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Tag: vendite

Digital360 Awards 2020: il premio per l’innovazione – Lazise dal 18 al 20 giugno 2020

Il premio per promuovere la cultura dell’innovazione e dell’imprenditorialità.

Al via la quinta edizione dei Digital360 Awards 2020, l’iniziativa del Gruppo Digital360 che ha l’obiettivo di creare un match making tra CIO e offerte innovative.

L’evento si integrerà con il CioSumm.It, a Lazise dal 18 al 20 giugno 2020 e vedrà la partecipazione della più grande community di CIO in Italia, oltre 150 personalità tra CIO, analisti, opinion maker, keynotespeaker che approfondiranno temi di particolare rilievo relativi all’innovazione digitale.

Il contest è strutturato in tre fasi distinte:

  1. i partecipanti inviano le proprie candidature accedendo alla piattaforma dei Digital360 Awards;
  2. la Giuria esamina le candidature e seleziona i progetti finalisti per le diverse categorie tecnologiche con la possibilità di interagire con i candidati per eventuali approfondimenti;
  3. i finalisti, durante l’Italian Awards Summ.IT, presentano i progetti attraverso pitch live alla Giuria che proclama i vincitori.

I migliori progetti di innovazione digitale verranno valutati in base a specifiche categorie tecnologiche tra cui:

  • Big Data Analytics;
  • Blockchain;
  • Cloud Computing;
  • CRM/Soluzioni per Marketing e Vendite;
  • Internet of Things;
  • Machine Learning e Intelligenza Artificiale;
  • Mobile Business;
  • Realtà aumentata e/o realtà virtuale;
  • Smart Working e Collaboration;
  • Soluzioni B2b e di eSupply Chain;
  • Soluzioni infrastrutturali.

Inoltre, ogni progetto, oltre al criterio di originalità e innovazione, è fondamentale quello della replicabilità, in quanto deve essere stato implementato in almeno una realtà e dovrà essere replicabile. Il terzo criterio adottato è quello della rilevanza dei benefici apportati.

Per partecipare all’evento Digital360 Awards 2020, la deadline è fissata entro le ore 24:00 del 20 aprile 2020, attraverso la compilazione del form al seguente link:  https://www.digital360awards.it/candida-il-tuo-progetto/

Per maggiori informazioni è possibile consultare il Regolamento al seguente link. https://www.digital360awards.it/wp-content/uploads/sites/4/2020/02/Regolamento-digital360-awards-2020_Def_4.pdf

 

Startup Tips: l’allineamento e la condivisione, strategie di base per la misurazione del Marketing ROI

Una delle attività più complesse per una startup è quella di tenere traccia del percorso che conduce dagli sforzi di marketing alle vendite effettive: misurare il ROI del Marketing rappresenta spesso un problema di difficile soluzione, causato dalla quasi totale assenza di dati certi sulle conversioni.

Spesso, per provare a quantificare il ROI degli investimenti di marketing, il CMO si ritrova a potersi basare su “vanity metrics” e congetture, piuttosto che su numeri reali come accade, ad esempio, per le attività di vendita. Naturalmente questa situazione rappresenta una difficoltà, che si traduce nell’impossibilità di misurare l’efficacia della Marketing Strategy.

Ma come è possibile superare questo problema? La misurazione del ROI per gli investimenti in marketing è stata recentemente al centro di un interessante post pubblicato dal blog del Marketing Insider Group, ispirato da un’infografica prodotta da TechnologyAdvice.

ROI - return of invertelment concept in word tag

La chiave per risolvere la questione sta nella “lead reciprocity” tra marketing e vendite, ossia nello scambio aperto di informazioni sui lead tra le due funzioni aziendali all’interno della startup. Per realizzare la lead reciprocity occorre agire su due tipologie di allineamento: quello tecnologico e quello strategico.

ALLINEAMENTO TECNOLOGICO

L’integrazione tra marketing automation e piattaforme CRM consente sia al marketing che alle vendite di ottenere una visibilità end-to-end circa le informazioni disponibili sul lead. Dal marketing provengono i dati e le metriche su aspetti quali track leads, close rates e altri parametri di conversione, mentre il team di vendita è in grado di monitorare dove sono stati generati i lead, come si qualificano, ed altre informazioni inerenti le tempistiche.

La combinazione tra marketing automation e piattaforme CRM presenta molteplici vantaggi: consente di tenere traccia di come i lead si convertono in clienti, in modo tale da avere un quadro più completo e veritiero di quanto gli sforzi di marketing contribuiscano al totale delle vendite e dei ricavi dell’azienda.

ALLINEAMENTO STRATEGICO

L’allineamento strategico con le vendite può rappresentare la sfida più importante ed impegnativa per il marketing, ma è assolutamente indispensabile affiancarlo all’allineamento tecnologico. In sostanza, i team di marketing e vendite devono lavorare assieme per allinearsi su un progetto di lead generation standardizzato, mantenendo una comunicazione costantemente aperta.

In questo modo, i venditori possono aiutare i marketers informandoli costantemente sulle fonti che creano le migliori opportunità, e su come produrre dei contenuti che convertono. Questa tipologia di feedback aiuta il marketing a concentrare le proprie risorse sui canali più efficaci, portando in ultima analisi ad un aumento delle vendite e dei ricavi della startup.

L’allineamento strategico, inoltre, consente a marketing e vendite di lavorare e collaborare su obiettivi e responsabilità condivise, piuttosto che disperdere le risorse su obiettivi individuali e disallineati.

Secondo i dati forniti da SiriusDecisions, le aziende B2B che riescono ad allineare tecnologicamente e strategicamente marketing e vendite possono raggiungere una crescita dei ricavi pari al 24%, con aumento dei profitti fino al 27%.

COSA FARE DOPO L’ALLINEAMENTO MARKETING/VENDITE

Una volta che l’allineamento strategico e tecnologico è stato effettuato, esistono tre ulteriori passaggi aggiuntivi che la startup può mettere in pratica per migliorare ulteriormente l’allineamento tra marketing e vendite:

1) Costruire dei Modelli di Attribuzione

Un Modello di Attribuzione consente la misurazione dell’efficacia dei touchpoint nei quali il marketing contribuisce al processo che porta l’acquirente alla conversione finale. Questa tipologia di modello aiuta il marketing a giustificare il proprio budget e ad identificare le migliori opportunità di crescita per il futuro.

2) Migliorare la Lead Generation

L’analisi e lo scambio aperto dei dati relativi alle conversioni consente di far luce sull’efficacia delle tattiche e dei canali di marketing utilizzati. Creare un sistema di punteggi basato sulle informazioni di conversione consente al marketing di focalizzare gli sforzi per generare lead di qualità più elevata.

3) Misurare il ROI

Avere a disposizione dei numeri (traffico sul sito o leads mensili) consente di calcolare chiaramente il ROI di marketing, concentrandosi sulle metriche che legano direttamente gli investimenti di marketing al business value (ad esempio, il costo medio per lead, il valore medio per lead, il rapporto lead/cliente, etc).

Per ulteriori approfondimenti, il link di riferimento è: http://marketinginsidergroup.com/?p=9597

Napoli, 26/11/2015

Startup e strategie di Pricing: esperienze e consigli di founder di successo

Il post di oggi è incentrato su un aspetto specifico e fondamentale per una startup che, dopo aver superato i primi ostacoli, sviluppato un MVP funzionante e, in alcuni casi, implementato uno o più pivot, si appresta a lanciare il prodotto sul mercato. A questo punto, è necessario concentrarsi su un problema spesso particolarmente complesso per gli startupper: definire la strategia di pricing.

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Un recente post apparso sul blog di Foundr a firma di Jonathan Chan viene in aiuto alle startup alle prese con la definizione dei prezzi, raccogliendo i consigli e le esperienze di 11 startupper che hanno già vissuto e superato con successo questo momento delicato della crescita di un business: ripercorriamo quindi i suoi passi, elencando uno per uno i punti salienti delle 11 interviste raccolte da Chan.

INTRODUZIONE

Una volta superate le fasi iniziali di vita, per la startup arriva finalmente il momento di monetizzare: è in questa fase che subentra la necessità di stabilire “il prezzo giusto” per il proprio prodotto.

Il pricing è un’attività tutt’altro che semplice, sempre in bilico nel dubbio tra un prezzo troppo alto (a rischio che nessuno compri il prodotto) e un prezzo troppo basso (che vanificherebbe tutti gli sforzi e le risorse impegnate finora nel progetto).

Le domande che Chan pone ai 11 startupper di successo intervistati sono essenzialmente tre:

a) Qual è la vostra strategia di pricing?
b) Che cosa ti ha fatto decidere il prezzo X per il tuo prodotto?
c) Qual è la cosa più importante da tenere a mente quando si tratta di stabilire il prezzo?

1. John Lee Dumas (Entrepreneur On Fire)

Come si fa a dare un prezzo alla propria passione? Questa è la domanda che J.L. Dumas si è posto nei 12 mesi in cui ha lavorato al suo ultimo progetto, The Freedom Journal.

Per stabilire il prezzo finale di The Freedom Journal (attualmente pari a 35$), Dumas si è concentrato su tre aspetti:

a) Ricerche di mercato: Dumas ha acquistato tramite Amazon tutte le riviste simili alla sua, studiandone i contenuti e confrontandone i prezzi.

b) Coinvolgimento dell’audience di riferimento: utilizzando SurveyMonkey, Dumas ha effettuato un sondaggio per capire cosa pensavano i potenziali clienti sul tema e misurare la loro “sensibilità al prezzo”.

c) Intuito: l’intuizione è un mezzo potente a disposizione di ciascuno di noi e Dumas consiglia a tutti di utilizzarla al meglio nella strategia di pricing.

2. Dan Norriss (WP Curve)

Il consiglio più diffuso quando si parla di pricing è quello di aumentare i prezzi: secondo Norriss si tratta decisamente di un cattivo consiglio. In questo modo si rischia di soffocare l’innovazione, trasformando il proprio business in un servizio di consulenza come tutti gli altri.

Generalmente, le aziende smart e competitive sono riuscite a fare un passo avanti rispetto ai concorrenti, favorendo la diffusione dell’innovazione con prezzi più convenienti rispetto a quelli di prodotti già sul mercato.

Quando ha dovuto definire il prezzo per WP Curve, Norriss ha calcolato in maniera approssimativa quanto gli sarebbe costato il servizio per ciascun utente. Ed ha stabilito il prezzo finale raddoppiando quella cifra.

Ancora oggi, controlla regolarmente la stima di partenza e mantiene questa linea, anche se questo ha significato a volte sacrificare parte dei margini: ma non ha intenzione di cambiare la propria strategia, perchè è convinto che per una startup sia fondamentale mantenere l’equilibrio tra l’esigenza di essere disruptive e quella di diffondere l’innovazione.

3. Ramit Sethi (I Will Teach You How To Be Rich)

Il team di I Will Teach You How To Be Rich ha deciso di offrire gratuitamente agli utenti circa il 98% del suo materiale, con l’obiettivo di fare del proprio materiale free un contenuto migliore di tanti altri a pagamento.

Questa decisione, assieme ad altre scelte strategiche come quella di non poter acquistare i corsi direttamente dal sito web, costa alla startup oltre 2 milioni di $ all’anno. Ma allora perchè lo fanno?

Prima di tutto, secondo Sethi, questa strategia consente di educare il consumatore al perché il materiale di I Will Teach You How To Be Rich è migliore di altri. Ancora più importante, la scelta è imperniata sull’obiettivo di costruire una relazione duratura con il cliente, basata sulla fiducia.

Una volta costruita una solida relazione con il cliente, sarà possibile offrirgli un corso che rappresenta il top a livello mondiale, al prezzo più adatto ad un prodotto del genere: Sethi è assolutamente convinto che nella definizione della strategia di pricing bisogna concentrarsi sull’autostima e sulla convinzione del valore del proprio prodotto.

Se non si è assolutamente convinti che il proprio prodotto rappresenti il top sul mercato, infatti, è probabilmente necessario continuare a lavorare allo sviluppo, allo scopo di farne il migliore in assoluto.

4. Yaro Starak (Entrepreneur’s Journey)

Il modello seguito da Starak nella definizione dei prezzi ricalca il concetto di “imbuto di vendita”, in cui il prezzo cambia a seconda del punto dell’imbuto in cui è posizionato:

– Se il prodotto è “front-end” significa che è posizionato all’entrata dell’imbuto, per cui l’obiettivo è quello di distribuire il valore mantenendo un prezzo abbastanza basso, in modo tale che sia una spesa facile da giustificare;

– Se il prodotto è “back-end” è venduto a clienti che hanno già acquistato da voi in precedenza, con cui esiste quindi un rapporto già collaudato. Si tratta quindi di un acquirente attivo, disposto a spendere di più per avere un prodotto di livello più elevato.

Un altro aspetto da considerare quando si stabiliscono i prezzi è quello che tiene conto del livello di supporto/contatto/complessità. In linea generale, quando il cliente ha un livello di questo tipo particolarmente alto (ad esempio nei servizi di formazione), è possibile mantenere elevato il livello dei prezzo. Allo stesso modo, quanto più complesso è il problema che il prodotto risolve, tanto più il prezzo potrà raggiungere livelli alti.

Ancora, una variabile utile da considerare nella definizione del pricing è quella relativa al risultato che il cliente ottiene attraverso il prodotto: quanto più il prodotto porta un grande cambiamento nella vita del cliente, tanto più il prezzo potrà essere elevato.

Infine, secondo Starak, in caso di dubbio è utile basarsi sul prezzo di altri prodotti simili.

5. Andre Eikmeier (Vinomofo)

La strategia di prezzo di Vinomofo è decisamente semplice: il loro scopo è quello di garantire al cliente il minor prezzo possibile su qualsiasi vino. Il team si concentra, quindi, nella scelta dei fornitori di migliori prodotti al minor prezzo possibile, aggiungendo il margine destinato a Vinomofo. Se il prezzo ottenuto non è il miglior prezzo sul mercato, molto semplicemente non lo acquistano.

In questo modo, gli utenti di Vinomofo sanno che il prezzo a cui acquistano il proprio vino è il migliore possibile: così si costruisce un rapporto di fiducia con la clientela.

In sintesi, la strategia di pricing di Vinomofo si concentra su tre aspetti: cliente, fornitore, azienda. Tutte e tre le parti in gioco devono ottenere un vantaggio dalla transazione.

6. Rand Fishkin (Wizard of Moz)

La strategia di pricing è nata a seguito di una serie di tentativi ed errori, test, ricerche ed indagini di mercato: non c’è nessuna formula preconfezionata. La scelta è stata fatta basandosi su aspetti quali il margine desiderato dalla startup, il budget disponibile del target di riferimento, la concorrenza.

Secondo Fishkin, per il pricing in un business SaaS come quello di Wizard of Moz bisogna focalizzarsi su due aspetti:

– Conservazione: stabilire un prezzo al quale i clienti sentono di ottenere valore,
– CAC o rapporto CLTV/CAC (costo di acquisizione cliente o rapporto tra lifetime value del cliente e CAC): si tratta di metriche che aiutano la startup a scalare con profitti tali da poter reinvestire per la crescita del business.

7. Micah Mitchell (MMMastery)

Il prodotto di punta di MMMastery è Memberium, un prodotto software per cui il prezzo è stato inizialmente stabilito basandosi sull’analisi della concorrenza, fissando un prezzo inferiore alla media di mercato.

Sulla base di tale analisi è stato possibile fissare un prezzo pari a 47$ per abbonamento mensile, quindi al di sotto della “barriera psicologica” dei 50$. Inoltre, si tratta di una cifra mensile che il cliente non ha grossa difficoltà a spendere.

Il team di MMMastery ha previsto in seguito la possibilità di acquistare un abbonamento annuale al prezzo di 470$, dopo aver calcolato che rinunciare a due mesi di abbonamento non avrebbe avuto grosse ricadute sui profitti, ma avrebbe fatto un’ottima impressione alla clientela.

Secondo Mitchell, infatti, la prima cosa da tenere in mente quando si stabilisce la strategia di pricing è come si sentirà il cliente quando arriverà la fattura: l’analisi della concorrenza è un aspetto da considerare, ma non deve essere il principale focus nella definizione della strategia di pricing.

8. Troy Dean (WP Elevation)

Dean afferma di aver sempre voluto posizionare il proprio prodotto nella fascia più alta del mercato, per cui è necessario concentrarsi e lavorare per offrire maggior valore rispetto ai concorrenti.

La sua strategia si basa su una domanda rivolta direttamente al cliente: “Questo problema è talmente importante per voi da essere disposti a pagare TOT per risolverlo?”

Una volta raccolte le risposte, Dean ed il suo team si mettono al lavoro per ottenere un prodotto in quella fascia di prezzo, che soddisfi il cliente e consenta all’azienda di ottenere dei profitti.

Il ruolo e la collaborazione del cliente sono quindi centrali nella strategia di pricing di WP Elevation, così come lo sono stati nella fase di product development.

9. Dean Ramler (Milan Direct)

Il prezzo, secondo Ramler, è un aspetto assolutamente unico e specifico, differente per ogni azienda. Milan Direct è un rivenditore di mobili on-line che lega il proprio brand al concetto di valore: per questo motivo, il team deve stare molto attento a non fissare un prezzo troppo alto o troppo basso.

La strategia prescelta è quella di non giocare con i prezzi: niente margini folli, ma semplicemente il miglior prezzo possibile tenendo conto dei costi e dei margini necessari a mantenere il business remunerativo.

Nel fissare i prezzi, inoltre, Milan Direct tiene conto della concorrenza, anche se la startup ha avuto raramente problemi a mantenere il miglior prezzo sul mercato.

10. Ankur Nagpal (Teachable)

Il prezzo deve essere stabilito sulla base dell’effettivo valore del prodotto: l’unica cosa che conta è il risultato per il cliente. Ed è proprio su questo aspetto che vanno impostate le strategie di pricing secondo Nagpal.

Nel caso si Teachable, ad esempio, il prodotto offerto consiste in corsi di formazione on-line. Se un corso di Teachable consente al cliente di ottenere un aumento da 10K del proprio stipendio, è decisamente possibile vendere il corso a più di 29$ indipendemente dal numero di ore di contenuti.

11. Xavier Major (Automation Masterminds)

Major utilizza una combinazione di intuizione e ricerca per determinare il livello dei prezzi: solitamente, la ricerca viene effettuata analizzando i prodotti simili e quelli competitivi del settore, ma anche il valore che i prodotti offrono al pubblico. Se il prodotto è legato ad un chiaro risultato in termini di valore per il cliente, infatti, il prezzo non è più un problema ed è possibile stabilirlo senza grosse difficoltà.

La cosa principale da tenere in considerazione è che il pricing è un’arte, non una scienza: il prezzo va stabilito e testato, per capire se funziona per il tuo business.

CONCLUSIONI

Dopo aver raccolto i pareri, i consigli e le esperienze di tutti gli startupper intervistati, Chan elenca i punti salienti su cui sembrano essere tutti concordi:

– Il miglior prezzo è quello che tiene basse le aspettative, ma a cui corrisponde un prodotto di grande valore,

– Scoprite cosa fanno i vostri concorrenti e perché,

– Bisogna concentrarsi sempre sul cliente e sulla sua esperienza.

Il post originale è disponibile qui: http://foundrmag.com/12-top-tier-entrepreneurs-share-their-best-advice-on-pricing-strategy/

Napoli, 20/11/2015

Growth Hacking per startup con prodotti SaaS: alcune tecniche fondamentali già in fase Early Stage

Darius Lahoutifard è founder di Business Hangouts e imprenditore seriale specializzato in aziende SaaS: l’acronimo sta per “Software as a Service” e si riferisce ad un modello di distribuzione in cui un software viene messo a disposizione dei clienti via internet, direttamente dall’azienda che lo ha sviluppato (si parla di un servizio di Cloud Computing).
Quando si parla di un software Saas, il cliente paga per utilizzare il prodotto (e non per possederlo): questo tipo di software è spesso utilizzato dai clienti B2B per esternalizzare alcune attività del proprio business, ma oggi è molto diffuso anche nel mercato B2C.

In quanto esperto di imprese SaaS, Lahoutifard pubblica sul portale VentureBeat una serie di articoli relativi a questo particolare segmento di business: di recente, ad esempio, si è occupato della tematica relativa alla crescita di una startup SaaS e, nello specifico, ad alcune tecniche di growth hacking utilizzate dai founder di imprese in questa tipologia di mercato. In particolare, Lahoutifard descrive quattro tecniche di growth hacking per startup Saas: vediamole più in dettaglio.

growthhack

1. Piccole App su grandi mercati

Nelle primissime fasi, tutte le startup sognano partnership con grandi nomi in modo tale da avere una referenza forte da utilizzare per piazzarsi meglio sul mercato o per raccogliere capitali. Ma questo tipo di pratica è spesso estremamente costosa, e non riesce a produrre sempre i risultati sperati.

Oggi, si può ottenere una grande visibilità semplicemente proponendo un’app in uno dei marketplace disponibili, come App Store e Google Play (in caso di applicazioni mobile), o su altre piattaforme specifiche per desktop app. L’App Store di Google Chrome, ad esempio, è piuttosto facilmente accessibile per sviluppatori di qualsiasi applicazione che sia eseguibile sul browser Chrome.
Ancora, se si dispone di un’app in qualche modo integrata con uno dei prodotti Google Apps è possibile accedere al Google Apps Marketplace.
Secondo l’autore, è davvero sorprendente il modo in cui la presenza in uno di questi store riesce ad attrarre utenti: il consiglio è quello di sviluppare un’app semplice e veloce, con funzioni di base ma con un eccellente design, in maniera tale da catturare i primi numeri in termini di lead sul mercato del mobile.

2. Modelli freemium

Il popolare ed efficace modello freemium funziona bene anche per le imprese SaaS: è sempre possibile creare un numero di caratteristiche di base da concedere gratuitamente al cliente, piuttosto che offrire l’utilizzo del software per un numero limitato di volte, o soltanto in determinati casi. Inoltre, è sempre possibile monitorare i clienti che utilizzano il software gratuitamente e modificare la portata del modello freemium quando diventano troppi, e bisogna che qualcuno di essi inizi a pagare.

Quando si sceglie il modello freemium, secondo Lahoutifard, la decisione migliore è quella di concedere prove gratuite per un periodo di tempo limitato: in questo modo, il cliente può sviluppare un rapporto più stabile con l’azienda ed aumentano le possibilità che decida di effettuare l’aggiornamento a pagamento (upgrade).

3. Utilizzare prima possibile strumenti di Marketing Automation

Una volta che si inizia a generare traffico con gli account gratuiti, il passo successivo è quello di scalare fino a raggiungere gli account a pagamento. Non bisogna aspettare troppo per implementare i primi strumenti di marketing automation, come HubSpot e Marketo: è infatti possibile utilizzare fin da subito alcuni auto-responder di base, che automaticamente diano il benvenuto e guidino nei primi passi gli utenti che utilizzano la versione freemium.

Appena effettuata l’iscrizione è buona norma inviare del materiale gratuito, come ad esempio video, white paper, case study ed altre tipologie di supporti didattici. Gli invii possono essere programmati in maniera sequenziale, basati su specifici eventi o un tot di volte a settimana.

4. Concierge onboarding

L’automazione è sicuramente utile, ma non potrà mai sostituire fino in fondo l’interazione umana: gli strumenti di marketing automation non possono competere con il concierge onboarding, e quindi con una telefonata (o meglio ancora una videochiamata) di benvenuto al nuovo cliente.

Per svolgere al meglio questo lavoro (le chiamate possono essere effettuate, in caso di prodotti di fascia alta, anche ai clienti freemium) va prevista una persona dedicata (o un team in caso di numeri particolarmente elevati) che si occupi di queste attività di accoglienza: la scelta dovrebbe ricadere su persone che siano addestrate alle vendite e al rapporto con la clientela, e che abbiano al contempo un background tecnico di conoscenza del prodotto.

SaaS

Ora che abbiamo analizzato più nel dettaglio le quattro tecniche proposte da Lahoutifard, vediamo come esse possono essere applicate nelle primissime fasi di una startup SaaS (per intenderci, nella fase denominata Early Stage). Ad una prima occhiata, può sembrare che questo tipo di consigli sia applicabile a startup in fase più avanzata, che ha già delle metriche rilevanti in tema di vendite… Ma è assolutamente sbagliato!

Le riflessioni sulle vendite devono iniziare fin dagli albori della vita di una startup. Non possono essere prese in considerazione direttamente quando si hanno numeri rilevanti, altrimenti significherebbe aver perso delle opportunità: naturalmente, non è il caso di assumere un team dedicato alle vendite fino a che non si sarà arrivati alla convalida del proprio processo. Ma per capire come riuscire a convalidare e padroneggiare l’intero processo e iniziare a veder crescere le vendite, le tecniche di growth hacking sono assolutamente indispensabili già in fase early stage.

In pratica, il processo di vendita SaaS inizia nel momento in cui si inizia a sviluppare il prodotto per poi proseguire attraverso le seguenti fasi:

– MVP demo (secondo il Lean Startup Model), che alcuni chiamano MSP (Minimum Sellable Product),
– Feedback del cliente,
– MVP migliorato e primi introiti fatturati,
– Ripetere i passaggi precedenti con altri clienti,
– Automatizzare le vendite ed il processo di apprendimento con strumenti di marketing automation,
– Costruire app gratuite per sfruttare il traffico in entrata dai grandi marketplace,
– Prevedere un piccolo team di vendita per implementare tecniche di concierge onboarding,
– Prevedere account executives per chiudere ulteriori vendite,
– Scalare il processo di vendita.

Per leggere il post originale: http://venturebeat.com/2015/11/08/growth-hack-your-enterprise-saas-startup/

Napoli, 09/11/2015

Startup Tips – Allineare Corporate Strategy, Product Strategy ed Execution per portare l’azienda al successo

Jim O’Leary è Vice Presidente del Product Management & Marketing per la Mitchell International, storica società californiana nel settore Software con sede a San Diego. Di recente, ha pubblicato attraverso LinkedIn un articolo molto interessante dedicato al tema della Corporate Strategy e dell’importanza di allineare la Product Strategy e l’Execution per il successo aziendale.

Il punto di partenza della sua analisi nasce dalla sua esperienza diretta nelle varie aziende in cui ha lavorato: in ognuna di esse, c’è un processo di Corporate Straqtegy ben definito, con modelli in PowerPoint e frameworks altisonanti provenienti dalla Harvard Business Review, che vengono discussi e stabiliti dal gruppo dirigente e poi condivisi con il resto dell’organizzazione. I piani di Corporate Strategy, infine, arrivano al team di Product Management e… vengono puntualmente ignorati!

O’Leary sottolinea che ciò accade non perché i responsabili di PM (Product Management) siano volontariamente disobbedienti: il fatto è che non esiste in azienda un processo per assicurarsi che la Corporate Strategy si traduca in Product Strategy e che quest’ultima venga poi effetivamente eseguita.

Per ovviare a questa situazione così diffusa, O’Leary assieme al suo team ha sviluppato e sta diffondendo una soluzione che potrebbe essere utile per risparmiare tempo e risorse, e che si presta ad essere affiancata ed inglobata con altri approcci alternativi.

Vediamo uno schema che riassume in generale la soluzione di O’Leary:

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Sharing the Corporate Strategy

Prima di tutto (come già accade in tutte le aziende) si condivide la Corporate Strategy con i Product Manager: a questo scopo, l’autore consiglia di utilizzare sessioni di gruppo interattive per piccoli team.

Product Portfolio Review Sessions

Per allineare gli investimenti di prodotto alla Corporate Strategy, O’Leary e il suo team hanno istituito delle sessioni dedicate al Product Portfolio Review ogni 10 settimane (cadenzate con il rilascio del prodotto). In queste sessioni, ci si assicura di:

– Revisionare lo stato di avanzamento di ciascun progetto di Product Development in corso (adattando le risorse se necessario),
– Selezionare i nuovi progetti da finanziare, in base alle loro potenzialità di promuovere la Corporate Strategy,
– Raccogliere gli input degli stakeholders più importanti per assicurarsi che tutti diano il proprio parere, in ordine di priorità.

PM Strategy Sessions

Per allineare l’execution delineata dal team di prodotto alla Corporate Strategy, O’Leary ha inoltre stabilito dei regolari incontri dedicati alla “PM Strategy”, da tenersi anch’essi ogni 10 settimane. Ecco come funziona ciascuna PM Strategy Session:

i Product Manager presentano i contenuti relativi a ciascuna linea di prodotto al capo e agli altri responsabili del PM & Marketing interessati a questa tipologia di informazioni;
a ciascuna linea di prodotto vengono dedicati circa 30 minuti, per poter presentare tutti gli aspetti e i dati in modo tale da offrire una visione completa dello stato attuale del prodotto, e dei futuri obiettivi da raggiungere. Le sessioni sono svolte in maniera molto interattiva, dando la possibilità di effettuare modifiche e aggiustamenti alle strategie in corso d’opera;
al termine delle presentazioni di ciascuna linea di prodotto, ogni PM identifica le strategie che potenzialmente vanno perseguite e le azioni che bisogna implementare per raggiungere i risultati desiderati (execution);
il PM stima inoltre i tempi necessari per implementare le azioni stabilite, basandosi su una stima dei tempi a disposizione. A questo punto, si preparano delle tabelle che riassumono i tempi, le azioni e gli obiettivi e che vengono esaminate con cadenza settimanale dal manager e dai dipendentri: ciò garantisce che la strategia e l’execution siano seguite quotidianamente;
in apertura della session successiva, saranno monitorate le azioni e gli obiettivi raggiunti: questa “revisione pubblica” dà grande motivazione a tutti i membri del team,
la PM session è infine indispensabile per identificare in maniera esplicita le strategie e le azioni più urgenti e quelle da tralasciare, in modo tale da ridurre al minimo la quantità di WIP (work in progress) e ottimizzare ulteriormente tempi e risorse.

PM Strategy Sessions – Metriche e Dati

Infine, O’Leary identifica i dati e le metriche fondamentali da passare in rassegna durante ciascuna PM Strategy Session:

1) Value Proposition del prodotto: è fondamentale che un Product Manager sia in grado di articolare la value proposition del suo prodotto in maniera interessante per i prospetti, i clienti, il team di vendita. Se al PM non è chiara la value proposition, infatti, si rischa di investire in capabilities di prodotto che non sono importanti per il mercato, e di veicolare messaggi che non sono efficaci. Con il tempo, l’azienda dovrebbe concentrarsi per allineare ciascuna value propsition di prodotto alla value proposition ae alla comunicazione dell’azienda in generale.

2) Fase del ciclo di vita del prodotto: identificare la fase del ciclo di vita in cui si trova ciascun prodotto è necessario per ottenere informazioni utili su cui basare le aspettative, i livelli di investimento, la quantità di risorse da spendere in marketing, etc. Molto spesso, infatti, il PM di un prodotto in fase di declino cerca di ottenere risorse aggiuntive per lo sviluppo, anzichè dedicarsi al contenimento dei costi (cosa che sarebbe più appropriata per un prodotto in fase di declino).

3) Feedback recenti raccolti dai clienti: che siano feedback raccolti in maniera diretta, o attraverso ricerche di mercato, riscontri positivi in termine di vendite, etc., si tratta di una possibilità per il PM di tenere traccia dei risultati ottenuti attraverso informazioni provenienti da varie fonti. Per il team di PM, inoltre, questo è il modo per essere più in contatto con il mercato.

4) Posizione del prodotto rispetto ai concorrenti sulla curva Prezzo-Performance: è fondamentale per capire il nostro prodotto (anche in termini di prezzo) rispetto a quelli della concorrenza. L’asse dei prezzi è relativamente semplice, mentre ottenere i dati per quella delle prestazioni è più complesso e si tratta di numeri difficili da misurare con precisione. In ogni caso, anche se le metriche di performance sono approssimate, la curva Prezzo-Performance rimane uno strumento indispensabile per il PM, che riesce a capire se il prezzo del nostro prodotto è quello più giusto rispetto a quello applicato dai concorrenti.

5) Obiettivi di Business annui per il prodotto: una volta identificata la fase di vita in cui si trova ciascun prodotto, bisogna definire ciò che significa “avere successo” per ciascun prodotto. Ciò vuol dire stabilire degli obiettivi adatti a ogni prodotto, a seconda delle sue specifiche caratteristiche.

6) Revenue Trend e Customer Trend: probabilmente la metrica più importante di tutte. Serve a capire se il prodotto è in crescita o è in calo.

7) Total Addressable Market (TAM): per quantificare se il prodotto è in un mercato che vale la pena perseguire, occorre osservare il gap tra il TAM e la quota di mercato stimata composta da “nostro fatturato + fatturato dei concorrenti”. In questo modo è possibile capire se ci sono opportunità di mercato non ancora sfruttate, o se l’azienda sta investendo troppo in un TAM in realtà basso. In questo modo è possibile fare degli aggiustamenti efficaci agli investimenti previsti per ciascuna linea di prodotto.

8) Margine di prodotto: presentato di solito con un grafico a cascata, aiuta a visualizzare quanto profitto viene generato da un prodotto e aiuta il team ad identificare le opportunità per migliorare la redditività riducendo i costi.

9) Andamento del Technical Support Case Volume nel tempo: l’indicatore in questione offre informazioni sul livello di soddisfazione dei clienti (i clienti soddisfatti non hanno bisogno di supporto tecnico) e identificano le opportunità per attuare modifiche migliorative al prodotto, abbassando così i costi di Technical Support.

Per leggere il post originale: https://www.linkedin.com/pulse/stop-ignoring-your-corporate-strategy-how-align-product-jim-o-leary

Napoli, 02/09/2015

Consigli per startup: i 10 ruoli essenziali per essere un buon CEO

Essere CEO e founder di una startup significa che una sola persona si trova a dover ricoprire molti ruoli differenti: ne sa qualcosa Alex Turnbull, CEO di Groove (helpdesk software per piccole imprese) e startupper seriale, che ha scritto un recente post sull’argomento intitolato “The 10 Essential Roles of a Startup CEO”.

In generale, Turnbull sostiene che ciascun membro del team di una startup (e, più in generale, di un’azienda) deve avere ben chiaro il proprio ruolo, le proprie responsabilità, le attività da svolgere. Inoltre, ciascuno deve imparare a fare il miglior uso possibile del tempo a propria disposizione: sembra tutto piuttosto ovvio, ma spesso nella realtà non è così semplice.

Questo discorso si complica ulteriormente nel caso del CEO, in quanto il suo ruolo comprende una serie di sfaccettature ed attività molto diverse tra loro, che bisogna imparare a far convivere e bilanciare. Nello specifico, Turnbull identifica 10 differenti ruoli che il CEO di una startup si trova a dover ricoprire:

1) Recruiter

Le startup hanno bisogno di un grande team, composto da persone straordinarie: quando si lavora come CEO di una startup in crescita, trovare le persone migliori da inserire nel team è un lavoro a tempo pieno.
Un buon CEO è in grado di identificare le figure di cui il team ha bisogno e di selezionare le persone più adatte a ricoprire tali ruoli.

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2) Cheerleader

Quando si costruisce qualcosa dal nulla, come accade in una startup, in alcuni momenti tutto sembrerà davvero difficile da superare. Il team, a volte, può cadere nella tentazione di mollare: è in momenti come questo che occorre essere più determinati possibile e il CEO ha il compito di mantenere alto il morale dell’intera squadra. Un team entusiasta di lavorare rappresenta infatti una delle basi fondamentali per costruire una startup di successo.
Ma, come specifica l’autore del post, per essere un buon CEO non basta sostenere il team nei momenti difficili: dare feedback positivi e riconoscere i meriti del buon lavoro svolto deve essere parte del lavoro del CEO di una startup ogni giorno.

3) Coach

I migliori CEO sanno essere dei grandi coach: sostengono il team e lo spingono verso il successo, aiutando a raggiungere gli obiettivi prefissati, a pianificare quelli futuri, a riallinearsi quando ci si trova fuori rotta.
Inoltre, il CEO deve essere in grado di fare un passo indietro quando gli obiettivi non vengono raggiunti, per osservare in maniera realistica cosa non è andato bene e come riorganizzare le attività da svolgere.

Come Coach, un buon CEO deve essere vicino al team e programmare regolarmente incontri one-to-one con ogni singolo membro della squadra: non è possibile allenare un grande giocatore se non si conoscono le sue competenze, obiettivi, sfide e preoccupazioni. Il compito di un buon CEO/Coach è conoscere tutti i membri del team meglio possibile.

4) Dealmaker

Le partnership possono essere un potente strumento per far crescere una startup: spesso, però, le aziende più grandi scelgono di collaborare con una startup soltanto attraverso un contatto diretto con il CEO.

Da questo punto di vista, il CEO deve essere capace di comunicare ai potenziali partner (così come si fa con clienti, investitori e dipendenti) la vision aziendale e i vantaggi della collaborazione con la propria startup.

5) Studente

Secondo Turnbull l’apprendimento è fondamentale: quando si smette di imparare, significa che si rimane fermi. Un CEO deve mantenersi sempre aggiornato, attraverso lo studio di libri, blog, advisors, e di tutte le risorse utili per conoscere al meglio il mercato di riferimento.

I migliori CEO di startup sono quelli che non hanno mai smesso di studiare, imparare, conoscere.

6) Firefighter

In una startup è inevitabile: ci saranno momenti di crisi. Un CEO deve essere sempre pronto ad intervenire, 24 ore su 24, 7 giorni su 7: proprio come i pompieri, sempre pronti a spegnere l’incendio e a capire come far sì che non accada la prossima volta.

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7) Strategist

Gran parte della giornata del CEO di una startup è dedicata alla parte strategica del business. In particolare, è importante analizzare gli scenari per stabilire la strategia a lungo termine dell’azienda (da 12 mesi a 5 anni), identificando gli obiettivi desiderati e le attività da implementare per raggiungerli.

8) Venditore

Fin dal primo giorno in cui l’idea sta nascendo, un CEO diventa venditore: tenta infatti di vendere la startup a potenziali investitori, clienti, partner, influencer, e a tutti coloro che possono aiutarlo a far crescere il business.
Secondo l’autore, quello di venditore è uno dei ruoli principali del CEO e rappresenta un’attività chiave.

9) Customer Support Champion

Se i clienti non sono soddisfatti, la startup non cresce. Ecco perchè, fin dal primo giorno, il CEO deve essere impegnato nel ruolo di Customer Support Champion, ascoltando le esigenze dei clienti mentre provano il primo prototipo di prodotto.

Ascoltare il cliente durante la fase di Product Development è essenziale per raccogliere i feedback, in modo tale da poter essere il portavoce dei clienti durante i successivi meeting aziendali.

Il lavoro di Customer Support di un CEO è importantissimo nelle prime fasi della startup, poi potrebbe rallentare, ma in ogni caso non dovrebbe mai fermarsi del tutto: ascoltare il cliente è una delle basi per raggiungere il successo.

10) Decider

Uno dei momenti più pericolosi per una startup è quando ci si ritrova a dover prendere una decisione e il team non può riunirsi: tutto rallenta, e una startup non può permettersi di perdere tempo.

In situazioni del genere deve intervenire il CEO, assumendosi la responsabilità di prendere le decisioni più rischiose e difficili: a volte potrà capitare di scontentare il team o i clienti, e sarà necessario risolvere i nuovi problemi creati dalla decisione stessa.

Ma il ruolo di decisore è per un CEO quello sicuramente più difficile e allo stesso tempo da cui trarre le maggiori soddisfazioni.

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Infine, Turnbull si concentra sulla necessità di trovare il giusto equilibrio tra i 10 ruoli elencati: è semplicemente impossibile eccellere in ciascuno dei 10. Ma capire che essere il CEO di una startup significa dover ricoprire ruoli diversi, e capire quali sono questi ruoli, rappresenta il primo passo per capire in cosa si è bravi e in cosa bisogna migliorare.

Il consiglio è quello di concentrarsi sui propri punti di forza, e di lavorare sui punti di debolezza per migliorare: qualora non sia possibile, è utile pensare di assumere qualcuno che possa ricoprire le attività a noi meno congeniali.

Il post originale è disponibile a questo link: https://www.groovehq.com/blog/startup-ceo-role?_hsenc=p2ANqtz-8iqWV4dVHV9oMtjlIS2dtN5i_jn-OmcoyhMglvYi8yXGsISdyt_dbCXnUmIPBkAMiU5DMHLmR7Yy_fN41nbeLAxJo-vA&_hsmi=20749075&utm_content=buffer14ffb&utm_medium=social&utm_source=twitter.com&utm_campaign=buffer

Napoli, 23/07/2015

Consigli per startup e imprese – Digital Marketing e creazione di contenuti: uno strumento per aumentare le vendite

L’attività di Digital Marketing rappresenta uno degli strumenti più importanti ed efficaci di cui una startup (e, in generale, un’azienda) può avvalersi per raggiungere i propri obiettivi di business e, in particolare, di vendite. Nello specifico, un’attività coerente e costante di marketing digitale, basata sulla creazione di contenuti mirati su social media, può contribuire in larga misura al successo di una startup.

Il tema del Digital Marketing è affrontato in un interessante post di James Kelliher, CEO di Whiteoaks, pubblicato di recente nella sezione “Lead Generation” del Digital Marketing Magazine: come anticipato dal titolo, lo scopo del post di Kelliher è quello di dimostrare in che modo l’utilizzo corretto del Digital Content può cambiare le dinamiche del business aziendale.

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Prima di tutto, l’autore afferma che la maggior parte delle aziende che decidono di concentrarsi sulle politiche e le linee guida riguardo il coinvolgimento e la gestione della community devono prendere coscienza che una buona campagna di social media rappresenta lo strumento in grado di creare il massimo valore in termini di lead generation: per questo motivo, la campagna social deve essere l’obiettivo primario.

Il primo step da affrontare nella pianificazione ed implementazione di una campagna di Digital Marketing è quello di identificare i target e le priorità su cui concentrare la comunicazione: questo passaggio è oggi facilitato dagli strumenti offerti dai social media, che consentono di costruire un vero e proprio database delle persone cui rivolgersi.

Una volta identificate le persone cui rivolgersi, bisogna convincerle ad avvicinarsi alla nostra azienda fino a concludere la transazione con l’acquisto del nostro prodotto: è in questa fase che il Digital Content diventa di centrale importanza. Da questo momento in poi, il contenuto offerto rappresenta il veicolo che permette di raggiungere il potenziale cliente e, in prospettiva, di convincerlo a procedere all’acquisto.

Per questo motivo, occorre fare molta attenzione al mix di contenuti offerti: bisognerebbe pubblicare informazioni specifiche riguardanti l’azienda, e altri contenuti open-source su argomenti rilevanti del settore, costruiti in modo tale da comunicare un messaggio di innovazione e sviluppo nel settore.
I contenuti così creati vanno poi veicolati attraverso i social: in particolare, Kelliher sostiene che nelle comunicazioni b2b l’ideale è servirsi di Twitter e LinkedIn.

Un altro aspetto fondamentale da tenere in considerazione è che l’engagement è un processo “a doppio senso”: la comunicazione funziona se, oltre a diffondere messaggi e contenuti, l’azienda riesce ad incoraggiare le persone ad avviare un dialogo. Una volta che c’è l’engagement, è possibile raccogliere dati ed informazioni utili su utenti e potenziali clienti. Un suggerimento utile offerto dall’autore riguardo alla raccolta di dati e informazioni è quello di assicurarsi che i messaggi specifici cui avranno accesso gli utenti che si collegano al sito aziendale siano in parte aperti e in parte chiusi. I contenuti di alto valore dovrebbero infatti essere chiusi, e i visitatori del sito dovrebbero lasciare dati ed informazioni per accedere ad essi.

Ancora, l’engagement degli utenti può essere monitorato attraverso le attività sui social media: ad esempio, è possibile identificare un orizzonte temporale (1, 2 o 3 mesi) e capire se durante questo periodo di tempo gli utenti avranno delle interazioni social con i profili dell’azienda (un retweet, un like, una condivisione, un commento, etc). Tenere sotto controllo questa tipologia di attività rappresenta un modo per monitorare la qualità delle relazioni che si sono instaurate tra l’azienda e il cliente.
Inoltre, esaminare la tipologia di contenuto che cattura l’interesse è un’ulteriore opportunità per raccogliere informazioni e capire quale tipologia di prodotto il cliente potrebbe acquistare.

Office Desk with Tools and Notes About Digital Marketing

Il passo finale, naturalmente, è quello di trasformare l’engagement in vendite effettive: in questo, i canali di vendita tradizionali sono insostituibili (telefono, faccia a faccia, attraverso l’intermediazione di terzi).
Tuttavia, la quantità di dati ed informazioni raccolte attraverso una campagna di Digital Marketing coerente, continuativa e basata sui contenuti rappresenta un passo avanti quando ci si trova a dover concludere la vendita finale.

In conclusione, Kelliher pone l’attenzione su un aspetto caratterizzante di questa tipologia di approccio: visto da questa prospettiva, il marketing diventa un processo in cui il potenziale cliente non è più un semplice “bersaglio passivo”, ma assume un ruolo importante in cui si sente coinvolto fin dalle prime fasi di attività del business.

Il post originale è disponibile qui: http://digitalmarketingmagazine.co.uk/digital-marketing-lead-generation/effective-use-of-digital-content-will-change-the-dynamics-of-your-business

Napoli, 09/07/2015

Consigli per startup e imprese: come affrontare un nuovo mercato e acquisire nuovi clienti

Scott Gerber è il presidente dello Young Entrepreneur Council. Qualche settimana fa il portale ReadWrite ha pubblicato un suo articolo intitolato “11 Things To Remember When Tackles A New Market”, rivolto agli startupper che si trovano a dover affrontare la sfida di un nuovo mercato.

Secondo Gerber, infatti, l’acquisizione di nuovi clienti è una sfida che tutti gli imprenditori devono affrontare: ma le cose si complicano ancora di più quando ci si trova a dover effettuare il targeting di una nuova customer base, ad esempio in caso di espansione su un mercato differente o, ancora, quando ci si ritrova nelle fasi iniziali di vita di una startup.

Nel suo articolo, quindi, Gerber raccoglie gli spunti e i consigli offerti da alcuni imprenditori di successo, che si sono ritrovati a dover affrontare nuovi segmenti di clientela per il proprio business.

1) Customer Feedback

Nelle primissime fasi, è essenziale che la startup si adoperi in tutti i modi e con tutti gli strumenti possibili per raccogliere i feedback dei potenziali clienti. L’analisi di questi feedback è infatti fondamentale per impostare le future attività dell’impresa, aiutando a minimizzare eventuali problemi ed errori in cui è possibile cadere quando non si ascolta in maniera attenta la clientela.

Ascoltare attentamente l’utente finale, che si tratti di una startup B2B o B2C, rappresenta un investimento utile e redditizio in termini di tempo, risorse e denaro utilizzati.

2) Potential Partnerships

Prima di entrare in un nuovo mercato è fondamentale impostare una ricerca approfondita per individuare le migliori partnership e affiliazioni per il business. Utilissimo in questo senso il contatto diretto con chi ha già esperienza, che sia un contatto telefonico, via e-mail o meglio ancora face-to-face.

L’esperienza di chi ha già lavorato a contatto con i nostri potenziali clienti diventa lo strumento più importante per pianificare la strategia: implementare le giuste partnership consente infatti alla startup di colmare il divario tra la customer base già esistente e quella potenziale.

Non bisogna trascurare infatti che per i clienti un marchio conosciuto è una sorta di garanzia: se già conoscono il partner e il suo prodotto avranno maggiore fiducia nella startup e saranno ben disposti verso il prodotto offerto da quest’ultima.

3) Review Site Research

Altro aspetto fondamentale analizzato da Gerber è quello delle ricerche di mercato: a suo parere, uno startupper dovrebbe innanzitutto capire cosa pensano le persone dei prodotti simili già esistenti sul mercato, quali sono i problemi che incontrano, cosa desiderano e di cosa hanno bisogno.

Questa attività di ricerca può essere effettuata su grandi siti web come Amazon e simili, in particolare attraverso lo studio delle recensioni e cercando di capire se le persone arrivano o meno all’acquisto effettivo del prodotto.

4) The Competition

Non bisogna mai trascurare la concorrenza e la dimensione potenziale di mercato su cui la startup può indirizzarsi. E’ importante capire quanto siano forti i concorrenti, cosa stanno facendo bene e cosa non stanno facendo bene, come ci si può differenziare da loro e quanto è grande il mercato.

5) Your Current Clients

I primi utenti/clienti di una startup rappresentano coloro che hanno già accordato fiducia al brand. Per questo motivo, la startup non deve mai trascurarli quando cerca di espandere la propria customer base: per farlo, è fondamentale non perdere mai di vista del tutto il Business Model originale che ha permesso la costruzione della prima customer base.

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6) Potential Rebranding

Quando si cerca di espandere il Business Model ad una nuova clientela, occorre essere aperti di fronte alla possibilità di lavorare nuovamente al brand per incanalare al meglio il proprio messaggio sul nuovo mercato.

L’attività di rebranding rappresenta una sfida per la startup, che si ritrova a dover modificare la propria brand identity o semplicemente l’estetica del brand. A volte, però, un cambiamento importante rappresenta la strada migliore per aprire le porte di un nuovo mercato.

Per capire se è necessaria un’attività di rebranding, la startup dovrebbe relazionarsi con i nuovi potenziali clienti e capire quali sono le loro esigenze e preferenze: in questo modo sarà più semplice effettuare dei cambiamenti utili ed efficaci.

7) Redefining The Need

Nella maggior parte dei casi, espandere la clientela o raggiungere nuovi segmenti comporta più tempo e risorse di quanto ne occorranno per raggiungere l’attuale customer base.
Non basta semplicemente apportare delle modifiche alla propria strategia di marketing: spesso le startup dimenticano quanto sia stato difficile raggiungere i primi clienti sul mercato iniziale.

Sicuramente non sarà necessario ricorrere agli stessi sforzi dei primissimi tempi della startup, ma occorre tenere ben presente che l’acquisizione di nuovi clienti è un’attività che necessita di tempo e risorse, per ridefinire le necessità e i bisogni alla base del business.

8) Perspective From Other Fields

Occorre affrontare le ricerche di mercato tenendo conto di prospettive differenti: non basta semplicemente analizzare i customer trends del settore, chiedendo ai clienti cosa vorrebbero in futuro.

Anzichè incasellare la propria startup, il proprio brand e il proprio business, il team dovrebbe provare ad espandere la prospettiva e l’orizzionte di ricerca al di là del settore di riferimento: c’è molto da imparare da chi lavora in settori differenti, soprattutto quando si tratta di trovare nuove soluzioni.

9) Thorough Market Analysis

L’analisi di mercato è un aspetto di fondamentale importanza, che va effettuata attraverso uno studio di mercato approfondito, con un’attenta raccolta di dati. In questo campo non è mai consigliabile affidarsi all’istinto.

Attraverso un’analisi di mercato è possibile scoprire se ci sono problemi specifici da affrontare, in modo tale da anticiparsi e costruire il proprio prodotto e le strategie di marketing tenendo conto di queste informazioni. L’analisi di mercato, inoltre, deve identificare i concorrenti e capire per quali motivi questi ultimi non vengono pienamente incontro alle esigenze dei clienti.

Grazie alle informazioni ottenute da una buona analisi di mercato, la startup può elaborare le strategie necessarie per distinguere il proprio business da quello dei concorrenti.

10) Strategic Messaging

Una startup deve assicurarsi di essere sempre propositiva rispetto alle attività di comunicazione di un nuovo prodotto. Inoltre, occorre impostare la comunicazione in maniera tale da accordarla con quella dei prodotti già esistenti: bisogna quindi capire se si vuole impostare una comunicazione totalmente indipendente o integrata con quella degli altri prodotti/servizi dell’azienda.

Quando una startup decide di espandersi lanciando un nuovo prodotto ha la possibilità di far conoscere ai clienti la propria traiettoria in termini di crescita e le proprie capacità in termini di innovazione. Tuttavia, occorre fare attenzione ad impostare la comunicazione in maniera strategica ed efficace, per non disperdere i contenuti del proprio messaggio.

11) Changes In Sales And Service

Non bisogna trascurare, infine, la necessità di apportare cambiamenti a livello di vendite e servizio clienti. Le persone che lavorano in queste aree sono infatti in possesso di caratteristiche e competenze specifiche per lavorare su una certa customer base.

Se si modifica o si espande la clientela di riferimento, occorre considerare la possibilità di apportare modifiche e aggiornamenti a livello di vendite, differenziazione di prodotto e di prezzo, processi formativi interni, etc.

Per leggere il post originale: http://readwrite.com/2015/05/11/startup-new-market-11-things-to-remember

Napoli, 25/06/2015

Consigli alle startup in tema di vendite: come aumentarle, come acquisire clienti, come presentarsi a un VC

Mark Suster è un imprenditore seriale di successo (Salesforce.com), angel investor, mentor per Techstars e attualmente impegnato nel Venture Capital come investment partner per Upfront Ventures. Il suo blog è fonte di preziosi consigli per startupper e aspiranti tali, e in particolare vediamo oggi il suo punto di vista sul tema delle vendite.

Le vendite sono decisamente linfa vitale per qualsiasi impresa, e in particolare gli imprenditori in fase di startup possono avere scarsa esperienza o inclinazione per questo argomento: inoltre, spiega Suster, le vendite rappresentano uno dei focus principali su cui si sofferma un investitore quando si avvicina ad una startup, per cui è fondamentale cercare di massimizzarle anche in fase di fund raising.

Secondo Mark Suster, per migliorare le vendite una startup deve tenere presenti tre aspetti di base:

1) Perché comprare un prodotto/servizio?
2) Perché comprare un prodotto/servizio proprio dalla mia azienda?
3) Perché comprare un prodotto/servizio proprio in questo momento?

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Il post di cui parliamo oggi si sofferma particolarmente sul primo aspetto, partendo da un punto fondamentale: quando si tratta di vendite, la cosa più importante è “qualify”, ossia essere preparati, qualificati, idonei.
Il motivo è molto semplice: coloro che si occupano delle vendite hanno un tempo limitato a propria disposizione, e non possono permettersi di sprecarlo con qualcuno che non acquisterà il loro prodotto/servizio nel breve termine.

La prima cosa da fare è chiedersi se la persona che si ha di fronte può essere un potenziale cliente, e quindi se ha un problema per cui il nostro prodotto/servizio possa rappresentare la soluzione. Ecco perché nella maggior parte dei casi, il successo nelle vendite nasce da una buona attività di inbound marketing: lo scopo è quello di attrarre potenziali clienti attraverso programmi di marketing basati sui contenuti offerti, attirando traffico sul proprio sito web.
In questo modo, infatti, sarà possibile quantificare il tempo che i visitatori trascorrono sul sito a leggere i contenuti, facendosi una prima ideaa del livello di interesse.

Quando si dispone già di un prodotto/servizio, sapere chi è il proprio “cliente tipico” aiuta molto, perché permette di arrivare direttamente ed in maniera rapida al proprio target di potenziali clienti: inoltre, è possibile stabilire una strategia con gli strumenti più adatti.
Un consiglio che l’autore offre a riguardo è quello di servirsi di appositi tools per costruire mailing list di potenziali clienti, cui indirizzare una campagna e-mail ad hoc.

Il più grande errore che startupper poco esperti fanno in tema di vendite è, secondo Suster, perdere tempo con chi si dimostra per nulla propenso all’acquisto, ma si comporta in maniera gentile, mostrandosi interessati a ciò che gli si sta dicendo. Purtroppo i founder di una startup hanno spesso paura di sentirsi dire semplicemente “no”, mentre a volte questa può essere la risposta più utile per le vendite. E’ molto meglio un no secco, infatti, piuttosto che restare in forse o non sapere.

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Un altro errore che spesso le startup commettono riguardo alle vendite è quello di non chiedere se l’acquirente ha un budget a disposizione per l’acquisto. Suster sostiene che ci sono due tipologie di persone che non hanno un budget prestabilito:

Coloro che sono effettivamente interessati all’acquisto, ma non hanno disponibilità economica per effettuarlo nel breve termine. In questo caso la persona viene lasciata cadere nel così detto “imbuto del marketing”: la persona viene considerata come potenziale cliente e rimane oggetto, in quanto tale, delle campagne di marketing dell’azienda. La startup deve, in questo caso, concentrarsi su coloro che potranno realmente effettuare l’acquisto in tempi brevi.

Tra coloro che non hanno un budget a disposizione vanno incluse anche le persone che non sono interessate all’acquisto, ma vogliono comunque relazionarsi con voi: queste persone rappresentano una perdita di tempo per la startup. A volte, alle persone piace sentirsi oggetto delle attenzioni che un’azienda alla ricerca di potenziali clienti può offrire: per questo motivo, mantengono comunque i contatti pur senza avere alcuna intenzione di acquistare il prodotto/servizio offerto. Queste persone, secondo Suster, vanno categoricamente evitate in quanto rappresentano una perdita di tempo e risorse che andrebbero impiegate su potenziali clienti che vorrebbero davvero effettuare un acquisto.

L’ultima parte si concentra invece sulla tematica delle vendite nel fund raising: secondo Suster, molto semplicemente, “Raising money is selling”.
Le vendite sono una metrica imprescindibile quando si effettua la raccolta di capitali, perché rappresentano tutto il potenziale di una startup. Se si dispone di un prodotto che rappresenta una valida soluzione ad un problema, se si hanno le competenze necessarie per produrlo, se esiste una base di potenziali clienti abbastanza ampia che vuole acquistarlo, vuol dire che la startup ha ottime possibilità di successo e che può meritare la fiducia dell’investitore.

Per leggere il post originale dal blog di Marc Suster: http://www.bothsidesofthetable.com/2015/03/10/sales-101-why-buy-anything/

Napoli, 24/04/2015

Consigli per startup e imprese: i 7 tratti distintivi delle aziende di successo

Lean Back, portale on-line dell’Economist Group, ha pubblicato alcuni giorni fa un articolo firmato da Brett Grehan, Bart Delmulle, Tomas Keisers e Vikas Sagar di McKinsey & Co. che nasce da uno studio di benchmarking effettuato su 15.000 dipendenti di oltre 140 aziende mondiali leader nel mercato B2B e B2B2C: lo studio è incentrato sulle capabilities (capacità individuali) di marketing e di vendita di queste aziende.

Secondo i risultati ottenuti, le revenue delle aziende più avanzate in tema di marketing e vendite sono più alte di circa il 30% rispetto alla media registrata nel settore di appartenenza: a partire da questa ricerca, e assieme all’esperienza maturata negli anni, gli autori dell’articolo ed esperti di McKinsey & Co. hanno ricavato i sette tratti distintivi delle aziende leader di mercato.

1) Vedere i costi di marketing e vendite come un investimento, non come una spesa

Investire per costruire un team attentamente selezionato per le attività di marketing e vendita può produrre fino a 5 o 10 volte di più dello stesso investimento in beni materiali o attrezzature. Le aziende con le migliori performance sono quello che si concentrano sulle capabilities strettamente correlate alle opportunità di crescita e ai margini in termini di ROI.

2) Conoscere con chiarezza i propri punti di forza e di debolezza

Le aziende di successo non possono limitarsi a conoscere le proprie capabilities in marketing e vendite, devono anche essere in grado di compararle con le best practices del settore. Diventa quindi fondamentale conoscere con chiarezza e rigore analitico i punti di forza e di debolezza del proprio team, anche e soprattutto rispetto ai competitors.

3) Stabilire il proprio target sulle capabilities che contano di più

Le aziende tendono spesso ad investire in capabilities senza pensare a quelle che possono effettivamente fare la differenza rispetto alla concorrenza, o che possono avere un maggiore impatto sul business. Quando si scelgono le capabilities, bisogna sempre aver ben chiari gli obiettivi di business che l’azienda intende raggiungere.

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4) Non cercare di fare troppo

Costruire le capabilities richiede grande attenzione, e modalità specifiche a seconda del settore economico di appartenenza. Diventa quindi fondamentale muoversi concentrandosi su un massimo di due funzioni per volta.

5) Scegliere l’approccio più adatto alla fase di sviluppo in cui si trova il business

Analizzando i risultati dello studio, gli autori hanno rilevato che la curva delle prestazioni di business è strettamente legata alla fase di sviluppo in cui l’azienda si trova. Ad esempio: 1) Bassa crescita e redditività rispetto al mercato: gli investimenti andrebbero concentrati sulle capabilities di base, che permettono all’azienda di crescere (ad esempio prezzi, prestazioni, gestione dei clienti); 2) Bassa crescita e profitti elevati: l’azienda dovrebbe concentrare gli investimenti sulle attività di brand building, marketing strategy, gestione del ciclo di vita del cliente, customer satisfaction; 3) Crescita e redditività elevate: le imprese in questa fase dovrebbero investire su capabilities di livello elevato, come approcci alternativi al go-to-market, vendite interne ed e-commerce.

6) Pensare alle capacità relazionali dell’intera organizzazione, senza fossilizzarsi su quelle individuali

I singoli individui possono lasciare il team in qualsiasi momento, ma l’azienda rimane: ecco perché le capabilities devono essere sostenibili nel lungo termine. Per questo, è fondamentale costruire un dialogo chiaro ed aperto che consenta di individuare con certezza la vision aziendale.

7) Avere il modello operativo giusto per mettere in atto l’execution

Per avere un modello operativo in grado di sostenere l’execution è necessario avere obiettivi chiari e misurabili attraverso metriche ad hoc, come ad esempio obiettivi annuali di miglioramento delle performance, prestazioni a livello di business unit, incentivi allineati con gli obiettivi istituzionali. Una cultura aziendale top-performing è orientata al cliente, gestita sul lungo termine, in continua evoluzione, creativa, flessibile e basata sulla fiducia.

Per leggere il post originale: http://www.economistgroup.com/leanback/the-next-big-thing/mckinsey-study-revenue-growth-marketing-leadership/

Napoli, 15/04/2015

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