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Tag: clienti

Startup product-based: una serie di consigli per le migliori strategie di pricing

E’ tutto pronto: hai l’idea, il business plan e il prototipo del tuo prodotto. Ma sai come gestire al meglio le strategie di pricing? Alex Mitchell, co-founder di Young Brits Network (impresa sociale che si occupa di costruire un network per la promozione e il sostegno dei giovani talenti imprenditoriali britannici a livello internazionale) e tra i più influenti collaboratori di IoD (Institute of Directors), organizzazione fondata nel 1903 nel Regno Unito allo scopo di stabilire standard e direttive per le imprese, ha pubblicato sul sito www.iod.com una serie di interessanti consigli alle startup per stabilire il prezzo giusto per i propri prodotti.

1. Se il tuo business si basa su un prodotto, controlla attentamente i prezzi dei tuoi concorrenti

Un’impresa business-to-consumer deve sapere esattamente quanto i propri potenziali clienti sono disposti a pagare, quindi è necessario mettere sul mercato il proprio prodotto e fare domande a riguardo. Non basta una foto, la gente deve poter vedere, sentire, gustare, toccare il prodotto e solo allora sarà possibile chiedere quanto sarebbero disposti a pagare per averlo.

2. I sondaggi on-line possono aiutarti a sondare l’opinione dei consumatori

E’ possibile affidarsi a servizi gratuiti come quelli offerti da Survey Monkey, oppure controllare i risultati dei sondaggi di LinkedIn. Si può anche provare a chiedere l’opinione di parenti e amici, ma Mitchell racconta che nella propria esperienza questi ultimi sono propensi a dare pareri positivi. Quindi, il consiglio è quello di assicurarsi di chiedere risposte e pareri alle persone giuste: solo i potenziali clienti potranno dare risposte veritiere ed utili a stabilire i livelli di prezzo.

3. Assicurati di coprire i costi al di là di quelli di produzione

Non basta tener conto dei costi di produzione nel determinare i prezzi di un nuovo prodotto: è indispensabile tenere in considerazione anche i costi in termini di tempo, di marketing, di progettazione e non dimenticare spese di spedizione ed imballaggio.

4. Mantenere la mente aperta

Quando un business di basa sulla proprietà intellettuale o sulla fornitura di servizi, o quando si ha a disposizione una certa esperienza, secondo Mitchell è più facile trovare un livello di prezzo adeguato. Ma questo non è il caso di una startup product-based: bisogna quindi essere creativi anche nella definizione delle strategie di pricing.
L’autore del post consiglia, ad esempio, di mantenere all’inizio un prezzo un po’ più basso di quello dei concorrenti, oppure di affidarsi sinceramente ai clienti chiedendo loro di pagare quanto ritengono meriti il prodotto offerto. Si tratta di una possibilità basata sulla fiducia dei clienti, che si ricollega al punto seguente.

5. Costruire la customer loyalty

Ci sono aziende (Mitchell cita a titolo di esempio King of Shaves e Bean & Ground) che hanno costruito un rapporto di fiducia con i propri clienti assicurandosene la fedeltà a lungo termine, basandosi anche e soprattutto sulla stabilità di prezzi e costi.
King of Shaves, ad esempio, è una società che vende rasoi ed altri prodotti per la rasatura: ha creato un club per i propri clienti, che pagano un abbonamento mensile. In maniera simile, Mitchell racconta di come Bean & Ground consegni caffè a domicilio ai propri clienti grazie ad una piattaforma basata su abbonamenti mensili. Iniziative di questo genere permettono all’azienda di sapere in anticipo di che quantità di prodotto avranno bisogno per soddisfare la domanda e il risparmio conseguente viene trasferito ai clienti, che beneficiano di prezzi più convenienti.
In tal modo, la startup può costruire fiducia, lealtà e valore per se stessa e per i propri clienti e, allo stesso tempo, stabilire un’efficace strategia di pricing.

Napoli, 21/11/2013

 

 

Il “Petal Diagram” spiegato da Steve Blank: la rappresentazione grafica della concorrenza su misura per le startup

In uno degli ultimi post del suo blog, Steve Blank suggerisce alle startup una nuova metodologia per rappresentare graficamente nel proprio pitch l’analisi della concorrenza.
Il presupposto da cui parte l’autore è che la “classica” slide sulla concorrenza, impostata su un grafico con gli assi X/Y che rappresentano i parametri di mercato, non sia adatta ad una startup ma sia uno strascico ereditato dall’analisi dello scenario competitivo di aziende che si inseriscono su mercati già esistenti: i parametri X e Y, infatti, sono definiti sulla base degli utenti del mercato attuale (di solito si tratta delle variabili prezzo e performance).

Secondo Blank, invece, la maggior parte delle startup cerca di posizionarsi in mercati totalmente nuovi, o di cambiare gli assestamenti di mercati già esistenti. E’ possibile, inoltre, che il mercato della startup in questione nasca dall’intersezione di mercati già esistenti, o ancora che il mercato non esista e sarà proprio la startup a crearlo. Da queste considerazioni, Blank deduce la necessità di trovare una nuova modalità di rappresentazione del panorama competitivo di una startup.

La scelta di Blank è una rappresentazione grafica chiamata “Petal Diagram”, nella quale la startup viene posizionata al centro della diapositiva. Nell’esempio descritto nel post, la startup sta creando una nuova categoria di mercato (un network di formazione a lungo termine pensato per gli imprenditori).
La startup in questione vuole creare il proprio mercato traendo i propri clienti da cinque segmenti: aziende, istruzione superiore, ecosistema startup, istituzioni, adulti che vogliono acquisire nuove skills.

A questo punto, i cinque segmenti vengono rappresentati come una nuvola di mercati contigui intorno alla startup. Il risultato è una slide composta dalla startup al centro, e cinque “petali” che la circondano: in ciascun petalo si inseriscono i nomi delle aziende concorrenti per quello specifico segmento.

Per ciascun concorrente si procede poi ad indicare la quota di capitale equity raccolta, in maniera tale da mostrare ai potenziali investitori che c’è interesse di altri investitori in quel mercato (Blank accenna alla convinzione tipica secondo la quale “no VC wants to miss a hot space”).

Infine, è possibile indicare nella slide “Petal Diagram” la dimensione di ogni mercato adiacente in modo tale da permettere alla startup di dare risposta alla domanda “Quanto grande può essere il vostro mercato?”, che di solito viene posta da tutti i potenziali investitori.

Ultimo aspetto fondamentale messo in luce da Steve Blank è che un’analisi della concorrenza rappresentata sottoforma di “Petal Diagram” serve alla startup anche da guida per la costruzione del Business Model Canvas: quando si utilizza il metodo Lean Startup, infatti, un grafico di questo tipo consente al team di identificare il primo segmento di potenziali clienti da inserire nel Canvas. Inoltre, è un modello semplice da modificare qualora ci si renda conto che le ipotesi iniziali erano errate: un altro vantaggio importante per una startup che muove i propri primi passi verso il mercato.

Napoli, 13/11/2013

L’importanza della comunicazione nel business: l’equità, la ragionevolezza e l’ingiustizia percepita dal cliente

Il blog della Harvard Business Review ha pubblicato un articolo firmato da N. Taylor Thompson, membro del Forum per la Crescita e l’Innovazione, una think tank della Business School di Harvard che si occupa di sviluppare e perfezionare la teoria sulla disruptive innovation.

Tema centrale dell’articolo è la Fairness, che possiamo tradurre in italiano con il concetto di equità ed imparzialità: l’autore cerca di spiegare come la Fairness sia fondamentale per un’azienda perchè consente di mantenere i clienti.

Punto di partenza di N. Taylor Thompson è l’esempio di Netflix: si tratta di un’azienda statunitense che offre un servizio per film e videogiochi in streaming o noleggio DVD con spedizione per posta. Nel luglio 2011, Netflix ha deciso di separare i suoi prodotti streaming e DVD: tale mossa strategica è stata, secondo N. Taylor Thompson, da manuale, in quanto basata su una decisione informata e in grado di portare vantaggio sia all’azienda che alla clientela.

Netflix, infatti, aveva raccolto i dati sul valore attribuito dai clienti alle due modalità: considerato un abbonamento mensile di 10$ per tutti i clienti i due servizi (DVD e streaming) venivano valutati in maniera differente. Il 35% attribuiva al DVD un valore pari a 10$ e allo streaming un valore di 2$, viceversa un altro 35% attribuiva allo streaming un valore pari a 10$ e al DVD un valore pari a 2$, mentre il restante 30% attribuiva ad entrambi i servizi un valore di 8$ ciascuno.
Il ragionamento seguito da Netflix fu il seguente: fissando un prezzo pari ad 8$ per ciascun servizio, il 70% dei clienti avrebbe ottenuto un vantaggio e la nuova segmentazione della clientela avrebbe visto i “Cinefili” pagare 8$ solo per i DVD, i “Youtubers” pagare 8$ solo per lo streaming, e i “Cinefili impazienti” pagare 16$ per usufruire di entrambi i servizi.

Ma l’esperienza di Netflix ha portato ad un risultato differente: furono revocati molti abbonamenti e la società perse un milione di clienti. N. Taylor Thompson cerca di spiegare perchè, nonostante la strategia seguita fosse “da manuale”, l’azienda si trovò a dover affrontare un enorme insuccesso: il problema sta nel non aver tenuto conto della percezione del cliente.

Il comportamento di Netflix è stato interpretato dalla clientela come non equo, scorretto, perpetrato esclusivamente allo scopo di trarre profitto a spese dei consumatori: la decisione di annullare gli abbonamenti, secondo l’autore, non era basata su un calcolo razionale bensì sulla voglia di “punire” Netflix per essere stata, a loro parere, colpevole di scorrettezza.

N. Taylor Thompson sostiene che i dirigenti di Netflix avrebbero potuto prevedere questa reazione se, oltre alle leggi dell’economia e del mercato, avessero tenuto conto della psicologia e della sociologia: vediamo in che modo.
Bisogna partire dal fatto che i clienti tendenzialmente sottovalutano i costi aziendali e sovrastimano i profitti: attribuiscono le differenze di prezzo tra prodotti esclusivamente al profitto, concludendo che gli aumenti sono ingiusti (si parla di “ingiustizia percepita”).

Secondo la percezione dei clienti, l’unica motivazione per la quale è giusto aumentare i prezzi è l’aumento dei costi: l’aumento del prezzo di fronte alla crescita della domanda è visto come ingiustificato, e in generale un aumento dei prezzi è visto come la spia di cattive intenzioni e comportamento ingiusto da parte dell’azienda.

L’ingiustizia percepita fa diminuire la soddisfazione del cliente e la sua voglia di ricomprare il prodotto, inoltre è stato dimostrato che circa l’85% delle persone tendono a punire l’ingiustizia: è sulla base di questo meccanismo che i clienti di Netflix hanno disdetto i propri abbonamenti.

Queste “regole” di psicologia e sociologia diventano fondamentali per l’impresa perchè possono essere trasferite dall’ambito personale a quello aziendale: per diminuire l’ingiustizia percepita, Netflix avrebbe dovuto spiegare in modo trasparente la motivazione alla base dell’aumento dei prezzi, ponendo l’accento proprio sul fatto che la decisione era stata presa sulla base dell’equità, della Fairness.

Secondo N. Taylor Thompson, Netflix avrebbe dovuto motivare la propria decisione spiegando che i costi di licenza per i contenuti in streaming sono in aumento, e che non sarebbe stato equo far pagare tali rincari anche agli utenti di DVD: separare i costi dei servizi consente a ciascuno di concentrarsi sulla tipologia di servizio che preferisce.

In conclusione, il consiglio di N. Taylor Thompson è quello di dare sempre una motivazione che faccia capire al cliente che alla base dell’aumento dei prezzi non c’è intenzione di causare iniquità tra i clienti nè tantomeno di aumentare i profitti aziendali a loro discapito: l’importante è dimostrare di essere ragionevoli, e non incorrere nell’errore di trascurare le implicazioni della Fairness sulla gestione del business.

Napoli, 10/10/2013

I primi passi di una startup: errori da evitare e consigli utili secondo Paul Graham

Paul Graham ha raccolto in un interessante post apparso qualche settimana fa sul suo blog una serie di consigli ed aneddoti utili per le startup agli inizi del loro percorso imprenditoriale. Il titolo, “Do Things That Don’t Scale”, suggerisce il concetto di partenza dell’autore: spesso i founders sono convinti che una startup o decolla immediatamente, oppure non lo farà mai.

In realtà una startup decolla perchè sono i suoi fondatori, con il proprio lavoro, a renderlo possibile: occorre una spinta per dare origine al processo di crescita, che passa innanzitutto per l’acquisizione dei primi clienti attraverso attività non scalabili.

Ciò si traduce in modalità di acquisizione dei primi clienti che Graham definisce “manuali”: bisogna uscire e andare di persona a proporre ai potenziali interessati il proprio prodotto, non ci si può permettere di restare fermi ad aspettare che siano loro ad avvicinarsi.

Spesso i founders pensano che i numeri ottenibili da un percorso di questo tipo siano troppo piccoli e non valgano lo sforzo: Graham fa un esempio molto efficace per smentirli. Se si parte da un bacino di potenziali clienti pari a 100, basta proporsi un incremento settimanale del 10%: dopo 7 giorni saranno 110, dopo un anno 14.000, dopo due anni il bacino potrebbe essere di 2 milioni.

Altra convinzione errata, che spesso Graham ha ritrovato nei founders incontrati nella sua carriera, è guardare alla fragilità iniziale tipica di ogni startup agli inizi come ad un ostacolo impossibile da superare: il rischio è che siano gli stessi fondatori a non credere più nella propria idea. L’autore racconta che persino Bill Gates, dopo aver fondato Microsoft, era tornato per un semestre ad Harvard: se fosse stato consapevole del successo che ha poi ottenuto, probabilmente non sarebbe tornato nemmeno per un giorno, ma all’inizio è facile scoraggiarsi.

Graham suggerisce agli startuppers agli inizi della carriera di ridimensionare la loro visione, non bisogna domandarsi “la mia azienda è in grado di conquistare il mondo?”, ma “quanto grande questa azienda potrebbe diventare se i fondatori faranno le cose come si deve?”.

Quando si entra in quest’ottica, si può iniziare ad acquisire il primo, piccolo bacino di clienti: ed è in questo momento che i founders devono impegnarsi al massimo per renderli felici. Graham sottolinea l’importanza di puntare sull’aspetto esperienziale, sul rendere il cliente felice e sul farlo sentire speciale per aver scelto proprio il nostro prodotto: cosa che probabilmente non sarà più possibile fare quando la startup avrà scalato e i clienti saranno troppi per essere seguiti in questo modo.

Ma quando una startup è agli inizi, non è il momento di preoccuparsene: i founders devono impegnarsi e concentrare tutti i propri sforzi sul rendere i primi clienti felici, sul soddisfare il più possibile i loro bisogni, mantenendo alti gli standard di servizio.

Graham prende in prestito il pensiero di Steve Jobs per definire il tipo di sforzo che la startup deve intraprendere per rendere felice il cliente: deve essere uno sforzo “follemente grande”, nel senso letterale del termine. La soddisfazione del cliente deve essere lo scopo primario, tutti gli sforzi devono essere indirizzati a questo obbiettivo: l’autore spiega anche perché, dicendo che i feedback ottenuti dai primi clienti sono i più utili che qualsiasi azienda possa ottenere nell’intero arco della sua vita.

Tutto ciò è possibile, secondo Graham, soltanto se la startup si rivolge ad una piccola quota di mercato: un po’ come Facebook, che agli inizi era esclusivamente agli studenti di Harvard, per poi rivolgersi agli studenti di altri istituti fino ad espandersi a livello globale.
Il metodo consigliato da Graham è di concentrarsi inizialmente su un sottoinsieme del mercato, in cui ottenere rapidamente una massa critica di utenti per testare il prodotto. Solo più tardi sarà possibile rivolgersi ad un mercato più ampio: spesso questo processo è seguito dai founders in maniera inconscia, ma funziona nella maggioranza dei casi.

L’importanza di iniziare “dal basso” è alla base del prossimo consiglio dell’autore del post: una startup agli inizi deve cercare il più possibile di provvedere autonomamente a realizzare il proprio prodotto, evitando di sostenere costi per i fornitori.
Questo aspetto si ricollega ancora una volta all’importanza di acquisire i primi clienti e concentrarsi al massimo sulla loro soddisfazione: se la realizzazione del prodotto avviene direttamente ad opera della startup, sarà più semplice ed immediato apportare le eventuali modifiche necessarie dall’ascolto dei feedback della clientela.

Da questo punto di vista, Graham afferma che i primi clienti che la startup acquisisce vanno visti come dei veri e propri consulenti, che possono comunicare i propri bisogni e problemi su cui i founders possono lavorare per migliorare il proprio prodotto.

Come si può intuire, tutte le azioni suggerite per gli inizi di un’impresa sono sicuramente non-scalabili: anzi, secondo Graham, è fondamentale svolgere manualmente, direttamente, per poter ottenere i massimi livelli di soddisfazione dei primi clienti.

La conclusione di Graham, quindi, è che potrebbe essere utile smettere di guardare alla startup come a un’azienda per la quale l’unica cosa che conta è avere un modello di business scalabile: occorre un duplice punto di vista, che insieme alla scalabilità prenda in considerazione l’importanza di svolgere azioni non scalabili per raggiungere il traguardo di una startup di successo globale.

 

Paul Graham è il fondatore di Y Combinator, incubatore rivoluzionario nato nel 2005 che ad oggi ha fondato oltre 500 startup. Per saperne di più:

 

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Napoli, 28/08/2013

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