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Tag: startup tips

Startup Tips: 4 errori tipici da evitare quando si presenta il pitch a potenziali investitori

Heidi Allstop è founder di Spill, sito web dedicato ai giovani che desiderano condividere consigli e storie sulle problematiche tipiche della loro età: la startup è nata durante il periodo degli studi universitari di Heidi, ed è stata lanciata e diffusa in oltre 150 campus in 15 paesi.
Di recente, il portale AlleyWatch ha pubblicato un articolo firmato da Heidi Allstop dedicato ai 4 errori più diffusi (con i consigli per evitarli) quando i founder presentano il pitch della propria startup di fronte ai potenziali investitori.

L’autrice paragona il pitch agli investitori ad un primo appuntamento: bisogna che i founder siano sicuri di sé, senza tuttavia sembrare presuntuosi; disponibili, senza mostrarsi disperati; appassionati, senza sembrare troppo sopra le righe. Continuando in questa “metafora”, il pitch agli investitori deve essere un incontro che crea curiosità ed interesse senza forzare, lasciando all’interlocutore la voglia di scoprire di più sul prodotto/servizio offerto.

Partendo da questa visione, vediamo quindi quali sono i 4 errori più frequenti degli startupper alle prese con gli investitori e scopriamo alcuni interessanti consigli su come evitarli.

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1) PUSHING RATHER THAN PULLING (Spingere, anziché tirare)

Occorre trovare il giusto equilibrio nell’esporre il proprio progetto di startup, non commettendo l’errore di esporre troppe informazioni, ma raccontando abbastanza da creare la curiosità del potenziale investitore all’ascolto, senza tuttavia forzarne l’interesse.
Lo scopo del pitch deve essere quello di mostrare la propria value proposition facendo capire a chi ascolta che sono applicabili alla vita e alle esigenze quotidiane: in questo modo, il prodotto offerto dalla startup risulterà decisamente più appetibile.

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2) USING BUZZWORDS AND INDUSTRY JARGON (Utilizzare neologismi e gergo settoriale)

I neologismi, spesso molto di moda, possono rendere il discorso banale per chi ascolta, facendo perdere credibilità al progetto di fronte al potenziale investitore. Termini come “rock-star team”, “massively disruption”, “game-changing technology” suonano come ingenui clichè facendo perdere punti allo startupper che sta presentando la propria idea.
Il pitch deve invece trasmettere un’idea originale, e contenere informazioni, metriche, aneddoti utili e significativi per l’ascoltatore.
Allo stesso modo, non è consigliabile infarcire il pitch di termini troppo tecnici e legati al proprio settore di riferimento: per capire un pitch, l’investitore non deve aver bisogno di un dizionario o di una laurea ad hoc. Occorre quindi utilizzare una terminologia semplice e diretta, che chiunque possa comprendere a prescindere dal proprio settore di attività o dal background culturale.

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3) PITCHING AROUND A POWERPOINT (Basare la presentazione del pitch sulle slide del PowerPoint)

Basarsi troppo strettamente sulle slide del PowerPoint fa sembrare il pitch poco sincero e “personalizzato”: quando si presenta la startup ad un potenziale investitore, invece, occorre far capire all’interlocutore che quel pitch è unico. Si tratta infatti di un accorgimento importante per costruire fin dal primo incontro la fiducia necessaria in qualsiasi rapporto.
Il pitch, inoltre, dovrebbe essere costruito in maniera tale da garantire immediatamente un contatto “visuale” per l’interlocutore, che deve guardare le slide ma ascoltare le parole dello startupper.
Tra gli aspetti fondamentali da analizzare nelle prime slide, l’autrice ricorda gli aspetti-chiave di base: problema, soluzione, opportunità e dimensioni del mercato, team, tecnologia, concorrenza, strategia di distribuzione, business model.
Una volta affrontati gli aspetti di base, il suggerimento è quello di costruire le cosiddette “power cards”, slide che raccolgono informazioni quali le metriche più “impressive”, citazioni utili di commenti dei clienti, parteneriati di alto livello, ecc.

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4) CRAFTING THE PITCH ALONE (Costruire il pitch da soli)

Chiedere un secondo parere sul pitch prima di presentarlo è sempre una buona idea, un po’ come quando si chiedere un parere sul vestito scelto per il primo appuntamento. Un secondo parere può essere utile per ricevere consigli, incoraggiamento, critiche su cui impostare eventuali modifiche e miglioramenti al pitch.
Chiedere il parere di una seconda persona, spesso, è difficile da accettare per uno startupper: gli aspiranti imprenditori hanno una mentalità da “self-starters”, che tuttavia deve essere superata per riuscire a costruire un pitch di successo.
L’autrice stessa, infatti, ricorda quanto siano stati utili i confronti con gli altri startupper incontrati durante il suo percorso di accelerazione a TechStars: quello che bisogna ricordare sempre, è ascoltare i feedback altrui attentamente, prendendo tutte le informazioni utili, senza accampare scuse di nessun tipo.

In conclusione, Heidi Allstop afferma che qualsiasi decisione sull’impostazione del pitch deve essere presa alla fine di un processo basato sulla prospettiva, la fiducia e la pratica, ricordando sempre che ciò che si fa e il modo in cui ci si pone può essere più importante delle parole usate.

Il post originale è disponibile qui: http://www.alleywatch.com/2013/12/4-common-startup-pitch-mistakes-to-avoid/

Napoli, 27/08/2015

Consigli per startup e imprese: riconoscere e gestire il cambiamento per avere successo nel business

Martin Zwilling è un veterano nel mondo delle startup: mentor, executive, blogger, Angel Investor ha collaborato con testate internazionali quali Forbes, HBR, Huffington Post. Di recente, il portale Examiner ha pubblicato un suo contributo intitolato “How To Be An Entrepreneur Who Can See Around Corners”, nel quale raccoglie alcuni spunti interessanti per startupper che vogliono provare a diventare imprenditori capaci di intravedere prima di tutti le opportunità ed i cambiamenti in atto e trasformarli in grandi opportunità di business.

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La capacità di intravedere, adattarsi e sfruttare a proprio favore il cambiamento sta diventando una caratteristica imprescindibile per la crescita e la sopravvivenza di startup e aziende: i migliori imprenditori sono proprio coloro che sono in grado di cogliere le opportunità nascoste nel cambiamento prima di tutti gli altri. Si tratta di una capacità spesso innata, ma che secondo Zwilling può essere appresa lavorando su alcune skills di base.

In particolare, l’autore si sofferma su cinque skills fondamentali, elencate dal libro “The Attacker’s Advantage” di Ram Charan:

1) Stare sempre all’erta, percependo i segnali ed il significato del cambiamento.

Tecnicamente, questa skill è definita “perceptual acuity”, acutezza percettiva. Gli imprenditori e gli startupper migliori si impegnano ad analizzare regolarmente con un gruppo eterogeneo di esperti le proprie percezioni e idee, cercando di recepire i cambiamenti imminenti in ambienti eterogenei per capire come sfruttare le nuove opportunità di crescita.

2) Avere un mind-set focalizzato sulla capacità di scorgere le opportunità nell’incertezza.

L’incertezza va vista come un invito a passare all’attacco: gli imprenditori devono essere sempre pronti a trovare un nuovo posto per il loro business, quando il paesaggio sta cambiando. Non bisogna mettersi sulla difensiva, anzi è opportuno accettare la realtà e capire che a volte intestardirsi sulle proprie idee può essere un ostacolo sulla strada che in realtà sarebbe più promettente.

3) Capacità di vedere un nuovo percorso davanti a sé, e di impegnarsi a seguirlo.

Gli imprenditori di successo sanno che non bisogna aspettare che tutti siano concordi sulla vision che il business deve raggiungere e perseguire: un leader deve avere il coraggio delle proprie convinzioni. La strada giusta passa attraverso la tenacia nel seguire le nuove opportunità, individuare gli ostacoli, trovare il modo migliore per affrontarli e superarli.

4) Capacità di adattamento nella gestione della transizione verso il nuovo percorso.

Startupper e imprenditori devono riuscire a mantenersi in contatto con le realtà esterne e interne all’azienda, per sapere quando è il momento giusto per accelerare, quando spostare il focus da breve a lungo termine, senza mai perdere di vista il flusso di cassa e i debiti. Inoltre, l’azienda deve stabilire e rispettare le milestones prefissate, per mantenere la credibilità rispetto agli investitori e agli stakeholders.

5) Abilità nel rendere l’azienda agile e flessibile.

Nessun leader aziendale può guidare con successo la propria organizzazione nel cambiamento, se non è in grado di mantenere a lungo le risorse-chiave all’interno del team. Le risorse-chiave sono le persone capaci di mantenersi agili, flessibili, riuscendo ad interagire e costruire in tempo reale le relazioni con l’esterno. Esse sono, inoltre, in grado di fisare le priorità, hanno capacità di decision-making, sanno muoversi nelle attività di funding e nelle attività di misurazione e monitoraggio delle metriche.

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Un esempio di imprenditore in grado di guidare l’azienda attraverso il cambiamento è Steve Jobs: ma si tratta di poche eccezioni. Nella realtà di tutti i giorni, la maggioranza di imprenditori e startupper si lasciano sopraffare dalle pressioni quotidiane e perdono di vista la strada giusta. Ecco perchè Zwilling è convinto che tutti gli imprenditori ed aspiranti tali dovrebbero lavorare per sviluppare la propria “perceptual acuity”: di seguito, un elenco di consigli pratici da mettere in atto per iniziare.

Riservare 10 minuti di ciascun meeting settimanale del personale per lavorare sull’argomento;
Raccogliere feedback e punti di vista contrari al nostro da persone di cui abbiamo fiducia e rispetto, ed utilizzarli come spunto di riflessione;
Analizzare il passato alla ricerca di segnali di cambiamento di cui non ci siamo resi conto in tempo;
Aggiornare regolarmente la vostra “mappa mentale dei cambiamenti chiave” in diversi settori;
Valutare che impatto potrebbero avere sul mercato un’invenzione, un brevetto, una nuova normativa;
Utilizzare gli outsider, per moltiplicare la capacità di rompere schemi e modelli;
 Studiare la scena social, alla ricerca di nuovi comportamenti e tendenze tra i consumatori;
Informarsi attraverso tutti i media possibili, sia online che offline.

Per leggere il post originale: http://www.examiner.com/article/how-to-be-an-entrepreneur-who-can-see-around-corners

Napoli, 05/08/2015

Startup Tips: 5 consigli utili per la leadership di CEO ed Executive

Dan Finnigan è CEO e Presidente di Jobvite, ha oltre vent’anni di esperienza come Executive Leader in svariate aziende technology-based e ha lavorato in posizioni dirigenziali per Yahoo: dalla sua esperienza ha estrapolato alcuni consigli utili sulla leadership e le caratteristiche imprescindibili che devono essere possedute da chi ricopre un ruolo executive in azienda, e in particolare nel settore delle aziende e startup innovative e tecnologiche.

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In un post recentemente pubblicato da Inc.com, Finnigan ha raccolto cinque cose che gli executive di successo non fanno mai: alcuni comportamenti, infatti, non si traducono mai in un successo, a prescindere da quante volte li si ripete. Vediamo quali sono:

Non reagire in maniera impulsiva 

Un buon CEO deve saper affrontare i problemi, senza “mettere la testa sotto la sabbia”: quello che non bisogna mai fare, è avere una reazione impulsiva e aggressiva, perché non si vuole vedere o affrontare un problema.

Se, ad esempio, un amministratore delegato vede che uno dei componenti del team non sta facendo un buon lavoro, la strategia giusta è offrire a quest’ultimo l’opportunità per migliorare. Licenziarlo in tronco è una scelta impulsiva e non costruttiva, che può dipendere da una mancata comunicazione efficace tra il CEO e il team.

Un executive di successo, invece, sa osservare le situazioni da diversi punti di vista e capire che non è il caso di agire in maniera avventata, senza prima sforzarsi di analizzare la situazione e le varie opzioni attuabili.

Non dormire sugli allori

La maggior parte delle startup e aziende innovative di successo sono nate da imprenditori “visionari”, che avevano ben chiaro in mente come risolvere un problema specifico. Ma, una volta avviata l’azienda, lanciato il prodotto, soddisfatti i clienti, non bisogna cullarsi nella convinzione che tutto procederà per il meglio senza fare nient’altro.

Un buon leader sa che non è possibile dare per scontato che “il successo genera successo”: il successo deriva dal fornire al mercato prodotti e servizi in grado di risolvere problemi reali. Per proseguire nel percorso di una startup verso il successo, quindi, occorre continuare a cercare input significativi ascoltando i clienti, per impegnarsi nella creazione di nuovi prodotti e servizi che il mercato accoglierà con favore.

Non credere alle tue stesse sciocchezze

Quando si ricopre un ruolo dirigenziale, le persone si rivolgeranno a voi e ascolteranno le vostre parole: basterà alzare un po’ la voce con chi non è d’accordo con voi, per far sì che tutti rispetteranno il vostro punto di vista. Purtroppo, però, questo non è un atteggiamento che fa crescere.

Un CEO, o qualsiasi altro dirigente, deve invece chiedere al team un feedback onesto: occorre chiedere e raccogliere i pareri dell’intera organizzazione, dei clienti, degli amministratori, etc. Si tratta dell’unico modo per capire se la strada che si è scelto di percorrere per dirigere l’attività è quella giusta.

Naturalmente non è semplice sollecitare le persone a criticarci, ma è decisamente un comportamento utile e costruttivo.

Non lasciare fuori i membri del CdA

I membri del CdA spesso delegano agli amministratori delegati tutto il complesso di responsabilità derivanti dalla gestione di un’azienda. Ma un executive non deve pensare di non poterli coinvolgere, o chiedere il loro aiuto: purtroppo, la tendenza è quella di rivolgersi al CdA quando ormai la situazione è difficile da risolvere.

L’autore utilizza come metafora l’immagine del CdA come coloro che guardano “in piedi sulla banchina”, mentre gli executive e il team è in barca a remare: questa situazione non è utile al business, e il CEO deve sforzarsi di costruire un dialogo continuo con i membri del CdA sulle future strategie da implementare.

Non confondere la propria opinione con quella del mercato

Esiste un filo rosso che collega tutti i punti affrontati fino ad ora: i “cattivi comportamenti” elencati da Finnigan sono accomunati dalla tendenza a non chiedere feedback dall’esterno e a credere troppo nella propria visione del mondo. Un buon CEO dovrebbe sapere che, quando si inizia a confondere la propria prospettiva personale con quella del mercato, occorre invertire subito la tendenza.

Basarsi unicamente sul proprio punto di vista personale non dà mai la risposta giusta: bisogna invece andare a vedere cosa pensa la clientela, il mercato, andando fuori dall’azienda per raccogliere feedback e input utili. Si tratta di un’attività impegnativa, che richiede un lavoro lungo e continuo: ma senza cercare il feedback dei clienti non si avranno mai le intuizioni giuste per prendere decisioni strategiche destinate al successo.

Il post originale è disponibile qui: http://www.inc.com/dan-finnigan/the-best-execs-never-do-these-5-things.html

Napoli, 04/08/2015

Startup Tips: 7 falsi miti da sfatare per affrontare il processo di crescita del tuo business

Ci sono alcuni falsi miti, particolarmente diffusi, che possono arrestare il percorso di crescita di una startup: in un recente articolo pubblicato da Entrepreneur, Fredrik Nilsson (General Manager di Axis Communication) ne elenca sette. Per ciascuno di essi, l’autore spiega perchè possono essere pericolosi e in che modo interpretarli, in modo da non arrecare danno allo sviluppo del business.

1) Il miglior prodotto vince sempre

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Un buon prodotto è certamente importante: agli inizi dell’attività, è possibile che il prodotto di una startup ottenga parecchi consensi e che i clienti e il team ne siano entusiasti. Ma bisogna fare attenzione e non farsi ingannare: se l’azienda non ha un’organizzazione in grado di supportare il prodotto e affrontare il mercato, o se i clienti dovessero accorgersi che il prodotto è in realtà difficile da usare, la startup si troverà nei guai.
Oltre al prodotto, è importante implementare una buona strategia di vendita, soprattutto nel breve periodo: sono molte le startup che falliscono, dopo un lancio di mercato promettente. Ancora, è fondamentale avere un servizio di customer care in grado di far sentire i clienti seguiti e supportati, in modo tale che abbiano voglia di tornare in futuro e non pensino di rivolgersi ai concorrenti. Una strategia aziendale che tiene conto di questi aspetti mette la startup in una prospettiva di crescita di lungo periodo, che potrà eclissare la concorrenza.

2) E’ quasi impossibile per una piccola startup competere con le grandi aziende del settore

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Nilsson è categorico: questa affermazione è falsa. Competere con i colossi del settore è difficile, ma non impossibile. Una startup deve rimanere concentrata sui propri obiettivi di business e costruire un prodotto di valore, nella consapevolezza che ci si dovrà scontrare con i grandi brand consolidati. Essere consapevoli della concorrenza è fondamentale, ma non deve diventare il primo pensiero dei founder: bisogna invece concentrarsi sulla conquista di una quota di mercato, tener testa ai grandi brand e lavorare in una prospettiva basata sulla fiducia, il servizio, l’esperienza. In questo contesto, inoltre, è fondamentale imparare sempre dagli errori e dalle piccole e grandi “cadute” che i competitor hanno dovuto affrontare in passato. Infine, l’autore consiglia alle startup di non provare mai a competere con i grandi brand sulle questioni inerenti i costi.

3) Per guadagnare quote di mercato è bene ridurre i prezzi

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Non sempre abbassare i prezzi è una buona idea: bisogna chiedersi se si vuole che la propria startup sia ricordata come il brand che offre il prezzo più basso. Spesso la scelta migliore è quella di porsi l’obiettivo di essere riconosciuti dai clienti come il brand che offre il prodotto migliore, attenendosi ad un business model che sia redditizio nel lungo periodo. Una startup deve assicurarsi che il cliente sia soddisfatto, che decida di ripetere l’acquisto: spesso non è a questo tipo di risultati che si associa il prezzo più basso sul mercato.
La vision di una startup deve quindi focalizzarsi sul valore offerto dal prodotto/servizio, cercando sempre di concentrarsi sui risultati ottenibili nel lungo termine.

4) Servirsi di scorciatoie aiuta ad andare avanti e raggiungere il successo più rapidamente

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Al contrario, l’esperienza insegna che le startup di successo sono quelle che ragionano su un’orizzonte temporale di lungo termine: il business difficilmente prevede successi rapidi.
La mentalità di lungo termine permette invece di ottenere ottimi risultati in termini di vendite e permette di accrescere il livello di fidelizzazione del cliente e la riconoscibilità del brand.

5) Il canale di vendita è la vostra unica priorità

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Non è così, perché la vera priorità sono i clienti, non i canali attraverso cui raggiungerli. Una startup deve impegnarsi con responsabilità e comprensione per educare il mercato, accrescere la fedeltà dei clienti, preoccuparsi del prodotto. Essere davvero vicini al cliente, costruire una relazione con quest’ultimo, è decisamente più importante del canale di vendita prescelto per raggiungerlo: per questo è importante il lavoro di creazione ed animazione della community.

6) La crescita della startup tende con il tempo ad appiattirsi

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Gli obiettivi di vendita tendono a diminuire al crescere del business ma, fino a quando è possibile scalare, non si appiattiscono. Quello che una startup deve fare per evitare che la sua crescita si arresti, quindi, è trovare sempre nuovi obiettivi e traguardi e spingere il team affinché possano essere raggiunti. Quando si parla di tasso di crescita di una startup, occorre sempre tenere presenti i requisiti necessari per la scalabilità: qual è il potenziale a lungo termine? La startup si sta limitando ad aggredire una parte limitata del mercato? E’ possibile collaborare e lavorare mantenendo alta la fiducia? Qual è il valore che il nostro prodotto deve offrire al cliente, oggi e in futuro?

7) Non aspettatevi che la cultura aziendale resti la stessa quando la startup sarà cresciuta

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Così come l’approccio per la crescita deve essere basato sulla scalabilità, la cultura aziendale deve essere focalizzata sul superamento dei limiti e sul continuo miglioramento. Inoltre, la cultura aziendale orientata al lungo termine continua ad esistere e permeare la startup e il suo team, anche quando la crescita è ormai avanzata. Mantenere i valori e la mission degli inizi è fondamentale, anche quando l’azienda ha successo e cresce a livello internazionale: ciò permette di mantenere intatti la fiducia e il commitment di clienti e dipendenti.

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Per concludere, Nillson afferma che crescere ed espandersi è sicuramente un percorso difficile per una startup: bisogna mantenere l’attenzione e la concentrazione su un gran numero di aspetti ed attività, in sincronia, per crescere assieme e mantenere alto il morale del team.
Molte aziende guardano a modelli di successo e cercano di imitarli: bisognerebbe però tenere presente che ciascuna startup è diversa dalle altre, e qualsiasi approccio va adattato e modellato sulle esigenze e le caratteristiche del singolo business. Ancora, pur prediligendo una strategia di lungo termine, una startup deve riuscire a mantenere la flessibilità necessaria per affrontare eventuali cambiamenti di rotta. E, indipendentemente da tutto, ricordare sempre che alcuni consigli vanno messi in discussione: non si sa mai che la vostra startup non possa essere la prima a sfatare qualche mito!

Il post originale è disponibile a questo link: http://www.entrepreneur.com/article/248153

Napoli, 31/07/2015

Startup e Musica: perché integrare un musicista nel team può essere una scelta vincente

Stewart Cowley, founder della Northfield Strategic Advisors, ha pubblicato attraverso LinkedIn un interessante e particolare punto di vista sui buoni motivi per cui assumere un musicista nel team della propria azienda: essendo lui stesso un musicista, ha infatti riscontrato una serie di caratteristiche e approcci che possono rappresentare dei punti di forza nell’esperienza lavorativa in una startup e, in generale, in un’impresa.

La sua idea di base è che essere un musicista (nel caso specifico di Cowley un chitarrista) significa applicare la propria sensibilità musicale a tutti gli aspetti della vita e del lavoro, tanto da definirla la sua “posizione di default”. Vediamo quindi quali sono i cinque buoni motivi per arricchire il proprio team grazie all’ingresso di un musicista:

1) Se la sezione ritmica non funziona, nulla può funzionare

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Cowley racconta di non aver mai suonato nella sua vita in una band o un’orchestra in cui la combinazione drum/bass è terribile, ma la band funziona lo stesso. La sezione ritmica è quella che fa ballare il pubblico, se non funziona non c’è cantante o chitarrista che tengano. Istintivamente, i musicisti sanno che per far funzionare una band deve esserci una buona sezione ritmica alla base: allo stesso modo, una startup (e in genereale un’azienda) funziona se è sorretta da un team che lavora bene.

2) Si suona per il pubblico, non per sé stessi

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Nella sua esperienza di musicista, Cowley afferma di non aver mai suonato una sola nota senza pensare al suo pubblico, anche quando stava semplicemente provando. Un artista è sempre in modalità “on” e pensa a suonare al meglio per offrire al pubblico la migliore esperienza possibile. Trasportare questa forma mentis al lavoro in una startup significa che il musicista lavora tenendo sempre in mente le esigenze dell’utente o cliente finale: un atteggiamento decisamente utile per il successo dell’azienda.

3) Un musicista conosce la sua parte, ma se è necessario sa improvvisare

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Sul lavoro, non sempre le persone sanno dove la loro “parte” inizia e dove finisce: tendono a confondere i limiti e a sconfinare nelle mansioni degli altri, a volte in maniera consapevole, altre in maniera inconscia. Questo i musicisti non lo fanno: sanno fare al meglio la propria parte, per rendere migliore la performance di tutti. Allo stesso tempo, però, un musicista sa improvvisare se necessario: tutte qualità utili se rapportate al lavoro in un’azienda, in particolare nelle sue fasi iniziali di attività.

4) Un musicista sa ascoltare ciò che gli altri stanno facendo

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I musicisti sono multitasking: riescono ad essere consapevoli di ciò che stanno facendo e, contemporaneamente, sono attenti alle attività e alle reazioni degli altri. Da questo punto di vista, scrive Cowley, i musicisti hanno un “set di ascolto differente” rispetto a quello delle altre persone, che permette loro, in situazioni lavorative, di sentire cosa fanno gli altri e di rispondere di conseguenza. I musicisti in un’azienda sanno quando giocare duro e quando, invece, essere “più morbidi”, sanno quando essere protagonisti della melodia e quando indietreggiare occupandosi dell’accompagnamento.

5) I musicisti sanno che il direttore d’orchestra è importante, ma non è lui che suona realmente

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Il direttore d’orchestra è importante nella musica: è colui che ti dice quando iniziare e quando smettere di suonare. Ma un musicista, pur consapevole dell’importanza del direttore d’orchestra, sa che tra l’inizio e la fine dell’esibizione quest’ultimo è più o meno irrilevante.
Allo stesso tempo, il direttore d’orchestra crede di essere importante per tutta la durata dell’esibizione.
I musicisti di un’orchestra sanno che hanno bisogno di un direttore per iniziare, ma senza orchestra alle spalle un direttore non ha ragione d’essere. Molti CEO dovrebbero tenere in considerazione questa similitudine.

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Ancora, quando la giornata lavorativa è terminata, i musicisti sanno che è importante continuare a suonare tutti insieme: nella realtà aziendale, questo signifca che il team sarà in grado di costruire relazioni e legami semplicemente perché hanno qualcosa da condividere. Per i responsabili del Dipartimento Risorse Umane questo significa non dover investire risorse per eventi ricreativi aziendali, in quanto le relazioni saranno costruite spontaneamente dai membri stessi del team.

In conclusione, sostiene Cowley, quando ci si ritrova davanti il CV di un musicista bisognerebbe provare ad offrirgli un lavoro: difficilmente ci si pentirà di averli assunti.

Il post originale è disponibile qui: https://www.linkedin.com/pulse/why-musicians-make-best-employees-stewart-cowley?trk=hp-feed-article-title-channel-add

Napoli, 28/07/2015

Consigli utili per startup: come gestire le prime assunzioni e creare un team di successo

Il blog GrowthFunders ha di recente pubblicato un post firmato da Jenna Taylor dedicato ad una raccolta di spunti e consigli utili per assumere le persone giuste per una startup: il processo di assunzione in una startup, infatti, può essere spesso molto difficile, in particolare a causa delle limitate risorse in termini sia finanziari che di tempo a disposizione.

In una startup, inoltre, spesso il team di lavoro è composto da un numero limitato di persone: se, ad esempio, la startup ha 5 persone in organico, questo vuol dire che ciascuno di essi rappresenta ben il 20% della cultura aziendale e delle prestazioni che la startup può realizzare. Ogni persona, quindi, conta davvero tanto ed è assolutamente indispensabile prendere le decisioni giuste quando si affronta il processo di assunzione.

Inoltre, nelle prime fasi di attività le persone-chiave dovranno essere in grado di lavorare al Minimum Viable Product: ecco perché le persone scelte dovranno essere in grado di collaborare per costruire un grande team, ed avere delle competenze adatte a far sì che la squadra di lavoro sia il più possibile complementare, comprendendo persone con competenze tecniche, di business development, di marketing, di vendite, etc.

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Nel suo post, Jenna Taylor analizza le figure-chiave che dovrebbero comporre il team migliore per una startup:

FOUNDERS

I founder di una startup sono coloro che fin dalla fase di generazione dell’idea hanno creduto e lavorato al progetto, cercando di trasformarlo in un business di successo. L’ideale è riuscire a trovare dei co-founder che abbiano la stessa passione e voglia di realizzare una startup di successo, e siano pertanto disposti a dedicare il tempo e le risorse necessarie a far crescere il business.

Il consiglio dell’autrice, quindi, è di capire fin dall’inizio quali sono le qualità e le caratteristiche di founder e co-founder: una volta stabilito che si tratta delle persone giuste per proseguire con il progetto, disposte a lavorare con impegno verso un obiettivo comune, sarà possibile suddividere compiti e responsabilità in base alle skills di ciascuno dei componenti del team.

Da non dimenticare: l’elemento centrale di una startup è la cultura aziendale. Per questo occorre definirla nel dettaglio, prima di costruire la struttura e la strategia che porteranno avanti il progetto.

CRITICAL HIRES

Le prime assunzioni di una startup possono avere target diversi, che dipendono dalle skills in possesso di founder e co-founder. In ogni caso, lo scopo finale è quello di costruire un team complementare. Ad esempio, se la squadra originaria è fortemente specializzata da un punto di vista tecnico, è necessario completarla assumendo persone con competenze in tema di vendite e marketing, per commercializzare il prodotto e gestire la community nella maniera più efficace possibile.

Ovviamente, spesso le prime assunzioni sono gestite in base alle disponibilità finanziarie limitate tipiche delle startup agli inizi. Fermo restando la limitatezza delle risorse, i founder non dovrebbero accontentarsi: bisogna sempre provare a costruire il miglior team possibile, perchè una startup ha bisogno di un ottimo inizio.

THE “DREAM TEAM”

Don Fornes, CEO di Software Advice, ha costruito quello che ritiene essere il “dream team” di una startup da costruire attraverso le assunzioni-chiave basandosi su un presupposto nuovo: anziché focalizzarsi sulle skills necessarie a ricoprire un ruolo, i founder dovrebbero basarsi sui tipi di personalità. Le migliori startup, secondo Fornes, hanno un team composto da una miscela di 4 tipi di personalità: vediamo quali sono.

1) The Matrix Tinker: si tratta di colui che è in grado di pensare “outside the box”, applicando la creatività e l’innovazione all’attività di problem solving. Spesso questo tipo di persona è in grado di realizzare processi e prodotti rivoluzionari, collegando concetti apparentemente scollegati tra loro.

2) The Savant: questa figura rappresenta, nella maggioranza dei casi, un talento particolarmente prolifico nel proprio settore di riferimento (ad es. nel marketing). Si tratta di una persona in grado di realizzare campagne e progetti di successo senza particolari problemi. Di solito, si tratta di scrittori, artisti, ingegneri con particolari capacità in termini di creatività.

3) The Champ: questa tipologia di personalità è caratterizzata per essere molto fiduciosa, crede fortemente nel prodotto ed ha grande passione per il progetto. E’ in grado di leggere correttamente i bisogni e i desideri dei potenziali clienti, per cui è adatto ad occuparsi delle vendite, ma può affrontare con successo anche ruoli di natura dirigeziale.

4) The Giver: riesce ad avere ottimi risultati nelle attività di customer support, essendo in grado di mettere le esigenze del cliente e dell’azienda al primo posto. Relativamente al gioco di squadra, sono coloro che danno più di tutti per il business, lavorando anche al di là delle ore previste dal contratto.

ADVISORS

In conclusione, Jenna Taylor si sofferma sul ruolo degli advisors (consulenti). Pur non avendo un ruolo propriamente “attivo” all’interno della startup, i consulenti hanno comunque un valore inestimabile nelle fasi iniziali di un business. Gli advisors sono infatti indispensabili per creare le relazioni con potenziali partner strategici, per costruire la reputazione associando il loro nome a quello della startup, per avere dei punti di riferimento di fronte ad eventuali difficoltà e problemi. Per questi motivi, una startup deve cercare fin dal primo momento di avvicinarsi agli advisors giusti per il suo cammino di crescita e sviluppo.

Per leggere il post originale: http://blog.growthfunders.com/tips-for-hiring-the-right-people-for-your-startup

Napoli, 03/07/2015

Consigli per startup e imprese: umanizzare il brand grazie alla comunicazione social

Michelle Manafy è direttore di Digital Content Next, associazione di categoria che si occupa delle esigenze delle imprese in materia di digital media. Nel suo ultimo articolo pubblicato da INC., parla di come i social media rappresentino un aspetto fondamentale per i brand di startup e imprese.

In particolare, il suo articolo analizza un aspetto tanto importante quanto difficile da gestire: quando si tratta di social media, i brand devono essere “umanizzati”. Comportarsi “come dei robot” è infatti, secondo Michelle Manafy, l’errore più fatale che un’azienda possa commettere quando si affronta la comunicazione sui social media.

Nel suo articolo, l’autrice espone ai lettori tre strategie efficaci per aziende e startup alle prese con la comunicazione sui social: vediamo di quali strategie si tratta.

1) Le persone alimentano il business

Le persone che lavorano in un’azienda sono una grande forza per il brand: il primo suggerimento è quello di prendere in considerazione l’idea di mettere una foto che ritragga il team sulle home page degli account social. Guardare in faccia le persone che compongono un’azienda è importante per i clienti, che possono in questo modo avere uno strumento in più da cui capire la cultura che c’è dietro al brand.
Un’altra buona idea è quella di coinvolgere il personale e il team nella creazione di contenuti su Twitter: la conseguenza sarà quella di infondere alla presenza social del brand una vera e propria “forza umanizzante” che coinvolge in maniera efficace la community.

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2) La conversazione è a due vie

Uno dei più grandi errori che un’azienda può fare quando si tratta di social media è quello di utilizzare i propri profili come un mezzo di comunicazione a senso unico. Il minimo che si possa fare, è utilizzare i social come un mezzo per rispondere a richieste e reclami dei clienti.
Anche in questo caso, bisogna ricordare sempre che lo scopo è quello di umanizzare il brand: per questo motivo, è importante parlare con i clienti affrontando problemi e richieste con grazia e gentilezza.

Oltre ad utilizzare i social media come canale per il servizio clienti, è possibile aumentare l’efficacia della comunicazione social del brand cercando di coinvolgere la clientela nella creazione di contenuti: un metodo molto utile e diffuso è, ad esempio, quello di incoraggiarli a postare fotografie tramite Twitter o Facebook, che ritraggano il cliente mentre utilizza il prodotto.
Da questo punto di vista, è importante dare sempre un riscontro o una risposta (ad esempio attraverso un retweet).

3) Le persone hanno la propria personalità

A questo punto, l’autrice si sofferma sul logo aziendale: questo è di solito la prima cosa che un cliente vede sulle pagine social dell’azienda. Ma questo logo ha personalità? La risposta può essere sì, ma secondo Michelle Manafy anche il logo migliore non può mai ricalcare e comunicare la pluralità di aspetti della personalità umana.
Ecco perchè bisogna affiancare al logo un linguaggio che riesca a comunicare delle emozioni, in particolare la gioia e l’umorismo: sono proprio queste ultime, infatti, le emozioni che riscuotono maggior successo sui social media.

Infine, l’autrice ricorda due aspetti da tenere sempre in mente quando si parla di comunicazione social del brand: la prima regola generale è quella di interagire utilizzando i nomi e parlando in prima persona, per trasmettere un maggior senso di umanità e genuinità.
La seconda, è quella di applicare i tre consigli strategici esposti anche alla creazione di contenuti.

Per leggere il post originale: http://www.inc.com/michelle-manafy/humanizing-your-brand-for-social-success-the-content-connection.html

Napoli, 30/06/2015

Consigli per startup e imprese: come affrontare un nuovo mercato e acquisire nuovi clienti

Scott Gerber è il presidente dello Young Entrepreneur Council. Qualche settimana fa il portale ReadWrite ha pubblicato un suo articolo intitolato “11 Things To Remember When Tackles A New Market”, rivolto agli startupper che si trovano a dover affrontare la sfida di un nuovo mercato.

Secondo Gerber, infatti, l’acquisizione di nuovi clienti è una sfida che tutti gli imprenditori devono affrontare: ma le cose si complicano ancora di più quando ci si trova a dover effettuare il targeting di una nuova customer base, ad esempio in caso di espansione su un mercato differente o, ancora, quando ci si ritrova nelle fasi iniziali di vita di una startup.

Nel suo articolo, quindi, Gerber raccoglie gli spunti e i consigli offerti da alcuni imprenditori di successo, che si sono ritrovati a dover affrontare nuovi segmenti di clientela per il proprio business.

1) Customer Feedback

Nelle primissime fasi, è essenziale che la startup si adoperi in tutti i modi e con tutti gli strumenti possibili per raccogliere i feedback dei potenziali clienti. L’analisi di questi feedback è infatti fondamentale per impostare le future attività dell’impresa, aiutando a minimizzare eventuali problemi ed errori in cui è possibile cadere quando non si ascolta in maniera attenta la clientela.

Ascoltare attentamente l’utente finale, che si tratti di una startup B2B o B2C, rappresenta un investimento utile e redditizio in termini di tempo, risorse e denaro utilizzati.

2) Potential Partnerships

Prima di entrare in un nuovo mercato è fondamentale impostare una ricerca approfondita per individuare le migliori partnership e affiliazioni per il business. Utilissimo in questo senso il contatto diretto con chi ha già esperienza, che sia un contatto telefonico, via e-mail o meglio ancora face-to-face.

L’esperienza di chi ha già lavorato a contatto con i nostri potenziali clienti diventa lo strumento più importante per pianificare la strategia: implementare le giuste partnership consente infatti alla startup di colmare il divario tra la customer base già esistente e quella potenziale.

Non bisogna trascurare infatti che per i clienti un marchio conosciuto è una sorta di garanzia: se già conoscono il partner e il suo prodotto avranno maggiore fiducia nella startup e saranno ben disposti verso il prodotto offerto da quest’ultima.

3) Review Site Research

Altro aspetto fondamentale analizzato da Gerber è quello delle ricerche di mercato: a suo parere, uno startupper dovrebbe innanzitutto capire cosa pensano le persone dei prodotti simili già esistenti sul mercato, quali sono i problemi che incontrano, cosa desiderano e di cosa hanno bisogno.

Questa attività di ricerca può essere effettuata su grandi siti web come Amazon e simili, in particolare attraverso lo studio delle recensioni e cercando di capire se le persone arrivano o meno all’acquisto effettivo del prodotto.

4) The Competition

Non bisogna mai trascurare la concorrenza e la dimensione potenziale di mercato su cui la startup può indirizzarsi. E’ importante capire quanto siano forti i concorrenti, cosa stanno facendo bene e cosa non stanno facendo bene, come ci si può differenziare da loro e quanto è grande il mercato.

5) Your Current Clients

I primi utenti/clienti di una startup rappresentano coloro che hanno già accordato fiducia al brand. Per questo motivo, la startup non deve mai trascurarli quando cerca di espandere la propria customer base: per farlo, è fondamentale non perdere mai di vista del tutto il Business Model originale che ha permesso la costruzione della prima customer base.

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6) Potential Rebranding

Quando si cerca di espandere il Business Model ad una nuova clientela, occorre essere aperti di fronte alla possibilità di lavorare nuovamente al brand per incanalare al meglio il proprio messaggio sul nuovo mercato.

L’attività di rebranding rappresenta una sfida per la startup, che si ritrova a dover modificare la propria brand identity o semplicemente l’estetica del brand. A volte, però, un cambiamento importante rappresenta la strada migliore per aprire le porte di un nuovo mercato.

Per capire se è necessaria un’attività di rebranding, la startup dovrebbe relazionarsi con i nuovi potenziali clienti e capire quali sono le loro esigenze e preferenze: in questo modo sarà più semplice effettuare dei cambiamenti utili ed efficaci.

7) Redefining The Need

Nella maggior parte dei casi, espandere la clientela o raggiungere nuovi segmenti comporta più tempo e risorse di quanto ne occorranno per raggiungere l’attuale customer base.
Non basta semplicemente apportare delle modifiche alla propria strategia di marketing: spesso le startup dimenticano quanto sia stato difficile raggiungere i primi clienti sul mercato iniziale.

Sicuramente non sarà necessario ricorrere agli stessi sforzi dei primissimi tempi della startup, ma occorre tenere ben presente che l’acquisizione di nuovi clienti è un’attività che necessita di tempo e risorse, per ridefinire le necessità e i bisogni alla base del business.

8) Perspective From Other Fields

Occorre affrontare le ricerche di mercato tenendo conto di prospettive differenti: non basta semplicemente analizzare i customer trends del settore, chiedendo ai clienti cosa vorrebbero in futuro.

Anzichè incasellare la propria startup, il proprio brand e il proprio business, il team dovrebbe provare ad espandere la prospettiva e l’orizzionte di ricerca al di là del settore di riferimento: c’è molto da imparare da chi lavora in settori differenti, soprattutto quando si tratta di trovare nuove soluzioni.

9) Thorough Market Analysis

L’analisi di mercato è un aspetto di fondamentale importanza, che va effettuata attraverso uno studio di mercato approfondito, con un’attenta raccolta di dati. In questo campo non è mai consigliabile affidarsi all’istinto.

Attraverso un’analisi di mercato è possibile scoprire se ci sono problemi specifici da affrontare, in modo tale da anticiparsi e costruire il proprio prodotto e le strategie di marketing tenendo conto di queste informazioni. L’analisi di mercato, inoltre, deve identificare i concorrenti e capire per quali motivi questi ultimi non vengono pienamente incontro alle esigenze dei clienti.

Grazie alle informazioni ottenute da una buona analisi di mercato, la startup può elaborare le strategie necessarie per distinguere il proprio business da quello dei concorrenti.

10) Strategic Messaging

Una startup deve assicurarsi di essere sempre propositiva rispetto alle attività di comunicazione di un nuovo prodotto. Inoltre, occorre impostare la comunicazione in maniera tale da accordarla con quella dei prodotti già esistenti: bisogna quindi capire se si vuole impostare una comunicazione totalmente indipendente o integrata con quella degli altri prodotti/servizi dell’azienda.

Quando una startup decide di espandersi lanciando un nuovo prodotto ha la possibilità di far conoscere ai clienti la propria traiettoria in termini di crescita e le proprie capacità in termini di innovazione. Tuttavia, occorre fare attenzione ad impostare la comunicazione in maniera strategica ed efficace, per non disperdere i contenuti del proprio messaggio.

11) Changes In Sales And Service

Non bisogna trascurare, infine, la necessità di apportare cambiamenti a livello di vendite e servizio clienti. Le persone che lavorano in queste aree sono infatti in possesso di caratteristiche e competenze specifiche per lavorare su una certa customer base.

Se si modifica o si espande la clientela di riferimento, occorre considerare la possibilità di apportare modifiche e aggiornamenti a livello di vendite, differenziazione di prodotto e di prezzo, processi formativi interni, etc.

Per leggere il post originale: http://readwrite.com/2015/05/11/startup-new-market-11-things-to-remember

Napoli, 25/06/2015

Splitting Equity: come suddividere nel modo giusto le quote di una startup

Il portale Entrepreneur ha recentemente pubblicato un post firmato da Drew Handricks (Startup Advisor, specializzato in Marketing) che racchiude alcuni consigli utili per i founder di startup alle prese con un momento caratteristico della vita delle nuove imprese: si tratta della suddivisione dell’Equity, che diventa fondamentale nella fase di passaggio dalla nascita dell’idea al momento in cui quest’ultima sta diventando effettivamente redditizia e remunerativa.

In genere, spiega Handricks, in questa fase capita che tutti coloro che hanno in qualche modo avuto un ruolo nel processo di nascita e crescita dall’idea alla startup cominciano a battersi per avere un pezzetto di quest’ultima, sotto forma di Equity.
Di fronte a questa situazione sono i founder a doversi assumere la responsabilità di suddivisione dell’Equity, tenendo presente sia il principio di giusta suddivisione tra tutti coloro che hanno contribuito alla creazione della startup, sia le necessità e le esigenze fondamentali dell’azienda per raggiungere e mantenere un successo di lungo termine.

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Il problema dell’attività di “Splitting Equity” è rappresentato, secondo l’autore del post, dall’impossibilità di effettuare una suddivisione basata su tagli netti e uguali per tutti: nella maggioranza dei casi sono infatti coinvolte più di due persone ed esplodono disaccordi, dovuti al fatto che alcuni erano coinvolti fin dall’inizio nel progetto e altri sono attivati in seguito, etc. Ecco perchè è consigliabile avere alcune linee guida di riferimento, che Handricks elenca nel modo seguente:

1) Avvantaggiarsi grazie a tools e risorse

Non è possibile affidarsi ad un approccio interamente manuale nella suddivisione dell’Equity di una startup: avere un ruolo importante nelle decisioni da prendere non significa pretendere di controllare manualmente l’intero processo. In altre parole, è utile utilizzare tools automatici (l’autore cita come esempio eShares) per semplificare il processo e risparmiare tempo e risorse. Esistono una serie di tools e risorse sofisticate che possono essere decisamente più utili di un foglio di calcolo in Excel, e vale la pena utilizzarli.

2) Porre l’accento sullo “sweat equity”

Sicuramente i contributi sotto forma di capitale sono indispensabili (e possono e devono essere ricompensati), ma ciò che bisogna veramente premiare è il lavoro offerto e non retribuito (il così detto “sweat equity”). L’Equity va distribuito tra coloro che più di tutti hanno lavorato all’idea, e tra coloro che continueranno a farlo in futuro.
Su quest’ultimo punto è importante capire come intendono proseguire la propria carriera i collaboratori: chi ha intenzione di lasciare il proprio lavoro per proseguire a collaborare full-time con la nostra startup si assume un rischio elevato, che va retribuito in maniera differente rispetto a chi sceglie, ad esempio, di proseguire la propria esperienza nella nostra startup con una collaborazione part-time.

3) Non agire troppo in fretta

Sicuramente è impensabile ritardare troppo la suddivisione dell’Equity, ma al tempo stesso occorre fare attenzione a non incorrere nell’errore contrario, correndo troppo. La parola chiave nell’attività di Splitting Equity è, secondo Handricks, “pazienza”: i founder devono prendersi il tempo necessario per ascoltare tutti i componenti del team, rispondere a tutte le domande, riflettere sulle proprie decisioni. Se l’azienda dovesse riuscire ad avere grande successo, anche un solo punto percentuale in futuro potrà fare un’enorme differenza.

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4) Evitare di essere troppo coinvolti nell’idea originale

Mentre per alcuni il peso maggiore e, di conseguenza, la quota più grande di Equity dovrebbe essere data al co-founder che ha avuto l’idea, Handricks sostiene che questo fattore non deve essere di primaria importanza quando si prendono le decisioni di Splitting Equity. I contributi effettivi in termini di lavoro svolto devono avere la priorità (si tratta dello “sweat equity” di cui si parla al punto 2), tranne nei casi in cui chi ha avuto l’idea iniziale è anche colui che ha lavorato di più.

5) Non lasciare che le emozioni controllino le decisioni

Spesso i co-founder di una startup sono legati tra loro personalmente (per amicizia, legami familiari o precedenti esperienze lavorative). Ciò significa, nella maggioranza dei casi, che si tratta di persone abituate ad interagire non soltanto al lavoro, ma anche negli altri ambiti della vita. Questo aspetto può risultare particolarmente ingombrante nelle decisioni di suddivisione dell’Equity: si cerca infatti di non rovinare le relazioni interpersonali esistenti.
Per questo motivo, l’autore consiglia di mettere in atto uno sforzo supplementare per evitare che le emozioni prendano il sopravvento nelle decisioni di Splitting Equity.

6) Prevedere un periodo di maturazione per le azioni

Sarebbe opportuno, infatti, prevedere per le azioni della startup un periodo di “vesting”, ossia di maturazione per l’acquisizione definitiva delle stesse. Questo perchè ciò che è vero oggi, potrebbe cambiare tra sei mesi o un anno: non si sa mai se un co-founder deciderà di lasciare la startup, e c’è il rischio concreto che vada via continuando a detenere una quota importante della società.

In conclusione, afferma Drew Handricks, l’attività di Splitting Equity può rappresentare uno dei momenti più difficili che i co-founder di una startup deve affrontare: bisogna prendere delle decisioni difficili ed essere pronti ad affrontarne le conseguenze. I consigli contenuti in questo post possono essere un buon punto di partenza.

Per leggere il post originale: http://www.entrepreneur.com/article/245037

Napoli, 27/04/2015

Consigli alle startup in tema di vendite: come aumentarle, come acquisire clienti, come presentarsi a un VC

Mark Suster è un imprenditore seriale di successo (Salesforce.com), angel investor, mentor per Techstars e attualmente impegnato nel Venture Capital come investment partner per Upfront Ventures. Il suo blog è fonte di preziosi consigli per startupper e aspiranti tali, e in particolare vediamo oggi il suo punto di vista sul tema delle vendite.

Le vendite sono decisamente linfa vitale per qualsiasi impresa, e in particolare gli imprenditori in fase di startup possono avere scarsa esperienza o inclinazione per questo argomento: inoltre, spiega Suster, le vendite rappresentano uno dei focus principali su cui si sofferma un investitore quando si avvicina ad una startup, per cui è fondamentale cercare di massimizzarle anche in fase di fund raising.

Secondo Mark Suster, per migliorare le vendite una startup deve tenere presenti tre aspetti di base:

1) Perché comprare un prodotto/servizio?
2) Perché comprare un prodotto/servizio proprio dalla mia azienda?
3) Perché comprare un prodotto/servizio proprio in questo momento?

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Il post di cui parliamo oggi si sofferma particolarmente sul primo aspetto, partendo da un punto fondamentale: quando si tratta di vendite, la cosa più importante è “qualify”, ossia essere preparati, qualificati, idonei.
Il motivo è molto semplice: coloro che si occupano delle vendite hanno un tempo limitato a propria disposizione, e non possono permettersi di sprecarlo con qualcuno che non acquisterà il loro prodotto/servizio nel breve termine.

La prima cosa da fare è chiedersi se la persona che si ha di fronte può essere un potenziale cliente, e quindi se ha un problema per cui il nostro prodotto/servizio possa rappresentare la soluzione. Ecco perché nella maggior parte dei casi, il successo nelle vendite nasce da una buona attività di inbound marketing: lo scopo è quello di attrarre potenziali clienti attraverso programmi di marketing basati sui contenuti offerti, attirando traffico sul proprio sito web.
In questo modo, infatti, sarà possibile quantificare il tempo che i visitatori trascorrono sul sito a leggere i contenuti, facendosi una prima ideaa del livello di interesse.

Quando si dispone già di un prodotto/servizio, sapere chi è il proprio “cliente tipico” aiuta molto, perché permette di arrivare direttamente ed in maniera rapida al proprio target di potenziali clienti: inoltre, è possibile stabilire una strategia con gli strumenti più adatti.
Un consiglio che l’autore offre a riguardo è quello di servirsi di appositi tools per costruire mailing list di potenziali clienti, cui indirizzare una campagna e-mail ad hoc.

Il più grande errore che startupper poco esperti fanno in tema di vendite è, secondo Suster, perdere tempo con chi si dimostra per nulla propenso all’acquisto, ma si comporta in maniera gentile, mostrandosi interessati a ciò che gli si sta dicendo. Purtroppo i founder di una startup hanno spesso paura di sentirsi dire semplicemente “no”, mentre a volte questa può essere la risposta più utile per le vendite. E’ molto meglio un no secco, infatti, piuttosto che restare in forse o non sapere.

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Un altro errore che spesso le startup commettono riguardo alle vendite è quello di non chiedere se l’acquirente ha un budget a disposizione per l’acquisto. Suster sostiene che ci sono due tipologie di persone che non hanno un budget prestabilito:

Coloro che sono effettivamente interessati all’acquisto, ma non hanno disponibilità economica per effettuarlo nel breve termine. In questo caso la persona viene lasciata cadere nel così detto “imbuto del marketing”: la persona viene considerata come potenziale cliente e rimane oggetto, in quanto tale, delle campagne di marketing dell’azienda. La startup deve, in questo caso, concentrarsi su coloro che potranno realmente effettuare l’acquisto in tempi brevi.

Tra coloro che non hanno un budget a disposizione vanno incluse anche le persone che non sono interessate all’acquisto, ma vogliono comunque relazionarsi con voi: queste persone rappresentano una perdita di tempo per la startup. A volte, alle persone piace sentirsi oggetto delle attenzioni che un’azienda alla ricerca di potenziali clienti può offrire: per questo motivo, mantengono comunque i contatti pur senza avere alcuna intenzione di acquistare il prodotto/servizio offerto. Queste persone, secondo Suster, vanno categoricamente evitate in quanto rappresentano una perdita di tempo e risorse che andrebbero impiegate su potenziali clienti che vorrebbero davvero effettuare un acquisto.

L’ultima parte si concentra invece sulla tematica delle vendite nel fund raising: secondo Suster, molto semplicemente, “Raising money is selling”.
Le vendite sono una metrica imprescindibile quando si effettua la raccolta di capitali, perché rappresentano tutto il potenziale di una startup. Se si dispone di un prodotto che rappresenta una valida soluzione ad un problema, se si hanno le competenze necessarie per produrlo, se esiste una base di potenziali clienti abbastanza ampia che vuole acquistarlo, vuol dire che la startup ha ottime possibilità di successo e che può meritare la fiducia dell’investitore.

Per leggere il post originale dal blog di Marc Suster: http://www.bothsidesofthetable.com/2015/03/10/sales-101-why-buy-anything/

Napoli, 24/04/2015

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