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Startup Tips – Tre decisioni difficili in tema finanziario che un CEO deve saper affrontare

Il portale Inc. ha recentemente pubblicato un post firmato da Aj Agrawal (co-founder e CEO di Alumnify) focalizzato su tre decisioni fondamentali e difficili che il CEO di una startup deve assolutamente prendere in materia finanziaria.

In generale, un CEO si ritrova spesso a dover prendere decisioni difficili, in particolare in fase early stage: nella maggior parte dei casi, si tratta di problemi che non hanno una risposta o una soluzione giusta in assoluto. Di solito, infatti, in una startup è necessario risolvere i problemi prendendo la miglior decisione possibile, per andare avanti con lo sviluppo e la crescita del business in maniera rapida ed efficace: non ci sono risposte preconfezionate, né tantomeno soluzioni perfette.

L’area finanziaria, con tutte le decisioni su come spendere il denaro dell’azienda, è di solito quella in cui si concentrano le problematiche più difficili: in particolare, Agrawal ne sceglie tre da descrivere e discutere nel suo post, con lo scopo di aiutare i CEO in difficoltà a trovare una soluzione utile.

Vediamo quindi quali sono le tre decisioni difficili in materia finanziaria selezionate da Agrawal.

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1) Quanto pagare i componenti del team

Agli inizi della vita di una startup, è altamente improbabile riuscire ad offrire ai componenti del team degli stipendi competitivi: anzi, spesso non è nemmeno possibile pagare dei veri e propri stipendi in denaro!
Il compito del CEO è quello di trovare il giusto equilibrio tra quanto è giusto pagare qualcuno e quanto, invece, ci si può permettere sulla base della cassa dell’azienda.
In alcuni casi può essere utile il pagamento in Equity, ma a volte questo non basta a garantire il massimo committment dei collaboratori.

Il problema principale in questa fase iniziale è quello di trovare la via di mezzo tra il mantenersi prudenti nelle spese per preservare cassa, e le esigenze del team che chiede più soldi.
In entrambi i casi, far pendere l’ago della bilancia in una delle due direzioni può essere controproducente: da un lato, si rischia di lasciare la startup senza denaro disponibile, dall’altro si rischia che i membri del team lascino l’azienda.

Il modo più semplice per affrontare questa situazione, secondo l’autore, è che il CEO si accontenti di prendere lo stipendio più basso tra tutti i componenti del team. Questo può servire sia a preservare denaro che a dare un esempio a tutti gli altri collaboratori della startup.

2) Dopo quanto tempo assumersi rischi

Questa è, in assoluto, la decisione più difficile da prendere per il CEO di una startup in fase early stage: bisogna decidere se mantenere la prudenza per preservare la cassa, o assumersi dei rischi ed investire.
Arriva infatti un momento in cui la startup dovrà decidere se aumentare la velocità e provare a far crescere davvero il business.

In questo caso non ci sono consigli e soluzioni predefinite: il CEO dovrà sapere quando dire di no, quando è possibile rischiare, quando la startup è pronta a fare il salto di qualità.

3) Quanto pagare se stessi in quanto CEO

Naturalmente, ogni situazione è diversa dalle altre: se il CEO ha una famiglia composta da cinque persone e tutti gli altri collaboratori sono single, bisognerà tener conto delle diverse necessità. Ma, in generale, la scelta migliore è quella per cui il CEO tiene per sé solo la quantità di denaro strettamente necessaria per vivere.

Sembra una soluzione controintuitiva e difficile, visto che il CEO è solitamente colui che si assume maggiori responsabilità e lavora a ritmi più serrati di tutti. Ma prendersi dei premi e dei benefit per sé è davvero controproducente per un CEO, che rischia di creare malcontento all’interno del team.

Per leggere il post originale: http://www.inc.com/aj-agrawal/3-of-the-hardest-financial-decisions-startup-ceos-must-make.html

Napoli, 04/09/2015

Startup e Musica: perché integrare un musicista nel team può essere una scelta vincente

Stewart Cowley, founder della Northfield Strategic Advisors, ha pubblicato attraverso LinkedIn un interessante e particolare punto di vista sui buoni motivi per cui assumere un musicista nel team della propria azienda: essendo lui stesso un musicista, ha infatti riscontrato una serie di caratteristiche e approcci che possono rappresentare dei punti di forza nell’esperienza lavorativa in una startup e, in generale, in un’impresa.

La sua idea di base è che essere un musicista (nel caso specifico di Cowley un chitarrista) significa applicare la propria sensibilità musicale a tutti gli aspetti della vita e del lavoro, tanto da definirla la sua “posizione di default”. Vediamo quindi quali sono i cinque buoni motivi per arricchire il proprio team grazie all’ingresso di un musicista:

1) Se la sezione ritmica non funziona, nulla può funzionare

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Cowley racconta di non aver mai suonato nella sua vita in una band o un’orchestra in cui la combinazione drum/bass è terribile, ma la band funziona lo stesso. La sezione ritmica è quella che fa ballare il pubblico, se non funziona non c’è cantante o chitarrista che tengano. Istintivamente, i musicisti sanno che per far funzionare una band deve esserci una buona sezione ritmica alla base: allo stesso modo, una startup (e in genereale un’azienda) funziona se è sorretta da un team che lavora bene.

2) Si suona per il pubblico, non per sé stessi

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Nella sua esperienza di musicista, Cowley afferma di non aver mai suonato una sola nota senza pensare al suo pubblico, anche quando stava semplicemente provando. Un artista è sempre in modalità “on” e pensa a suonare al meglio per offrire al pubblico la migliore esperienza possibile. Trasportare questa forma mentis al lavoro in una startup significa che il musicista lavora tenendo sempre in mente le esigenze dell’utente o cliente finale: un atteggiamento decisamente utile per il successo dell’azienda.

3) Un musicista conosce la sua parte, ma se è necessario sa improvvisare

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Sul lavoro, non sempre le persone sanno dove la loro “parte” inizia e dove finisce: tendono a confondere i limiti e a sconfinare nelle mansioni degli altri, a volte in maniera consapevole, altre in maniera inconscia. Questo i musicisti non lo fanno: sanno fare al meglio la propria parte, per rendere migliore la performance di tutti. Allo stesso tempo, però, un musicista sa improvvisare se necessario: tutte qualità utili se rapportate al lavoro in un’azienda, in particolare nelle sue fasi iniziali di attività.

4) Un musicista sa ascoltare ciò che gli altri stanno facendo

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I musicisti sono multitasking: riescono ad essere consapevoli di ciò che stanno facendo e, contemporaneamente, sono attenti alle attività e alle reazioni degli altri. Da questo punto di vista, scrive Cowley, i musicisti hanno un “set di ascolto differente” rispetto a quello delle altre persone, che permette loro, in situazioni lavorative, di sentire cosa fanno gli altri e di rispondere di conseguenza. I musicisti in un’azienda sanno quando giocare duro e quando, invece, essere “più morbidi”, sanno quando essere protagonisti della melodia e quando indietreggiare occupandosi dell’accompagnamento.

5) I musicisti sanno che il direttore d’orchestra è importante, ma non è lui che suona realmente

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Il direttore d’orchestra è importante nella musica: è colui che ti dice quando iniziare e quando smettere di suonare. Ma un musicista, pur consapevole dell’importanza del direttore d’orchestra, sa che tra l’inizio e la fine dell’esibizione quest’ultimo è più o meno irrilevante.
Allo stesso tempo, il direttore d’orchestra crede di essere importante per tutta la durata dell’esibizione.
I musicisti di un’orchestra sanno che hanno bisogno di un direttore per iniziare, ma senza orchestra alle spalle un direttore non ha ragione d’essere. Molti CEO dovrebbero tenere in considerazione questa similitudine.

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Ancora, quando la giornata lavorativa è terminata, i musicisti sanno che è importante continuare a suonare tutti insieme: nella realtà aziendale, questo signifca che il team sarà in grado di costruire relazioni e legami semplicemente perché hanno qualcosa da condividere. Per i responsabili del Dipartimento Risorse Umane questo significa non dover investire risorse per eventi ricreativi aziendali, in quanto le relazioni saranno costruite spontaneamente dai membri stessi del team.

In conclusione, sostiene Cowley, quando ci si ritrova davanti il CV di un musicista bisognerebbe provare ad offrirgli un lavoro: difficilmente ci si pentirà di averli assunti.

Il post originale è disponibile qui: https://www.linkedin.com/pulse/why-musicians-make-best-employees-stewart-cowley?trk=hp-feed-article-title-channel-add

Napoli, 28/07/2015

Consigli per startup e imprese – Digital Marketing e creazione di contenuti: uno strumento per aumentare le vendite

L’attività di Digital Marketing rappresenta uno degli strumenti più importanti ed efficaci di cui una startup (e, in generale, un’azienda) può avvalersi per raggiungere i propri obiettivi di business e, in particolare, di vendite. Nello specifico, un’attività coerente e costante di marketing digitale, basata sulla creazione di contenuti mirati su social media, può contribuire in larga misura al successo di una startup.

Il tema del Digital Marketing è affrontato in un interessante post di James Kelliher, CEO di Whiteoaks, pubblicato di recente nella sezione “Lead Generation” del Digital Marketing Magazine: come anticipato dal titolo, lo scopo del post di Kelliher è quello di dimostrare in che modo l’utilizzo corretto del Digital Content può cambiare le dinamiche del business aziendale.

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Prima di tutto, l’autore afferma che la maggior parte delle aziende che decidono di concentrarsi sulle politiche e le linee guida riguardo il coinvolgimento e la gestione della community devono prendere coscienza che una buona campagna di social media rappresenta lo strumento in grado di creare il massimo valore in termini di lead generation: per questo motivo, la campagna social deve essere l’obiettivo primario.

Il primo step da affrontare nella pianificazione ed implementazione di una campagna di Digital Marketing è quello di identificare i target e le priorità su cui concentrare la comunicazione: questo passaggio è oggi facilitato dagli strumenti offerti dai social media, che consentono di costruire un vero e proprio database delle persone cui rivolgersi.

Una volta identificate le persone cui rivolgersi, bisogna convincerle ad avvicinarsi alla nostra azienda fino a concludere la transazione con l’acquisto del nostro prodotto: è in questa fase che il Digital Content diventa di centrale importanza. Da questo momento in poi, il contenuto offerto rappresenta il veicolo che permette di raggiungere il potenziale cliente e, in prospettiva, di convincerlo a procedere all’acquisto.

Per questo motivo, occorre fare molta attenzione al mix di contenuti offerti: bisognerebbe pubblicare informazioni specifiche riguardanti l’azienda, e altri contenuti open-source su argomenti rilevanti del settore, costruiti in modo tale da comunicare un messaggio di innovazione e sviluppo nel settore.
I contenuti così creati vanno poi veicolati attraverso i social: in particolare, Kelliher sostiene che nelle comunicazioni b2b l’ideale è servirsi di Twitter e LinkedIn.

Un altro aspetto fondamentale da tenere in considerazione è che l’engagement è un processo “a doppio senso”: la comunicazione funziona se, oltre a diffondere messaggi e contenuti, l’azienda riesce ad incoraggiare le persone ad avviare un dialogo. Una volta che c’è l’engagement, è possibile raccogliere dati ed informazioni utili su utenti e potenziali clienti. Un suggerimento utile offerto dall’autore riguardo alla raccolta di dati e informazioni è quello di assicurarsi che i messaggi specifici cui avranno accesso gli utenti che si collegano al sito aziendale siano in parte aperti e in parte chiusi. I contenuti di alto valore dovrebbero infatti essere chiusi, e i visitatori del sito dovrebbero lasciare dati ed informazioni per accedere ad essi.

Ancora, l’engagement degli utenti può essere monitorato attraverso le attività sui social media: ad esempio, è possibile identificare un orizzonte temporale (1, 2 o 3 mesi) e capire se durante questo periodo di tempo gli utenti avranno delle interazioni social con i profili dell’azienda (un retweet, un like, una condivisione, un commento, etc). Tenere sotto controllo questa tipologia di attività rappresenta un modo per monitorare la qualità delle relazioni che si sono instaurate tra l’azienda e il cliente.
Inoltre, esaminare la tipologia di contenuto che cattura l’interesse è un’ulteriore opportunità per raccogliere informazioni e capire quale tipologia di prodotto il cliente potrebbe acquistare.

Office Desk with Tools and Notes About Digital Marketing

Il passo finale, naturalmente, è quello di trasformare l’engagement in vendite effettive: in questo, i canali di vendita tradizionali sono insostituibili (telefono, faccia a faccia, attraverso l’intermediazione di terzi).
Tuttavia, la quantità di dati ed informazioni raccolte attraverso una campagna di Digital Marketing coerente, continuativa e basata sui contenuti rappresenta un passo avanti quando ci si trova a dover concludere la vendita finale.

In conclusione, Kelliher pone l’attenzione su un aspetto caratterizzante di questa tipologia di approccio: visto da questa prospettiva, il marketing diventa un processo in cui il potenziale cliente non è più un semplice “bersaglio passivo”, ma assume un ruolo importante in cui si sente coinvolto fin dalle prime fasi di attività del business.

Il post originale è disponibile qui: http://digitalmarketingmagazine.co.uk/digital-marketing-lead-generation/effective-use-of-digital-content-will-change-the-dynamics-of-your-business

Napoli, 09/07/2015

Consigli utili per startup: come gestire le prime assunzioni e creare un team di successo

Il blog GrowthFunders ha di recente pubblicato un post firmato da Jenna Taylor dedicato ad una raccolta di spunti e consigli utili per assumere le persone giuste per una startup: il processo di assunzione in una startup, infatti, può essere spesso molto difficile, in particolare a causa delle limitate risorse in termini sia finanziari che di tempo a disposizione.

In una startup, inoltre, spesso il team di lavoro è composto da un numero limitato di persone: se, ad esempio, la startup ha 5 persone in organico, questo vuol dire che ciascuno di essi rappresenta ben il 20% della cultura aziendale e delle prestazioni che la startup può realizzare. Ogni persona, quindi, conta davvero tanto ed è assolutamente indispensabile prendere le decisioni giuste quando si affronta il processo di assunzione.

Inoltre, nelle prime fasi di attività le persone-chiave dovranno essere in grado di lavorare al Minimum Viable Product: ecco perché le persone scelte dovranno essere in grado di collaborare per costruire un grande team, ed avere delle competenze adatte a far sì che la squadra di lavoro sia il più possibile complementare, comprendendo persone con competenze tecniche, di business development, di marketing, di vendite, etc.

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Nel suo post, Jenna Taylor analizza le figure-chiave che dovrebbero comporre il team migliore per una startup:

FOUNDERS

I founder di una startup sono coloro che fin dalla fase di generazione dell’idea hanno creduto e lavorato al progetto, cercando di trasformarlo in un business di successo. L’ideale è riuscire a trovare dei co-founder che abbiano la stessa passione e voglia di realizzare una startup di successo, e siano pertanto disposti a dedicare il tempo e le risorse necessarie a far crescere il business.

Il consiglio dell’autrice, quindi, è di capire fin dall’inizio quali sono le qualità e le caratteristiche di founder e co-founder: una volta stabilito che si tratta delle persone giuste per proseguire con il progetto, disposte a lavorare con impegno verso un obiettivo comune, sarà possibile suddividere compiti e responsabilità in base alle skills di ciascuno dei componenti del team.

Da non dimenticare: l’elemento centrale di una startup è la cultura aziendale. Per questo occorre definirla nel dettaglio, prima di costruire la struttura e la strategia che porteranno avanti il progetto.

CRITICAL HIRES

Le prime assunzioni di una startup possono avere target diversi, che dipendono dalle skills in possesso di founder e co-founder. In ogni caso, lo scopo finale è quello di costruire un team complementare. Ad esempio, se la squadra originaria è fortemente specializzata da un punto di vista tecnico, è necessario completarla assumendo persone con competenze in tema di vendite e marketing, per commercializzare il prodotto e gestire la community nella maniera più efficace possibile.

Ovviamente, spesso le prime assunzioni sono gestite in base alle disponibilità finanziarie limitate tipiche delle startup agli inizi. Fermo restando la limitatezza delle risorse, i founder non dovrebbero accontentarsi: bisogna sempre provare a costruire il miglior team possibile, perchè una startup ha bisogno di un ottimo inizio.

THE “DREAM TEAM”

Don Fornes, CEO di Software Advice, ha costruito quello che ritiene essere il “dream team” di una startup da costruire attraverso le assunzioni-chiave basandosi su un presupposto nuovo: anziché focalizzarsi sulle skills necessarie a ricoprire un ruolo, i founder dovrebbero basarsi sui tipi di personalità. Le migliori startup, secondo Fornes, hanno un team composto da una miscela di 4 tipi di personalità: vediamo quali sono.

1) The Matrix Tinker: si tratta di colui che è in grado di pensare “outside the box”, applicando la creatività e l’innovazione all’attività di problem solving. Spesso questo tipo di persona è in grado di realizzare processi e prodotti rivoluzionari, collegando concetti apparentemente scollegati tra loro.

2) The Savant: questa figura rappresenta, nella maggioranza dei casi, un talento particolarmente prolifico nel proprio settore di riferimento (ad es. nel marketing). Si tratta di una persona in grado di realizzare campagne e progetti di successo senza particolari problemi. Di solito, si tratta di scrittori, artisti, ingegneri con particolari capacità in termini di creatività.

3) The Champ: questa tipologia di personalità è caratterizzata per essere molto fiduciosa, crede fortemente nel prodotto ed ha grande passione per il progetto. E’ in grado di leggere correttamente i bisogni e i desideri dei potenziali clienti, per cui è adatto ad occuparsi delle vendite, ma può affrontare con successo anche ruoli di natura dirigeziale.

4) The Giver: riesce ad avere ottimi risultati nelle attività di customer support, essendo in grado di mettere le esigenze del cliente e dell’azienda al primo posto. Relativamente al gioco di squadra, sono coloro che danno più di tutti per il business, lavorando anche al di là delle ore previste dal contratto.

ADVISORS

In conclusione, Jenna Taylor si sofferma sul ruolo degli advisors (consulenti). Pur non avendo un ruolo propriamente “attivo” all’interno della startup, i consulenti hanno comunque un valore inestimabile nelle fasi iniziali di un business. Gli advisors sono infatti indispensabili per creare le relazioni con potenziali partner strategici, per costruire la reputazione associando il loro nome a quello della startup, per avere dei punti di riferimento di fronte ad eventuali difficoltà e problemi. Per questi motivi, una startup deve cercare fin dal primo momento di avvicinarsi agli advisors giusti per il suo cammino di crescita e sviluppo.

Per leggere il post originale: http://blog.growthfunders.com/tips-for-hiring-the-right-people-for-your-startup

Napoli, 03/07/2015

Consigli per startup e imprese: come affrontare un nuovo mercato e acquisire nuovi clienti

Scott Gerber è il presidente dello Young Entrepreneur Council. Qualche settimana fa il portale ReadWrite ha pubblicato un suo articolo intitolato “11 Things To Remember When Tackles A New Market”, rivolto agli startupper che si trovano a dover affrontare la sfida di un nuovo mercato.

Secondo Gerber, infatti, l’acquisizione di nuovi clienti è una sfida che tutti gli imprenditori devono affrontare: ma le cose si complicano ancora di più quando ci si trova a dover effettuare il targeting di una nuova customer base, ad esempio in caso di espansione su un mercato differente o, ancora, quando ci si ritrova nelle fasi iniziali di vita di una startup.

Nel suo articolo, quindi, Gerber raccoglie gli spunti e i consigli offerti da alcuni imprenditori di successo, che si sono ritrovati a dover affrontare nuovi segmenti di clientela per il proprio business.

1) Customer Feedback

Nelle primissime fasi, è essenziale che la startup si adoperi in tutti i modi e con tutti gli strumenti possibili per raccogliere i feedback dei potenziali clienti. L’analisi di questi feedback è infatti fondamentale per impostare le future attività dell’impresa, aiutando a minimizzare eventuali problemi ed errori in cui è possibile cadere quando non si ascolta in maniera attenta la clientela.

Ascoltare attentamente l’utente finale, che si tratti di una startup B2B o B2C, rappresenta un investimento utile e redditizio in termini di tempo, risorse e denaro utilizzati.

2) Potential Partnerships

Prima di entrare in un nuovo mercato è fondamentale impostare una ricerca approfondita per individuare le migliori partnership e affiliazioni per il business. Utilissimo in questo senso il contatto diretto con chi ha già esperienza, che sia un contatto telefonico, via e-mail o meglio ancora face-to-face.

L’esperienza di chi ha già lavorato a contatto con i nostri potenziali clienti diventa lo strumento più importante per pianificare la strategia: implementare le giuste partnership consente infatti alla startup di colmare il divario tra la customer base già esistente e quella potenziale.

Non bisogna trascurare infatti che per i clienti un marchio conosciuto è una sorta di garanzia: se già conoscono il partner e il suo prodotto avranno maggiore fiducia nella startup e saranno ben disposti verso il prodotto offerto da quest’ultima.

3) Review Site Research

Altro aspetto fondamentale analizzato da Gerber è quello delle ricerche di mercato: a suo parere, uno startupper dovrebbe innanzitutto capire cosa pensano le persone dei prodotti simili già esistenti sul mercato, quali sono i problemi che incontrano, cosa desiderano e di cosa hanno bisogno.

Questa attività di ricerca può essere effettuata su grandi siti web come Amazon e simili, in particolare attraverso lo studio delle recensioni e cercando di capire se le persone arrivano o meno all’acquisto effettivo del prodotto.

4) The Competition

Non bisogna mai trascurare la concorrenza e la dimensione potenziale di mercato su cui la startup può indirizzarsi. E’ importante capire quanto siano forti i concorrenti, cosa stanno facendo bene e cosa non stanno facendo bene, come ci si può differenziare da loro e quanto è grande il mercato.

5) Your Current Clients

I primi utenti/clienti di una startup rappresentano coloro che hanno già accordato fiducia al brand. Per questo motivo, la startup non deve mai trascurarli quando cerca di espandere la propria customer base: per farlo, è fondamentale non perdere mai di vista del tutto il Business Model originale che ha permesso la costruzione della prima customer base.

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6) Potential Rebranding

Quando si cerca di espandere il Business Model ad una nuova clientela, occorre essere aperti di fronte alla possibilità di lavorare nuovamente al brand per incanalare al meglio il proprio messaggio sul nuovo mercato.

L’attività di rebranding rappresenta una sfida per la startup, che si ritrova a dover modificare la propria brand identity o semplicemente l’estetica del brand. A volte, però, un cambiamento importante rappresenta la strada migliore per aprire le porte di un nuovo mercato.

Per capire se è necessaria un’attività di rebranding, la startup dovrebbe relazionarsi con i nuovi potenziali clienti e capire quali sono le loro esigenze e preferenze: in questo modo sarà più semplice effettuare dei cambiamenti utili ed efficaci.

7) Redefining The Need

Nella maggior parte dei casi, espandere la clientela o raggiungere nuovi segmenti comporta più tempo e risorse di quanto ne occorranno per raggiungere l’attuale customer base.
Non basta semplicemente apportare delle modifiche alla propria strategia di marketing: spesso le startup dimenticano quanto sia stato difficile raggiungere i primi clienti sul mercato iniziale.

Sicuramente non sarà necessario ricorrere agli stessi sforzi dei primissimi tempi della startup, ma occorre tenere ben presente che l’acquisizione di nuovi clienti è un’attività che necessita di tempo e risorse, per ridefinire le necessità e i bisogni alla base del business.

8) Perspective From Other Fields

Occorre affrontare le ricerche di mercato tenendo conto di prospettive differenti: non basta semplicemente analizzare i customer trends del settore, chiedendo ai clienti cosa vorrebbero in futuro.

Anzichè incasellare la propria startup, il proprio brand e il proprio business, il team dovrebbe provare ad espandere la prospettiva e l’orizzionte di ricerca al di là del settore di riferimento: c’è molto da imparare da chi lavora in settori differenti, soprattutto quando si tratta di trovare nuove soluzioni.

9) Thorough Market Analysis

L’analisi di mercato è un aspetto di fondamentale importanza, che va effettuata attraverso uno studio di mercato approfondito, con un’attenta raccolta di dati. In questo campo non è mai consigliabile affidarsi all’istinto.

Attraverso un’analisi di mercato è possibile scoprire se ci sono problemi specifici da affrontare, in modo tale da anticiparsi e costruire il proprio prodotto e le strategie di marketing tenendo conto di queste informazioni. L’analisi di mercato, inoltre, deve identificare i concorrenti e capire per quali motivi questi ultimi non vengono pienamente incontro alle esigenze dei clienti.

Grazie alle informazioni ottenute da una buona analisi di mercato, la startup può elaborare le strategie necessarie per distinguere il proprio business da quello dei concorrenti.

10) Strategic Messaging

Una startup deve assicurarsi di essere sempre propositiva rispetto alle attività di comunicazione di un nuovo prodotto. Inoltre, occorre impostare la comunicazione in maniera tale da accordarla con quella dei prodotti già esistenti: bisogna quindi capire se si vuole impostare una comunicazione totalmente indipendente o integrata con quella degli altri prodotti/servizi dell’azienda.

Quando una startup decide di espandersi lanciando un nuovo prodotto ha la possibilità di far conoscere ai clienti la propria traiettoria in termini di crescita e le proprie capacità in termini di innovazione. Tuttavia, occorre fare attenzione ad impostare la comunicazione in maniera strategica ed efficace, per non disperdere i contenuti del proprio messaggio.

11) Changes In Sales And Service

Non bisogna trascurare, infine, la necessità di apportare cambiamenti a livello di vendite e servizio clienti. Le persone che lavorano in queste aree sono infatti in possesso di caratteristiche e competenze specifiche per lavorare su una certa customer base.

Se si modifica o si espande la clientela di riferimento, occorre considerare la possibilità di apportare modifiche e aggiornamenti a livello di vendite, differenziazione di prodotto e di prezzo, processi formativi interni, etc.

Per leggere il post originale: http://readwrite.com/2015/05/11/startup-new-market-11-things-to-remember

Napoli, 25/06/2015

Consigli alle startup: attenzione alle scelte in materia di Financial Strategy!

Taylor M. Sledge Jr è il presidente di Sledge & Company, società di Financial Strategy ed esperto internazionale in materia di finanza. Di recente il portale Entrepreneur ha pubblicato un suo articolo dedicato ai tre errori più diffusi delle startup in tema di finanza, proponendo delle soluzioni per evitarli.

Tra le svariate decisioni che i founder di una startup si trovano a dover prendere all’inizio della propria attività imprenditoriale, infatti, la gestione dei fondi di partenza è una di quelle più importanti: spesso, infatti, in una startup gli aspiranti imprenditori investono i propri risparmi di una vita.

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Vediamo quali sono i tre errori più diffusi in materia di finanza che le startup devono imparare ad evitare:

1) Svalutare il capitale umano

Nella maggior parte dei casi, una startup nasce allo scopo di concretizzare l’idea del suo founder. Il founder assume in genere una pluralità di ruoli: CEO, receptionist, segretario… Ma assumere troppi compiti e problemi nella gestione di un’impresa appena nata è un grande errore.

Il capitale umano, infatti, è da considerarsi alla stregua del denaro vero e proprio: è attraverso il capitale umano che una startup può crescere e progredire, mettendo in pratica e trasformando in una realtà imprenditoriale quella che era in principio soltanto un’idea.

Bisogna entrare nell’ottica secondo la quale il capitale umano rappresenta il potenziale maggiore per una startup, e pertanto deve essere quantificato in termini di valore finanziario nel tempo.

Anzichè provare a far tutto da soli, i founder dovrebbero dare valore al capitale umano e delegare alcune attività a persone in grado di svolgerle.

2) Andare in modalità “all in”

Nella sua esperienza a Sledge & Company, l’autore ha visto molti imprenditori che tendono a focalizzarsi sulla mentalità di una crescita a lungo raggio: pensare in grande è sicuramente il filo conduttore che ha portato al successo molte grandi aziende, ma per una startup questo può rappresentare un errore finanziario.

Una startup in possesso di un buon prodotto, ad esempio, può commettere l’errore di investire tutto il capitale derivante da un ottimo lancio sul mercato: è questa la modalità “all in” che, secondo Sledge, dovrebbe essere evitata.

Quando la startup inizia a guadagnare, infatti, spesso cede alla tentazione di investire il 100% del capitale nella propria attività: fare nuove assunzioni, scegliere un ufficio migliore, aggiornare la tecnologia. Purtroppo, però, è sempre meglio lasciare una “riserva” di capitale per il lungo periodo: in questo modo ci si potrà muovere con più tranquillità e gli investimenti saranno più redditizi.

In altre parole, è consigliabile per una startup costruire un “margine”, un “cuscinetto di sicurezza” all’interno del flusso di cassa a breve termine, da tenere separato e riservato: va bene reinvestire nella propria attività, ma è importante risparmiare un po’ di denaro per gestire il business con maggior tranquillità.

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3) Non avere un mentor finanziario

Una startup deve sempre avere un mentor: qualcuno che supporti e consigli il CEO di fronte alle scelte strategiche più rischiose e difficili, ma non solo. Secondo l’autore è fondamentale avere un mentor anche per le questioni finanziarie.

A volte le startup pensano che il denaro investito in una consulenza di tipo finanziario sia denaro speso male, che questo tipo di consulenze siano necessarie più avanti nel tempo, ma in realtà sono proprio gli imprenditori con meno esperienza ad aver bisogno di un supporto in questo campo.

In conclusione, una startup inizia un progetto che avrà impatto non soltanto sui founder, ma anche su altre persone: imparare a gestire al meglio il denaro e a dare il giusto valore finanziario alle risorse è un aspetto fondamentale, assieme all’impegno e al lavorare sodo ogni giorno.

Per leggere il post originale: http://www.entrepreneur.com/article/245606

Napoli, 06/05/2015

Splitting Equity: come suddividere nel modo giusto le quote di una startup

Il portale Entrepreneur ha recentemente pubblicato un post firmato da Drew Handricks (Startup Advisor, specializzato in Marketing) che racchiude alcuni consigli utili per i founder di startup alle prese con un momento caratteristico della vita delle nuove imprese: si tratta della suddivisione dell’Equity, che diventa fondamentale nella fase di passaggio dalla nascita dell’idea al momento in cui quest’ultima sta diventando effettivamente redditizia e remunerativa.

In genere, spiega Handricks, in questa fase capita che tutti coloro che hanno in qualche modo avuto un ruolo nel processo di nascita e crescita dall’idea alla startup cominciano a battersi per avere un pezzetto di quest’ultima, sotto forma di Equity.
Di fronte a questa situazione sono i founder a doversi assumere la responsabilità di suddivisione dell’Equity, tenendo presente sia il principio di giusta suddivisione tra tutti coloro che hanno contribuito alla creazione della startup, sia le necessità e le esigenze fondamentali dell’azienda per raggiungere e mantenere un successo di lungo termine.

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Il problema dell’attività di “Splitting Equity” è rappresentato, secondo l’autore del post, dall’impossibilità di effettuare una suddivisione basata su tagli netti e uguali per tutti: nella maggioranza dei casi sono infatti coinvolte più di due persone ed esplodono disaccordi, dovuti al fatto che alcuni erano coinvolti fin dall’inizio nel progetto e altri sono attivati in seguito, etc. Ecco perchè è consigliabile avere alcune linee guida di riferimento, che Handricks elenca nel modo seguente:

1) Avvantaggiarsi grazie a tools e risorse

Non è possibile affidarsi ad un approccio interamente manuale nella suddivisione dell’Equity di una startup: avere un ruolo importante nelle decisioni da prendere non significa pretendere di controllare manualmente l’intero processo. In altre parole, è utile utilizzare tools automatici (l’autore cita come esempio eShares) per semplificare il processo e risparmiare tempo e risorse. Esistono una serie di tools e risorse sofisticate che possono essere decisamente più utili di un foglio di calcolo in Excel, e vale la pena utilizzarli.

2) Porre l’accento sullo “sweat equity”

Sicuramente i contributi sotto forma di capitale sono indispensabili (e possono e devono essere ricompensati), ma ciò che bisogna veramente premiare è il lavoro offerto e non retribuito (il così detto “sweat equity”). L’Equity va distribuito tra coloro che più di tutti hanno lavorato all’idea, e tra coloro che continueranno a farlo in futuro.
Su quest’ultimo punto è importante capire come intendono proseguire la propria carriera i collaboratori: chi ha intenzione di lasciare il proprio lavoro per proseguire a collaborare full-time con la nostra startup si assume un rischio elevato, che va retribuito in maniera differente rispetto a chi sceglie, ad esempio, di proseguire la propria esperienza nella nostra startup con una collaborazione part-time.

3) Non agire troppo in fretta

Sicuramente è impensabile ritardare troppo la suddivisione dell’Equity, ma al tempo stesso occorre fare attenzione a non incorrere nell’errore contrario, correndo troppo. La parola chiave nell’attività di Splitting Equity è, secondo Handricks, “pazienza”: i founder devono prendersi il tempo necessario per ascoltare tutti i componenti del team, rispondere a tutte le domande, riflettere sulle proprie decisioni. Se l’azienda dovesse riuscire ad avere grande successo, anche un solo punto percentuale in futuro potrà fare un’enorme differenza.

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4) Evitare di essere troppo coinvolti nell’idea originale

Mentre per alcuni il peso maggiore e, di conseguenza, la quota più grande di Equity dovrebbe essere data al co-founder che ha avuto l’idea, Handricks sostiene che questo fattore non deve essere di primaria importanza quando si prendono le decisioni di Splitting Equity. I contributi effettivi in termini di lavoro svolto devono avere la priorità (si tratta dello “sweat equity” di cui si parla al punto 2), tranne nei casi in cui chi ha avuto l’idea iniziale è anche colui che ha lavorato di più.

5) Non lasciare che le emozioni controllino le decisioni

Spesso i co-founder di una startup sono legati tra loro personalmente (per amicizia, legami familiari o precedenti esperienze lavorative). Ciò significa, nella maggioranza dei casi, che si tratta di persone abituate ad interagire non soltanto al lavoro, ma anche negli altri ambiti della vita. Questo aspetto può risultare particolarmente ingombrante nelle decisioni di suddivisione dell’Equity: si cerca infatti di non rovinare le relazioni interpersonali esistenti.
Per questo motivo, l’autore consiglia di mettere in atto uno sforzo supplementare per evitare che le emozioni prendano il sopravvento nelle decisioni di Splitting Equity.

6) Prevedere un periodo di maturazione per le azioni

Sarebbe opportuno, infatti, prevedere per le azioni della startup un periodo di “vesting”, ossia di maturazione per l’acquisizione definitiva delle stesse. Questo perchè ciò che è vero oggi, potrebbe cambiare tra sei mesi o un anno: non si sa mai se un co-founder deciderà di lasciare la startup, e c’è il rischio concreto che vada via continuando a detenere una quota importante della società.

In conclusione, afferma Drew Handricks, l’attività di Splitting Equity può rappresentare uno dei momenti più difficili che i co-founder di una startup deve affrontare: bisogna prendere delle decisioni difficili ed essere pronti ad affrontarne le conseguenze. I consigli contenuti in questo post possono essere un buon punto di partenza.

Per leggere il post originale: http://www.entrepreneur.com/article/245037

Napoli, 27/04/2015

Consigli alle startup in tema di vendite: come aumentarle, come acquisire clienti, come presentarsi a un VC

Mark Suster è un imprenditore seriale di successo (Salesforce.com), angel investor, mentor per Techstars e attualmente impegnato nel Venture Capital come investment partner per Upfront Ventures. Il suo blog è fonte di preziosi consigli per startupper e aspiranti tali, e in particolare vediamo oggi il suo punto di vista sul tema delle vendite.

Le vendite sono decisamente linfa vitale per qualsiasi impresa, e in particolare gli imprenditori in fase di startup possono avere scarsa esperienza o inclinazione per questo argomento: inoltre, spiega Suster, le vendite rappresentano uno dei focus principali su cui si sofferma un investitore quando si avvicina ad una startup, per cui è fondamentale cercare di massimizzarle anche in fase di fund raising.

Secondo Mark Suster, per migliorare le vendite una startup deve tenere presenti tre aspetti di base:

1) Perché comprare un prodotto/servizio?
2) Perché comprare un prodotto/servizio proprio dalla mia azienda?
3) Perché comprare un prodotto/servizio proprio in questo momento?

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Il post di cui parliamo oggi si sofferma particolarmente sul primo aspetto, partendo da un punto fondamentale: quando si tratta di vendite, la cosa più importante è “qualify”, ossia essere preparati, qualificati, idonei.
Il motivo è molto semplice: coloro che si occupano delle vendite hanno un tempo limitato a propria disposizione, e non possono permettersi di sprecarlo con qualcuno che non acquisterà il loro prodotto/servizio nel breve termine.

La prima cosa da fare è chiedersi se la persona che si ha di fronte può essere un potenziale cliente, e quindi se ha un problema per cui il nostro prodotto/servizio possa rappresentare la soluzione. Ecco perché nella maggior parte dei casi, il successo nelle vendite nasce da una buona attività di inbound marketing: lo scopo è quello di attrarre potenziali clienti attraverso programmi di marketing basati sui contenuti offerti, attirando traffico sul proprio sito web.
In questo modo, infatti, sarà possibile quantificare il tempo che i visitatori trascorrono sul sito a leggere i contenuti, facendosi una prima ideaa del livello di interesse.

Quando si dispone già di un prodotto/servizio, sapere chi è il proprio “cliente tipico” aiuta molto, perché permette di arrivare direttamente ed in maniera rapida al proprio target di potenziali clienti: inoltre, è possibile stabilire una strategia con gli strumenti più adatti.
Un consiglio che l’autore offre a riguardo è quello di servirsi di appositi tools per costruire mailing list di potenziali clienti, cui indirizzare una campagna e-mail ad hoc.

Il più grande errore che startupper poco esperti fanno in tema di vendite è, secondo Suster, perdere tempo con chi si dimostra per nulla propenso all’acquisto, ma si comporta in maniera gentile, mostrandosi interessati a ciò che gli si sta dicendo. Purtroppo i founder di una startup hanno spesso paura di sentirsi dire semplicemente “no”, mentre a volte questa può essere la risposta più utile per le vendite. E’ molto meglio un no secco, infatti, piuttosto che restare in forse o non sapere.

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Un altro errore che spesso le startup commettono riguardo alle vendite è quello di non chiedere se l’acquirente ha un budget a disposizione per l’acquisto. Suster sostiene che ci sono due tipologie di persone che non hanno un budget prestabilito:

Coloro che sono effettivamente interessati all’acquisto, ma non hanno disponibilità economica per effettuarlo nel breve termine. In questo caso la persona viene lasciata cadere nel così detto “imbuto del marketing”: la persona viene considerata come potenziale cliente e rimane oggetto, in quanto tale, delle campagne di marketing dell’azienda. La startup deve, in questo caso, concentrarsi su coloro che potranno realmente effettuare l’acquisto in tempi brevi.

Tra coloro che non hanno un budget a disposizione vanno incluse anche le persone che non sono interessate all’acquisto, ma vogliono comunque relazionarsi con voi: queste persone rappresentano una perdita di tempo per la startup. A volte, alle persone piace sentirsi oggetto delle attenzioni che un’azienda alla ricerca di potenziali clienti può offrire: per questo motivo, mantengono comunque i contatti pur senza avere alcuna intenzione di acquistare il prodotto/servizio offerto. Queste persone, secondo Suster, vanno categoricamente evitate in quanto rappresentano una perdita di tempo e risorse che andrebbero impiegate su potenziali clienti che vorrebbero davvero effettuare un acquisto.

L’ultima parte si concentra invece sulla tematica delle vendite nel fund raising: secondo Suster, molto semplicemente, “Raising money is selling”.
Le vendite sono una metrica imprescindibile quando si effettua la raccolta di capitali, perché rappresentano tutto il potenziale di una startup. Se si dispone di un prodotto che rappresenta una valida soluzione ad un problema, se si hanno le competenze necessarie per produrlo, se esiste una base di potenziali clienti abbastanza ampia che vuole acquistarlo, vuol dire che la startup ha ottime possibilità di successo e che può meritare la fiducia dell’investitore.

Per leggere il post originale dal blog di Marc Suster: http://www.bothsidesofthetable.com/2015/03/10/sales-101-why-buy-anything/

Napoli, 24/04/2015

Branding Strategy: i consigli alle startup per costruire un brand di successo

Fabian Geyrhalter è founder della branding agency FINIEN e co-autore del libro “How to Launch a Brand”. Proprio sul tema della creazione di un Timeless Brand, un brand “senza tempo”, ha di recente pubblicato su WeWork un post molto interessante dedicato ad una serie di consigli utili in tema di Branding Strategy per startup alle prese con le prime fasi del business.

L’autore parte con un esempio decisamente noto: il brand Coca-Cola. Coca-Cola ha decisamente uno dei brand più famosi ed evocativi al mondo: basta nominarla per immaginare il carattere corsivo, i colori rosso e bianco, le bottiglie curve, gli orsi polari protagonisti dei suoi spot più famosi. Questo risultato è stato possibile solamente grazie a decenni di attività di brand building, con lavoro assiduo e costante sul logo, le immagini, i messaggi inviati al mercato.

Per la maggioranza delle aziende non è facile costruire un brand così forte. Questo accade, secondo Geyrhalter, a causa di un errore parecchio diffuso: gli imprenditori si lasciano troppo spesso trasportare dalle mode del momento.
Ma, anche se cambiano le mode e gli stili, l’azienda deve tenere sempre ben presente che il nome ed il logo non dovrebbero cambiare mai. Bisogna mantenerli fin dall’inizio, dalle fasi di startup, in modo da non confondere il target di riferimento. Creare un marchio, infatti, significa riflettere i valori dell’azienda e la passione condivisa per essi con i clienti: questi dovrebbero essere, per definizione, dei punti fermi.

Il brand che resta più a lungo e fermamente impresso nella mente dei consumatori è quello che è stato costruito con passione, impegno, “anima” e che viene proposto sul mercato in maniera sincera e coerente. Solo in questo modo è possibile ottenere quello che Geyrhalter definisce un “Timeless Brand” come quello di Coca-Cola.

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Vediamo quindi i cinque suggerimenti utili che l’autore fornisce alle startup per costruire fin da subito un Timeless Brand:

1) Lascia perdere le tendenze

Le tendenze (o trend) del momento sono passeggere, è improbabile che resistano nel tempo: le persone, invece, sono alla ricerca di qualcosa di duraturo e distinguibile. Nella creazione del brand bisogna evitare di considerare le mode del momento, e costruire l’identità di marca in maniera creativa e onesta: in questo modo sarà più probabile avere un brand forte e duraturo.

2) Trova un angolatura unica

Non bisogna mai uniformarsi troppo ai concorrenti, anzi: l’obiettivo deve essere quello di definire una propria brand identity unica e distinguibile. Nella costruzione del brand bisogna guardare oltre i competitors e fidarsi ed affidarsi alla proprie convinzioni.
Il marchio va costruito sulla base dei valori più profondi che identificano l’azienda: solo in seguito si potranno scegliere le strategie e gli strumenti migliori per comunicarlo al pubblico.
Una volta che si decide esattamente quale messaggio si vuole comunicare alla clientela, è possibile creare un brand (dal punto di vista visivo e verbale) davvero unico e duraturo.

3) Definisci il tuo brand

Un brand “senza tempo” condivide una passione ben precisa con il suo target di riferimento. Ad esempio, Patagonia produce abbigliamento per chi fa climbing, sci ed altri sport all’aria aperta: il brand si rivolge quindi a tutti coloro che amano il contatto con la natura, ed è stato possibile per l’azienda espandersi con prodotti relativi a vari sport senza perdere l’attenzione dei clienti.

4) Sii coerente

Il nome ed il logo dell’azienda sono le prime due cose a cui la gente pensa quando pensa al brand: è quindi indispensabile fare in modo che questi tre aspetti siano assolutamente coerenti tra loro. Bisogna inoltre assicurarsi che il logo sia distinguibile, facilmente adattabile a diverse tipologie di supporto, che rifletta nel modo migliore il prodotto/servizio dell’azienda.

5) Evita di essere troppo descrittivi

Quando si lancia un brand, è utile non essere troppo descrittivi per evitare costose operazioni di rebranding in futuro. L’incertezza di un’attività di rebranding potrebbe infatti costare molto in termini di tempo, denaro, clienti perduti.

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Per consolidare il brand fin dalle fasi di startup, infine, è possibile concentrare risorse ed investimenti sulla sua stabilizzazione e focalizzazione. Un marchio in sintonia con la sua identità rimane rilevante nel corso del tempo, e le persone sanno quel marchio cosa rappresenta. Basare il proprio brand su un’offerta unica e connettersi attentamente con l’audience di riferimento significa essere sulla buona strada per la creazione di un Timeless Brand.

Per leggere l’articolo originale: https://creator.wework.com/work/5-ways-to-create-a-timeless-brand/

Napoli, 16/04/2015

Consigli per startup e imprese: i 7 tratti distintivi delle aziende di successo

Lean Back, portale on-line dell’Economist Group, ha pubblicato alcuni giorni fa un articolo firmato da Brett Grehan, Bart Delmulle, Tomas Keisers e Vikas Sagar di McKinsey & Co. che nasce da uno studio di benchmarking effettuato su 15.000 dipendenti di oltre 140 aziende mondiali leader nel mercato B2B e B2B2C: lo studio è incentrato sulle capabilities (capacità individuali) di marketing e di vendita di queste aziende.

Secondo i risultati ottenuti, le revenue delle aziende più avanzate in tema di marketing e vendite sono più alte di circa il 30% rispetto alla media registrata nel settore di appartenenza: a partire da questa ricerca, e assieme all’esperienza maturata negli anni, gli autori dell’articolo ed esperti di McKinsey & Co. hanno ricavato i sette tratti distintivi delle aziende leader di mercato.

1) Vedere i costi di marketing e vendite come un investimento, non come una spesa

Investire per costruire un team attentamente selezionato per le attività di marketing e vendita può produrre fino a 5 o 10 volte di più dello stesso investimento in beni materiali o attrezzature. Le aziende con le migliori performance sono quello che si concentrano sulle capabilities strettamente correlate alle opportunità di crescita e ai margini in termini di ROI.

2) Conoscere con chiarezza i propri punti di forza e di debolezza

Le aziende di successo non possono limitarsi a conoscere le proprie capabilities in marketing e vendite, devono anche essere in grado di compararle con le best practices del settore. Diventa quindi fondamentale conoscere con chiarezza e rigore analitico i punti di forza e di debolezza del proprio team, anche e soprattutto rispetto ai competitors.

3) Stabilire il proprio target sulle capabilities che contano di più

Le aziende tendono spesso ad investire in capabilities senza pensare a quelle che possono effettivamente fare la differenza rispetto alla concorrenza, o che possono avere un maggiore impatto sul business. Quando si scelgono le capabilities, bisogna sempre aver ben chiari gli obiettivi di business che l’azienda intende raggiungere.

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4) Non cercare di fare troppo

Costruire le capabilities richiede grande attenzione, e modalità specifiche a seconda del settore economico di appartenenza. Diventa quindi fondamentale muoversi concentrandosi su un massimo di due funzioni per volta.

5) Scegliere l’approccio più adatto alla fase di sviluppo in cui si trova il business

Analizzando i risultati dello studio, gli autori hanno rilevato che la curva delle prestazioni di business è strettamente legata alla fase di sviluppo in cui l’azienda si trova. Ad esempio: 1) Bassa crescita e redditività rispetto al mercato: gli investimenti andrebbero concentrati sulle capabilities di base, che permettono all’azienda di crescere (ad esempio prezzi, prestazioni, gestione dei clienti); 2) Bassa crescita e profitti elevati: l’azienda dovrebbe concentrare gli investimenti sulle attività di brand building, marketing strategy, gestione del ciclo di vita del cliente, customer satisfaction; 3) Crescita e redditività elevate: le imprese in questa fase dovrebbero investire su capabilities di livello elevato, come approcci alternativi al go-to-market, vendite interne ed e-commerce.

6) Pensare alle capacità relazionali dell’intera organizzazione, senza fossilizzarsi su quelle individuali

I singoli individui possono lasciare il team in qualsiasi momento, ma l’azienda rimane: ecco perché le capabilities devono essere sostenibili nel lungo termine. Per questo, è fondamentale costruire un dialogo chiaro ed aperto che consenta di individuare con certezza la vision aziendale.

7) Avere il modello operativo giusto per mettere in atto l’execution

Per avere un modello operativo in grado di sostenere l’execution è necessario avere obiettivi chiari e misurabili attraverso metriche ad hoc, come ad esempio obiettivi annuali di miglioramento delle performance, prestazioni a livello di business unit, incentivi allineati con gli obiettivi istituzionali. Una cultura aziendale top-performing è orientata al cliente, gestita sul lungo termine, in continua evoluzione, creativa, flessibile e basata sulla fiducia.

Per leggere il post originale: http://www.economistgroup.com/leanback/the-next-big-thing/mckinsey-study-revenue-growth-marketing-leadership/

Napoli, 15/04/2015

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