non c’è altro modo che chiederlo direttamente a loro.

L’ascolto attento e costante del mercato, spiega Ozdemir, è l’unica strada percorribile per raccogliere le informazioni necessarie a rimettere in discussione la roadmap della propria startup, per programmare il pivot più adatto alla situazione contingente, per individuare i problemi e le soluzioni.

Ma quindi, come si diventa founder “customer-centric”? Ascoltando il cliente, è possibile comprendere in maniera intuitiva quali sono i problemi da risolvere? Oppure è necessario eseguire delle analisi quantitative più approfondite?

Ozdemir racconta la sua esperienza di startupper in un mercato essenzialmente B2B: il processo di vendita di Kylie.ai prevede la raccolta dei dati dei clienti, necessari ad eseguire delle analisi quantitative ad hoc. Secondo Ozdemir, infatti, la cosa migliore nel processo di raccolta dei feedback della clientela è cercare di andare più a fondo possibile, evitando di affidarsi semplicemente all’intuizione.

E come di arriva alla decisione di implementare un pivot? Naturalmente, la scelta di pivotare deve essere guidata dalla decisione di cosa è meglio per l’azienda. La domanda di base dell’intero processo deve essere: cosa è meglio per la startup? Subito dopo, bisogna assicurarsi di avere le risorse necessarie per affrontare il cambiamento: in altre parole, occorre domandarsi “ne vale davvero la pena?”.

Su questo punto entrano in gioco anche delle dinamiche relative alle caratteristiche personali dei componenti del team. Bisogna sempre circondarsi di compagni di viaggio appassionati a ciò che fanno, ricordando che l’azienda è più grande della somma delle sue singole parti, e che spesso una startup racchiude in sé delle risorse inaspettate quando si tratta di impegnarsi e lavorare sodo in fase di pivot.

Se ci si rende conto che val la pena perseguire gli sforzi necessari ad implementare un pivot nel proprio business, allora si va avanti: si torna dal cliente e gli si chiede cosa c’è che non va nel nostro attuale prodotto.

In conclusione, Ozdemir racchiude il suo messaggio in un consiglio a tutti i founder alle prese con la necessità di un pivot. Alla domanda “Lo faccio o non lo faccio?” la sua risposta è semplicemente: “Provaci! In fondo, qual è la cosa peggiore che potrebbe accadere?”.

FONTE: https://www.forbes.com/sites/frederickdaso/2018/09/06/this-founder-says-to-not-be-afraid-to-pivot-your-startup/#3376ba042cefE tu, hai un’idea innovativa che vorresti trasformare in una startup di successo? 

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Startup Early Stage: come si definiscono, cosa fanno, di cosa hanno bisogno

Quando si parla di ciclo di vita di una startup, si intendono le varie fasi che quest’ultima attraversa dalla sua nascita fino all’eventuale exit o acquisition. Ci sono molte differenti classificazioni delle fasi di vita di una startup, e le stesse singole fasi vengono definite e identificate in maniera differente.

La primissima fase di una startup, la cosiddetta fase early stage, è sicuramente quella più difficile da identificare e definire: Lee M. von Kraus, esperto di startup e mentor di grande esperienza, ad esempio, sostiene che la startup early stage è quella “in fase pre-money, che sta ancora lavorando allo sviluppo del suo primo prodotto”. In questa fase, la startup sta perfezionando la propria idea di partenza, lavorando alla costruzione di un MVP ed effettuando i primi test del prototipo.

A seconda dei risultati di questi test, una volta analizzati con cura i dati ottenuti, la startup early stage potenzialmente è pronta per le modifiche e gli aggiustamenti (pivot) e per ripartire da capo. L’obiettivo finale della fase early stage è quello di ottenere un prodotto scalabile da presentare ai potenziali investitori attraverso un pitch efficace e convincente. Per von Kraus, quindi, la fase early stage rappresenta per una startup l’intera fase di pre-finanziamento. Una volta ottenuti i primi soldi, la startup è pronta per attraversare la fase successiva, la cosiddetta fase seed.

Per altri esperti, però, è la fase seed a identificarsi con quella di pre-finanziamento. Superata la fase seed, la startup sarà pronta a passare alla fase early stage. Ecco, quindi, che la definizione del ciclo di vita della startup diventa confusa e complicata! Per capire meglio cosa si intende per startup early stage, proviamo a passare in rassegna le definizioni di altri esperti.

Vediamo, ad esempio, cosa ne pensa Kent Gustavson, imprenditore ed esperto di startup: “la fase early stage è come i primi giorni di primavera, in cui le piante crescono più che mai”. Una definizione poetica, in cui la startup early stage è vista come quella più rischiosa e incerta, ma anche come quella più ricca di opportunità.

Secondo Gustavson, l’obiettivo principale della startup in fase early stage non si limita alla ricerca dei primi finanziamenti: “è paragonabile al primo periodo di attività di un artista. In questa fase, l’arte è spesso più semplice, più ideolgica, ma è anche molto importante per la futura crescita dell’artista”. In questo senso, la startup early stage è a suo parere quella in cui il team è visionario, l’idea rivoluzionaria, e il MVP è in grado di agganciare i primi clienti e sostenitori.

Brian Rabben (team lead di Google e mentor a 500 Startups) ha, invece, una definizione decisamente più tecnica: la fase early stage è quella in cui la startup si trova in una situazione di “pre product-market fit” accompagnata da almeno una delle seguenti condizioni aggiuntive: meno di 10 dipendenti, incapacità di pagare ai dipendenti e ai fondatori uno stipendio competitivo, assenza di profitti e/o finanziamenti.

Infine, Mike Moyer, docente universitario e autore di best seller in tema di imprenditorialità, definisce la startup early stage come “una società nella quale tutti i partecipanti mettono a rischio i propri contributi personali in termini di tempo, denaro, relazioni, forniture, strutture o attrezzature”. Secondo Moyer, se una startup ha già abbastanza denaro, ricavi o investimenti per pagare i componenti del team non può essere più considerata in fase early stage.

Rileggendo tutte le definizioni di startup early stage elencate, si nota un comune denominatore: il denaro. Tutti gli esperti concordano sul fatto che la startup early stage è in fase di pre-money e di pre-finanziamento. Per passare alla fase successiva del proprio ciclo di vita, quindi, lo strumento indispensabile per una startup è il capitale.

Per raccogliere capitale, però, è indispensabile che la startup si prepari adeguatamente a presentarsi sul mercato e agli investitori: in questa fase iniziale, una risorsa di valore inestimabile è data da un percorso di mentorship e formazione personalizzato, sotto la guida esperta di chi conosce al meglio l’approccio Lean Startup.

FONTE: https://www.startups.co/articles/startup-stages

Vuoi provare ad accedere al percorso di VulcanicaMente4R? Le application sono aperte fino al 22 ottobre 2018! Compila la tua domanda qui.

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Napoli, 06/09/2018

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#SaveTheDate: lo Scouting Day di #VulcanicaMente4R vi aspetta il 28 e 29 settembre!

Sono aperte le iscrizioni per partecipare al primo dei due Scouting Day di “VulcanicaMente: dal talento all’impresa 4 Reloaded”: l’appuntamento è fissato per il 28 e il 29 settembre presso il CSI – Centro Servizi Incubatore Napoli Est, in Via Bernardino Martirano n. 17.

L’evento avrà una durata di due giornate e prevede l’alternarsi di keynote, testimonianze di startupper ed esperti, sessioni di mentorship allo scopo di perfezionare le idee di impresa proposte dai partecipanti e di facilitare la nascita di nuovi team di aspiranti imprenditori innovativi.

Se hai un’idea di impresa innovativa, ma non hai un team per realizzarla; se hai le competenze di natura tecnica o imprenditoriale per costruire una startup di successo, ma non hai ancora un team; se hai bisogno di una spinta per sviluppare al meglio la tua idea, lo Scouting Day di #VulcanicaMente4R è un’opportunità imperdibile per preparare al meglio la tua application e incontrare tanti altri talenti!

La partecipazione allo Scouting Day è totalmente gratuita, ma i posti a disposizione sono limitati: è necessario prenotarsi, bastano pochi istanti per compilare il modulo disponibile a questo link: https://www.incubatorenapoliest.it/events/scouting-day-1/

Napoli, 04/09/2018

Perché le startup falliscono? L’importanza della strategia di distribuzione per la crescita del business

Jim Huffman è CEO e co-founder dell’agenzia di Growth Marketing “GrowthHit”, con sede a Seattle. Huffman ha recentemente firmato il libro “The Growth Marketer’s Playbook”, del quale il portale Geekwike ha pubblicato un interessante estratto, per rispondere alla domanda: “Qual’è la vera ragione per cui le startup falliscono?” .

Nel libro di Huffman si legge che la prima causa di fallimento per una startup è da ricercare non tanto nel prodotto, quanto nella strategia di distribuzione di quest’ultimo: secondo CB Insights, infatti, ben il 42% delle startup non riesce a sopravvivere perché non esiste alcun bisogno corrispondente al prodotto o servizio offerto sul mercato.

Huffman sostiene che, in questi casi, la startup ha sbagliato il prodotto o ha mirato ai consumatori sbagliati: non è vero, infatti, che un ottimo prodotto si vende da solo. Il prodotto vince se soddisfa il mercato giusto: ecco perché è fondamentale porre la stessa attenzione che si pone nella creazione del prodotto alla strategia di distribuzione dello stesso.

Ma quali possono essere gli errori nella strategia di distribuzione di una startup? Il problema potrebbe essere nel modo in cui si cerca di raggiungere i potenziali clienti. Il piano di distribuzione, in questi casi, è errato o pensato male in origine.
Ancora, la startup potrebbe cadere nell’errore di proporre il prodotto ai clienti sbagliati e, di conseguenza, ricevere feedback falsati o comunque non utili.
Potrebbe esserci, infine, anche un problema riguardante la strategia di acquisizione clienti o la comunicazione.

Huffman propone ai lettori una formula matematica per capire se la startup sta procedendo sulla strada giusta e avrà margini di crescita: la regola di base relativa alle grandezze di costo acquisizione clienti (CAC) e lifetime value del cliente (LTV), l’indicatore che misura i profitti prevedibili in base alla relazione con i clienti, a partire dal loro comportamento d’acquisto.
La relazione tra CAC e LTV deve essere in rapporto 3:1, con LTV pari a tre volte il CAC (ad esempio, spendi 30€ per ottenerne 90€).

Spesso gli startupper sono convinti che, concentrando al massimo tutte le risorse e gli sforzi per ottenere il miglior prodotto possibile, i clienti arriveranno automaticamante, quasi come per magia. Questo non è assolutamente vero!
Non esistono tattiche o trucchi per acquisire clienti: l’unica strada praticabile per ottenere una startup di successo è seguire un approccio ben preciso che consenta di allineare il prodotto ai potenziali clienti ideali.

Huffman sostiene che esiste una strategia ben precisa per assicurarsi di imboccare la strada giusta per la crescita e il successo di una startup: la cosiddetta strategia di crescita sostenibile. La domanda chiave da porsi è: stai investendo nel marketing la stessa cura e attenzione che investi per costruire il tuo prodotto?
La strategia di marketing utile e ricca di contenuti rappresenta, infatti, il modo migliore per assicurarsi che la strategia di distribuzione sia davvero efficace.

Una strategia di marketing di successo si basa sulla giusta combinazione di canali di marketing, sull’analisi dei dati e sulla strategia di crescita. Bisogna poi definire accuratamente una serie di regole per decidere come e quando apportare eventuali modifiche e aggiustamenti al modello di business, cosa che è possibile fare soltanto testando il prodotto sul mercato e imparando a conoscere alla perfezione il settore in cui si opera. Ancora, è importante eseguire una costante attività di controllo e di verifica, per assicurarsi di essere al passo con la programmazione dei propri obiettivi.

Ecco, quindi, che diventa fondamentale fare una ricerca preventiva per capire chi è il cliente target, dove si trova, come può essere raggiunto.
Una ricerca di questo tipo rappresenta il primo passo per trovare la strategia di distribuzione più efficace, in grado di mettere in contatto il tuo prodotto con le persone che ne hanno bisogno.

La giusta strategia di distribuzione può davvero salvare una startup!

Fonte: https://www.geekwire.com/2018/real-reason-startups-fail-right-distribution-strategy-can-save-company/

Vuoi avere l’opportunità di conoscere meglio le strategie e gli strumenti più utili per trasformare la tua idea di impresa in una startup? Scopri tutte le opportunità di “VulcanicaMente: dal talento all’impresa 4 Reloaded”: https://www.incubatorenapoliest.it/vulcanicamente-4-reloaded/

Napoli, 30/08/2018

Startup e metodo scientifico: tre step per trovare le migliori soluzioni di business

Il lavoro di un imprenditore comporta quotidianamente la necessità di fare delle scelte, di prendere delle decisioni rispetto a problemi da risolvere e soluzioni da implementare. A volte può essere difficile scegliere tra più opzioni quella giusta, quella che porterà ad ottenere risultati di successo e crescita per il business.

Una buona idea è quella di avere una vera e propria strategia di pensiero, un processo in più fasi da seguire ogni volta che ci si trova a dover scegliere la miglior soluzione tra più opzioni: questo approccio può essere utile in qualsiasi momento della vita di un impresa, fin dalle prime fasi di startup.

Una strategia utile in tal senso è quella descritta da Rehan Ashroff, direttore dell’Innovation Lab and New Ventures per Farmers Insurance.
Prima di approdare al mondo dell’innovazione tecnologica, Ashroff era un biologo molecolare e lavorava in un laboratorio di biotecnologia. A quei tempi, conduceva svariati test sulle ipotesi a sua disposizione e cercava il modo di rendere il problema sempre più piccolo e semplice da affrontare. Aveva sviluppato una strategia in tre fasi basata sul metodo scientifico, che oggi applica con successo ai progetti dell’Innovation Lab e su cui consiglia agli startupper di basare il proprio pitch. Vediamo quali sono i tre step della strategia di Ashroff:

1. Trova il problema e scomponilo in più parti

Questo approccio è tipico del metodo cartesiano: si adatta al mondo aziendale in quanto il primo punto che una startup o impresa deve affrontare e quello del problema che si propone di risolvere, per posizionarsi nella propria nicchia di mercato.

Una volta identificato il problema ci sarà una mission chiara e definita: il passo successivo sarà quello di scomporre tale mission nelle singole azioni necessarie per raggiungere l’obiettivo, ossia suddividere il problema principale in piccoli problemi dalla soluzione più semplice e immediata.

2. Unisci i puntini

“La creatività è semplicemente connettere le cose: quando chiedi ai creativi come hanno fatto qualcosa, si sentono un po’ colpevoli perchè non hanno fatto nulla, hanno soltanto visto qualcosa”: in questo pensiero di Steve Jobs è racchiusa la base di partenza della seconda fase della strategia di Ashroff: bisogna osservare con attenzione tutti i punti e le informazioni a propria disposizione, cercando di collegarli tra loro per vedere con chiarezza una soluzione che, in realtà, è già lì.

Per unire i puntini bisogna essere curiosi e con una gran voglia di continuare costantemente ad apprendere. Se capita di sentirsi bloccati, Ashroff consiglia di uscire dal proprio ambiente abituale e parlare con persone esterne: la condivisione di informazioni tra persone di background differenti può essere molto fruttuosa.

3. Evita di pensare “Buona la prima”

Raramente la prima idea di un imprenditore è quella che decollerà verso il successo: è risaputo che la maggior parte delle aziende sarà in perdita nel primo anno di attività. Ecco perché non bisogna mai fermarsi alla prima idea, alla prima soluzione trovata: occorre continuare a lavorare, a testare le varie ipotesi, finché la soluzione giusta non viene fuori.

Il metodo scientifico è di grande aiuto anche in questa terza fase: bisogna seguire i vari step di osservazione, misurazione, sperimentazione e formulazione delle ipotesi. Grazie a questo metodo sarà possibile per la startup identificare il prodotto o servizio da creare, eseguire i test per assicurarsi che tutto stia procedendo per il meglio, raccogliere i dati da presentare nel pitch e agli investitori.

In conclusione, la strategia in tre fasi può richiedere del tempo per una corretta implementazione, ma allo stesso tempo consente di raggiungere ottimi risultati che potranno avere effetti anche nel lungo periodo.

Fonte: https://www.entrepreneur.com/article/317397

Napoli, 03/08/2018

Startup e strategie di Pricing: esperienze e consigli di founder di successo

Il post di oggi è incentrato su un aspetto specifico e fondamentale per una startup che, dopo aver superato i primi ostacoli, sviluppato un MVP funzionante e, in alcuni casi, implementato uno o più pivot, si appresta a lanciare il prodotto sul mercato. A questo punto, è necessario concentrarsi su un problema spesso particolarmente complesso per gli startupper: definire la strategia di pricing.

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Un recente post apparso sul blog di Foundr a firma di Jonathan Chan viene in aiuto alle startup alle prese con la definizione dei prezzi, raccogliendo i consigli e le esperienze di 11 startupper che hanno già vissuto e superato con successo questo momento delicato della crescita di un business: ripercorriamo quindi i suoi passi, elencando uno per uno i punti salienti delle 11 interviste raccolte da Chan.

INTRODUZIONE

Una volta superate le fasi iniziali di vita, per la startup arriva finalmente il momento di monetizzare: è in questa fase che subentra la necessità di stabilire “il prezzo giusto” per il proprio prodotto.

Il pricing è un’attività tutt’altro che semplice, sempre in bilico nel dubbio tra un prezzo troppo alto (a rischio che nessuno compri il prodotto) e un prezzo troppo basso (che vanificherebbe tutti gli sforzi e le risorse impegnate finora nel progetto).

Le domande che Chan pone ai 11 startupper di successo intervistati sono essenzialmente tre:

a) Qual è la vostra strategia di pricing?
b) Che cosa ti ha fatto decidere il prezzo X per il tuo prodotto?
c) Qual è la cosa più importante da tenere a mente quando si tratta di stabilire il prezzo?

1. John Lee Dumas (Entrepreneur On Fire)

Come si fa a dare un prezzo alla propria passione? Questa è la domanda che J.L. Dumas si è posto nei 12 mesi in cui ha lavorato al suo ultimo progetto, The Freedom Journal.

Per stabilire il prezzo finale di The Freedom Journal (attualmente pari a 35$), Dumas si è concentrato su tre aspetti:

a) Ricerche di mercato: Dumas ha acquistato tramite Amazon tutte le riviste simili alla sua, studiandone i contenuti e confrontandone i prezzi.

b) Coinvolgimento dell’audience di riferimento: utilizzando SurveyMonkey, Dumas ha effettuato un sondaggio per capire cosa pensavano i potenziali clienti sul tema e misurare la loro “sensibilità al prezzo”.

c) Intuito: l’intuizione è un mezzo potente a disposizione di ciascuno di noi e Dumas consiglia a tutti di utilizzarla al meglio nella strategia di pricing.

2. Dan Norriss (WP Curve)

Il consiglio più diffuso quando si parla di pricing è quello di aumentare i prezzi: secondo Norriss si tratta decisamente di un cattivo consiglio. In questo modo si rischia di soffocare l’innovazione, trasformando il proprio business in un servizio di consulenza come tutti gli altri.

Generalmente, le aziende smart e competitive sono riuscite a fare un passo avanti rispetto ai concorrenti, favorendo la diffusione dell’innovazione con prezzi più convenienti rispetto a quelli di prodotti già sul mercato.

Quando ha dovuto definire il prezzo per WP Curve, Norriss ha calcolato in maniera approssimativa quanto gli sarebbe costato il servizio per ciascun utente. Ed ha stabilito il prezzo finale raddoppiando quella cifra.

Ancora oggi, controlla regolarmente la stima di partenza e mantiene questa linea, anche se questo ha significato a volte sacrificare parte dei margini: ma non ha intenzione di cambiare la propria strategia, perchè è convinto che per una startup sia fondamentale mantenere l’equilibrio tra l’esigenza di essere disruptive e quella di diffondere l’innovazione.

3. Ramit Sethi (I Will Teach You How To Be Rich)

Il team di I Will Teach You How To Be Rich ha deciso di offrire gratuitamente agli utenti circa il 98% del suo materiale, con l’obiettivo di fare del proprio materiale free un contenuto migliore di tanti altri a pagamento.

Questa decisione, assieme ad altre scelte strategiche come quella di non poter acquistare i corsi direttamente dal sito web, costa alla startup oltre 2 milioni di $ all’anno. Ma allora perchè lo fanno?

Prima di tutto, secondo Sethi, questa strategia consente di educare il consumatore al perché il materiale di I Will Teach You How To Be Rich è migliore di altri. Ancora più importante, la scelta è imperniata sull’obiettivo di costruire una relazione duratura con il cliente, basata sulla fiducia.

Una volta costruita una solida relazione con il cliente, sarà possibile offrirgli un corso che rappresenta il top a livello mondiale, al prezzo più adatto ad un prodotto del genere: Sethi è assolutamente convinto che nella definizione della strategia di pricing bisogna concentrarsi sull’autostima e sulla convinzione del valore del proprio prodotto.

Se non si è assolutamente convinti che il proprio prodotto rappresenti il top sul mercato, infatti, è probabilmente necessario continuare a lavorare allo sviluppo, allo scopo di farne il migliore in assoluto.

4. Yaro Starak (Entrepreneur’s Journey)

Il modello seguito da Starak nella definizione dei prezzi ricalca il concetto di “imbuto di vendita”, in cui il prezzo cambia a seconda del punto dell’imbuto in cui è posizionato:

– Se il prodotto è “front-end” significa che è posizionato all’entrata dell’imbuto, per cui l’obiettivo è quello di distribuire il valore mantenendo un prezzo abbastanza basso, in modo tale che sia una spesa facile da giustificare;

– Se il prodotto è “back-end” è venduto a clienti che hanno già acquistato da voi in precedenza, con cui esiste quindi un rapporto già collaudato. Si tratta quindi di un acquirente attivo, disposto a spendere di più per avere un prodotto di livello più elevato.

Un altro aspetto da considerare quando si stabiliscono i prezzi è quello che tiene conto del livello di supporto/contatto/complessità. In linea generale, quando il cliente ha un livello di questo tipo particolarmente alto (ad esempio nei servizi di formazione), è possibile mantenere elevato il livello dei prezzo. Allo stesso modo, quanto più complesso è il problema che il prodotto risolve, tanto più il prezzo potrà raggiungere livelli alti.

Ancora, una variabile utile da considerare nella definizione del pricing è quella relativa al risultato che il cliente ottiene attraverso il prodotto: quanto più il prodotto porta un grande cambiamento nella vita del cliente, tanto più il prezzo potrà essere elevato.

Infine, secondo Starak, in caso di dubbio è utile basarsi sul prezzo di altri prodotti simili.

5. Andre Eikmeier (Vinomofo)

La strategia di prezzo di Vinomofo è decisamente semplice: il loro scopo è quello di garantire al cliente il minor prezzo possibile su qualsiasi vino. Il team si concentra, quindi, nella scelta dei fornitori di migliori prodotti al minor prezzo possibile, aggiungendo il margine destinato a Vinomofo. Se il prezzo ottenuto non è il miglior prezzo sul mercato, molto semplicemente non lo acquistano.

In questo modo, gli utenti di Vinomofo sanno che il prezzo a cui acquistano il proprio vino è il migliore possibile: così si costruisce un rapporto di fiducia con la clientela.

In sintesi, la strategia di pricing di Vinomofo si concentra su tre aspetti: cliente, fornitore, azienda. Tutte e tre le parti in gioco devono ottenere un vantaggio dalla transazione.

6. Rand Fishkin (Wizard of Moz)

La strategia di pricing è nata a seguito di una serie di tentativi ed errori, test, ricerche ed indagini di mercato: non c’è nessuna formula preconfezionata. La scelta è stata fatta basandosi su aspetti quali il margine desiderato dalla startup, il budget disponibile del target di riferimento, la concorrenza.

Secondo Fishkin, per il pricing in un business SaaS come quello di Wizard of Moz bisogna focalizzarsi su due aspetti:

– Conservazione: stabilire un prezzo al quale i clienti sentono di ottenere valore,
– CAC o rapporto CLTV/CAC (costo di acquisizione cliente o rapporto tra lifetime value del cliente e CAC): si tratta di metriche che aiutano la startup a scalare con profitti tali da poter reinvestire per la crescita del business.

7. Micah Mitchell (MMMastery)

Il prodotto di punta di MMMastery è Memberium, un prodotto software per cui il prezzo è stato inizialmente stabilito basandosi sull’analisi della concorrenza, fissando un prezzo inferiore alla media di mercato.

Sulla base di tale analisi è stato possibile fissare un prezzo pari a 47$ per abbonamento mensile, quindi al di sotto della “barriera psicologica” dei 50$. Inoltre, si tratta di una cifra mensile che il cliente non ha grossa difficoltà a spendere.

Il team di MMMastery ha previsto in seguito la possibilità di acquistare un abbonamento annuale al prezzo di 470$, dopo aver calcolato che rinunciare a due mesi di abbonamento non avrebbe avuto grosse ricadute sui profitti, ma avrebbe fatto un’ottima impressione alla clientela.

Secondo Mitchell, infatti, la prima cosa da tenere in mente quando si stabilisce la strategia di pricing è come si sentirà il cliente quando arriverà la fattura: l’analisi della concorrenza è un aspetto da considerare, ma non deve essere il principale focus nella definizione della strategia di pricing.

8. Troy Dean (WP Elevation)

Dean afferma di aver sempre voluto posizionare il proprio prodotto nella fascia più alta del mercato, per cui è necessario concentrarsi e lavorare per offrire maggior valore rispetto ai concorrenti.

La sua strategia si basa su una domanda rivolta direttamente al cliente: “Questo problema è talmente importante per voi da essere disposti a pagare TOT per risolverlo?”

Una volta raccolte le risposte, Dean ed il suo team si mettono al lavoro per ottenere un prodotto in quella fascia di prezzo, che soddisfi il cliente e consenta all’azienda di ottenere dei profitti.

Il ruolo e la collaborazione del cliente sono quindi centrali nella strategia di pricing di WP Elevation, così come lo sono stati nella fase di product development.

9. Dean Ramler (Milan Direct)

Il prezzo, secondo Ramler, è un aspetto assolutamente unico e specifico, differente per ogni azienda. Milan Direct è un rivenditore di mobili on-line che lega il proprio brand al concetto di valore: per questo motivo, il team deve stare molto attento a non fissare un prezzo troppo alto o troppo basso.

La strategia prescelta è quella di non giocare con i prezzi: niente margini folli, ma semplicemente il miglior prezzo possibile tenendo conto dei costi e dei margini necessari a mantenere il business remunerativo.

Nel fissare i prezzi, inoltre, Milan Direct tiene conto della concorrenza, anche se la startup ha avuto raramente problemi a mantenere il miglior prezzo sul mercato.

10. Ankur Nagpal (Teachable)

Il prezzo deve essere stabilito sulla base dell’effettivo valore del prodotto: l’unica cosa che conta è il risultato per il cliente. Ed è proprio su questo aspetto che vanno impostate le strategie di pricing secondo Nagpal.

Nel caso si Teachable, ad esempio, il prodotto offerto consiste in corsi di formazione on-line. Se un corso di Teachable consente al cliente di ottenere un aumento da 10K del proprio stipendio, è decisamente possibile vendere il corso a più di 29$ indipendemente dal numero di ore di contenuti.

11. Xavier Major (Automation Masterminds)

Major utilizza una combinazione di intuizione e ricerca per determinare il livello dei prezzi: solitamente, la ricerca viene effettuata analizzando i prodotti simili e quelli competitivi del settore, ma anche il valore che i prodotti offrono al pubblico. Se il prodotto è legato ad un chiaro risultato in termini di valore per il cliente, infatti, il prezzo non è più un problema ed è possibile stabilirlo senza grosse difficoltà.

La cosa principale da tenere in considerazione è che il pricing è un’arte, non una scienza: il prezzo va stabilito e testato, per capire se funziona per il tuo business.

CONCLUSIONI

Dopo aver raccolto i pareri, i consigli e le esperienze di tutti gli startupper intervistati, Chan elenca i punti salienti su cui sembrano essere tutti concordi:

– Il miglior prezzo è quello che tiene basse le aspettative, ma a cui corrisponde un prodotto di grande valore,

– Scoprite cosa fanno i vostri concorrenti e perché,

– Bisogna concentrarsi sempre sul cliente e sulla sua esperienza.

Il post originale è disponibile qui: http://foundrmag.com/12-top-tier-entrepreneurs-share-their-best-advice-on-pricing-strategy/

Napoli, 20/11/2015

Startup e tipi di personalità: quali sono i più adatti a lavorare nel team di una nuova impresa?

Martin Zwilling (CEO e founder di Startup Professionals) lavora da molti anni come consulente di startup, oltre ad essere egli stesso nel CdA di svariate imprese innovative. Di recente ha pubblicato un post nel suo blog intitolato “5 Personality Types That Thrive In New Businesses”, nel quale delinea, sulla base della sua esperienza, quelle che a suo avviso sono i cinque tipi di personalità più adatti a far funzionare una startup.

Il punto di partenza è capire quali sono le motivazioni e le aspettative di un aspirante imprenditore: sicuramente quelle di lavorare part-time, arricchirsi rapidamente, o non avere nessuno che ci dica cosa fare non sono quelle giuste. Ciò nonostante, racconta Zwilling, gli startupper mossi da aspettative e motivazioni di questo tipo sono numerosi e non sono destinati ad avere successo.

personality

Il successo di una startup arriva infatti con il duro lavoro quotidiano, ed in particolare si presentano sicuramente più adatti alla vita da startupper personalità come quelle delineate nel seguente elenco:

1. Persone a cui piace essere padroni del proprio destino e fare le cose autonomamente

Si tratta di essere una persona orientata all’azione, in grado di gestire una serie di scadenze ravvicinate, che ha obiettivi ambiziosi e a cui piacciono le sfide derivanti dalla leadership. Anche in ambienti tipicamente caotici come quelli di una startup, questo tipo di personalità riesce a svolgere il lavoro richiesto nei tempi prestabiliti e con risultati di alto livello. Queste persone vengono viste dagli altri membri del team come energiche e determinate.

2. Persone spinte da una causa o che hanno l’obiettivo di cambiare il mondo

Che sia per la creazione di nuovi prodotti o per l’implementazione di nuovi servizi alle persone, chi ha una personalità di questo tipo non ha paura di dire la sua su temi rilevanti e sulle sfide a livello globale. Le personalità di questa tipologia sono propense a coltivare amicizie leali, alla crescita personale, a prosperare in ambienti con team molto forti: secondo la loro visione, il successo si misura dalla capacità di fare la differenza nel mondo che ci circonda.

3. Persone emotivamente in sintonia con gli altri che vogliono aiutare la gente

Si tratta dei cosiddetti “caregiver”, coloro che sono in grado di comprendere i problemi degli altri e sono determinati a fornire soluzioni che renderanno la loro vita migliore. Il loro amore per ciò che fanno li porta a divertirsi sul lavoro, e mettono il bilanciamento tra lavoro e famiglia tra le priorità. Le persone vedono in questa tipologia di personalità la più adatta al contatto con i clienti, o a fare da “collante” in team difficili ed esigenti.

4. Persone competitive che abbiano la spinta giusta per vincere sul mercato

Questo tipo di personalità è definito dall’autore “reward-driven”, ossia orientato alla ricompensa. Si tratta delle persone che vogliono guadagnare soldi, clienti, consensi ed ammirazione: una personalità molto determinata, che può aiutare a realizzare grandi cose in una startup all’inizio della sua esistenza. Queste persone sono decisamente orientate all’azione, ma necessitano di riconoscimenti ed incentivi per dare il meglio.

5. Persone alle quali basta che c’è un modo migliore o una soluzione al problema

Si tratta dei pensatori, di coloro a cui piace imparare, usare l’inventiva, godersi la sensazione che dà l’adrenalina di tanto in tanto. Personalità di questo tipo soffrono la frustrazione dei legami della burocrazia, non accettano che le cose debbano rimanere come sono semplicemente perchè sono sempre state fatte nello stesso modo. Per i membri del team, le personalità di questo tipo sono la linfa vitale che porta l’innovazione all’interno della startup.

A queste cinque tipologie di personalità, tratte dal libro “What Motivates Me: Put Your Passions to Work” di Adrian Gostick e Chester Elton, Martin Zwilling nel suo post affianca un ulteriore elenco che raccoglie i cinque livelli di motivazione che hanno impatto nel successo di una startup. Vediamo quali sono:

Livello A – E’ il caso in cui la motivazione primaria è quella di essere in grado di fare la differenza nel mondo, mentre la motivazione secondaria è guadagnarsi da vivere. Queste persone definiscono il proprio ruolo sulla base delle esigenze dei clienti o dei colleghi, mai sulle proprie.

Livello B – Qui la motivazione primaria che spinge la persona è offrire un ritorno consistente agli stakeholders: lo scopo è fornire buoni prodotti o servizi, l’idea di fare la differenza qui passa in secondo piano.

Livello C – La principale motivazione, a questo livello, non è soltanto il denaro: è l’amore per il denaro. Gli imprenditori che hanno questo livello di motivazione cercheranno il costo e la qualità minimi che gli garantiscano di essere più competitivi. In casi del genere, la pubblicità, i prezzi e le attività di supporto possono essere trattate con integrità discutibile.

Livello D – A questo livello l’avidità prende il sopravvento e diventa la motivazione principale. Sono tollerati anche gli atti non propriamente etici, e i clienti possono subire trattamenti ingiusti o addirittura essere danneggiati. Spesso si tratta di grandi aziende che cessano la propria attività in periodi di crisi finanziaria.

Livello F – Il livello più basso è quello delle attività illegali, come ad esempio le truffe su internet. Gli imprenditori a questo livello danneggiano se stessi, i loro dipendenti e clienti, la società in generale.

Sul lungo termine, gli startupper ed imprenditori del livello A sono quelli più felici, più produttivi e più di successo: Zwilling riconosce che a volte anche quelli di livello C e D sembrano aver successo all’inizio, ma si tratta di una prosperità effimera e fugace.

Il consiglio finale? Prima di avventurarsi in un progetto di startup, bisogna assicurarsi che la propria motivazione ad essere imprenditori sia più di un sogno, che sarà messo alla prova del tempo per la startup e per tutti coloro che vi gravitano attorno.

Il post originale è disponibile qui: http://blog.startupprofessionals.com/2015/11/5-personality-types-that-thrive-in-new.html

Napoli, 17/11/2015

StartupItalia! Open Summit 2015: l’ecosistema italiano delle startup si riunisce il 14 dicembre a Milano

C’è anche il CSI – Incubatore Napoli Est nella grande squadra che StartupItalia! sta mettendo su in vista dell’appuntamento con il primo StartupItalia! Open Summit: un grande evento, che nasce per chiamare a raccolta tutti i protagonisti dell’ecosistema italiano delle startup e dell’innovazione.

L’appuntamento con StartupItalia! Open Summit è previsto per il 14 dicembre 2015 a Milano, in via Giovanni Piranesi n. 14, a Palazzo del Ghiaccio: un’occasione importante per startupper ed aspiranti tali, finanziatori, business angels, venture capitalist, acceleratori ed incubatori.

A StartupItalia! Open Summit 2015 saranno presenti 1000 startupper, 100 startup, 50 giurati e 10 finalisti: il cuore dell’evento sarà infatti la premiazione della Startup dell’Anno.
Le startup possono presentare la propria candidatura compilando il form disponibile qui: http://startupitaliaopensummit.eu/candida-la-tua-startup/

opensummit

Le 100 migliori startup (selezionate entro il 30 novembre 2015) saranno presentate nel corso dell’evento ad una Giuria composta da 50 esperti di startup ed innovazione, che selezionerà le 10 startup finaliste, tra le quali i giudici sceglieranno la vincitrice.

Ma il programma di StartupItalia! Open Summit non si ferma soltanto alla competition: al termine delle 100 presentazioni, e prima della premiazione, si susseguiranno sul palco 12 workshop su alcune tematiche fondamentali per l’ecosistema di startup ed innovazione (tra cui il crowdfunding, la social innovation, l’evoluzione del mercato dei venture, etc).

Gli organizzatori pongono in particolare l’accento sulla natura totalmente “open” dell’evento: saranno resi disponibili 1.000 biglietti di ingresso gratuiti, di cui potranno fare richiesta altrettanti startupper e curiosi semplicemente prenotandosi a questo link: http://www.eventbrite.it/e/biglietti-startupitalia-open-summit-2015-18964964720
In questo modo, tutti i partecipanti avranno la stessa possibilità di entrare in contatto con investitori, mentor, angels per raccogliere feedback e contatti utili per la propria idea innovativa di impresa.

Il programma dell’evento è in continua fase di evoluzione, assieme all’elenco di speaker e giurati. Per tutte le informazioni è possibile consultare il sito web dedicato all’iniziativa: http://startupitaliaopensummit.eu/

Napoli, 16/11/2015

MergeLane Accelerator: 20K e 12 settimane di mentorship per startup con leadership al femminile

MergeLane è un acceleratore statunitense (con sede a Boulder, in Colorado) specializzato nelle startup con leadership al femminile: ogni anno investe nelle startup selezionate attraverso le sue call 20.000$ (a fronte del 6% Equity) con possibilità di ulteriori finanziamenti fino a 100K per ciascun team.

mergelane

Attualmente, e fino alla deadline fissata per il 23 novembre 2015, MergeLane accetta le application per il programma di accelerazione 2016: al termine della call, saranno selezionati i migliori 10 progetti che avranno accesso ad un percorso della durata di 12 settimane (dal 1° febbraio al 22 aprile 2016): è previsto obbligo di frequenza soltanto per le prime due e per l’ultima settimana di accelerazione.

Possono partecipare alla call for startup 2016 di MergeLane Accelerator team a composizione mista, nei quali almeno una delle posizioni di leadership sia ricoperta da una donna: dietro questa scelta, è prevista una duplice motivazione.

Il team di MergeLane afferma infatti che le startup guidate da imprenditrici siano in netta minoranza nel panorama internazionale, e ritiene opportuno contribuire a ridurre questo gap. Inoltre, i dati e le statistiche dimostrano che le startup guidate da donne riescono a produrre ritorni più elevati a fronte di investimenti di venture capital.

L’acceleratore MergeLane non prevede particolari settori di riferimento per le startup da includere nel proprio programma: per partecipare alle selezioni occorre compilare il form disponibile a questo link.

Per maggiori informazioni: http://mergelane.com/

Napoli, 12/11/2015

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