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Tag: partnership

Consigli per startup: 4 strategie controintuitive per far crescere il business

Jeremy Goldman è founder e CEO per Firebrand Group, società che si occupa di consulenza in tema di brand management per diverse grandi aziende (tra cui figurano, ad esempio, L’Oreal e Unilever). Grande esperto di startup e social media, ha pubblicato di recente un articolo sul portale Inc.com dedicato ad un tema interessante: quattro strategie controintuitive ma utili per costruire e sviluppare il business.

Business Strategy per startup: consigli anticonvenzionali e controintuitivi
Business Strategy per startup: consigli anticonvenzionali e controintuitivi

Spesso, infatti, uno startupper alle prese con la crescita della sua impresa si imbatte in una serie di consigli e suggerimenti convenzionali, basati sul comune buon senso: molti di questi consigli si rivelano preziosi, ma secondo Goldman in alcuni casi la strategia migliore da adottare per sviluppare il business è pensare “out of the box”, andando contro la logica comune e agendo in maniera anticonvenzionale e controintuitiva.

Pensare “out of the box” è una strategia che molte volte paga, perché porta la startup a distinguersi dalla concorrenza: vediamo quindi quali sono i quattro consigli anticonvenzionali e controintuitivi per startup elencati nel post di Goldman.

1) Promuovere la concorrenza

Di fronte ad aziende con interessi commerciali che si sovrappongono a quelli della nostra startup, un approccio controintuitivo che può rivelarsi vincente è quello di cambiare prospettiva: non considerarli come concorrenti, bensì come potenziali partner. Goldman racconta un esempio personale: la sua azienda, Firebrand, è una società di consulenza specializzata nell’aiutare le imprese a raccontare il proprio brand attraverso i canali digitali. DigitalFlash è una società di grande esperienza con focus sulla Digital Strategy e sul marketing esperienziale: anziché trattare la DigitalFlash come un concorrente, Goldman ha deciso di fare affidamento sui consigli e l’esperienza di DigitalFlash e di pensare alle opportunità di partnership con quest’ultima. Una startup agli inizi della sua crescita, dovrebbe imparare a guardare alle aziende leader nel settore come a degli alleati: condividere i loro contenuti è spesso un’apripista affinchè in futuro ci sia restituito il favore. In sintesi, Goldman sostiene che aiutare gli altri significa aiutare se stessi.

2) Abbassare le aspettative di successo

Avere grandi sogni e obiettivi ed amare ciò che si fa è importante, ma non è abbastanza: per costruire un business di successo è necessario tenere in considerazione tutti gli aspetti. Oltre alla passione, quindi, è di centrale importanza sapere sempre come gestire al meglio il proprio business, mantenersi informati sui trend più importanti del settore e lavorare affinché il team sia sempre coinvolto e informato.

3) Mostrare la propria vulnerabilità

Molte persone, soprattutto nel mondo degli affari, credono che la vulnerabilità sia una debolezza: Goldman la pensa diversamente. Tutti i più grandi leader, secondo l’autore, sanno che la vulnerabilità rappresenta il terreno fertile per la creatività e le idee innovative: riconoscere che le risorse sono limitate, o che si ha bisogno di aiuto, è il primo passo per la crescita sia degli individui che del business.
Mostrare i propri punti di forza è sicuramente fondamentale, ma lo è altrettanto dimostrare la propria umanità e i propri difetti: questo fa infatti capire alle persone che è possibile fidarsi di voi, e accresce lo spirito di gruppo nel team.

4) Pensare per prima cosa al pubblico

Molti founder di startup e piccole imprese hanno un pensiero fisso: l’auto-promozione della propria attività. Ma se si vogliono costruire delle relazioni a lungo termine con il pubblico (e in primis con i clienti) è fondamentale pensare alle loro necessità e ai loro bisogni prima dei vostri.
A nessuno, infatti, piace un promoter egoista, quindi è fondamentale imparare a padroneggiare la promozione del brand in modo tale che i benefici per il pubblico vengano prima di quelli per l’azienda.
Alcuni esempi pratici che Goldman menziona sono i concorsi, i contenuti esclusivi e le campagne a sorpresa: strumenti di questo tipo garantiscono, nel corso del tempo, un’ampia e fedele base di follower del brand.

Per leggere il post originale: http://www.inc.com/jeremy-goldman/4-counterintuitive-strategies-to-build-your-business.html

Napoli, 17/02/2015

Aperta fino al 16 febbraio la call for projects per partecipare a Futur En Seine, il festival digital di Parigi

Futur En Seine è il festival digitale europeo che sarà ospitato a Parigi nel mese di giugno 2015: si tratta di un evento internazionale dedicato alle innovazioni digitali che lo scorso anno ha attratto oltre 23.000 visitatori, e prevede spazi ed appuntamenti dedicati a progetti innovativi (di startup, laboratori di ricerca, designer, artisti ed innovatori), B2B meetings ed eventi di networking, workshop e conferenze sui temi della cultura digitale e dei trend nel mondo dell’innovazione.

Il festival giunge quest’anno alla sua sesta edizione, ed è organizzato da Cap Digital, cluster francese per contenuti e servizi digitali che conta tra i suoi membri circa 800 organizzazioni: in maggioranza si tratta di PMI innovative, università ed enti di formazione, laboratori di ricerca.

Il Programma di Futur En Seine 2015 prevede quattro giornate (11/14 giugno) dedicate a startup e progetti innovativi, con il Village Des Innovations: il focus sarà particolarmente incentrato sui settori Media, Communication, Retail, Digital business and E-Government, Education, Smart Living, Tourism, Care, 3D and Immersive, Data, Mobile services, Gamification, Design, Internet of Things, Robotics, Clean Tech, Green Tech.

Fino al 1° marzo 2015 è possibile sottoporre la propria candidatura per partecipare gratuitamente a Futur En Seine 2015: la call è aperta a persone fisiche ed organizzazioni (in particolare startup e imprese) con progetti innovativi.
Nello specifico, il festival Futur En Seine è aperto a servizi e prodotti innovativi, prototipi, invenzioni, opere d’arte e contenuti digitali.

I progetti selezionati avranno innanzitutto accesso alla Demo Area del festival, dove potranno incontrare potenziali futuri clienti ai quali sottoporre il prodotto/servizio offerto.
Inoltre, i partecipanti potranno beneficiare delle opportunità di networking e di meeting con potenziali partner strategici, accedere a sessioni one-to-one con esperti in grado di potenziare il business e scoprire una serie di interessanti opportunità di finanziamento.

In particolare, le startup e i progetti selezionati potranno partecipare alla Axis Innovation’s Investors Convention, dove incontreranno una platea di potenziali investitori a livello internazionale.

Il form per inviare la propria candidatura è disponibile al seguente link: http://www.jotformpro.com/form/42954566869980

Per contatti e informazioni, è possibile scrivere a CAP DIGITAL – Pierre-Alexis Tilly, all’indirizzo pierre-alexis.tilly@capdigital.com

Il sito ufficiale dell’evento è invece disponibile qui: http://www.futur-en-seine.fr/fens2014/

Napoli, 04/02/2015

ItaliaLab 2015: a marzo, startup e imprese si incontrano a Milano per nuove partnership nei settori Digital e ICT

Nei giorni 10, 11 e 12 marzo 2015 la città di Milano ospita la terza edizione di ItaliaLab: l’evento promosso da ECS – Elis Corporate School ha lo scopo di far incontrare le idee innovative di giovani talenti imprenditoriali italiani con grandi imprese già consolidate, allo scopo di costruire interessanti partnership per lo sviluppo di nuovi business.

L’evento ospiterà non soltanto startup e imprese, ma anche altri stakeholders del mondo della ricerca e dell’innovazione: saranno presenti, infatti, rappresentanti di parchi scientifici e centri di ricerca pronti a valutare idee e progetti innovativi con particolare riferimento al settore delle tecnologie digitali e ICT.

ItaliaLab apre quindi la sua Call for Technologies, attraverso la quale progettisti (anche di aziende non ancora costituite), startup (già costituite e operanti) e team con progetti di ricerca (da laboratori industriali, pubblici o accademici) possono candidarsi per partecipare a uno dei due giorni messi a disposizione per gli espositori (10 e 11 marzo).

Le domande possono essere inoltrate entro il 15 febbraio 2015, attraverso la pagina dedicata su EventBrite rintracciabile al seguente link: http://www.eventbrite.it/e/registrazione-italialab-2015-call-for-technologies-15531997623?ref=ebtn

ItaliaLab è un evento che si propone come laboratorio di Open Innovation e Technology Transfer, che per l’edizione 2015 prevede un programma di 18 giornate distribuite tra marzo e giugno 2015 a Milano e Roma.
L’evento di apertura del 10, 11 e 12 marzo rappresenta infatti il primo di una serie di appuntamenti: il calendario completo è disponibile qui.

Nelle sue edizioni precedenti, ItaliaLab ha visto la partecipazione di grandi imprese a livello internazionale, tra cui figurano nomi come Enel, Cisco, Ericsson, Fastweb, Huawei, Microsoft, Telecom Italia e Nokia.

L’evento di Milano del 10, 11 e 12 marzo sarà dedicato alla fase denominata “Inspiration” cui seguiranno, nei mesi successivi, momenti dedicati a: Idea Generation, Idea Evaluation, Business Model & Business Case, Hackathon & Pitch, CEO Panel.

Napoli, 04/02/2015

Start Path Europe: il programma di Mastercard per startup innovative europee

Il colosso Mastercard, leader a livello globale per l’innovazione nel mondo del commercio e delle transazioni di pagamento, offre alle startup early stage d’Europa un’interessante opportunità: si tratta del Programma Start Path Europe.

Start Path è un programma per startup nel settore del commercio, che per l’edizione 2015 si appresta a selezionare i 6 migliori progetti a livello europeo da inserire nel suo percorso di mentorship della durata di 12 mesi.
Con l’accesso a Start Path Europe, le startup saranno seguite per un anno da mentor esperti di Mastercard (con sessioni virtuali e reali), avranno la possibilità di accedere al network Mastercard e di utilizzare le soluzioni Mastercard già esistenti per la sperimentazione di progetti pilota.

Il programma ha sede a Dublino e partirà nel mese di aprile 2015: è possibile inviare la propria application entro il 16 febbraio 2015 compilando il form di iscrizione disponibile al link https://www.f6s.com/mastercardstartpatheuropeapplication#/apply

Per partecipare alla call per Start Path Europe 2015, la startup dovrà essere in possesso dei seguenti requisiti:

una soluzione innovativa nel settore commerciale;
un prodotto pronto per la fase beta test;
un organico composto da almeno 5 persone;
avere sede in territorio europeo.

Tra le caratteristiche fondamentali del programma Start Path di Mastercard, gli organizzatori pongono l’accento sulla personalizzazione della mentorship in base alle esigenze di ciascuna startup. Inoltre, il programma non dà accesso immediato a fonti di finanziamento ma offre ai partecipanti l’opportunità di essere seguiti da esperti di Mastercard che valuteranno eventuali possibilità di investimento.

Il focus del Programma Start Path è sull’execution, inoltre sarà dato grosso risalto allo sviluppo di nuove conoscenze per il team e all’accesso ad un network mondiale di potenziali partner.

Per maggiori informazioni: http://www.startpath.com/index.html

Napoli, 02/02/2015

EGS Call for Project: in collaborazione con Mind The Bridge, opportunità di lavoro con la PA per startup e talenti

EGS – E-Globalservice SpA è una società specializzata nella gestione di servizi in outsourcing per la pubblica amministrazione in Italia: in collaborazione con Mind The Bridge, ha aperto una call for project destinata a startup e talenti innovativi per selezionare prodotti e servizi web adatti alle esigenze di comuni ed enti pubblici su scala nazionale.

La call for project si EGS si rivolge a web startup già in attività, con un prodotto/servizio funzionante adatto alla PA e un eccellente team. Possono presentare la propria candidatura anche talenti singoli, con esperienza precedente nel campo dello sviluppo di una piattaforma di e-procurement.

  • Le startup interessate a partecipare alla call possono inviare la propria candidatura on-line entro il 18 gennaio 2015 attraverso il form disponibile qui: https://www.f6s.com/e-globalservicescallforproject#/apply
    Oltre ai dati personali e di contatto, le startup dovranno offrire una panoramica generale della propria attività e del proprio progetto.
  • I singoli talenti, invece, possono candidarsi inviando il proprio curriculum vitae e una lettera motivazionale a egs@mindthebridge.org, indicando nella mail il link ad un progetto afferente al bando al quale si è lavorato e/o collaborato.

Dopo la chiusura della call, saranno selezionate le migliori startup che accederano al Boot Camp del 7 e 8 febbraio presso la sede di EGS a Verona: il Boot Camp consiste in un evento di due giorni a porte chiuse, durante il quale si susseguiranno momenti di mentorship e incontri one-to-one con gli esperti di Mind The Bridge e di EGS, finalizzati ad approfondire la conoscenza dei progetti e dei team proponenti.

A fine febbraio 2015 EGS e Mind The Bridge renderanno noti i nomi delle tre startup vincitrici, che inizieranno la propria collaborazione con EGS a partire dal secondo semestre del 2015. La collaborazione potrà sfociare in un’acquisizione, un’investimento o una partnership tra startup e società.
Inoltre, EGS si impegna a valutare possibilità di collaborazione con tutte le startup e i talenti che parteciperanno al Boot Camp.

 

Per maggiori informazioni sulla call: http://mindthebridge.org/egs-call-for-projects/

Per conoscere meglio le attività di E-Globalservice SpA: http://www.e-globalservice.it/site/

Per conoscere meglio le attività di Mind The Bridge: http://mindthebridge.org/

Napoli, 22/12/2014

Culturability 2014: dalla Fondazione Unipolis, contributi a fondo perduto e percorsi di incubazione per progetti di innovazione culturale e sociale

Il 1° dicembre si è aperta la call 2014 di Culturability – Spazi d’innovazione sociale, il Bando della Fondazione Unipolis dedicato al sostegno di progetti di innovazione culturale con un forte impatto sociale: in palio per i migliori sei progetti altrettanti premi del valore di 60.000 euro ciascuno, di cui 40.000 euro come contributo a fondo perduto e 20.000 in attività di incubazione e formazione.

La partecipazione a Culturability è aperta a:

organizzazioni senza scopo di lucro (tra cui associazioni, fondazioni, organizzazioni non governative, imprese e cooperative sociali) composte in maggioranza da giovani Under 35;

reti di organizzazioni non profit, anche per progetti in partnership con soggetti con sede all’estero, istituzioni ed enti pubblici, soggetti imprenditoriali, in cui le singole organizzazioni coinvolte prevedano un organo amministrativo, direttivo o consiliare composto in maggioranza da Under 35;

team informali di nuova composizione, in cui tutti i componenti abbiano età compresa tra i 18 e i 35 anni, che si impegnino a costituire un ente giuridico in caso di accesso alle selezioni finali.

I progetti ammissibili a Culturability dovranno essere caratterizzati da innovatività nei settori culturale e creativo e prevedere un forte impatto sociale in termini di welfare culturale, benessere individuale e collettivo, sviluppo civile ed economico del territorio: i criteri di valutazione dei progetti prevedono infatti particolare attenzione al valore culturale, all’innovazione sociale, alla coesione e inclusione sociale e alla sostenibilità economica e temporale.
Inoltre, l’intera iniziativa della Fondazione Unipolis è incentrata sul tema della collaborazione e della capacità di creare una vera e propria rete di innovazione sociale sui territori coinvolti.
Particolare rilievo, infine, assumono gli aspetti relativi allo sviluppo e creazione di lavoro e alle capacità, competenze e motivazioni delle organizzazioni e delle persone coinvolte.

La call for ideas resterà aperta fino alle ore 15:00 del 28 febbraio 2015: per partecipare è necessario innanzitutto attivare l’apposita procedura di registrazione on-line disponibile al link http://culturability.org/?page_id=16597, per poi procedere alla compilazione del form di iscrizione disponibile qui.

La prima fase di selezione terminerà entro il 10 aprile 2015, quando il team di esperti Unipolis sceglierà i 20 migliori progetti tra le candidature proposte.
La seconda fase è dedicata alla formazione e al supporto dei soggetti selezionati, che tra il 15 aprile e il 30 maggio 2015 potranno lavorare per migliorare i progetti originari. I progetti modificati dovranno essere inviati in forma definitiva entro il 30 maggio 2015.

I 6 progetti finalisti saranno infine selezionati entro il 15 luglio 2015: saranno questi ultimi a ricevere i premi finali del valore di 60.000 euro ciascuno.
Il contributo a fondo perduto, del valore di 40.000 euro, verrà erogato in due tranche: la prima all’atto di formale accettazione, la seconda a conclusione del percorso di incubazione.
Il percorso di incubazione sarà invece articolato in una serie di moduli formativi sugli aspetti più importanti per l’avvio e il consolidamento dell’iniziativa.

Per maggiori informazioni: http://culturability.org/

Napoli, 11/12/2014

Consigli alle startup: per raggiungere il successo, bisogna imparare a mantenere il focus e saper scegliere le occasioni giuste

Ty Morse è CEO di Songwhale, startup tecnologica nata nel 2007 che si occupa di soluzioni SMS aziendali e campagne Direct Response a livello nazionale ed internazionale. Di recente, il portale Serious Startup ha pubblicato un suo articolo in cui Morse spiega quanto è importante per una startup in fase early stage mantenere il focus.

La situazione di una startup nelle prime fasi di attività è spesso caotica e condizionata dalla necessità di raccogliere capitali per mettere in pratica l’idea imprenditoriale: in questa fase, il team è portato a “dire sempre di sì” perché ha bisogno di clienti, investimenti, risorse per trasformare l’idea in un business vero e proprio. La voglia di crescere in fretta fa comportare la startup come se chiunque offrisse soldi fosse un potenziale cliente, investitore, partner.

Purtroppo, quello che Morse definisce “l’utilizzo smodato della parola sì” diventa per la startup una vera e propria trappola: rapidamente, ci si rende conto di aver differenziato troppo, proponendo prodotti, opzioni e servizi diversi nel tentativo di compiacere chiunque accenni a un minimo interesse per l’azienda. In pochi anni, la startup rischia di diventare “discreta in troppe cose, piuttosto che ottima in poche”.

La verità, secondo l’autore, è che dire sempre di sì disperde troppo il focus: quando si inizia un’attività imprenditoriale, solitamente lo si fa sulla base di una buona idea. Una startup sa cosa vuole fare, e che Business Model dovrà seguire. C’era un prodotto/servizio principale, una particolare metodologia: insomma, c’era un focus ben preciso e il team era determinato a rispettarlo.

Per avere successo, il consiglio di Morse è quello di mantenere più possibile il focus iniziale, seguendo i seguenti spunti:

La prima cosa da fare è scegliere un modello di business: ovviamente, trattandosi di una startup, il modello iniziale subirà con il tempo delle modifiche. Ma la capacità di adattarsi al contesto è qualcosa che il team di una startup acquisisce rapidamente. Poi, una volta capito come è fatto il mercato e quali sono le opportunità, occorre stabilire un modello di business e perseguirlo.

Per definire il Business Model, la startup deve capire cosa vuole il mercato, perchè i clienti compreranno il prodotto, quanto pagheranno e come è possibile raggiungerli. Potrebbe essere necessario effettuare dei test, ma quando si trova qualcosa che funziona occorre seguire quella strada.

La scelta migliore, quindi, è trovare una o due cose in cui si è davvero bravi e focalizzarsi su queste: in questo modo si può fare esperienza, imparare e costruire il miglior prodotto possibile.
Se si continua a cambiare in base ai “capiricci” di clienti, investitori e partner non si riuscirà mai a raggiungere il massimo.

Infine, Morse consiglia di allontanare i cattivi clienti: probabilmente, questa è la sfida più difficile per una startup. Spesso la paura di perdere clienti e potenziali profitti fa sentire il team quasi obbligato a lavorare con tutti. Ma i cattivi clienti sono un problema: spesso approfittano del bisogno di denaro di una startup, e fanno richieste che possono snaturare il core business.

Il team dovrebbe imparare, quindi, a osservare il ROI: ciò significa considerare i vantaggi e i benefici del lavorare con un potenziale cliente, ed essere pronti a sbarazzarsi di lui qualora non si riescano ad intravedere ritorni significativi.

Ciò che conta per una startup è mantenere il focus sul prodotto, imparando a distinguere le buone occasioni e a lasciar andare le occasioni di distrazione.

Per leggere il post originale: http://seriousstartups.com/2014/08/06/key-to-success/

Napoli, 06/08/2014

Value Creation e Value Capture: come cambia il Business Model di una startup con la diffusione dell’Internet of Things?

In un interessante post pubblicato dal Network Blog della Harvard Business Review, Gordon Hui (leader della Business Design & Strategy per la società di consulenza americana SmartDesign) ha approfondito un tema interessante per startup e imprese innovative: le implicazioni sul Business Model causate della crescente diffusione dell’Internet of Things.

Le implicazioni e le nuove opportunità offerte dall’IoT e dalle soluzioni cloud-based ad esso correlate sono infatti di rilevanza fondamentale per le nuove imprese, in particolare in tema di value creation (creazione del valore) e value capture (monetizzazione del valore): è risaputo, infatti, che la creazione di valore rappresenta il cuore di qualsiasi Business Model, in quanto coinvolge tutte le attività fondamentali di un’azienda ed è la motivazione alla base delle decisioni di acquisto del cliente.

Nelle aziende tradizionali, creare valore significava individuare le esigenze durature del cliente e produrre sulla base di queste delle soluzioni di prodotto altamente progettate e, nella maggior parte dei casi, standardizzate.
Le aziende moderne, invece, devono fare i conti con l’innovazione continua ed incrementale e con le sue conseguenze: cambiano infatti gli aspetti relativi alla concorrenza (che cambia e cresce in maniera più rapida rispetto al passato) e si accorcia la vita dei prodotti, che diventano più rapidamente obsoleti.

In un mondo connesso e internet-based, i prodotti non sono più fatti per durare nel tempo: grazie agli aggiornamenti on-line, è possibile inviare al cliente con regolarità nuovi aggiornamenti e nuove funzioni/caratteristiche, è possibile rispondere al comportamento dei clienti in tempo reale grazie alla tracciabilità dei prodotti e, soprattutto, i prodotti possono essere connessi tra loro portando a nuove analisi previsionali più efficienti, ad un’ottimizzazione dei prodotti più efficace, a nuove user experience personalizzate.

Albert Shun, Partner Direct di UX Design per Microsoft, osserva: “I business model riguardano la creazione di esperienze di valore. E con l’Internet of Things, si può davvero capire come un cliente vive un’esperienza, che sia entrare in un negozio, acquistare un prodotto o usarlo, e infine capire cos’altro è possibile fare con quel prodotto/servizio. E’ possibile rinnovare l’esperienza, dargli nuova vita”.

Così come per la creazione di valore, il cloud impone un nuovo modo di approcciarsi anche alla monetizzazione del valore per il cliente.
Nella maggior parte delle aziende tradizionali, la monetizzazione del valore richiedeva semplicemente di fissare il prezzo giusto per ottenere il massimo dei profitti dalla vendita di un determinato prodotto. I margini vengono massimizzati in base alle principali leve dell’azienda, che stabiliscono il controllo su alcuni punti chiave della catena del valore (costi delle materie prime, brevetti, brand).

Vediamo quindi, in maniera schematica, come cambia la concezione del Business Model nelle attività di value creation e value capture con l’avvento dell’Internet of Things:

VALUE CREATION

Bisogni del cliente: nelle aziende tradizionali, si risolvono i problemi del cliente in maniera reattiva. Con l’IoT le esigenze e i bisogni vengono rilevati in tempo reale o ancora in fase emergente, con un approccio predittivo.

Offerta: per le aziende tradizionali, l’offerta consiste in un prodotto che viene immesso sul mercato e resta uguale finché il tempo lo renderà obsoleto e sarà necessario costruire un nuovo prodotto. L’avvento dell’Internet of Things permette di aggiornare continuamente il prodotto e di creare delle sinergie di valore attraverso la connessione ad altri prodotti.

Ruolo dei dati: nelle aziende tradizionali i dati venivano raccolti ed utilizzati per i futuri prodotti, mentre oggi le informazioni provengono da più fonti e convergono creando esperienze utili per aggiornare i prodotti attualmente sul mercato o aggiungere ad essi funzionalità e servizi.

VALUE CAPTURE

Path of Profit: nelle aziende tradizionali, il profitto cambia quando si vende sul mercato un nuovo prodotto o servizio. Gli aggiornamenti possibili grazie all’IoT offrono la possibilità di generare profitto attraverso entrate ricorrenti, che non dipendono necessariamente da nuove vendite.

Punti di Controllo: nelle aziende tradizionali è possibile controllare vari punti/livelli della catena del valore, mentre grazie all’Internet of Things si creano prodotti personalizzati e basati sul contesto (effetti del network sui prodotti).

Sviluppo delle Competenze: le aziende tradizionali utilizzano come leva per il profitto le core competences, le risorse e i processi già esistenti. Grazie all’avvento dell’IoT è possibile capire quali sono eventuali partner presenti nell’ecosistema di riferimento per aumentare i profitti dell’azienda.

In conclusione, con l’avvento dell’Internet of Things si ribalta la visione tradizionale delle aziende product-based: mentre per queste ultime le fonti di reddito possibili sono incentrate sulle vendite di nuovi prodotti, l’attuale situazione permette di aumentare le fonti di reddito, allargandole ad eventuali aggiornamenti, up-dates e personalizzazioni.

Il Business Model deve tenere in considerazione questa situazione, mettendo al centro ciò che consente di generare ricavi correnti: in caso contrario, come afferma Renee DiResta (O’Reilly AlphaTech Ventures), la startup baserebbe il proprio sviluppo sulla speranza che i clienti sviluppino una tale fedeltà al brand da acquistare anche un secondo prodotto presso l’azienda.

Altro aspetto fondamentale di cui tener conto nel Business Model è quello delle opportunità di partnership offerte dallo sviluppo dell’IoT: oggi, come afferma Zach Supalla (CEO della piattaforma open source Spark), non è più possibile pensare ad un’azienda “solitaria”, che agisce in un mercato “vuoto”. Una startup deve pensare non soltanto a come monetizzerà i propri profitti, ma anche a come il prodotto permetterà ad altri di generare e monetizzare valore.

Infine, l’autore evidenzia come la scelta tra una delle strategie competitive “tradizionali” identificate da Michael Porter (differenziazione, leadership di costo, focus) non sia più un approccio adatto alle startup e alle imprese che si muovono in settori in cui si fa strada l’Internet of Things: oggi, le tre strategie non si escludono automaticamente l’una con l’altra, ma possono essere utilizzate in maniera congiunta, rafforzandosi reciprocamente e migliorando i risultati in termini di value creation e value capture.

Per saperne di più, il post originale di Gordon Hui è disponibile al seguente link: http://blogs.hbr.org/2014/07/how-the-internet-of-things-changes-business-models/

Napoli, 05/08/2014

Social media, brand, influencer e metriche: alcuni consigli per startup e imprese alle prese con le campagne di marketing

Il marketing delle startup e delle nuove imprese si basa in larga parte su campagne social: a differenza di quanto accadeva in passato, quando le campagne di marketing erano incentrate su media “tradizionali” come la stampa, la TV, la radio, i volantini, i manifesti e i cartelloni pubblicitari, le campagne di social media marketing danno la possibilità alle aziende di misurare i risultati ottenuti, a patto di saper utilizzare correttamente i dati e le metriche.

Sull’argomento delle metriche per la misurazione dei risultati di una campagna di social media marketing, Danny Brown (autore di interessanti testi tra cui “Influence Marketing: How to Create, Manage and Measure Brand Influencers in Social Media Marketing” e “The Parables of Business“) ha pubblicato di recente un interessante post sul suo blog dal titolo “Six Easy Metrics to Measure an Influence Marketing Campaign”.

I social media hanno cambiato totalmente le attività di misurazione degli effetti di una campagna di marketing: hanno reso infatti possibile ottenere campagne estremamente mirate, e le piattaforme consentono di misurare i contenuti e le connessioni garantendo un elevato ROI. Per questi motivi, afferma Brown, i social media sono diventati uno strumento imprescindibile per qualsiasi imprenditore “smart”.

I due parametri fondamentali che Brown utilizza per misurare l’influenza di una campagna di marketing sono: Brand Metric e Influence Metric. Per ciascun parametro occorre misurare e analizzare elementi differenti.

BRAND METRIC

Innanzitutto occorre misurare la metrica “Investment”, ossia il costo pre-campagna per la ricerca degli influencer da raggiungere. Il primo passaggio fondamentale è quello di identificazione di Micro e Macro Influencer, poi bisogna stabilire quanto costa portare a compimento l’intera campagna e utilizzare tali valori come un vero e proprio “barometro” per capire il ritorno (in termini finanziari e di consapevolezza del brand) che la campagna ha ottenuto.

La seconda metrica è quella definita dall’autore come “Resources”, che si differenzia dalla precedente perchè non è finalizzata su aspetti essenzialmente monetari bensì sui costi in termini di lavoro e formazione (quanti dipendenti sono necessari e per quante ore, quanto tempo occorre per raggiungere ed informare ciascun influencer riguardo al brand, al prodotto e alla mission aziendale).

Terza e ultima metrica da considerare per la Brand Metric è il costo definito da Brown “Product”: per una campagna di brand marketing efficace, occorre infatti offrire al pubblico e agli influencer la possibilità di testare il prodotto. L’azienda deve quindi predisporre dei campioni gratuiti di prodotto, o delle demo (in caso di software). L’azienda deve quindi tenere in considerazione i costi di questi prodotti “di prova”, compresi eventuali costi sostenuti per inviare i campioni agli influencer.

INFLUENCER METRIC

Anche in questo caso, possiamo suddividere la metrica in tre aree chiave: la prima di queste è definita dall’autore “Ratio”, e riguarda la misurazione delle reazioni degli influencer alla campagna in termini qualitativi. Porre l’accento sull’aspetto qualitativo è fondamentale per ottenere informazioni utili all’azienda, soprattutto quando la community di riferimento è molto numerosa e si rischia di disperdere i risultati in un database tanto ampio quanto sterile.

Un altro aspetto da tenere in considerazione è quello chiamato da Brown “Sentiment”, che riguarda la percezione della campagna da parte del pubblico. Le metriche relative alla percezione consentono all’azienda di capire come il target percepisce il messaggio della campagna, il prodotto, il brand nel suo complesso. Inoltre, può essere di grande aiuto per identificare quali parti del messaggio modificare e a quali target rivolgersi in futuro.

Infine, Brown analizza la metrica “Effect”: ciò che definisce il barometro più prezioso per indicare se la campagna ha funzionato o meno, rappresentato dagli effetti che il messaggio ha comportato negli influencer.
Per misurare gli effetti è possibile lavorare innanzitutto in termini di consapevolezza del brand: tra gli aspetti da monitorare, ritroviamo il traffico generato dalla pagina web, quante volte il marchio o il prodotto è stato menzionato, quanti nuovi fan o seguaci la nostra pagina ha raggiunto sui social network, quanti nuovi iscritti alla newsletter o al blog.

L’articolo di Brown si conclude con alcune linee guida su come utilizzare le metriche una volta raccolti i dati: le informazioni ottenute vanno infatti analizzate e monitorate per essere davvero utili al business. Secondo l’autore, a questo punto tutto dipende dagli aspetti che interessano all’azienda.

E’ possibile che l’azienda sia maggiormente interessata alla consapevolezza del brand: in tal caso investirà maggiormente nelle piattaforme da cui è stato ottenuto il maggior ritorno, e nel frattempo si impegnerà a capire quali sono le nuove piattaforme in cui è possibile investire in futuro.

Ancora, è possibile che l’azienda sia interessata soprattutto ad incrementare le vendite: in tal caso i dati risultanti dalla campagna di social marketing saranno utilizzati per la costituzione di partnership strategiche sulla base degli interessi, delle esigenze e delle connessioni degli influencer.

In ogni caso, il consiglio è quello di determinare accuratamente l’obiettivo finale per tracciare un percorso che identifichi le tappe e le relative metriche da utilizzare, in modo tale da ottenere i migliori risultati da ciascuna campagna di social media marketing.

Per leggere il post originale: http://dannybrown.me/2014/06/03/six-easy-metrics-to-measure-an-influence-marketing-campaign/

Napoli, 16/07/2014

Consigli alle startup: quando si tratta di partnership, la scelta più giusta è seguire la regola “Gli opposti si attraggono”

Chris Klündt è founder e presidente di StudyBlue, un’app dedicata al collaborative learning che consente alle persone di raccogliere informazioni per poter padroneggiare qualsiasi argomento: nata come un progetto accademico, è oggi un’azienda con oltre 5 milioni di utenti.
Klündt ha recentemente pubblicato un post su Entrepreneur dedicato alle startup e, nello specifico, tema della scelta di un partner.

Convenzionalmente si è portati a credere che un buon team sia composto da persone con personalità simili e competenze complementari: in generale, poi, le persone scelgono di avvicinarsi a chi è simile a loro, a persone di cui sentono di poter aver fiducia.

Ma una delle regole base dell’innovazione è quella di tenersi sempre al di fuori della propria “zona di comfort”: per questo, la scelta di un business partner per una startup deve ricadere, secondo Klündt, su qualcuno che riesca a sfidare continuamente e in maniera costruttiva le nostre opinioni, qualcuno che ci porti a ripensare le nostre decisioni. Il punto è che il partner dovrebbe essere qualcuno in grado di espandere la nostra vision, non di confermarla.

Ecco perchè, per una startup, vale la regola secondo la quale “gli opposti si attraggono”: scegliendo come partner qualcuno che sia completamente diverso da noi, è possibile creare quella che l’autore definisce una vera e propria forza della natura all’interno dell’azienda, che può rendere la startup abbastanza forte da affrontare le varie sfide osservando i fattori in gioco da angolazioni differenti.

L’autore parte dalla propria esperienza personale con StudyBlue per motivare la sua idea e analizza i fattori che reputa centrali per scegliere il partner giusto per una startup, basandosi sulla convinzione che dovrebbe essere totalmente differente da noi:

1) Secondo Klündt, troppo spesso i giovani startuppers (soprattutto nel settore tech) tendono a sopravvalutare le proprie potenzialità e sottovalutano quelle dei veterani del mercato. La stessa StudyBlue è nata a causa della frustazione di Klündt nel riscontrare la scarsità di offerta nel settore delle risorse educative: all’epoca era ancora un ingegnere alle prime armi impegnato negli studi al college. Pochi anni dopo, Klündt ha incontrato Becky Splitt: una mamma con 15 anni di esperienza nel settore tech con la quale aveva ben poco in comune.

Nonostante i due fossero così diversi da formare un team davvero improbabile, oggi Klündt ammette che la scelta di fare di Becky Splitt il CEO di StudyBlue è stata la svolta per il successo della sua startup. In qualità di founder, il giovane Klündt sapeva come creare un buon prodotto, ma non aveva l’esperienza necessaria per affrontare le sfide che il mercato poneva. E’ stata proprio Becky Splitt a trasformare StudyBlue in una startup di successo.

Quindi, Klündt conclude che un giovane founder alle prese con una startup tecnologica dovrebbe scegliere come partner una persona con anni di esperienza, in grado di affrontare i problemi che l’azienda incontra giorno dopo giorno sapendo di poter contare sulle competenze e la professionalità acquisita negli anni.

2) Altro aspetto fondamentale da tenere in considerazione secondo Klündt riguarda i concorrenti: scegliere un concorrente come partner può essere un’ottima strategia, in quanto significa unire le forze per sviluppare un progetto migliore, con maggiori potenzialità di crescita rispetto a due progetti concorrenti.

Un esempio di come questa strategia possa risultare vincente è Ministry of Supply, un brand che fonde moda e tecnologia nato dall’unione tra due progetti differenti che avrebbero potuto essere in concorrenza sul mercato: i tre founder hanno deciso di fondere le proprie tecnologie e competenze in un unico progetto, ottenendo una startup di successo.

3) A volte, accettare di essere in disaccordo può essere la chiave per raggiungere il successo: impegnarsi in una partnership con chi la pensa in maniera differente da noi stimola il confronto e la messa in discussione, producendo effetti positivi sulla startup.

Ne sono un esempio Matthew Bellows e Cashman Andrus, rispettivamente CEO e CTO di Yesware: il primo è il tipico venditore, un sognatore spiccatamente ottimista, mentre il secondo è il tipico tecnico, problem-solver orientato alla pratica e al realismo. Le loro personalità opposte sono proprio il motivo per cui hanno deciso di lavorare insieme.

Collaborare con chi ha una prospettiva differente significa ritrovarsi a discutere su qualsiasi argomento, ma queste accese discussioni portano alla fine a prendere decisioni migliori: questa è l’esperienza del team di Yesware, sales e-mail service che conta oggi oltre 450.000 utenti in tutto il mondo e che ha raccolto capitali per 20 milioni di dollari da fondi tra cui Google Ventures.

In conclusione, Klündt sostiene che la scelta di un executive partner con background e punti di vista differenti ha sicuramente alcuni svantaggi, ma i pro superano di gran lunga i contro: la startup potrà infatti contare su una leadership dinamica, in grado di osservare le cose da una prospettiva a tutto tondo sul prodotto e sul mercato. Inoltre, la giusta quantità di attriti è una delle basi per il successo.

Per leggere il post originale di Klündt: http://www.entrepreneur.com/article/235029

Napoli, 27/06/2014

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