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Tag: test

Good Food Makers: la call per imprese agtech e alimentari

Risolvere le sfide di business immediati attraverso il buon cibo.

Al via Good Food Makers, il programma di accelerazione per Startup agtech e alimentari, nata dalla collaborazione tra BLU1877 – la società di venture capital di Barilla, in collaborazione con l’incubatore di Startup statunitense KitchenTownha.

Good Food Makers, è un programma di otto settimane, flessibile e che si svolge principalmente da remoto. Le Startup avranno l’opportunità di lavorare direttamente con Barilla per portare sul mercato prodotti innovativi e sostenibili.

La Call è aperta alle aziende che lavorano su soluzioni in queste quattro aree:

  1. Snacking per bambini;
  2. Canali di distribuzione alternativi;
  3. Tracciabilità;
  4. Agricoltura rigenerativa.

Il programma, elaborato su misura in base alle esigenze e alle sfide specifiche delle Startup selezionate, affronterà temi relativi allo sviluppo e validazione del prodotto, manufacturing, marketing e test sui consumatori, normativa e sicurezza alimentare.

Per partecipare alla Call Good Food Makers, la deadline è fissata entro l’8 agosto 2020, è possibile attraverso la compilazione del form presente al seguente link: https://goodfoodmakers.net/apply

 

 

Coronavirus: bando europeo per startup e PMI che affrontano aspetti dell’emergenza Covid-19 in palio 164 milioni di euro

Fondi Europei per affrontare l’epidemia di Coronavirus.

La Commissione europa, attraverso i finanziamenti Horizon 2020 – il programma di ricerca e innovazione dell’UE, ha lanciato il Bando SME Instrument per la ricerca di Startup e PMI innovative che possano aiutare a fronteggiare qualsiasi aspetto dell’emergenza del Covid – 19.

Si tratta di una Call dove non vi sono recinti predefiniti e priorità da rispettare in maniera rigida, infatti, i candidati potranno liberamente presentare soluzioni innovative in diversi settori:

  • dai test alla diagnosi;
  • al trattamento;
  • alla chirurgia;
  • ai metodi di monitoraggio della qualità dell’aria su scala locale e globale.

Sono 164 i milioni di euro messi a disposizione dall’ acceleratore del Consiglio europeo per l’innovazione, inoltre, la Commissione EU, cercherà di favorire in ogni modo l’emersione di progetti tecnologicamente avanzati e ad alto tasso di innovazione per sviluppare nuove soluzioni contro il virus, nonché di facilitare l’accesso a diverse fonti di finanziamento.

Per partecipare al Bando SME Instrument, la deadline è fissata per mercoledì 18 marzo 2020 entro le ore 17:00 (ora di Bruxelles), attraverso la compilazione del form presente al seguente link: https://bit.ly/3d5Lb9K

Per maggiori informazioni è possibile consultare il Bando al seguente link: https://ec.europa.eu/research/participants/data/ref/h2020/wp/2018-2020/main/h2020-wp1820-eic_en.pdf

Startup e Pivot: ascolta il mercato e non aver paura di cambiare i tuoi programmi!

Nell’ultimo post pubblicato qui nel nostro blog, dal titolo “Startup Tips: 6 suggerimenti utili in materia di Customer Service”, abbiamo affrontato il tema del servizio clienti e dell’importanza fondamentale che il feedback dei clienti assume nel processo di sviluppo del prodotto.

Il Customer Service è quindi una funzione tanto delicata quanto critica per lo sviluppo della startup, perché rappresenta una fonte di informazioni indispensabili per la definizione dei pivot necessari alla crescita di un business nelle sue prime fasi di sviluppo.

Il portale Forbes ha pubblicato un’interessante testimonianza sull’argomento, raccontando l’esperienza di Sinan Ozdemir e Jamasen Rodriguez, co-founder di Kylie.ai, sistema che sfrutta le potenzialità dell’intelligenza artificiale (AI) allo scopo di automatizzare le comunicazioni delle grandi aziende in tema, appunto, di assistenza clienti.

Nell’intervista, Ozdemir racconta l’esperienza di startupper concentrandosi su quanto i vari pivot affrontati per migliorare il business siano stati la chiave del successo internazionale di Kylie.ai: il messaggio di base che il co-founder vuole trasmettere a startupper e aspiranti tali è di non aver paura di affrontare uno o più pivot, perché sono proprio questi ultimi a dare il via al percorso di una startup verso il successo.

Prima di trovare la perfetta combinazione in termini di Product-Market Fit, il team ha dovuto affrontare molti pivot, di natura differente: da un cambio di nome, a cambiamenti legati al marketing e al mercato di riferimento, Kylie.ai ha attraversato grandi cambiamenti prima di raggiungere la sua attuale conformazione.

Qualsiasi founder di startup ti dirà che l’azienda che sta portando avanti ora non è quella che gestiva un anno fa, o addirittura qualche mese fa.

Il punto di partenza per il team di una startup early stage è comprendere l’importanza fondamentale del chiedere ai propri clienti cosa vogliono realmente. Bisogna chiedere feedback ai clienti, continuamente, con costanza: per sapere cosa vogliono davvero le persone, non c’è altro modo che chiederlo direttamente a loro.

L’ascolto attento e costante del mercato, spiega Ozdemir, è l’unica strada percorribile per raccogliere le informazioni necessarie a rimettere in discussione la roadmap della propria startup, per programmare il pivot più adatto alla situazione contingente, per individuare i problemi e le soluzioni.

Ma quindi, come si diventa founder “customer-centric”? Ascoltando il cliente, è possibile comprendere in maniera intuitiva quali sono i problemi da risolvere? Oppure è necessario eseguire delle analisi quantitative più approfondite?

Ozdemir racconta la sua esperienza di startupper in un mercato essenzialmente B2B: il processo di vendita di Kylie.ai prevede la raccolta dei dati dei clienti, necessari ad eseguire delle analisi quantitative ad hoc. Secondo Ozdemir, infatti, la cosa migliore nel processo di raccolta dei feedback della clientela è cercare di andare più a fondo possibile, evitando di affidarsi semplicemente all’intuizione.

E come di arriva alla decisione di implementare un pivot? Naturalmente, la scelta di pivotare deve essere guidata dalla decisione di cosa è meglio per l’azienda. La domanda di base dell’intero processo deve essere: cosa è meglio per la startup? Subito dopo, bisogna assicurarsi di avere le risorse necessarie per affrontare il cambiamento: in altre parole, occorre domandarsi “ne vale davvero la pena?”.

Su questo punto entrano in gioco anche delle dinamiche relative alle caratteristiche personali dei componenti del team. Bisogna sempre circondarsi di compagni di viaggio appassionati a ciò che fanno, ricordando che l’azienda è più grande della somma delle sue singole parti, e che spesso una startup racchiude in sé delle risorse inaspettate quando si tratta di impegnarsi e lavorare sodo in fase di pivot.

Se ci si rende conto che val la pena perseguire gli sforzi necessari ad implementare un pivot nel proprio business, allora si va avanti: si torna dal cliente e gli si chiede cosa c’è che non va nel nostro attuale prodotto.

In conclusione, Ozdemir racchiude il suo messaggio in un consiglio a tutti i founder alle prese con la necessità di un pivot. Alla domanda “Lo faccio o non lo faccio?” la sua risposta è semplicemente: “Provaci! In fondo, qual è la cosa peggiore che potrebbe accadere?”.

FONTE: https://www.forbes.com/sites/frederickdaso/2018/09/06/this-founder-says-to-not-be-afraid-to-pivot-your-startup/#3376ba042cefE tu, hai un’idea innovativa che vorresti trasformare in una startup di successo? 

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Startup Early Stage: come si definiscono, cosa fanno, di cosa hanno bisogno

Quando si parla di ciclo di vita di una startup, si intendono le varie fasi che quest’ultima attraversa dalla sua nascita fino all’eventuale exit o acquisition. Ci sono molte differenti classificazioni delle fasi di vita di una startup, e le stesse singole fasi vengono definite e identificate in maniera differente.

La primissima fase di una startup, la cosiddetta fase early stage, è sicuramente quella più difficile da identificare e definire: Lee M. von Kraus, esperto di startup e mentor di grande esperienza, ad esempio, sostiene che la startup early stage è quella “in fase pre-money, che sta ancora lavorando allo sviluppo del suo primo prodotto”. In questa fase, la startup sta perfezionando la propria idea di partenza, lavorando alla costruzione di un MVP ed effettuando i primi test del prototipo.

A seconda dei risultati di questi test, una volta analizzati con cura i dati ottenuti, la startup early stage potenzialmente è pronta per le modifiche e gli aggiustamenti (pivot) e per ripartire da capo. L’obiettivo finale della fase early stage è quello di ottenere un prodotto scalabile da presentare ai potenziali investitori attraverso un pitch efficace e convincente. Per von Kraus, quindi, la fase early stage rappresenta per una startup l’intera fase di pre-finanziamento. Una volta ottenuti i primi soldi, la startup è pronta per attraversare la fase successiva, la cosiddetta fase seed.

Per altri esperti, però, è la fase seed a identificarsi con quella di pre-finanziamento. Superata la fase seed, la startup sarà pronta a passare alla fase early stage. Ecco, quindi, che la definizione del ciclo di vita della startup diventa confusa e complicata! Per capire meglio cosa si intende per startup early stage, proviamo a passare in rassegna le definizioni di altri esperti.

Vediamo, ad esempio, cosa ne pensa Kent Gustavson, imprenditore ed esperto di startup: “la fase early stage è come i primi giorni di primavera, in cui le piante crescono più che mai”. Una definizione poetica, in cui la startup early stage è vista come quella più rischiosa e incerta, ma anche come quella più ricca di opportunità.

Secondo Gustavson, l’obiettivo principale della startup in fase early stage non si limita alla ricerca dei primi finanziamenti: “è paragonabile al primo periodo di attività di un artista. In questa fase, l’arte è spesso più semplice, più ideolgica, ma è anche molto importante per la futura crescita dell’artista”. In questo senso, la startup early stage è a suo parere quella in cui il team è visionario, l’idea rivoluzionaria, e il MVP è in grado di agganciare i primi clienti e sostenitori.

Brian Rabben (team lead di Google e mentor a 500 Startups) ha, invece, una definizione decisamente più tecnica: la fase early stage è quella in cui la startup si trova in una situazione di “pre product-market fit” accompagnata da almeno una delle seguenti condizioni aggiuntive: meno di 10 dipendenti, incapacità di pagare ai dipendenti e ai fondatori uno stipendio competitivo, assenza di profitti e/o finanziamenti.

Infine, Mike Moyer, docente universitario e autore di best seller in tema di imprenditorialità, definisce la startup early stage come “una società nella quale tutti i partecipanti mettono a rischio i propri contributi personali in termini di tempo, denaro, relazioni, forniture, strutture o attrezzature”. Secondo Moyer, se una startup ha già abbastanza denaro, ricavi o investimenti per pagare i componenti del team non può essere più considerata in fase early stage.

Rileggendo tutte le definizioni di startup early stage elencate, si nota un comune denominatore: il denaro. Tutti gli esperti concordano sul fatto che la startup early stage è in fase di pre-money e di pre-finanziamento. Per passare alla fase successiva del proprio ciclo di vita, quindi, lo strumento indispensabile per una startup è il capitale.

Per raccogliere capitale, però, è indispensabile che la startup si prepari adeguatamente a presentarsi sul mercato e agli investitori: in questa fase iniziale, una risorsa di valore inestimabile è data da un percorso di mentorship e formazione personalizzato, sotto la guida esperta di chi conosce al meglio l’approccio Lean Startup.

FONTE: https://www.startups.co/articles/startup-stages

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Napoli, 06/09/2018

Startup e metodo scientifico: tre step per trovare le migliori soluzioni di business

Il lavoro di un imprenditore comporta quotidianamente la necessità di fare delle scelte, di prendere delle decisioni rispetto a problemi da risolvere e soluzioni da implementare. A volte può essere difficile scegliere tra più opzioni quella giusta, quella che porterà ad ottenere risultati di successo e crescita per il business.

Una buona idea è quella di avere una vera e propria strategia di pensiero, un processo in più fasi da seguire ogni volta che ci si trova a dover scegliere la miglior soluzione tra più opzioni: questo approccio può essere utile in qualsiasi momento della vita di un impresa, fin dalle prime fasi di startup.

Una strategia utile in tal senso è quella descritta da Rehan Ashroff, direttore dell’Innovation Lab and New Ventures per Farmers Insurance.
Prima di approdare al mondo dell’innovazione tecnologica, Ashroff era un biologo molecolare e lavorava in un laboratorio di biotecnologia. A quei tempi, conduceva svariati test sulle ipotesi a sua disposizione e cercava il modo di rendere il problema sempre più piccolo e semplice da affrontare. Aveva sviluppato una strategia in tre fasi basata sul metodo scientifico, che oggi applica con successo ai progetti dell’Innovation Lab e su cui consiglia agli startupper di basare il proprio pitch. Vediamo quali sono i tre step della strategia di Ashroff:

1. Trova il problema e scomponilo in più parti

Questo approccio è tipico del metodo cartesiano: si adatta al mondo aziendale in quanto il primo punto che una startup o impresa deve affrontare e quello del problema che si propone di risolvere, per posizionarsi nella propria nicchia di mercato.

Una volta identificato il problema ci sarà una mission chiara e definita: il passo successivo sarà quello di scomporre tale mission nelle singole azioni necessarie per raggiungere l’obiettivo, ossia suddividere il problema principale in piccoli problemi dalla soluzione più semplice e immediata.

2. Unisci i puntini

“La creatività è semplicemente connettere le cose: quando chiedi ai creativi come hanno fatto qualcosa, si sentono un po’ colpevoli perchè non hanno fatto nulla, hanno soltanto visto qualcosa”: in questo pensiero di Steve Jobs è racchiusa la base di partenza della seconda fase della strategia di Ashroff: bisogna osservare con attenzione tutti i punti e le informazioni a propria disposizione, cercando di collegarli tra loro per vedere con chiarezza una soluzione che, in realtà, è già lì.

Per unire i puntini bisogna essere curiosi e con una gran voglia di continuare costantemente ad apprendere. Se capita di sentirsi bloccati, Ashroff consiglia di uscire dal proprio ambiente abituale e parlare con persone esterne: la condivisione di informazioni tra persone di background differenti può essere molto fruttuosa.

3. Evita di pensare “Buona la prima”

Raramente la prima idea di un imprenditore è quella che decollerà verso il successo: è risaputo che la maggior parte delle aziende sarà in perdita nel primo anno di attività. Ecco perché non bisogna mai fermarsi alla prima idea, alla prima soluzione trovata: occorre continuare a lavorare, a testare le varie ipotesi, finché la soluzione giusta non viene fuori.

Il metodo scientifico è di grande aiuto anche in questa terza fase: bisogna seguire i vari step di osservazione, misurazione, sperimentazione e formulazione delle ipotesi. Grazie a questo metodo sarà possibile per la startup identificare il prodotto o servizio da creare, eseguire i test per assicurarsi che tutto stia procedendo per il meglio, raccogliere i dati da presentare nel pitch e agli investitori.

In conclusione, la strategia in tre fasi può richiedere del tempo per una corretta implementazione, ma allo stesso tempo consente di raggiungere ottimi risultati che potranno avere effetti anche nel lungo periodo.

Fonte: https://www.entrepreneur.com/article/317397

Napoli, 03/08/2018

Startup e Approccio Lean: come assicurarsi di ascoltare davvero i feedback della clientela

Il feedback di un cliente è probabilmente il più importante aspetto da tenere in considerazione quando si applica l’Approccio Lean alla propria startup: tuttavia, spesso le startup non tengono nella dovuta considerazione i feedback dei propri clienti, a volte addirittura li ignorano, troppo impegnate nelle attività di Execution.

Ignorare i feedback dei clienti è un grave errore, che nessuna startup dovrebbe commettere: come afferma Baptiste Le Sueur nel blog Innoweo.com (qui, il link di riferimento) ascoltare i clienti è il modo più efficace che il team ha a disposizione per capire se il MVP funziona o meno, se è necessario apportare modifiche e aggiustamenti, se è il caso di implementare un pivot.

feedback_loop

Per assicurarsi di ascoltare in maniera efficace tutti i feedback della clientela, una startup deve assicurarsi l’Engagement dell’intero team: occorre coinvolgere tutte le risorse nella raccolta ed analisi dei feedback, per affrontare al meglio la fase di ideazione, progettazione e realizzazione del prodotto. Ciascuno dei componenti del team dovrebbe essere focalizzato sulle attività di raccolta ed analisi.

Una buona attività di ascolto dei feedback consente ad una startup di ottenere i seguenti risultati:

tutti i membri del team sono consapevoli del livello di maturità raggiunto dal MVP,
ognuno è consapevole dello status quo del progetto e sa perfettamente quali sono i prossimi passi da compiere,
tutti sono consci del fatto che c’è ancora del lavoro da fare.

Ma come è possibile coinvolgere tutto il team del processo di raccolta, ascolto ed analisi dei feedback? Secondo Innoweo, il modus operandi si concentra su due concetti: Design Thinking e Lean Startup.

Le attività essenziali di cui bisogna tener conto sono quelle di Sviluppo e di Test: il team di sviluppo deve entrare in contatto con i clienti, con l’obiettivo di osservarli mentre utilizzano il MVP, per raccogliere i loro feedback (positivi e negativi). Lo scopo finale deve essere quello di affrontare assieme a tutto il team la verità che si riscontra soltanto dal contatto con il mercato.

Un suggerimento pratico ed utile può essere quello di organizzare delle vere e proprie sessioni di raccolta dei feedback dei clienti, dei veri e propri eventi di prova, al termine dei quali il team dovrà effettuare delle interviste. Un’attività del genere porta a buoni risultati, sia in termini di empowerment del team che di risoluzione dei problemi. Le sessioni di feedback devono essere organizzate regolarmente, ad esempio ogni 3 o 6 settimane.

In conclusione, la soluzione proposta al problema dell’ascolto dei feedback della clientela è riassumibile in un’unica frase, semplice e diretta: “Send your team to face the truth of the field”, ossia “Manda il team ad affrontare la verità sul campo”.

Napoli, 29/10/2015

Imprevisti e V.U.C.A.: imparare a gestire le sfide e le difficoltà nella vita di una startup

La gestione degli imprevisti rappresenta una delle attività che caratterizza la vita di una startup e del suo team: il percorso per lanciare un’impresa innovativa è spesso costellato da momenti di difficoltà, da improvvisi e repentini cambi di direzione (pivot e aggiustamenti) e da problemi e sfide che bisogna affrontare nel lavoro di ogni giorno.
In questo post riprenderemo il concetto di V.U.C.A. pubblicato dalla Harvard Business Review e ripreso dal blog del portale More Than Sound, per capire quali sono le caratteristiche di un imprevisto e conoscere alcuni consigli utili a gestire al meglio le situazioni di incertezza e le sfide di fronte a cui ci pongono.

imprevisti

Il concetto di V.U.C.A. si basa sull’acronimo che, secondo HBR, rappresenta l’attuale mondo del lavoro e dell’impresa. Le lettere che lo compongono rappresentano infatti le iniziali di:

VOLATILITY
UNCERTAINTY
COMPLEXITY
AMBIGUITY

Questi quattro termini corrispondono ad altrettante “categorie” tipiche in cui è possibile “inquadrare” ciascun imprevisto. Analizziamoli più da vicino, cercando di capire come si caratterizzano, di quali risorse abbiamo bisogno e quali sono gli approcci più efficaci per affrontarli:

VOLATILITA’

volatility

  • Caratteristiche: Una situazione volatile è la migliore ipotesi di sfida da imprevisto nella cui ci si può trovare. Si caratterizza per l’essere inaspettata o instabile e di durata indefinita, ma allo stesso tempo è una situazione nella quale è possibile prevedere con maggior precisione i risultati delle proprie azioni. Inoltre, è solitamente semplice da comprendere, in quanto le informazioni sul tema sono di facile reperibilità.
  • Esempio: Fluttuazione dei prezzi di un fornitore off-line a seguito del verificarsi di una calamità naturale.
  • Approccio: Prepararsi in anticipo a questo tipo di situazioni, assicurandosi di avere risorse proprie accumulate o il talento e le capacità per far fronte a sfide del genere (es. scorte di magazzino). Si tratta di un approccio tipicamente costoso, per questo motivo l’investimento va calibrato in base al rischio.

INCERTEZZA

incertezza

  • Caratteristiche: Una sfida caratterizzata da incertezza nasce quando, nonostante la mancanza di informazioni sulla situazione in sé, risultano noti le cause più probabili e gli effetti. Inoltre, la situazione potrebbe cambiare molto rapidamente.
  • Esempio: il lancio di un prodotto da parte di un concorrente rischia di infangare il mercato ed il business in generale.
  • Approccio: La strada da seguire in questo caso si basa sulla raccolta di più informazioni possibili, seguita dalla condivisione delle stesse. Inoltre, questo approccio è di tipo collaborativo: infatti funziona meglio quando l’intero network di attori del settore si prodiga nel contribuire a ridurre l’incertezza.

COMPLESSITA’

complessità

  • Caratteristiche: La complessità è caratterizzata da più parti e variabili interconnesse, in cui la conoscenza dei dati è limitata (alcuni dati sono disponibili, altri possono essere prevedibili). In una situazione complessa può essere però difficile raccogliere informazioni, e spesso le parti coinvolte nella sfida sono di natura o volumi tali da poter travolgere l’intero processo.
  • Esempio: Imprese che portano il proprio business in differenti Paesi, ciascuno con le proprie regole, prezzi, valori e cultura.
  • Approccio: La strategia più adatta ad affrontare sfide impreviste complesse è quella di avere a disposizione degli specialisti del settore. Se necessario, è utile investire in formazione al team e ai dipendenti per renderli specialisti, in modo da avere le risorse adatte ad affrontare la complessità in futuro.

AMBIGUITA’

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  • Caratteristiche: Una sfida ambigua è davvero difficile da affrontare, perchè totalmente sconosciuta, casuale, oscura. C’è poca conoscenza ed informazione sulla situazione e le azioni implementate avranno impatto sull’azienda.
  • Esempio: Startup che sceglie di muoversi su un mercato immaturo o emergente, lanciando prodotti che esulano dalle proprie core competencies.
  • Approccio: Si tratta della situazione più adatta ad un approccio di sperimentazione. Va vista come un’opportunità di continuo apprendimento, da basare sulla conoscenza dell’ambiente, della concorrenza, del mercato. La scelta deve basarsi su un continuo processo ipotesi/test, in cui ogni volta vanno applicate le informazioni e le lezioni imparate dalla volta precedente.

FONTI

Napoli, 22/10/2015

Consigli per startup B2B: se volete avere successo, scegliete piccole aziende come primi clienti

Thomas Bartman è membro del Forum for Growth and Innovation della Harvard Business School, un think tank che si occupa di studiare le dinamiche dell’innovazione disruptive: il blog della Harvard Business Review ha pubblicato un suo articolo incentrato sui motivi per cui una startup dovrebbe concentrarsi sulla vendita dei propri servizi alle piccole imprese, anziché rivolgersi ai grandi colossi del mercato.

Secondo Bartman è infatti ormai risaputo che le startup B2B rappresentano un segmento fondamentale del panorama imprenditoriale, ma spesso i founder hanno la tendenza, nelle fasi iniziali dell’avvio, a concentrarsi sui clienti sbagliati. L’errore sta nel ritenere che le grandi imprese siano i clienti migliori cui rivolgersi, pensando che inserirle nel proprio portafogli clienti fosse una sorta di “legittimazione” per attirare in futuro nuova clientela.

In realtà questo approccio orientato alle grandi imprese può essere il percorso più difficile per una startup B2B e riduce drasticamente le sue probabilità di successo: Bartman afferma chiaramente che le startup B2B dovrebbero concentrarsi sul segmento di mercato delle piccole imprese.

Il pensiero più diffuso riguardo il target delle piccole imprese è che siano più costose da gestire: questo atteggiamento, secondo l’autore, è miope. Vendere alle piccole imprese è invece un ottimo modo per iniziare un business, che rappresenta una strategia utile per gettare le basi per il futuro di una startup. Una volta acquisite nel portafoglio clienti le imprese di piccole dimensioni, infatti, sarà più facile per la startup proseguire il percorso di crescita e rivolgersi alle imprese più grandi.

Alcuni esempi del successo di questo tipo di strategia sono: Salesforce, che con le sue soluzioni cloud-based è riuscita a ridurre i costi dei database per le imprese; Vistaprint, che ha offerto un servizio disruptive nel mondo delle tipografie, con un servizio web-based di grafica e design caratterizzato da economie di scala e conseguente drastica riduzione dei costi; Stamps.com, che sostituisce costose attrezzature per il mail-processing con applicazioni on-line ad abbonamento mensile.

Un esempio più recente è offerto da HourlyNerd, che si propone di innovare radicalmente il settore delle società di consulenza offrendo agli imprenditori la possibilità di mettersi in contatto con consulenti indipendenti: è proprio analizzando il caso di HourlyNerd che Bartman cerca di spiegare alle startup la migliore strategia per creare aziende B2B disruptive partendo da una clientela di piccole imprese.

Il punto di partenza è che le piccole imprese hanno esigenze simili alle grandi imprese, per cui un modello di business pensato per piccole imprese può essere scalato ed applicato in modo relativamente semplice alle esigenze di medie e grandi imprese.
A ciò si aggiunge il fatto che le piccole imprese hanno un livello di rischio sostanzialmente basso, in quanto sono molto più numerose delle aziende di grandi dimensioni. Per questo motivo, un insuccesso con una piccola impresa non porterebbe a grossi danni reputazionali per una startup.

Inoltre, spesso le piccole imprese non hanno facilmente accesso a prodotti B2B rispetto alle aziende più grandi: per questo motivo, sono alla ricerca di soluzioni offerte da startup anche se con funzionalità ridotte rispetto a quelle pensate per le imprese di maggiori dimensioni. In questo scenario, le startup hanno facile accesso al mercato anche con un minimum viable product, un prototipo da testare e migliorare nel tempo.
Una startup che si rivolge alle piccole imprese può evitare i lunghi cicli di sviluppo pre-lancio per target di mercato più esigenti e iniziare a testare il prodotto con le piccole imprese, anche con disponibilità ridotte di capitale.

Il primo step per questo tipo di strategia aziendale è individuare le opportunità che gli operatori storici del mercato stanno ignorando: bisogna capire quali sono i prodotti troppo costosi o complessi per le piccole imprese, e individuare le possibili soluzioni tecnologiche innovative e a costi relativamente bassi che potrebbero soddisfare il target delle piccole imprese.

Una volta pronto il MVP, la startup può proporla a costi bassi e senza impegno alle piccole imprese: in questa fase è fondamentale lavorare a stretto contatto con i clienti, per accogliere tempestivamente i feedback e capire quali eventuali miglioramenti apportare al prodotto. Uno strumento utile in questa fase sono, ad esempio, le interviste da sottoporre al cliente prima e dopo l’utilizzo del prodotto.

I prodotti offerti devono essere standardizzati in maniera tale da poter incontrare il favore del maggior numero di piccole imprese possibile, lo scopo è quello di avere un offerta che riduca al minimo i costi di modifiche e personalizzazioni. In quest’ottica è utile segmentare la clientela basandosi su criteri relativi alla dimensione, e non alla posizione geografica.
I questo modo sarà possibile studiare soluzioni ad hoc, più semplici o più complesse a seconda delle esigenze dei clienti: la segmentazione va quindi effettuata in termini di benefici offerti, non sulla base di aspetti demografici.

Questo tipo di targeting dei clienti iniziali, inoltre, spesso consente alla startup di non ritrovarsi a competere direttamente con gli operatori che sono già da tempo sul mercato: il segmento di clientela servito, infatti, si discosta da quello di riferimento per i concorrenti “tradizionali”.

Un ultimo aspetto che l’autore considera riguarda infine il continuo miglioramento del prodotto: una startup B2B, attraverso le varie modifiche migliorative apportate al prodotto offerto a imprese di piccole dimensioni, si ritrova ad un certo punto con un prodotto abbastanza evoluto da essere adatto a risolvere le esigenze di grandi aziende. Inoltre, evitando la competizione diretta, i grandi operatori già presenti sul mercato si accorgeranno della nuova startup solo quando quest’ultima sarà abbastanza cresciuta da potersi confrontare con loro.

Naturalmente, conclude Bartman, una strategia di questo tipo non è priva di problematiche e difficoltà (tra cui, ad esempio, la percezione del marchio): ma i risultati ottenuti da startup di successo globale come Salesforce sono la prova che può essere davvero la più consigliata per una startup.

Per leggere l’articolo originale dal sito di HBR: https://hbr.org/2015/01/start-ups-should-sell-to-small-businesses-not-big-enterprises

Napoli, 29/01/2015

Consigli per startup – “Continuous Learning”: come costruire una cultura aziendale basata sull’apprendimento

Aaron Skonnard è il CEO di Pluralsight, startup che ha co-fondato nel 2004 e che è attualmente una delle più grandi biblioteche on-line al mondo di video tutorial: di recente, il portale Inc ha pubblicato un suo articolo sul tema della cultura aziendale e, in particolare, su come quest’ultima possa essere implementata all’interno di una startup in maniera tale da creare vantaggio competitivo per l’azienda.

Nello specifico, la cultura aziendale può rappresentare un grande fattore di vantaggio competitivo se è basata sull’apprendimento: la capacità di imparare più velocemente rispetto alla concorrenza può diventare addirittura, secondo il Dr. Arie de Geus (capo della pianificazione strategica per Royal Dutch/Shell Oil), “l’unico vantaggio competitivo sostenibile”.

Per imparare in fretta, secondo Skonnar, bisogna affidarsi al lean thinking e alla mentalità propria dell’approccio Lean Startup: proporre il proprio progetto all’esterno e per capire meglio le esigenze dei clienti e creare valore nella maniera più vicina possibile a questi ultimi.

La metodologia più utile a questo scopo è definita “continuous learning”, apprendimento continuo: deve essere alla base della cultura aziendale e deve permeare ogni aspetto del business.
Secondo Skonnar esistono cinque modi per incoraggiare una cultura aziendale basata sull’apprendimento:

1) Fare dell’apprendimento il nucleo centrale del DNA dell’azienda

I valori fondamentali della cultura aziendale sono lo specchio dei valori e delle caratteristiche delle persone che compongono l’organizzazione: ecco perché un buon modo per costruire una cultura aziendale fondata sull’apprendimento è assumere persone che siano appassionate e abbiano voglia di imparare.

2) Destinare un budget specifico all’apprendimento

Dare priorità all’apprendimento è il punto di partenza, ma il secondo passo fondamentale per costruire la cultura aziendale basata sull’apprendimento è definire il budget da destinare alla formazione specifica che consentirà al team e ai dipendenti di seguire l’approccio di continuous learning.

3) Fornire opportunità di apprendimento e formazione in-house

Non sempre è necessario l’investimento di risorse finanziarie per acquistare la formazione all’esterno: ci sono alcuni passaggi che l’azienda può implementare autonomamente e in maniera gratuita all’interno dell’organizzazione, per ispirare una cultura aziendale fondata sull’apprendimento.
Ad esempio, i job swaps rappresentano un’opportunità unica per aumentare le competenze e facilitare la comprensione e l’interscambio tra i soggetti coinvolti. Si tratta di “scambiare” per un periodo limitato di tempo le posizioni tra i dipendenti per provare a fare uno il lavoro dell’altro. Questa pratica è utile per tutti i soggetti coinvolti e consente di ottenere ottimi risultati in termini di apprendimento quando avviene tra due funzioni che lavorano a stretto contatto (ad esempio il team di vendita e quello di marketing), per comprendere meglio i processi e le responsabilità di ciascun ruolo e trovare una migliore modalità di collaborazione in futuro.

4) Dimostrare la propria passione per l’apprendimento

Il gruppo dirigente dovrebbe essere il primo a dare il buon esempio, riuscendo a partecipare in prima persona alle opportunità di apprendimento offerte dall’azienda inviando così un messaggio positivo sull’importanza del continuous learning e della crescita professionale.
I team leader e i dirigenti dovrebbero essere quindi i primi ad incarnare i valori di una cultura aziendale fondata sull’apprendimento.

5) Valorizzare gli insegnamenti appresi dal fallimento

Il fallimento è sicuramente una delle migliori fonti di apprendimento: per imparare, bisogna prima fallire. Per questo motivo, una cultura aziendale basata sull’apprendimento incoraggia la sperimentazione, il rapido recupero dopo un errore, la creatività e l’inventiva: tutto ciò avviene in base ad un approccio lean e agile, fondamentali per una startup che ha bisogno di testare i prototipi muovendosi rapidamente sul mercato.

Per leggere il post originale di Aaron Skonnard: http://www.inc.com/aaron-skonnard/the-most-important-culture-change-you-can-make.html

Napoli, 17/12/2014

DigitalOn: da Aviva e Polihub, un’opportunità dedicata a startup e idee innovative per professionisti, imprenditori e PMI

DigitalOn è un’iniziativa dedicata ai progetti innovativi in ambito digitale a supporto di professionisti, imprenditori e piccole-medie imprese promossa dal gruppo assicurativo Aviva e da Polihub, l’incubatore del Politecnico di Milano.

Si tratta di un contest aperto ai migliori progetti innovativi con focus sul miglioramento della produttività di professionisti, imprenditori e PMI, con particolare attenzione alla protezione delle attività e all’assicurazione del business.
I progetti devono necessariamente essere basati sull’utilizzo di tecnologie digitali, quali Web, Mobile, Social, Internet of Things, Big Data, Cloud, etc.

La partecipazione a DigitalOn è aperta a:

– persone fisiche con un’idea innovativa (che possono presentarsi singolarmente o in team);
sviluppatori già a lavoro su un prodotto/servizio (anche in fase di test);
startup avviate da non oltre 5 anni;
imprese già consolidate, ma con un progetto innovativo nelle aree di interesse del contest.

L’iscrizione va effettuata esclusivamente attraverso il modulo di partecipazione on-line disponibile al seguente link: http://www.polihub.it/aviva-le-idee-innovative-per-limpresa-di-domani
La deadline è fissata per domenica 11 gennaio 2015 e i documenti dovranno essere allegati sia in italiano che in inglese. Inoltre, ciascun partecipante può candidare fino a un massimo di due progetti.

Un apposito Comitato di Valutazione (composto da docenti del Politecnico di Milano ed esperti executive di Aviva) selezionerà i 10 progetti finalisti sulla base di criteri quali: qualità e competenze del team, innovatività del progetto, attinenza ai concetti di protezione e tutela, mercato e potenzialità di business, fattibilità tecnica, efficacia del pitch.

I 10 migliori progetti avranno accesso ai due eventi previsti per la fase finale:

26 gennaio 2015: giornata a porte chiuse dedicata agli incontri one-to-one dei finalisti con docenti universitari e manager di Aviva, per approfondire la conoscenza dei progetti e per supportare i team nello sviluppo delle idee;

4 febbraio 2015: conferenza aperta al pubblico con la presentazione dei pitch alla giuria.

I progetti vincitori avranno la possibilità di essere ospitati per 12 mesi all’interno di Polihub, usufruendo del programma di accelerazione Startup Program del MIP – Politecnico di Milano. Inoltre, riceveranno il supporto di Aviva riguardo al raggiungimento degli obiettivi di business e potranno essere aiutati nella realizzazione e commercializzazione dei progetti sul mercato italiano e, potenzialmente, estero. Sono previsti, inoltre, momenti di incontro con i principali Venture Capitalist nazionali e l’accesso al network e ai canali di comunicazione di Aviva e Polihub.

DigitalOn prevede inoltre l’assegnazione di tre premi speciali:

– un viaggio a Londra per due persone, per incontrare il team digital di Aviva e partecipare ad un Hackathon;
– uno stage di sei mesi presso Avanade con possibilità di assunzione per i partecipanti più giovani (con rimborso spese mensile di 800 euro più ticket);
– un premio per la sicurezza da DELL Software & Security, consistente in un anno solare di protezione completa per una rete da 25 a 50 postazioni.

Per maggiori informazioni è possibile consultare il Regolamento integrale di DigitalOn disponibile a questo link: http://www.polihub.it/wp-content/uploads/2014/11/regolamentoDigitalOn.pdf

Napoli, 17/12/2014

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