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I 5 superpoteri del marketing: tecnologia e team alla base del successo

Mark Bonchek (Chiaf Catalyst di Orbit & Co., network per leader e organizzazioni che vogliono tenersi al passo con le novità del mondo digitale) e Cara France (CEO di The Sage Group, società di marketing e consulenza con sede a San Francisco) hanno pubblicato di recente un post su Harvard Business Review dopo l’esperienza come organizzatori e giudici di Marketers that Matter, una competition destinata ai migliori progetti innovativi nel marketing.

Durante l’esperienza di Marketers that Matter, infatti, hanno avuto modo di entrare in contatto con i migliori esperti e CMO della Silicon Valley: parlando con loro, sono riusciti a raccogliere le cinque skills fondamentali per una campagna di marketing di successo.
Il punto di partenza è che, oggi più che mai, i clienti sono sempre più connessi ed hanno un grande potere: è fondamentale quindi conquistare i loro cuori e le loro menti, servendosi delle tecnologie più moderne, basandosi su grandi quantità di dati e coinvolgendoli con prodotti e servizi che superino le loro aspettative.
Per fare tutto questo, è importante avere un team composto dai migliori talenti, e riuscire a far lavorare la squadra in vista di un obiettivo comune.

Ma quali sono le skills che possono essere definiti dei veri e propri “superpoteri” nel marketing?

1. Sentire ciò che nessun altro riesce a sentire

Da sempre, i migliori esperti di marketing sono dei grandi ascoltatori. La rivoluzione digitale ha dato voce a tutti e ciascuno può esprimersi scegliendo il canale che preferisce: bisogna quindi adeguarsi e sfruttare le nuove tecnologie per ascoltare pareri, bisogni ed aspettative dei clienti.
Un esempio è quello di SAP, azienda leader nella produzione di software destinati alle imprese: il CMO Jonathan Becher ha impostato il lavoro dell’azienda su un processo di miglioramento dei prodotti basato sulla collaborazione dei clienti. Insieme al suo team ha creato “Idea Place”, piattaforma dove la community di SAP può votare e suggerire le modifiche ai prodotti. Da sottolineare il risultato ottenuto da SAP: oltre 10.000 contatti, 600 miglioramenti di prodotto e la crescita della customer engagement and satisfaction, dovuta all’approccio open e trasparente che l’azienda ha seguito.

2. Prendere sempre parte alle conversazioni

Grazie ai canali social, il numero di conversazioni su prodotti e aziende si è moltiplicato in maniera esponenziale. I responsabili di marketing devono essere presenti e partecipare a tutte le conversazioni, servendosi degli strumenti che la tecnologia offre: è fondamentale non stare sempre a parlare di sè, dell’azienda e dei prodotti, ma lavorare per costruire una community stimolante, iniziando conversazioni che portino i partecipanti a commentare e partecipare.
Caroline Donahue, CMO di Intuit, è bravissima a convincere le persone a parlare: con il suo team ha lanciato Intuit’s Small Business Big Game, una piattaforma social che coinvolge e responsabilizza migliaia di piccole imprese incoraggiandole a condividere le proprie storie e a votare le più interessanti.
Il programma ha ottenuto ottimi risultati, con decine di migliaia di storie e milioni di visite e voti.

3. Superare con un solo salto montagne di dati

I dispositivi digitali generano ogni giorno moltissimi dati: click, post, tweet e like. I vecchi sistemi, come i fogli di calcolo e le relazioni, non bastano a tenere tutto sotto controllo: il primo problema che il team di marketing deve risolvere diventa quindi riuscire ad avere accesso ai dati e gestirli in modo da ottenere informazioni utili e fruibili.
Pat Connolly, CMO di Williams – Sonoma, si è servito del cloud per rendere accessibili i dati provenienti dalle svariate fonti. A questo punto, per rendere tali dati significativi, si è impegnato per ottenere algoritmi e modelli utili. Spesso questo passaggio è difficile per le aziende, ma l’esempio di Williams – Sonoma insegna che si tratta di un punto di forza fondamentale che differenzia l’azienda da chi non riesce ad organizzare i dati in maniera utile.

4. Far sparire i silos

I silos sono strutture isolate, ed ogni azienda può avere i propri silos: nelle varie aree (marketing, vendite, IT, servizi), all’interno di una singola area (nel marketing, ad esempio, brand, comunicazione, advertising e digitale). Nelle vendite, ad esempio, ci sono i negozi, il call center e l’e-commerce. I migliori esperti di marketing riescono ad eliminare queste singole suddivisioni, facendo in modo che tutti lavorino allo stesso obiettivo: una customer experience che il cliente possa recepire come eccezionale.
L’esempio è fornito da Julie Bornstein, CMO di Sephora, che ha rivoluzionato completamente il modo “classico” di pensare all’azienda come composta da più silos: tutte le operazioni (marketing, IT, magazzino, programmi di fidelizzazione) sono pensati in modo che siano collegati tra loro: questo perché il cliente può essere in negozio, può vedere la pubblicità su una rivista, o può visitare il sito internet, ma è sempre lo stesso cliente.
Il segreto è quello di far lavorare tutti i componenti dell’azienda con una vision “clent-centric” e a 360°, eliminando dalla mentalità dei dipendenti l’idea “io lavoro su questo”. Il risultato di questo approccio è che Sephora ha ottenuto oltre 20 milioni di clienti iscritti al suo programma fedeltà.

5. Condividere i “superopoteri” con gli altri

Un’azienda vincente si costruisce solo con una squadra vincente: un esperto di marketing sa che il modo migliore per ottenere risultati è quello di condividere le proprie skills per farle arrivare anche agli altri.
Il CBO di Visa Antonio Lucio lavora esattamente in questo modo, costruendo i migliori team combinando vecchi e nuovi dipendenti: secondo Lucio, infatti, “il trucco per creare la magia è combinare l’esperienza e le prospettive dei brand builders tradizionali con l’energia e l’innovazione dei nativi digitali”.
Sulla base di questa vision Visa ha costruito la sua campagna per le Olimpiadi di Londra 2012, ottenendo i migliori risultati in 26 anni di campagne olimpiche.

Riassumendo, per ottenere una campagna di marketing vincente è necessario utilizzare questi cinque “superpoteri” combinandoli con l’utilizzo delle tecnologie e il lavoro di squadra: in questo modo sarà possibile tenere il passo con i consumatori sempre più esigenti e offrirgli una customer experience che supererà tutte le loro aspettative.

Napoli, 04/12/2013

Come muovere i primi passi dall’idea alla startup? Le lezioni imparate sul campo dal founder di Buffer

Joel Gascoigne è CEO e founder di Buffer, una app che consente di condividere i propri contenuti nel minor tempo possibile sui propri profili social. Nel suo blog ha condiviso alcune delle lezioni e dei suggerimenti più importanti imparati durante la sua esperienza in una startup di successo, che ha raggiunto oltre 850.000 utenti riuscendo a risolvere un’esigenza importante per molte persone e attraverso una crescita veloce ed esponenziale.

Il primo pensiero quando Gascoigne pensa alla sua esperienza è un passo tratto dal saggio di Paul Graham “How To Make Wealth”: “Si può pensare ad una startup come a un modo per comprimere tutta la tua vita lavorativa in pochi anni. Immaginate lo stress di lavorare in un ufficio postale per 50 anni. In una startup è possibile ridurre questo stress a tre o quattro anni”.

Secondo Gascoigne questo pensiero è assolutamente vero, e lo ribadisce affermando che l’esperienza di dar vita ad una startup è a suo parere il modo migliore di condurre una vita lavorativa appagante.

Il suo post prosegue con una lista di sei consigli per aspiranti startuppers:

1. Experiment. Lots.
E’ fondamentale avere un “piano di riserva”: occorre concentrarsi su un progetto a parte oltre a quello della propria startup, anche se ciò significa maggior impegno e meno tempo libero. Lo stesso Gascoigne prima di lavorare a Buffer ha fatto parecchi tentativi di business e si è impegnato su svariati progetti collaterali.
Non sempre paga concentrarsi anima e corpo su un’unica strada: bisogna continuare ad impegnarsi su cose nuove finchè non si riesce a trovare qualcosa che funzioni, che abbia mercato e che piaccia alla gente.

2. Stay Inspired.
La motivazione è fondamentale per un aspirante startupper, ed è indispensabile per riuscire finalmente a concentrarsi e iniziare a lavorare sul serio. Ma è fondamentale riuscire a documentarsi e a farsi ispirare dalle storie di successi e fallimenti degli altri, di coloro che hanno tentato prima di noi, perchè spesso è proprio dalle storie degli altri che è possibile far scattare la scintilla che può aiutare un progetto a decollare.

3. Travel the world and move.
Prendendo spunto da una massima di Mark Twain (Viaggiare è fatale per il pregiudizio, il bigottismo e la ristrettezza mentale), Gascoigne spiega quanto sia stato importante per il suo progetto viaggiare, parlare con le persone e conoscere altre culture: prima di tutto, perchè spostandosi dal proprio ambiente è possibile incontrare persone e luoghi nei quali la nostra idea può avere successo. Ma soprattutto perchè lasciare ciò che si conosce ed entrare nell’incertezza aiuta la mente a diventare più aperta e capace di creare e vedere nuove opportunità.

4. Choose your friends wisely.
Scegliere bene le persone con le quali condividere la propria esperienza ed il proprio progetto è fondamentale: una startup ha bisogno di un team di persone ottimiste, convinte di poter avere successo, consapevoli che a volte si può fallire ma che è importante rialzarsi e riprovare.
Gascoigne spiega che questa convinzione si riflette anche nelle sue politiche di assunzione: la sua tendenza è quella di assumere persone nel proprio team dalle quali si possa imparare qualcosa ogni giorno.

5. Stay laser focused on building something people want.
Occorre sempre restare concentrati e focalizzati su un prodotto che la gente vuole: come afferma Paul Graham, “Quasi sempre, in una startup che fallisce il problema è che i clienti non vogliono quel prodotto“.
Gascoigne sa che spesso, in una startup, ci si può facilmente distrarre dal prodotto e concentrarsi su altri problemi, come la raccolta di capitali o il personale da assumere: ciò che conta davvero, soprattutto agli inizi, è trovare un problema importante da risolvere e lavorare al product/market fit finchè non si inizia a vendere.

6. Be open and vocal. 
Per spiegare il sesto e ultimo punto, Gascoigne parte da una citazione di George Bernard Shaw: “Se tu hai una mela, e io ho una mela, e ce le scamiamo, ciascuno di noi avrà ancora una mela. Ma se tu hai un’idea e io ho un’idea e ce le scambiamo, ciascuno di noi avrà due idee“.
L’approccio open e la condivisione sono assolutamente fondamentali per una startup: basta pensare che la strategia di marketing seguita da Gascoigne agli inizi consisteva nel condividere l’idea con i suoi 1.700 seguaci su Twitter. Sono stati proprio questi ultimi ad avere un ruolo fondamentale nella crescita di Buffer: ecco perchè il consiglio finale, preso “in prestito” dalle parole di Leah Bursque, è quello di parlare della propria idea ad ogni singola persona che si incontra. Si tratta di un sistema infallibile per riuscire a testare e perfezionare la propria idea, e migliorare di conseguenza il proprio prodotto sulla base dei feedback ricevuti.

Napoli, 03/12/2013

I primi passi di una startup: errori da evitare e consigli utili secondo Paul Graham

Paul Graham ha raccolto in un interessante post apparso qualche settimana fa sul suo blog una serie di consigli ed aneddoti utili per le startup agli inizi del loro percorso imprenditoriale. Il titolo, “Do Things That Don’t Scale”, suggerisce il concetto di partenza dell’autore: spesso i founders sono convinti che una startup o decolla immediatamente, oppure non lo farà mai.

In realtà una startup decolla perchè sono i suoi fondatori, con il proprio lavoro, a renderlo possibile: occorre una spinta per dare origine al processo di crescita, che passa innanzitutto per l’acquisizione dei primi clienti attraverso attività non scalabili.

Ciò si traduce in modalità di acquisizione dei primi clienti che Graham definisce “manuali”: bisogna uscire e andare di persona a proporre ai potenziali interessati il proprio prodotto, non ci si può permettere di restare fermi ad aspettare che siano loro ad avvicinarsi.

Spesso i founders pensano che i numeri ottenibili da un percorso di questo tipo siano troppo piccoli e non valgano lo sforzo: Graham fa un esempio molto efficace per smentirli. Se si parte da un bacino di potenziali clienti pari a 100, basta proporsi un incremento settimanale del 10%: dopo 7 giorni saranno 110, dopo un anno 14.000, dopo due anni il bacino potrebbe essere di 2 milioni.

Altra convinzione errata, che spesso Graham ha ritrovato nei founders incontrati nella sua carriera, è guardare alla fragilità iniziale tipica di ogni startup agli inizi come ad un ostacolo impossibile da superare: il rischio è che siano gli stessi fondatori a non credere più nella propria idea. L’autore racconta che persino Bill Gates, dopo aver fondato Microsoft, era tornato per un semestre ad Harvard: se fosse stato consapevole del successo che ha poi ottenuto, probabilmente non sarebbe tornato nemmeno per un giorno, ma all’inizio è facile scoraggiarsi.

Graham suggerisce agli startuppers agli inizi della carriera di ridimensionare la loro visione, non bisogna domandarsi “la mia azienda è in grado di conquistare il mondo?”, ma “quanto grande questa azienda potrebbe diventare se i fondatori faranno le cose come si deve?”.

Quando si entra in quest’ottica, si può iniziare ad acquisire il primo, piccolo bacino di clienti: ed è in questo momento che i founders devono impegnarsi al massimo per renderli felici. Graham sottolinea l’importanza di puntare sull’aspetto esperienziale, sul rendere il cliente felice e sul farlo sentire speciale per aver scelto proprio il nostro prodotto: cosa che probabilmente non sarà più possibile fare quando la startup avrà scalato e i clienti saranno troppi per essere seguiti in questo modo.

Ma quando una startup è agli inizi, non è il momento di preoccuparsene: i founders devono impegnarsi e concentrare tutti i propri sforzi sul rendere i primi clienti felici, sul soddisfare il più possibile i loro bisogni, mantenendo alti gli standard di servizio.

Graham prende in prestito il pensiero di Steve Jobs per definire il tipo di sforzo che la startup deve intraprendere per rendere felice il cliente: deve essere uno sforzo “follemente grande”, nel senso letterale del termine. La soddisfazione del cliente deve essere lo scopo primario, tutti gli sforzi devono essere indirizzati a questo obbiettivo: l’autore spiega anche perché, dicendo che i feedback ottenuti dai primi clienti sono i più utili che qualsiasi azienda possa ottenere nell’intero arco della sua vita.

Tutto ciò è possibile, secondo Graham, soltanto se la startup si rivolge ad una piccola quota di mercato: un po’ come Facebook, che agli inizi era esclusivamente agli studenti di Harvard, per poi rivolgersi agli studenti di altri istituti fino ad espandersi a livello globale.
Il metodo consigliato da Graham è di concentrarsi inizialmente su un sottoinsieme del mercato, in cui ottenere rapidamente una massa critica di utenti per testare il prodotto. Solo più tardi sarà possibile rivolgersi ad un mercato più ampio: spesso questo processo è seguito dai founders in maniera inconscia, ma funziona nella maggioranza dei casi.

L’importanza di iniziare “dal basso” è alla base del prossimo consiglio dell’autore del post: una startup agli inizi deve cercare il più possibile di provvedere autonomamente a realizzare il proprio prodotto, evitando di sostenere costi per i fornitori.
Questo aspetto si ricollega ancora una volta all’importanza di acquisire i primi clienti e concentrarsi al massimo sulla loro soddisfazione: se la realizzazione del prodotto avviene direttamente ad opera della startup, sarà più semplice ed immediato apportare le eventuali modifiche necessarie dall’ascolto dei feedback della clientela.

Da questo punto di vista, Graham afferma che i primi clienti che la startup acquisisce vanno visti come dei veri e propri consulenti, che possono comunicare i propri bisogni e problemi su cui i founders possono lavorare per migliorare il proprio prodotto.

Come si può intuire, tutte le azioni suggerite per gli inizi di un’impresa sono sicuramente non-scalabili: anzi, secondo Graham, è fondamentale svolgere manualmente, direttamente, per poter ottenere i massimi livelli di soddisfazione dei primi clienti.

La conclusione di Graham, quindi, è che potrebbe essere utile smettere di guardare alla startup come a un’azienda per la quale l’unica cosa che conta è avere un modello di business scalabile: occorre un duplice punto di vista, che insieme alla scalabilità prenda in considerazione l’importanza di svolgere azioni non scalabili per raggiungere il traguardo di una startup di successo globale.

 

Paul Graham è il fondatore di Y Combinator, incubatore rivoluzionario nato nel 2005 che ad oggi ha fondato oltre 500 startup. Per saperne di più:

 

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Napoli, 28/08/2013

Come costituire un team di successo con i consigli di Steve Blank

In un post recentemente pubblicato sul suo blog, Steve Blank affronta un argomento di cui si parla poco: le caratteristiche che un team di founders deve possedere per creare una grande startup.
Il presupposto di partenza di Blank è che esistono tre figure fondamentali in una startup, con differenti caratteristiche: il founder, il team dei founders e il founding CEO.
Vediamo quali sono le definizioni di Blank e le caratteristiche che ciascuna di queste figure deve possedere a suo parere per costruire una startup di successo.

1) Il Founder: l’idea
Il founder è, secondo Blank, colui che è in possesso di un’idea originale, una scoperta scientifica, un’innovazione tecnologica, un’intuizione, una passione: il founder recluta i co-fondatori, che coinvolge giorno per giorno nel processo di creazione della propria startup.

Blank pone l’accento su due aspetti che ritiene fondamentali: il primo, riguarda la capacità di distinguere tra un’idea innovativa che potrà effettivamente trasformarsi in un’impresa di successo e un’idea che non potrà mai essere commercializzata .
Il secondo aspetto fondamentale è che bisogna essere consapevoli che, nel momento in cui si costituisce un team, non è detto che il founder che ha avuto l’idea debba necessariamente assumere la leadership: è qui che Blank anticipa la differenza fondamentale tra founder e CEO, che sarà spiegata meglio più avanti.

2) Il Founding Team: the rock on which to build the company
Il gruppo che costituisce la società (che Blank definisce come la roccia su cui costruire la società) è formato dal founder e da un ristretto team di co-fondatori in possesso di competenze complementari a quelle del founder.
Si tratta del team che dovrà assicurarsi di partire dall’idea originale per trovare il miglior modello di business ripetibile e scalabile, con un product/market fit, dopo aver effettuato tutti i test necessari su ogni aspetto del business model (pricing, canali distributivi, partner, costi, etc.).
Secondo Blank non esiste un “numero magico” per i componenti di un team, ciò che conta davvero sono le competenze in possesso dei fondatori: queste ultime devono essere quelle più adatte a mettere in pratica l’idea imprenditoriale, e devono essere complementari tra loro.
Blank consiglia agli aspiranti startuppers di porsi due domande per decidere se una persona debba essere o meno un co-founder: bisogna chiedersi se è possibile avviare la società senza quella persona, e se è possibile trovare qualcun altro simile. Se entrambe le risposte sono negative, quella persona sarà un co-founder. Secondo Blank, inoltre, se la risposta ad una delle due domande è “sì”, quella persona dovrà essere assunta in seguito tra i primi dipendenti della startup.

Tra le caratteristiche chiave che Blank elenca per un team di founders vincente, ritroviamo la passione, la determinazione, la tenacia, la curiosità ed il rispetto reciproco: è fondamentale che i co-founders valutino la loro capacità di lavorare insieme come un gruppo affiatato, con coraggio e fiducia per gli altri membri del team.

3) Founding CEO: Reality Distortion Field e Comfort in Chaos
Secondo Blank, la visione idealista della leadership collettiva, senza una persona responsabile di prendere le decisioni, è il modo più veloce perchè la startup esca dal mercato. Nel mondo delle startup, la velocità, il ritmo e le decisioni prese senza timore sono fondamentali per mantenere il vantaggio competitivo: per questo, è fondamentale che ci sia un CEO che prenda le decisioni in maniera rapida ed immediata.

Il Founding CEO è il “primo tra uguali” in un team di fondatori, e secondo Blank spesso non è il più intelligente del gruppo: ciò che distingue un Founding CEO dai co-founders è la loro capacità di guardare la realtà in una maniera distorta, caratterizzata dalla totale assenza di paura che essi usano per mandare avanti la società.
Tra le caratteristiche più importanti del Founding CEO, Blank elenca la passione, la dedizione totale alla mission della società e l’abilità di comunicare la loro idea che, seppur apparentemente folle, è in grado di cambiare il mondo.
Inoltre, Blank spiega che il Founding CEO è totalmente a proprio agio nel caos e nell’incertezza: ciò è fondamentale in una startup, dove bisogna affrontare quotidianamente i problemi di sviluppo del prodotto, o le difficoltà di acquisizione dei primi clienti. Si tratta di situazioni in continua evoluzione che spesso sfociano improvvisamente in scenari imprevedibili: per dirlo con le parole di Blank, il Founding CEO cerca ogni giorno di risolvere un’equazione in cui quasi tutte le variabili sono ignote.
Un grande Founding CEO è in grado agire per modificare lo status della situazione, senza stare ad aspettare che qualcuno gli dica cosa fare.

La conclusione di Blank è che conoscere le differenze tra Founder, Founding Team e Founding CEO è fondamentale per gli aspiranti startuppers che potranno costruire il proprio team scegliendo i compagni di viaggio con cui costruire una startup di successo.

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Napoli, 26/08/2013

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