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Startup Tips: 7 falsi miti da sfatare per affrontare il processo di crescita del tuo business

Ci sono alcuni falsi miti, particolarmente diffusi, che possono arrestare il percorso di crescita di una startup: in un recente articolo pubblicato da Entrepreneur, Fredrik Nilsson (General Manager di Axis Communication) ne elenca sette. Per ciascuno di essi, l’autore spiega perchè possono essere pericolosi e in che modo interpretarli, in modo da non arrecare danno allo sviluppo del business.

1) Il miglior prodotto vince sempre

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Un buon prodotto è certamente importante: agli inizi dell’attività, è possibile che il prodotto di una startup ottenga parecchi consensi e che i clienti e il team ne siano entusiasti. Ma bisogna fare attenzione e non farsi ingannare: se l’azienda non ha un’organizzazione in grado di supportare il prodotto e affrontare il mercato, o se i clienti dovessero accorgersi che il prodotto è in realtà difficile da usare, la startup si troverà nei guai.
Oltre al prodotto, è importante implementare una buona strategia di vendita, soprattutto nel breve periodo: sono molte le startup che falliscono, dopo un lancio di mercato promettente. Ancora, è fondamentale avere un servizio di customer care in grado di far sentire i clienti seguiti e supportati, in modo tale che abbiano voglia di tornare in futuro e non pensino di rivolgersi ai concorrenti. Una strategia aziendale che tiene conto di questi aspetti mette la startup in una prospettiva di crescita di lungo periodo, che potrà eclissare la concorrenza.

2) E’ quasi impossibile per una piccola startup competere con le grandi aziende del settore

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Nilsson è categorico: questa affermazione è falsa. Competere con i colossi del settore è difficile, ma non impossibile. Una startup deve rimanere concentrata sui propri obiettivi di business e costruire un prodotto di valore, nella consapevolezza che ci si dovrà scontrare con i grandi brand consolidati. Essere consapevoli della concorrenza è fondamentale, ma non deve diventare il primo pensiero dei founder: bisogna invece concentrarsi sulla conquista di una quota di mercato, tener testa ai grandi brand e lavorare in una prospettiva basata sulla fiducia, il servizio, l’esperienza. In questo contesto, inoltre, è fondamentale imparare sempre dagli errori e dalle piccole e grandi “cadute” che i competitor hanno dovuto affrontare in passato. Infine, l’autore consiglia alle startup di non provare mai a competere con i grandi brand sulle questioni inerenti i costi.

3) Per guadagnare quote di mercato è bene ridurre i prezzi

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Non sempre abbassare i prezzi è una buona idea: bisogna chiedersi se si vuole che la propria startup sia ricordata come il brand che offre il prezzo più basso. Spesso la scelta migliore è quella di porsi l’obiettivo di essere riconosciuti dai clienti come il brand che offre il prodotto migliore, attenendosi ad un business model che sia redditizio nel lungo periodo. Una startup deve assicurarsi che il cliente sia soddisfatto, che decida di ripetere l’acquisto: spesso non è a questo tipo di risultati che si associa il prezzo più basso sul mercato.
La vision di una startup deve quindi focalizzarsi sul valore offerto dal prodotto/servizio, cercando sempre di concentrarsi sui risultati ottenibili nel lungo termine.

4) Servirsi di scorciatoie aiuta ad andare avanti e raggiungere il successo più rapidamente

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Al contrario, l’esperienza insegna che le startup di successo sono quelle che ragionano su un’orizzonte temporale di lungo termine: il business difficilmente prevede successi rapidi.
La mentalità di lungo termine permette invece di ottenere ottimi risultati in termini di vendite e permette di accrescere il livello di fidelizzazione del cliente e la riconoscibilità del brand.

5) Il canale di vendita è la vostra unica priorità

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Non è così, perché la vera priorità sono i clienti, non i canali attraverso cui raggiungerli. Una startup deve impegnarsi con responsabilità e comprensione per educare il mercato, accrescere la fedeltà dei clienti, preoccuparsi del prodotto. Essere davvero vicini al cliente, costruire una relazione con quest’ultimo, è decisamente più importante del canale di vendita prescelto per raggiungerlo: per questo è importante il lavoro di creazione ed animazione della community.

6) La crescita della startup tende con il tempo ad appiattirsi

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Gli obiettivi di vendita tendono a diminuire al crescere del business ma, fino a quando è possibile scalare, non si appiattiscono. Quello che una startup deve fare per evitare che la sua crescita si arresti, quindi, è trovare sempre nuovi obiettivi e traguardi e spingere il team affinché possano essere raggiunti. Quando si parla di tasso di crescita di una startup, occorre sempre tenere presenti i requisiti necessari per la scalabilità: qual è il potenziale a lungo termine? La startup si sta limitando ad aggredire una parte limitata del mercato? E’ possibile collaborare e lavorare mantenendo alta la fiducia? Qual è il valore che il nostro prodotto deve offrire al cliente, oggi e in futuro?

7) Non aspettatevi che la cultura aziendale resti la stessa quando la startup sarà cresciuta

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Così come l’approccio per la crescita deve essere basato sulla scalabilità, la cultura aziendale deve essere focalizzata sul superamento dei limiti e sul continuo miglioramento. Inoltre, la cultura aziendale orientata al lungo termine continua ad esistere e permeare la startup e il suo team, anche quando la crescita è ormai avanzata. Mantenere i valori e la mission degli inizi è fondamentale, anche quando l’azienda ha successo e cresce a livello internazionale: ciò permette di mantenere intatti la fiducia e il commitment di clienti e dipendenti.

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Per concludere, Nillson afferma che crescere ed espandersi è sicuramente un percorso difficile per una startup: bisogna mantenere l’attenzione e la concentrazione su un gran numero di aspetti ed attività, in sincronia, per crescere assieme e mantenere alto il morale del team.
Molte aziende guardano a modelli di successo e cercano di imitarli: bisognerebbe però tenere presente che ciascuna startup è diversa dalle altre, e qualsiasi approccio va adattato e modellato sulle esigenze e le caratteristiche del singolo business. Ancora, pur prediligendo una strategia di lungo termine, una startup deve riuscire a mantenere la flessibilità necessaria per affrontare eventuali cambiamenti di rotta. E, indipendentemente da tutto, ricordare sempre che alcuni consigli vanno messi in discussione: non si sa mai che la vostra startup non possa essere la prima a sfatare qualche mito!

Il post originale è disponibile a questo link: http://www.entrepreneur.com/article/248153

Napoli, 31/07/2015

Innovazione in azienda: tre modi per favorire la creatività e il successo

Nick Royle è CMO a MSI, è esperto di Marketing Strategy, Social Media, Digital, Branding ed ha pubblicato di recente su LinkedIn un post dedicato al tema dell’innovazione in azienda. Secondo Royle, le aziende migliori sono proprio quelle che non si limitano a crescere ed espandersi, ma si impegnano ogni giorno a cercare nuovi modi per risolvere i problemi. Questo tipo di aziende sono quelle che non si accontentano ad essere le migliori in ciò che fanno: sono quelle che cercano costantemente di cambiare, innovare, migliorare per rendere il proprio business un successo.

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Ma in che modo un’azienda può essere davvero innovativa? L’obiettivo, secondo Role, deve essere quello di modificare le proprie “practices” per incoraggiare la creatività a fluire liberamente. L’autore suggerisce tre modalità per farlo:

1) Prestare particolare attenzione alle politiche in materia di risorse umane

Assumere persone innovative è il primo passo per migliorare l’innovazione in azienda. Ma questo, spesso, vuol dire far entrare nel team candidati che, a prima vista, non sono allineati alla perfezione alle esigenze aziendali.

Sembra un controsenso, ma un’azienda che si rivolge a candidati esattamente allineati alle esigenze del business rischia di ritrovarsi involontariamente con una serie di “cloni” che bloccano lo sviluppo aziendale, impantanandosi in una mentalità ristretta.

Scegliere i candidati giusti per l’innovazione non significa assumere personale non qualificato, o che non condivide la vision aziendale: significa essere disposti a creare un team composto da background e personalità differenti, per aumentare le possibilità di confronto e condivisione di idee.

2) Espandersi nei modi e nei luoghi giusti

Un’azienda in crescita dovrebbe prendere in considerazione l’apertura di altre sedi, per ospitare più dipendenti ed accrescere il mercato di riferimento. Ma quando un’azienda innovativa studia il mercato, sceglie di indirizzare le proprie nuove sedi nelle aree in cui è possibile ottenere maggiori potenzialità di crescita. Per questo motivo, la scelta sarà preceduta da attente analisi e ricerche, anche in termini di competenze disponibili.

La delocalizzazione internazionale può dare una grossa spinta al processo di crescita di un’azienda, e a volte un cambiamento di scenario serve anche ad aprire gli occhi e guidare il business verso attività nuove. In ogni caso, anche se l’internazionalizzazione rappresenta una grossa opportunità di crescita ed innovazione, le aziende devono essere prudenti ed assicurarsi di essere pronte per questo passo.

3) Riconoscere e premiare ogni buona idea

In un mondo utopico, qualsiasi nuova idea viene eseguita con successo fino ad aggiungere valore all’azienda. Ma purtroppo, circostanze reali e spesso impreviste possono dimostrare che una buona idea innovativa non è effettivamente realizzabile. Ciò non deve essere vissuto come un fallimento completo: quando un dipendente ha una buona idea e la determinazione di realizzarla deve essere sempre lodato e premiato, a prescindere dal risultato finale.

Il fallimento di un’idea innovativa è un rischio insito in qualsiasi percorso di crescita ed innovazione aziendale: basta pensare al concetto stesso di innovazione disruptive. Un vero leader è colui che riesce a creare una cultura aziendale fondata su valori di flessibilità, che incoraggia il team a tentare e ad imparare dagli errori.

Non bisogna mai dimenticare, però, che l’innovazione richiede coraggio, non il lanciarsi nel rischio ad occhi chiusi. Non tutte le aziende che si assumono rischi ottengono il successo, ma tutte le aziende di successo si assumono dei rischi.

Il consiglio finale di Royle è quindi quello di implementare in azienda le tre azioni elencate, ma esaminando sempre tutte le opzioni in modo critico, con mente aperta, per favorire l’innovazione a tutti i livelli.

Il post originale è disponibile qui: https://www.linkedin.com/pulse/3-ways-spur-innovation-organization-nick-royle

Napoli, 22/07/2015

Consigli per startup e imprese: i 7 tratti distintivi delle aziende di successo

Lean Back, portale on-line dell’Economist Group, ha pubblicato alcuni giorni fa un articolo firmato da Brett Grehan, Bart Delmulle, Tomas Keisers e Vikas Sagar di McKinsey & Co. che nasce da uno studio di benchmarking effettuato su 15.000 dipendenti di oltre 140 aziende mondiali leader nel mercato B2B e B2B2C: lo studio è incentrato sulle capabilities (capacità individuali) di marketing e di vendita di queste aziende.

Secondo i risultati ottenuti, le revenue delle aziende più avanzate in tema di marketing e vendite sono più alte di circa il 30% rispetto alla media registrata nel settore di appartenenza: a partire da questa ricerca, e assieme all’esperienza maturata negli anni, gli autori dell’articolo ed esperti di McKinsey & Co. hanno ricavato i sette tratti distintivi delle aziende leader di mercato.

1) Vedere i costi di marketing e vendite come un investimento, non come una spesa

Investire per costruire un team attentamente selezionato per le attività di marketing e vendita può produrre fino a 5 o 10 volte di più dello stesso investimento in beni materiali o attrezzature. Le aziende con le migliori performance sono quello che si concentrano sulle capabilities strettamente correlate alle opportunità di crescita e ai margini in termini di ROI.

2) Conoscere con chiarezza i propri punti di forza e di debolezza

Le aziende di successo non possono limitarsi a conoscere le proprie capabilities in marketing e vendite, devono anche essere in grado di compararle con le best practices del settore. Diventa quindi fondamentale conoscere con chiarezza e rigore analitico i punti di forza e di debolezza del proprio team, anche e soprattutto rispetto ai competitors.

3) Stabilire il proprio target sulle capabilities che contano di più

Le aziende tendono spesso ad investire in capabilities senza pensare a quelle che possono effettivamente fare la differenza rispetto alla concorrenza, o che possono avere un maggiore impatto sul business. Quando si scelgono le capabilities, bisogna sempre aver ben chiari gli obiettivi di business che l’azienda intende raggiungere.

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4) Non cercare di fare troppo

Costruire le capabilities richiede grande attenzione, e modalità specifiche a seconda del settore economico di appartenenza. Diventa quindi fondamentale muoversi concentrandosi su un massimo di due funzioni per volta.

5) Scegliere l’approccio più adatto alla fase di sviluppo in cui si trova il business

Analizzando i risultati dello studio, gli autori hanno rilevato che la curva delle prestazioni di business è strettamente legata alla fase di sviluppo in cui l’azienda si trova. Ad esempio: 1) Bassa crescita e redditività rispetto al mercato: gli investimenti andrebbero concentrati sulle capabilities di base, che permettono all’azienda di crescere (ad esempio prezzi, prestazioni, gestione dei clienti); 2) Bassa crescita e profitti elevati: l’azienda dovrebbe concentrare gli investimenti sulle attività di brand building, marketing strategy, gestione del ciclo di vita del cliente, customer satisfaction; 3) Crescita e redditività elevate: le imprese in questa fase dovrebbero investire su capabilities di livello elevato, come approcci alternativi al go-to-market, vendite interne ed e-commerce.

6) Pensare alle capacità relazionali dell’intera organizzazione, senza fossilizzarsi su quelle individuali

I singoli individui possono lasciare il team in qualsiasi momento, ma l’azienda rimane: ecco perché le capabilities devono essere sostenibili nel lungo termine. Per questo, è fondamentale costruire un dialogo chiaro ed aperto che consenta di individuare con certezza la vision aziendale.

7) Avere il modello operativo giusto per mettere in atto l’execution

Per avere un modello operativo in grado di sostenere l’execution è necessario avere obiettivi chiari e misurabili attraverso metriche ad hoc, come ad esempio obiettivi annuali di miglioramento delle performance, prestazioni a livello di business unit, incentivi allineati con gli obiettivi istituzionali. Una cultura aziendale top-performing è orientata al cliente, gestita sul lungo termine, in continua evoluzione, creativa, flessibile e basata sulla fiducia.

Per leggere il post originale: http://www.economistgroup.com/leanback/the-next-big-thing/mckinsey-study-revenue-growth-marketing-leadership/

Napoli, 15/04/2015

Il 17 marzo, l’evento TEDxLive: appuntamento a Napoli al Riot Studio

Martedì 17 marzo TEDxNapoli ospita negli spazi del Riot Studio (Via San Biagio dei Librai, n. 39) l’evento TEDxLive, un appuntamento organizzato in tutte le sedi TEDx a livello globale per condividere l’esperienza della TED Conference.

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TEDx2015: il tema di quest’anno è “Truth & Dare”

 

Si tratta di un livestream per condividere a livello globale nello stesso giorno la Conferenza TED, il cui tema prescelto per quest’anno è “Truth & Dare”: l’idea nasce per aprire ancora di più la TED Conference a livello globale, per diffondere i temi trattati e per aumentare l’impatto dell’evento nella community internazionale.

L’obiettivo finale, quindi, è quello di diffondere maggiormente in tutto il mondo la missione di TED, contenuta nel motto “Ideas Worth Spreading”, portando la TED Conference in tutte le città, nelle scuole, nelle case, negli uffici.

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TEDxLiveNapoli: appuntamento il 17/03 al Riot Studio

 

Grazie al livestream, i partecipanti ai vari eventi TEDxLive nel mondo potranno seguire contemporaneamente, minuto per minuto, gli interventi della TED Conference: l’appuntamento a Napoli è fissato per le ore 18:30.

Per maggiori informazioni: https://www.ted.com/tedx/events/15096

Napoli, 11/03/2015

Passione, innovazione e lavoro di squadra: perché pensare come una startup è utile anche alle grandi aziende

Philip Brittan è CTO e Global Head of Platform alla Thomson Reuters, società statunitense nel settore dell’informazione nata nel 2008 dalla fusione tra il colosso dell’informazione finanziaria canadese Thompson e la Reuters, agenzia di stampa britannica con sede a Londra.

Nella fase iniziale della sua carriera ha partecipato alla fondazione e allo sviluppo di tre startup, per poi approdare a ruoli dirigenziali in grandi aziende: a prima vista, il suo percorso lavorativo potrebbe sembrare a ritroso, visto che nell’immaginario comune i giovani iniziano a fare esperienza come dipendenti in azienda per poi provare a dar vita al proprio progetto imprenditoriale come founder di startup. In realtà, come spiega Brittan in un interessante articolo dell’Huffington Post, il suo percorso è molto più lineare di quanto si possa immaginare: ciò che si impara in una startup è spesso un valore aggiunto inestimabile per lavorare in una grande azienda.

Secondo Brittan, infatti, alcuni aspetti tipici di una startup, come il senso di libertà e di accesso alle possibilità, l’attenzione all’innovazione, la passione per la mission e l’attaccamento ai valori della cultura aziendale possono essere fondamentali per una grande azienda.
Ma quali sono i fattori di base che una startup possiede e che gli permettono di avere accesso a queste caratteristiche? Secondo l’autore, sono essenzialmente due: la novità e le piccole dimensioni.

Una startup, per definizione, è un’azienda appena nata e per questo riesce a non avere aspettative: questo aspetto è fondamentale per quel senso di libertà e di “possibilità” tipico di una startup.
L’aspetto legato alle piccole dimensioni, invece, viene riassunto da Brittan in un’espressione metaforica: “you can easily see the edges“.

In inglese, “edge” significa “bordo, margine”: l’autore sostiene che un’azienda può essere immaginata come un gruppo di persone (il team) all’interno di un recinto: al di fuori del recinto c’è il resto del mondo, quindi i clienti, i concorrenti, i fornitori, etc. Una startup, grazie alle sue dimensioni ridotte, può vedere al di là del recinto molto più facilmente: questo significa avere sempre la possibilità di guardare con chiarezza il business e di focalizzare al meglio il mercato e le sue dinamiche.

Il primo aspetto tipico di una startup che anche le grandi aziende dovrebbero adottare è quindi la capacità di mantenere il focus sul mondo esterno: spesso, invece, sono talmente concentrate sul proprio business da perdere il punto di vista su ciò che accade fuori.

Inoltre, stare “vicino ai bordi” ha un impatto positivo sul team: tutti lavorano fianco a fianco, il senso di attaccamento e di cultura aziendale raggiunge livelli molto elevati e tutti sono istintivamente portati ad un senso di responsabilità condivisa. Il team di una startup è guidato da founder con senso di leadership efficace e animati da forte passione. Infine, spesso le risorse sono limitate e questo aspetto è il motore dell’innovazione: si cerca di far crescere l’azienda adottando nuovi sistemi con le risorse limitate a disposizione (approccio agile e flessibile).

In una grande azienda, invece, tutti questi aspetti si perdono di vista, assieme al contatto diretto con il cliente e con il mercato. Inoltre, l’organizzazione è spesso basata su processi e sistemi standardizzati che annullano il senso di responsabilità condivisa, facendo sentire le persone come se lavorassero in maniera meccanica, automatica.

In conclusione, tutte le aziende, a prescindere dalla dimensione e dal numero di anni di attività, possono beneficiare dall’adottare il modo di pensare di una startup. Brittan offre quindi alcuni spunti utili per le aziende che desiderano cogliere e mettere in pratica gli aspetti e le caratteristiche tipiche delle startup:

1) Concentrarsi attentamente sul cliente e sulla sua soddisfazione.

I clienti non vanno visti come un’entità astratta e lontana, ma come una realtà effettiva: l’ideale è costruire e mantenere delle relazioni con la clientela, trascorrere del tempo con i clienti, cercare di immergersi nella loro realtà per capire i loro bisogni. Per dirlo con le parole di Brittan: “I believe that the greatest source of truth you can have in business is sitting face to face with a customer“.

2) Creare un senso di responsabilità condivisa

L’autore ricorda con grande piacere i meeting ai quali partecipava assieme a tutti i membri del team quando lavorava in una startup. Lo scopo degli incontri era quello di capire cosa stava facendo la squadra: non c’era una suddivisione esasperata dei ruoli e delle attività, piuttosto la condivisione degli obiettivi e delle strategie da mettere in atto per raggiungerli. Il lavoro di squadra in una startup si basa sulla collaborazione, sapendo che si riesce o si fallisce tutti insieme.

3) Riconoscere che le risorse sono limitate e avere un approccio agile

Rendersi conto che qualsiasi azienda ha dei vincoli dovuti al fatto che le risorse sono limitate è il primo passo per capire come agire di conseguenza. I vincoli devono essere utilizzati come catalizzatori per l’innovazione, come molla che fa scattare l’inventiva: sono una risorsa indispensabile per attivare la creatività.
Una volta individuati i limiti, occorre poi darsi da fare per stabilire le priorità (non è possibile fare tutto!) e stabilire delle strategie agile e flessibili per raggiungere gli obiettivi.

Il post originale è disponibile qui: http://www.huffingtonpost.com/philip-brittan/how-every-business-can-be_b_6624070.html

Napoli, 06/02/2015

Consigli per startup e imprese: come migliorare il livello di Customer Satisfaction in sette step

Sujan Patel è vicepresidente del settore marketing per When I Work, società che offre strumenti e software per la gestione delle imprese aiutandole ad attrarre più clienti, aumentare i ricavi e far crescere il business. Di recente, il portale Inc.com ha pubblicato un suo articolo dedicato al tema della Customer Satisfaction e a come aumentare il livello di soddisfazione del cliente.

Per qualsiasi azienda, che sia in fase di startup o già consolidata, i clienti soddisfatti sono infatti una priorità fondamentale: per questo motivo, non si dovrebbe mai dare per scontata l’attività di Customer Satisfaction e si dovrebbero avere delle metriche ad hoc per monitorarla. In particolare, Patel elenca nel suo post sette azioni proattive che l’impresa può implementare per aumentare il livello di Customer Satisfaction.

1) Imparare a misurare la Customer Satisfaction

Non è possibile attivarsi per migliorare qualcosa se non si è in grado di misurarla: il primo passo, quindi, è imparare a misurare la Customer Satisfaction. Esistono diverse possibilità per effettuare questo tipo di misurazione: un sondaggio telefonico al termine di ogni chiamata al centralino, monitorare i feedback on-line, creare un sondaggio di Customer Satisfaction web-based da sottoporre a tutti i clienti. In ogni caso, bisogna tener presente che soltanto i clienti con un’opinione forte e ben definita si attiveranno per rispondere: è consigliabile, pertanto, tener conto di questo aspetto come causa di eventuali distorsioni nei risultati del sondaggio.

2) Diventare dei veri esperti nel proprio settore

I clienti hanno bisogno del vostro aiuto dopo aver acquistato il prodotto/servizio: è indispensabile, quindi, riuscire a posizionarsi come esperti nel settore di riferimento dell’azienda. Ciò non vuol dire impiegare il proprio tempo per raccontare ai clienti quanto si è bravi, ma significa responsabilizzarsi nell’attività di educazione della clientela, insegnando a capire il settore in modo nuovo. Se i clienti capiscono di avere di fronte un’azienda esperta nel settore, saranno entusiasti di relazionarsi con voi.

3) Utilizzare la live chat per offrire alla clientela un supporto eccellente

I clienti non sopportano i centralini e le lunghe attese al telefono. Il vostro business otterrà grossi benefici se sarà in grado di offrire un metodo alternativo di contatto alla clientela: la Customer Satisfaction crescerà quanto più le comunicazioni saranno in tempo reale, ad esempio inserendo una live chat nel sito web dell’azienda.
Il cliente potrà bypassare il centralino e, semplicemente con un click, entrare in contatto con chi può aiutarlo a risolvere il suo problema.

4) Assicurarsi che il team al completo sia impegnato nelle attività di Customer Satisfaction

Molte aziende pensano, erroneamente, che solo il servizio clienti abbia impatto sul livello di Customer Satisfaction. In realtà l’intero team (dalla contabilità al settore vendite) ha il proprio ruolo nel riuscire a fare in modo che la clientela sia soddisfatta: bisogna quindi ricordare spesso al team questo aspetto, assicurandosi che ognuno capisca il proprio ruolo nella promozione della Customer Satisfaction.

5) Mantenere l’engagement dei dipendenti

Tenere i dipendenti ispirati e legati al marchio e alla mission aziendale significa poter contare sul fatto che essi facciano la stessa cosa con i clienti. Un recente studio Gallup ha infatti dimostrato che nei team con più alti livelli di engagement si riscontra un livello di Customer Satisfaction maggiore: l’impatto positivo si ripercuote anche sulla fedeltà al marchio,
Il consiglio di Patel è “non dimenticare mai che il team è il cuore pulsante dell’azienda: se i membri della squadra sono felici, offriranno un ottimo servizio alla clientela“.

6) Costruire dei Key Performance Indicators (KPI) per la Customer Satisfaction

Una strategia utile per mantenere il team concentrato sulla mission di accrescere la Customer Satisfaction è quello di identificare gli obiettivi in modo tangibile. Il modo migliore è quello di prevedere un sistema di ricompense e gratifiche al raggiungimento dell’obiettivo prescelto, ad esempio con un bonus finanziario. Questo metodo incoraggia il team a lavorare con maggiore efficienza nelle attività di Customer Satisfaction.

7) Frequenti follow up sulla Customer Satisfaction

Una volta identificati i problemi più frequenti in tema di Customer Satisfaction, bisogna prendersi il tempo per un follow up che permetta di capire in che modo le eventuali modifiche apportate hanno migliorato la situazione. La misurazione delle metriche di Customer Satisfaction deve essere un processo continuo e in divenire, non un’attività singola e sporadica da effettuare una tantum.

In sintesi, Patel spiega che il livello di Customer Satisfaction può crescere soltanto se si implementano una serie di azioni proattive: il perseguimento di alti livelli di Customer Satisfaction deve essere visto in ottica di processo, per cui è necessario stabilire un piano ad hoc per ottenere dei miglioramenti tangibili nella reputazione del marchio.

Per leggere il post originale: http://www.inc.com/sujan-patel/7-proven-ways-to-boost-customer-happiness-in-2015.html

Napoli, 03/02/2015

Consigli per startup: la scelta dei co-founder per costruire un team vincente

Atish Davda (CEO di EquityZen) si occupa da diversi anni di startup e, in particolare, degli aspetti riguardanti la creazione di valore per tutti gli stakeholders di una nuova impresa: clienti, imprenditori, investitori. Di recente, il portale WeWork ha pubblicato un suo contributo incentrato al tema della creazione del miglior team per una startup di successo.

Il team dei founder di una startup è infatti un fattore chiave di successo, in quanto rappresenta la base di partenza per affrontare e risolvere tutti i piccoli e grandi intoppi che un nuovo progetto imprenditoriale si trova ad affrontare fin dall’inizio delle attività di business: nel suo post, Davda elenca alcuni dei punti fondamentali da tenere a mente quando si costituisce il team.

Prima di tutto, è fondamentale che una startup abbia un team costituito da più founder: secondo le statistiche, la maggior parte delle aziende di successo ha un team costituito da più talenti, in media 2,4. Ciò vuol dire che la ricerca di co-founder è un’attività fondamentale per costruire una startup.
Nelle fasi più difficili della vita aziendale, infatti, avere almeno un’altra persona su cui contare diventa indispensabile: lo sanno bene gli investitori, che preferiscono finanziare startup con un team di fondatori piuttosto che “solo founder”.

Una volta costituito il team, i founder devono avere ben chiaro che si tratta di una situazione simile a un matrimonio: creare e gestire una startup è un’attività che durerà nel tempo, per cui è importante scegliere co-founder che abbiano le stesse ispirazioni, aspettative, motivazioni e passione per il progetto. La scelta va quindi effettuata tenendo ben presente la condivisione e la compatibilità tra i componenti.

Dalla sua esperienza come founder, in particolare dalla ricerca dei co-founder per il progetto EquityZen, Davda ha ricavato una serie di aspetti a suo parere fondamentali, da tenere in attenta considerazione quando si cercano i componenti per il proprio team:

Determinazione: è probabilmente l’aspetto più importante per un co-founder, e secondo l’autore è uno dei maggiori segnali di intelligenza in una persona;

Commitment: bisogna capire se la persona sarà in grado di restare concentrata e mantenere gli impegni durante i periodi altalenanti che la startup dovrà affrontare;

Etica sul lavoro: strettamente legata all’aspetto precedente, indispensabile in una startup in cui bisogna essere pronti a lavorare anche di notte e nei weekend;

Umiltà: occorre scegliere compagni di viaggio in grado di rimboccarsi le maniche quando necessario;

Convinction: la scelta deve ricadere su individui che credono fermamente nella vision aziendale;

Fiducia: in un team di co-founder è fondamentale che le persone possano fidarsi l’una dell’altra;

Il “Salto di Fede”: la creazione di una startup richiede spesso il coraggio per affrontare quelli che Davda definisce veri e propri “Salti di Fede” e bisogna assicurarsi che i co-founder abbiano questo tipo di coraggio;

Affidabilità: bisogna scegliere un team composto da persone affidabili, di cui si possa essere certi che facciano ciò che hanno detto di fare;

Personal compatibility: i co-founder devono essere amici e condividere interessi anche al di fuori degli aspetti strettamente legati al business;

Rational compatibility: questo aspetto riguarda la compatibilità tra i componenti del team nel ragionare insieme per risolvere i problemi;

Technical compatibility: la compatibilità in questo senso riguarda gli aspetti tecnici, e la possibilità di delegare e scambiarsi le incombenze di lavoro;

Leadership;

Disponibilità all’apprendimento;

Principi: i co-founder devono agire nel rispetto delle regole e dei principi da un punto di vista legale, etico e morale;

Width & Depth Intelligence: i co-founder devono essere molto intelligenti, anche rispetto agli altri “candidati” presi in considerazione;

Audacia: si tratta di quella che Paul Graham definisce “cattiveria”, un aspetto che l’autore spiega con la capacità di “chiedere scusa ogni tanto, anziché chiedere permesso”;

Resolve: si tratta della capacità, di fronte a un errore, di rialzarsi e tornare a lavorare scrollandosi di dosso la frustazione per lo sbaglio compiuto;

Ispirazione;

Rispetto;

Network: bisogna fare attenzione a scegliere co-founder con reti di contatti professionali e personali compatibili;

Passione: non può essere trasmessa, né insegnata, ma è un aspetto innato e fondamentale per una startup;

Divertimento: lavorare con il proprio team deve essere piacevole e divertente per far funzionare una startup;

Invincibilità: con l’ultimo aspetto, Davda fornisce l’immagine di un team che si sente invincibile quando lavora in gruppo.

Per leggere l’articolo originale: https://www.wework.com/magazine/knowledge/can-build-incredible-founding-team/

Napoli, 23/12/2014

Design Thinking e Lean Startup: due approcci differenti con ampie possibilità di integrazione

Alcuni giorni fa Matias Honorato, startupper cileno founder di SlidePick, ha pubblicato nel suo blog un resoconto del recente incontro tra Eric Reis, autore di “The Lean Startup”, Tim Brown, CEO di IDEO e autore di “Change by Design” e Jake Knapp, partner di Google Ventures: la loro conversazione era incentrata sui concetti di Lean Startup e Design Thinking, ed era finalizzata a scoprire quanto i due processi possono convergere nella gestione di una startup consentendo di ottenere ottimi risultati.

Prima di tutto, Honorato riassume brevemente i due concetti in questione, servendosi delle parole dei due autori:

– Il Design Thinking è la capacità di pensiero integrato, finalizzato a fornire un’esperienza soddisfacente attraverso la partecipazione di tutti. In questo senso, è possibile affermare che il Design è un processo che attraversa le seguenti fasi: Understand – Observe – Point of view – Ideate – Prototype – Test.
Si tratta, quindi, di un processo basato sulla comprensione e l’osservazione dei fatti e dei punti di vista di ognuno, per poi procedere con l’ideazione e la costruzione di un prototipo da testare sul mercato.

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– L’approccio Lean Startup, invece, può essere rappresentato come un modello circolare, nel quale le tre fasi fondamentali sono: Build – Measure – Learn. Nel modello di Reis, infatti, lo startupper deve imparare ciò che i clienti vogliono realmente dal prodotto, basandosi su fatti reali, e non ciò che dicono di volere o che l’imprenditore pensa possano volere.
Il processo circolare di Lean Startup, quindi, passa dall’idea alla costruzione di un prodotto, prosegue con la misurazione dei risultati ottenuti sul mercato (raccolta dati) e infine con la fase di comprensione (Learn), per poi ripartire da una nuova concezione dell’idea basata sulla conoscenza dei dati.

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Basandosi sulle definizioni, a prima vista i due approcci sembrano totalmente differenti: sia per il modo in cui rappresentano il processo produttivo, sia per le attività che compongono tale processo.
Mentre il Design Thinking può essere visto come un processo per trovare soluzioni creative a problemi complessi e specifici per le esigenze dei clienti, l’approccio Lean Startup è una sorta di framework da utilizzare per startup che abbiano intenzione di sviluppare un’idea o una vision già esistente, per la quale sia già stata identificata una nicchia di mercato.

In ogni caso, seppure con queste differenze, gli approcci in questione si intrecciano su una base comune: entrambi possono essere definiti, come fa lo stesso Honorato, “Customer Centric Innovations”, ossia innovazioni incentrate sul cliente.
In tal senso, bisogna pensare ad ogni processo innovativo (che sia la costruzione di un’automobile da parte di una grande multinazionale, o una startup “low budget” nata in un garage) come ad una serie continua di test ed esperimenti, finalizzati a comprendere ed imparare dal mercato per modificare i nostri presupposti iniziali, modellando il prodotto per risolvere il problema di una specifica nicchia di clienti.

Inoltre, entrambi i processi servono ad evitare di proporre al mercato prodotti non desiderabili, di cui nessuno ha bisogno: si può dire che il motto alla base del Design Thinking e dell’Approccio Lean sia “Fail fast, succeed faster”, un continuo provare e sbagliare, per convalidare al meglio la soluzione, l’idea, il prodotto di una startup.

Una volta identificate le similitudini tra i due concetti, è possibile capire in che modo integrarli per ottenere i migliori risultati da entrambi: per farlo, occorre prendere la parte migliore di ciascun approccio e collegare gli elementi.
Secondo Jake Knapp (il quale ha spiegato che l’approccio integrato è quello utilizzato da Google Ventures, che prende il nome di Design Sprint), dall’approccio Lean Startup occorre prendere il processo di iterazione veloce e gli anelli di retroazione, legando il tutto alle valutazioni metric-based. Tutto ciò va poi collegato ai metodi di ricerca qualitativa utilizzati nel Design Thinking, per comprendere meglio come personalizzare il prodotto sulla base delle esigenze dei clienti.

Si ottiene così un nuovo approccio, che Honorato definisce nel modo seguente: Design Thinking + Lean Startup = “Thinking Startup”.
Naturalmente, l’autore del post avverte che questa non è una sorta di formula magica che assicura il successo di una startup: un approccio del genere va visto non come un processo di step consecutivi da seguire, bensì come un framework, un quadro di riferimento, all’interno del quale ogni startup deve compiere i propri passi e rischiare il successo o il fallimento.

In conclusione, l’integrazione tra Lean Startup e Design Thinking offre nuovi, importantissimi strumenti ad una startup che voglia sviluppare la propria idea e le proprie potenzialità di business: ma non assicura in alcun modo il successo, che in ogni caso dipende in larga misura dal team e dalle caratteristiche del mercato.

Il post originale di Honorato è disponibile qui: http://www.mhonorato.com/desing-lean-thinking-startup/

Napoli, 30/07/2014

Consigli alle startup: come implementare un’efficace strategia di PR fin dalle prime fasi di attività

Shana Starr è Managing Partner presso la LFPR, società di comunicazione globale che si occupa di consulenza in materia di public relations nel settore sanitario, tecnologico e finanziario. Di recente, Entrepreneur ha pubblicato un suo articolo dedicato al tema delle public relations per le startup, nel quale l’autrice offre alcuni consigli ai founder per gestire al meglio questa delicata attività del business.

Le public relations sono infatti un’attività centrale per qualsiasi azienda, ma diventano a maggior ragione di fondamentale importanza in una startup che, all’inizio del suo percorso, deve impegnarsi a fondo per far conoscere il brand, ottenere l’attenzione dei media e guadagnare punti in termini di riconoscibilità e diffusione.

Esistono però delle strategie utili che una startup può adoperare nelle public relations, che Shana Starr elenca nel modo seguente:

1) Be Ready (State pronti)

Il primo passo è essere pronti: se il prodotto non è ancora nella sua versione migliore, non sarà possibile ricevere buone recensioni e difficilmente la stampa parlerà bene di voi. Non c’è niente di peggio, secondo l’autrice, che una cattiva pubblicità da parte dei media: occorre quindi assicurarsi di essere davvero pronti prima di implementare una strategia di public relations.

2) Stabilite la vostra identità

Prima di dire al mondo chi sei, occorre assicurarsi di saper rispondere a questa domanda. Per stabilire l’identità della propria startup, occorre porsi alcune domande: Quali sono i vostri valori? In cosa consiste esattamente la vostra cultura aziendale? Cosa vi differenzia dai concorrenti? State facendo qualcosa che nessun altro ancora fa? Cosa vi rende unici?
Le risposte a queste domande forniscono la precisa identità di una startup: se non siete sicuri delle risposte, è possibile chiedere agli altri come vi vedono. Anzi, può essere molto utile porre queste domande a più persone e prendere nota delle risposte. Se ci sono troppe risposte diverse, vuol dire che la startup ha qualche problema: bisogna risolvere il problema di identità prima di passare allo step successivo, ossia prima di poter raccontare la vostra storia.

3) Condividete la vostra storia

Imparare a comunicare al meglio la storia della propria startup è parte integrante dell’attività di public relations. Dopo aver stabilito la propria identità, è necessario iniziare a lavorare sulla storia, sul racconto della propria startup. Avere una storia da condividere consente alla startup di distinguersi agli occhi dei media, di potenziali investitori e del target di riferimento: diventa quindi fondamentale raccontare chi siete e come avete iniziato.
Lo storytelling consente non soltanto di arrivare più facilmente ai potenziali clienti, ma renderà molto più difficile che le persone si dimentichino di voi.
La storia della startup andrà diffusa sui social, nelle newsletter, durante le interviste, in tutte le opportunità che i founder avranno di parlare in pubblico.

4) Assicuratevi di che il CEO abbia visibilità

Il CEO o il founder di una startup è il portavoce dell’azienda, e svolge pertanto un ruolo fondamentale nel plasmare l’immagine della società, del brand, della cultura. Per questo motivo, lui (o lei) devono essere accessibili, visibili al pubblico: ciò si traduce in una presenza attiva sui social, un rapporto positivo con i media e la capacità di condividere al meglio la storia della startup. La visibilità del CEO consente di accrescere la credibilità e la leadership nel settore, e aiuta anche in termini di networking, rendendo più facile avvicinare le persone giuste per espandere il business.

5) Non sottovalutate l’importanza dei social media

Posizionare il brand in modo che sia al di sopra dei concorrenti è un lavoro impegnativo, lungo e che comprende molte attività differenti. Tra queste, non bisogna mai sottovalutare l’importanza di una strategia social, per rappresentare al meglio il brand, la cultura e i valori della vostra startup.
Secondo Shana Starr la strategia social è fondamentale fin dalle primissime fasi di attività dell’azienda: implementarla in fase early stage significa costruire la propria identità e credibilità nel settore di riferimento, avere la possibilità di raccontare la propria storia e identificare il CEO come opinion leader.
Bisogna quindi dedicare il tempo necessario ai social, impegnarsi direttamente nelle relazioni con fans e followers, rispondere alle domande, condividere informazioni e coinvolgere la community nelle conversazioni.

6) Assumete qualcuno se avete bisogno di aiuto

Nelle fasi iniziali di startup può essere difficile attuare delle forti strategie di public relations: il consiglio dell’autrice è quello di assumere, se necessario, un professionista del settore. La persona scelta per ricoprire il ruolo deve essere entusiasta del progetto, del prodotto o servizio offerto, della vision aziendale: in questo modo, sarà in grado di comunicare in maniera davvero efficace la startup all’esterno. Un professionista del settore PR, quindi, sarà in grado di mettere in atto in maniera ottimale tutti gli step elencati, assicurando una strategia di PR che sia veramente utile alla startup.

Per leggere il post originale di Shana Starr: http://www.entrepreneur.com/article/235339

Napoli, 24/07/2014

Consigli per startup: i sette passi da seguire per costruire una community fin dalla fase early stage

Costruire una community forte rappresenta un aspetto di fondamentale importanza per una startup, tanto che le figure di community builder, manager e architect sono ormai sempre più facili da incontrare nel team di una startup già nella fase early stage. I founder si stanno rendendo conto sempre di più che, prima della crescita e del social media marketing, ciò che davvero serve ad una startup sono le persone: in particolare, persone che abbiano a cuore la mission aziendale, che credano nel team e nel prodotto fin dagli inizi di una startup.

Il tema dell’importanza centrale di una community di riferimento per una startup è stato recentemente affrontato da David Spinks, co-founder della startup Feast, in un articolo pubblicato da Nibletz.com: a suo parere, la costruzione della community rappresenta per la startup una parte fondamentale del core business.

Spinks presenta due famosi esempi di startup che hanno iniziato con una piccola community per poi crescere sul mercato internazionale: Instagram, che all’inizio invitava gli influencer ad utilizzare il proprio prodotto, e Facebook, nato come social network destinato agli universitari che ha potuto poi allargare il numero di utenti dopo aver rafforzato la community di riferimento di partenza.

In ogni caso, la forza e il potere della community non si limita ai soli prodotti “social”: qualsiasi tipologia di startup può trarre benefici dall’impegno a costruire una community di early adopters, che potrà crescere e trasformarsi in un ampio gruppo di consumatori.

Per aiutare le startup ad orientarsi nella fase di costruzione della community, l’autore del post elenca sette passi fondamentali. Vediamo quali sono:

1) Costruire la community intorno alla mission

Bisogna impostare la creazione della community facendo leva sulla mission aziendale, sul problema che la startup cerca di risolvere: non si deve cadere nell’errore di costruire la community intorno al marchio o al prodotto. In una startup early stage, infatti, è altamente probabile che il prodotto cambierà più volte: ciò che resta fermo è il problema da risolvere e, di conseguenza, la mission.

2) Iniziare con una persona alla volta

Spesso le startup hanno fretta di crescere: ma anche quelle che oggi sono grandi aziende con miliardi di dollari di fatturato hanno iniziato con una persona che ha deciso di sostenere una società nuova di zecca, che aveva tutto da dimostrare e la passione per un problema da risolvere.

L’aspetto positivo è che non c’è neanche bisogno di avere già un prodotto da pubblicizzare: basta avere una mission ben chiara per iniziare a costruire la community. Può anche essere più semplice incontrare, una alla volta, le persone che hanno interesse a risolvere il problema al centro della tua mission e cercare di imparare il più possibile da ognuna di esse. Il passo successivo è quello di collegare le singole persone che incontri, per avere una community.

3) Fare in modo da far sentire speciali i membri della community

Probabilmente si sentono già speciali, se il founder della startup ha impiegato del tempo per incontrarli e parlare con loro. Occorre continuare su questa strada, facendo sentire ogni membro della community speciale e privilegiato per essere parte del network. Un consiglio utile è quello di mantenere la community esclusiva, con accesso su inviti, per mantenere alto il senso di appartenenza ad una community “diversa dalle altre”.

4) Costruire la community per i suoi membri, non per te

Spesso le startup fanno l’errore di impostare la community chiedendo ai suoi membri di aiutarli con tweets e feedback: secondo l’autore questa impostazione è sbagliata, perché ci si dimentica che le persone stanno già investendo per noi qualcosa di molto prezioso, cioè il proprio tempo.

Dal momento che la community è costituita da persone con le quali abbiamo parlato, che conosciamo, dovremmo sapere quali sono le loro esigenze e i loro problemi. Per questo, la startup dovrebbe lavorare per risolvere tali problemi, facendo tesoro del tempo e dell’energia che la community apporta al team.

5) Creare una piattaforma adatta alla conversazione

Un gruppo di persone può considerarsi una vera e propria community soltanto se i suoi membri stanno costruendo delle relazioni tra loro. E le relazioni si costruiscono attraverso la conversazione.

Per cui, è indispensabile offrire ai membri di una community la possibilità di interagire: il consiglio di Spinks è quello di utilizzare, all’inizio, dei gruppi ad hoc su Facebook. Questo perché la piattaforma è già un luogo di incontro familiare per i membri della nuova community che si sta creando.
Inoltre, è possibile organizzare degli eventi per facilitare l’incontro tra i componenti della community.

6) Assicurarsi che ognuno si senta ascoltato

E’ molto importante che i membri di una community sappiano che c’è qualcuno in ascolto: bisogna rispondere sempre ad ogni messaggio e ad ogni commento, e se un altro membro della community risponde in maniera appropriata occorre far capire che si è d’accordo con “like”. Inoltre, bisogna sempre incoraggiare i membri della community a rispondere ai post e commentare.

In una nuova community all’inizio ci saranno quelli che Spinks definisce “silenzi imbarazzanti”: è un aspetto inevitabile, ma bisogna continuare ad impegnarsi e a mantenere un atteggiamento positivo. Una volta che i meccanismi inizieranno ad ingranare, i benefici di una community ripagheranno tutti gli sforzi.

7) Crescere in maniera costante

Una volta che la community inizia a girare, è importante continuare a farla crescere tenendo continuamente alta l’energia. Bisogna continuare a portare persone all’interno della community, a poco a poco ma costantemente.
Seguendo questi consigli, con il tempo la startup avrà a disposizione una community forte e numerosa che sarà un’ottima base per la vita dell’azienda e del prodotto.

Il post originale è disponibile qui: http://nibletz.com/2014/07/02/how-to-build-a-strong-community-for-your-startup/

Napoli, 11/07/2014

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