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STEP Call for future 2020: la call per startup che tagliano i gas a effetto serra

La Call con l’accesso al programma di accelerazione di sei mesi dentro lo STEP Tech Park di Treviglio.

STEP green – tech, naturally ha lanciato la Call for future 2020 con lo scopo di raccogliere le candidature di Startup e pionieri che puntino a combattere i cambiamenti climatici ed, in particolare, a ridurre le emissioni di gas a effetto serra attraverso tecnologie, prodotti e servizi innovativi.

La Call è rivolta a tutte le imprese innovative in grado di dare un contributo concreto al taglio dei gas clima alteranti in atmosfera.

Il criterio di selezione principale per accedere allo STEP Tech Park sarà la carbon reduction, ovvero le potenzialità del prodotto, servizio o tecnologia che la Startup può garantire per ridurre le emissioni di gas a effetto serra.

Nel particolare, l’idea verrà valutata in base ai seguenti criteri:

  • impatto ambientale;
  • potenziale aziendale;
  • forza della squadra.

Le tre Startup selezionate accederanno a STEP, l’Innovation Hub di Treviglio, per intraprendere un percorso di accelerazione di sei mesi a cominciare da giugno.

Nel corso dei sei mesi di percorso, le tre Startup vincitrici della STEP Call for future 2020 avranno a loro disposizione professionisti, tra i quali Business Developer e Technical Expert interamente dedicati, oltre a mentor altamente preparati provenienti dal mondo della ricerca, dell’università e dell’industria per perfezionare ulteriormente le soluzioni da portare sul mercato.

Inoltre, dentro l’Innovation Hub di Treviglio le Startup avranno infine accesso gratuito a tutte le strutture, compreso il laboratorio dove testare, perfezionare ed industrializzare i propri prodotti.

Per partecipare a STEP Call for future 2020, la deadline è fissata entro il 15 maggio 2020, attraverso la compilazione del form al seguente link: https://www.steptechpark.com/call-for-future/

Per avere maggiori informazioni è possibile consultare il Regolamento al seguente link: https://www.steptechpark.com/001-STEP-call.pdf

Consigli per startup: i tre step indispensabili da implementare prima del lancio sul mercato

Il portale Ready Set Startup offre una serie di spunti e consigli interessanti per startupper ed aspiranti imprenditori che vogliono iniziare un nuovo business: in particolare, in questo post vedremo i suggerimenti più utili contenuti in una serie di tre articoli dedicati al tema “Steps To Starting a Business”.

Secondo Susan Jones, autrice dei tre articoli, ci sono tre step di base da seguire quando si inizia una nuova attività di impresa:

1) Finding and developing an idea,
2) Testing the idea to see if people will pay for it
3) Planning how you will implement

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Portare a compimento questi tre step prima di lanciare il business offre maggiori possibilità di raggiungere il successo di una startup. Vediamo più nel dettaglio in cosa consiste ciascuno step:

1) Individuare e sviluppare l’idea rappresenta, ovviamente, il primo passaggio per fondare una startup: sembra scontato, ma in realtà sono molti gli aspiranti startupper che si avvicinano alle primissime fasi di attività con un’idea non focalizzata.
L’obiettivo finale di questo primo step è quello di avere ben chiaro il problema che si vuole risolvere, chi sono i clienti e quale soluzione gli si offre. Quanto più chiaramente si riesce a rispondere a queste domande, tanto meglio sarà possibile affrontare la pianificazione e la ricerca necessarie a lanciare la startup sul mercato, aumentando le possibilità di successo del business.

La questione cruciale da risolvere per superare il primo step è la seguente: “Quale problema stiamo cercando di risolvere?”
Gli imprenditori, infatti, sono pagati per risolvere un problema: se le persone possono risolverlo da sole, non sono disposte a pagare qualcun altro per farlo. Essere il più chiari possibili sul problema che si vuole risolvere aiuta a svolgere al meglio le attività di product design, preparandosi ad offrire un prodotto/servizio che i clienti vorranno davvero acquistare.
Quando il problema è ben definito, si può capire qual è la ragione di base per la quale i clienti decidono di acquistare il prodotto: si tratta di un aspetto fondamentale per facilitare le attività successive di acquisizione clienti, consentendo alla startup di risparmiare tempo, denaro, risorse.

2) Una volta identificato il problema e trovata una soluzione da offrire ai clienti, la domanda da porsi per lo step successivo è: “Chi è disposto a pagare per il mio prodotto/servizio?”.
Prima di investire troppo tempo e denaro in una startup, infatti, bisogna affrontare la fase di testing per capire se esiste un mercato abbastanza ampio per il nostro prodotto.

Il miglior modo in assoluto per testare un prodotto è chiedere alle persone di comprarlo: tuttavia, non sempre è possibile testare la propria business idea attraverso le vendite. Ecco perchè esistono altre possibili attività di testing che permettono ad una startup di capire se il suo prodotto può essere vincente.

Qualsiasi siano gli strumenti di testing che si sceglie di implementare, bisogna sempre tener presente che i migliori risultati si ottengono raccogliendo più dati ed informazioni possibili.
E se i primi test danno risultati negativi, è possibile tornare indietro e trovare nuove soluzioni da offrire, o un problema differente da risolvere.

3) Il terzo e ultimo step si basa su due momenti chiave: planning e action.
La pianificazione è fondamentale per un’attività di impresa, in quanto consente al team di sapere giorno per giorno quali sono le attività da implementare e i risultati da raggiungere: senza una destinazione ed un piano, non si può andare da nessuna parte.

Una corretta pianificazione dei passi da compiere per raggiungere obiettivi e risultati predefiniti consente di ridurre al minimo i rischi insiti in qualsiasi attività di business: contrariamente a quanto si possa pensare, infatti, i migliori imprenditori non sono dei “risk takers”, ma sono coloro che lavorano sodo in termini di planning e ricerca per ottenere le più elevate probabilità di successo possibili.

Una corretta pianificazione tiene conto dei possibili problemi che potranno presentarsi in futuro: pensare strategicamente consente di ottenere un vantaggio competitivo rispetto alla concorrenza. Inoltre, riduce la possibilità di errori che potrebbero essere decisamente costosi per la startup, in quanto le modifiche sono più difficili da implementare quando il lancio sul mercato è ormai già effettuato.

Infine, la vera differenza tra successo e fallimento può essere rappresentata dall’azione vera e propria: da questo punto di vista, il documento più importante è rappresentato da un buon business plan. Il business plan rappresenta una vera e propria mappa per la startup e consente di avere ben chiaro sia le azioni da implementare che la direzione verso cui ci si sta muovendo.

Di seguito, pubblichiamo la mappa concettuale dei tre step per lanciare una startup pubblicata dal portale Ready Set Startup:

mappaconcettuale

FONTI:

Napoli, 07/07/2015

Customer e Brand Loyalty: un percorso rapido ed efficace in tre step per startup che vogliono costruire la fedeltà del cliente

Paige O’Neill è CMO (Chief Marketing Officer) per SDL ed ha venti anni di esperienza lavorativa in ruoli dirigenziali nel settore marketing. Di recente, ha pubblicato un interessante post su Lean Back, rubrica di The Economist Group, riguardo uno dei temi centrali per startup: la Brand (o Customer) Loyalty.

Il post della O’Neill si propone di definire un approccio in tre step per accelerare il processo di costruzione del brand commitment e della fedeltà di marca, partendo dai risultati di una ricerca di mercato particolarmente autorevoli effettuate sull’argomento a inizio 2014.
Tale ricerca analizza un panel di clienti globale, che rappresenta quattro generazioni in sei continenti, nove mercati e in cinque lingue: secondo i risultati, un brand oggi deve “corteggiare” i clienti per almeno due anni prima di avere un livello accettabile di brand loyalty.
Ma la curva della brand loyalty non si ferma ai primi due anni: il vero e proprio punto di svolta, che consente all’azienda di ottenere una considerevole crescita dei ricavi, è attualmente fissato dopo cinque anni dall’inizio degli investimenti sul cliente.

Si tratta obiettivamente di un periodo troppo lungo, che nessuna azienda e in particolare nessuna startup può permettersi di attendere: da qui, la necessità di fissare un programma per diminuire i tempi di costruzione della brand loyalty.
Il programma proposto da Paige O’Neill si articola in tre step:

1) Focalizzarsi sui customer mandates più importanti

Secondo la ricerca, esistono 55 fattori critici che dovrebbero guidare la strategia aziendale in termini di customer commitment. Tra questi fattori, esiste un sottogruppo di elementi che risultano essere di particolare rilevanza per il cliente: è proprio su questi che bisogna concentrare gli sforzi e le risorse aziendali. Le domande da porsi, secondo l’autrice del post, devono servire a capire se il marketing dell’azienda riesce a creare una relazione con il cliente che sia basata su un equo scambio di valore, se l’azienda è in linea con l’etica dei clienti, se ha una leadership sul mercato rispetto ai concorrenti e se tale leadership è percepita dai clienti. Si tratta, in ultima analisi, di assicurarsi che il brand sia in grado di soddisfare le esigenze emotive dei clienti: solo in questo caso è possibile costruire la brand loyalty su basi solide.

2) Soddisfare le esigenze funzionali al miglioramento della customer experience

Come specifica Paige O’Neill, la customer experience deve “incarnare la promessa del marchio”: deve essere rilevante, continua, coerente, significativa e reciprocamente gratificante.
Per ottenere una customer experience con queste caratteristiche, l’azienda deve sviluppare un’esperienza integrata multicanale: ciò implica che i dati dei clienti vengano utilizzati e gestiti dall’azienda in maniera tale da inviare dei messaggi pertinenti e affidabili.
Per questo step è necessario analizzare le preferenze dei clienti per ciascun canale di comunicazione e le eventuali variazioni geografiche di tali preferenze. La brand loyalty, infatti, può essere costruita efficacemente se le attività di marketing si concentrano sui canali più rilevanti per il pubblico chiave dell’azienda.

3) Perfezionare la customer journey eliminando i possibili attriti

La customer journey è il percorso decisionale ed operativo che il cliente attraversa nelle varie fasi che lo portano alla decisione di acquisto. E’ fondamentale, nella costruzione della brand loyalty, che l’esperienza multicanale offerta dall’azienda al cliente sia il più possibile variegata: ad esempio, la O’Neill consiglia di prevedere una varietà di canali (on-line e off-line) per dare al cliente la massima possibilità di scelta.
Inoltre, la direzione più efficace che la comunicazione del brand deve assumere nell’attuale contesto di mercato è quella di creare cosiddetti “content in context”, ossia facendo in modo che i contenuti e i clienti possano incontrarsi davvero.
I clienti devono avere la possibilità di costruire e ritagliare i propri percorsi personalizzati di acquisto: in questo modo è possibile costruire al meglio la brand loyalty, con un percorso breve ed efficace adatto alle esigenze di una startup.

Per leggere il post originale di Paige O’Neill: http://www.economistgroup.com/leanback/consumers/sdl-research-how-to-build-customer-loyalty/

Napoli, 16/12/2014

Il Bullseye Framework: un processo in cinque fasi per aiutare le startup a generare Traction

Gabriel Weinberg e Justin Mares sono gli autori di un interessante manuale dedicato alle startup dal titolo “Traction – A Startup Guide to Getting Customers”: il testo è incentrato sulla presentazione del “Bullseye Framework”, un processo in cinque fasi che viene utilizzato dalle aziende di successo per generare traction, ed è quindi utile ai founders di startup che sono in cerca dei canali di marketing più utili a portare l’azienda verso la fase di crescita successiva.

Il tema della Traction è di rilevanza centrale per una startup, ma in molti casi viene trascurato dai founders: spesso, i team sono concentrati per mesi a lavorare sul prodotto, per poi iniziare a pensare alla Traction solo quando si trovano ad affrontare il lancio sul mercato. La Traction andrebbe invece curata in tutte le fasi di vita dell’azienda: dovrebbe essere uno sforzo continuo, focalizzato sulla ricerca dei migliori canali di acquisizione dei clienti.

Nella maggioranza dei casi, invece, le startup si approcciano alla questione in maniera casuale e non strutturata: il Bullseye Framework è utile in questo caso perché permette di seguire un processo sistematico di approccio al marketing e, in particolare, alla strategia di distribuzione.

In un articolo pubblicato sul suo blog, Gabriel Weinberg ha offerto una panoramica del Bullseye Framework e di come un approccio di questo tipo possa essere di aiuto ai founders di una startup per generare Traction. Le premesse su cui nasce il Bullseye Framework sono essenzialmente tre:

1) In ogni fase di crescita, esiste solitamente un unico canale di acquisizione clienti (traction vertical) sul quale si basa l’intera strategia della startup. Questa è una conseguenza del fatto che generare Traction è generalmente un “power law problem” (un problema basato sulla legge di potenza, ossia una relazione funzionale tra due quantità nella quale una quantità varia in maniera esponenziale al variare dell’altra).

2) Esistono circa venti differenti traction verticals che le startup possono adoperare nella propria strategia di crescita. E’ difficile prevedere quale di questi venti possibili canali di acquisizione clienti sia maggiormente adatto ad una certa startup: è però possibile (e consigliato dall’autore del post) fare delle ipotesi plausibili in merito, fermo restando le difficoltà ad individuare con certezza il canale giusto quando la startup inizia la fase di execution.

3) La maggior parte dei founders di startup ha maggiore familiarità e propensione ad utilizzare alcuni canali di acquisizione clienti, e scelgono questi ultimi in favore di altre traction verticals. Una delle conseguenze più evidenti di questa situazione è che la maggior parte delle startup si concentra su alcuni canali, lasciandone molti altri sottoutilizzati e trascurati.

Entrando nello specifico del Bullseye Framework, l’autore spiega innanzitutto che il processo si compone di cinque fasi e si basa sulla metafora del bersaglio (bullseye): il cerchio interno rappresenta le traction verticals più promettenti, diventando via via meno promettenti man mano che i cerchi si allontanano dal centro.

Entriamo adesso in una spiegazione più articolata delle cinque fasi:

FASE 1 – BRAINSTORMING

Si tratta di passare in rassegna ciascuno dei possibili canali di acquisizione clienti ed effettuare un brainstorming per capire come ogni canale si potrebbe utilizzare in maniera efficace nel momento storico specifico che la startup sta attraversando.

Questo primo step serve a contrastare i pregiudizi e costringe ad analizzare seriamente e meticolosamente ogni possibile traction vertical. Si tratta quindi di una fase che richiede tempi adeguati, ed è inoltre necessario possedere una certa conoscenza di ciascun canale per poter procedere ad una valutazione utile e coerente.
Una volta analizzati pro e contro di tutti i canali, si passa a mappare il mercato cercando di capire quali traction verticals utilizzano i concorrenti, in che modo e con quali risultati.
Infine, bisogna analizzare singolarmente i possibili percorsi ed eventuali test a basso costo che è possibile effettuare per ciascun canale di acquisizione.

La prima fase del Bullseye Framework è quella che richiede tempi più lunghi: secondo Weinberg può impegnare alcuni giorni o settimane.

FASE 2 – RANKING

Si costruisce il vero e proprio “bersaglio” suddividendo i canali di acquisizione clienti in tre colonne:

Colonna A (Inner Circle / Centro del bersaglio): quali traction verticals sembrano più promettenti in questo momento?

Colonna B (Promising / Cerchi intermedi): quali traction verticals potrebbero funzionare?

Colonna C (Long-shot / Cerchi esterni): quali traction verticals sembrano avere minori possibilità di successo al momento?

FASE 3 – PRIORITIZING

In questa fase si stabiliscono le priorità: si torna ad osservare le tre colonne e si ripensa criticamente alle scelte effettuate. Il risultato di questa fase deve essere uno schema in cui si posizionano le prime tre traction verticals nella colonna A, sei canali nella colonna B e il resto nella colonna C.

FASE 4 – TESTING

I tre canali di acquisizione clienti posizionati nella colonna A rappresentano il centro del bersaglio: occorre iniziare una serie di test su queste tre traction verticals, avendo cura che le prove avvengano in parallelo.

FASE 5 – FOCUSING

Se una delle tre traction verticals del centro del bersaglio inizia a dare segni di early traction, significa che la startup ha trovato il canale giusto (per il momento): a questo punto, il consiglio dell’autore è quello di raddoppiare gli sforzi e le risorse su questo canale, cercando di ottenere i migliori risultati possibili in termini di Traction.

Se, invece, nessuna delle tre traction verticals testate sembra funzionare, occorre tornare alla fase 1 e ricominciare il processo, facendo tesoro delle informazioni e dell’esperienza.

In ogni caso, a prescindere che la startup scelga di utilizzare o meno il Bullseye Framework, è fondamentale approcciarsi alla Traction scegliendo un processo strutturato.

 

Per leggere il post originale di Gabriel Weinberg: http://www.gabrielweinberg.com/blog/2013/01/the-bullseye-framework.html

Napoli, 08/08/2014

Consigli alle startup: i passi per raggiungere la leadership nel mercato di riferimento

Per una startup di successo è fondamentale riuscire a raggiungere una buona posizione nel proprio mercato di riferimento: lo scopo finale dovrebbe essere quello di ricoprire la posizione da leader di mercato, riuscendo ad ottenere risultati migliori di quelli dei concorrenti.

Naturalmente il primo passo è che la startup riesca ad avere un buon prodotto da proporre: questo, però, rappresenta solo il “biglietto da visita” di una startup. Possono essere decine i concorrenti in grado di fare un buon prodotto, ecco perchè può essere utile individuare alcune caratteristiche e alcuni punti fondamentali per una startup che voglia conquistare la leadership sul mercato di riferimento.

I primi consigli utili sono tratti da un recente post pubblicato da StartupSmart con la firma di Amanda Jesnoewski (esperta di comunicazione e copywriting a VelocityMedia), che focalizza l’attenzione su tre aspetti essenziali per una startup che voglia essere leader di mercato, e non limitarsi semplicemente seguire i concorrenti: questi consigli possono aiutare i founder ad iniziare a costruire l’approccio giusto per raggiungere il successo con la propria startup.

1) Rimanere concentrati sui clienti, non sui concorrenti

Si tratta del modo migliore per far crescere il business ed espandere la quota di mercato di una startup: bisogna sempre preoccuparsi dei clienti, imparare a conoscerli meglio in modo da poter lavorare in maniera pertinente e mirata sul prodotto/servizio e sulle attività di marketing.

Ciò che consente ad una startup di raggiungere la leadership di mercato anziché continuare ad inseguire la concorrenza è scoprire le opportunità per differenziarsi, capire cosa vuole davvero il cliente e lavorare continuamente sull’innovazione e sul valore aggiunto da offrire.

Seguendo questo approccio, afferma Amanda Jesnoewski, saranno i concorrenti a doversi preoccupare di seguirvi.

2) Anticipare le esigenze e le tendenze

Secondo l’autrice un vero leader di mercato è colui che non si accontenta di soddisfare le esigenze attuali dei clienti, bensì è colui che lavora per scoprire ed anticipare le esigenze future.

Ciò si traduce nell’impegno a costruire modelli previsionali, ad analizzare eventuali trend e tendenze che si stanno formando, ad essere sempre aggiornati sulle nuove tecnologie che potranno avere un impatto nel proprio settore di riferimento. Ma soprattutto, significa rimanere in costante ascolto della clientela.

L’impegno a monitorare, scoprire e anticipare le tendenze future aumenta la possibilità della startup di raggiungere la leadership di mercato perché la mette in condizione di arrivare in anticipo rispetto ai concorrenti, che si troveranno invece costretti ad “inseguire”.

3) Giocare sui propri punti di forza

Ogni azienda ha i propri punti di forza: può trattarsi del know-how, del personale specializzato, dell’alta qualità di prodotti e servizi, della creatività e delle idee, del livello di servizi al cliente, del busget, etc.

Qualsiasi sia il punto di forza, la startup deve assicurarsi sempre di utilizzarlo adeguatamente per trarne il massimo vantaggio possibile: come spiegato dall’autrice del post, invece, spesso la tendenza dei team è quella di concentrarsi sui propri punti di debolezza o sui punti di forza dei concorrenti. Questo atteggiamento, però, non aiuta a costruire il vantaggio competitivo.

Oltre ai consigli appena elencati di Amanda Jesnoewski, il tema della leadership di mercato per le startup è stato affrontato anche da Ilya Pozin, startupper seriale che ha fondato la sua prima società a 17 anni, in un post pubblicato da Inc.com qualche tempo fa. Pozin propone una vera e propria scaletta composta da 9 step, destinata a startup che cercano di raggiungere la leadership nel proprio mercato di riferimento. I 9 step rappresentano altrettante domande cui la startup deve rispondere e riguardano fondamentalmente tre grandi aree di riferimento, corrispondenti a tre fasi del processo di crescita di una startup: Health (step 1 – 3), Growth (step 4 – 6) e Leadership (step 7 – 9).

1) L’azienda è redditizia?

Sembra una domanda scontata, ma è comunque un fattore critico: il team può avere passione e unità di intenti, ma se non ci sono profitti la startup non va da nessuna parte.

2) Siete in grado di generare vendite?

Le vendite, oltre ai profitti, rappresentano la colonna portante dell’azienda. Bisogna assicurarsi di generare un adeguato volume di vendite nel futuro.

3) Siete in grado di generare contatti?

Non importa se al momento non ne avete bisogno. Qualora si rivelasse necessario in futuro, sareste in grado di farlo?

4) I clienti sono soddisfatti?

Cosa direbbero i vostri clienti se qualcuno li intervistasse in questo momento? I clienti soddisfatti sono la base della solvibilità di un’impresa.

5) Avete formalizzato una strategia di vendita?

Occorre avere ben chiaro come si pensa di raggiungere ed acquisire nuovi clienti per il futuro: non è possibile pensare di attrarre la clientela senza un piano formale e preordinato.

6) In che modo vi differenziate?

La startup deve cercare, identificare e focalizzarsi sui propri fattori distintivi, sugli elementi che la differenziano dalla concorrenza.

7) La startup è innovativa?

Le aziende leader di mercato sono quelle che si impegnano per un’evoluzione costante, che abbracciano ogni giorno il cambiamento e non temono l’innovazione.

8) Avete una “sales culture”?

Si tratta dello “stile” con cui la startup affronta le vendite, il modo in cui si differenzia nel rapporto con la clientela rispetto ai concorrenti. Stabilire una vera e propria “cultura” in fatto di vendite significa garantire alla startup di differenziarsi rispetto alla concorrenza.

9) Sei un brand leader?

Una volta attraversati nel migliore dei modi gli 8 step precedenti, la startup dovrebbe essere sulla buona strada per realizzare la propria leadership di mercato. A questo punto i clienti dovrebbero conoscere ed apprezzare il marchio, e acquistare il prodotto anche se i prezzi sono superiori a quelli dei concorrenti. A questo punto l’azienda è brand leader, e le entrate sono tali da garantire la crescita del business anche per gli anni successivi.

FONTI:

Napoli, 23/06/2014

Consigli utili per startup e imprese: come costruire la fiducia del cliente in un rapporto basato sulla comunicazione digitale

Anna Danés ha avuto una serie di esperienze lavorative in startup di diversi Paesi del Mondo (Asia, Europa, USA) prima di fondare Ricaris, un’azienda specializzata in internet services. Inoltre, è specializzata in materia di gestione del personale e lavora affinché le aziende possano creare un ambiente lavorativo migliore per i propri team.

Di recente, ha pubblicato un articolo su WeWork dedicato al tema “Una relazione digitale: come lavorare con clienti che non hai mai incontrato di persona”. Si tratta di un argomento di interesse per startup e imprese, in particolare per quelle che lavorano sulla base della realizzazione di progetti costruiti sulle esigenze di singoli clienti, come nel B2B: spesso, infatti, si i clienti non si incontrano mai faccia a faccia e la comunicazione si basa su e-mail o altri strumenti “a distanza”. Da queste situazioni nasce l’esigenza di imparare a costruire la fiducia del cliente, nonostante non ci sia mai stato un reale incontro.

Per costruire la fiducia con il cliente in una situazione di questo tipo il primo consiglio di Anna Danés è quello di raccogliere quante più informazioni possibili: anche se questo processo richiede del tempo, è di fondamentale importanza per dare al cliente la possibilità di avere fiducia nei servizi e nelle capacità dell’azienda. Può essere utile, una volta raccolte le informazioni, inviare al cliente una sintesi scritta (summary): ciò mostrerà la vostra attenzione e il vostro interesse per le esigenze del cliente.

In secondo luogo, è fondamentale definire chiaramente le aspettative e le fasi del progetto: occorre impostare e condividere con il cliente una vera e propria timeline nella quale siano ben focalizzate le aspettative di entrambe le parti.
Avere una chiara definizione delle aspettative delle parti coinvolte è la chiave per il successo di una relazione.
Inoltre, se ci si rende conto dopo i primi incontri di non poter soddisfare tutte le aspettative del cliente, è fondamentale proporre delle soluzioni alternative per consentire comunque il raggiungimento dei risultati desiderati su una distanza temporale realistica.

Ancora, è fondamentale alimentare il più possibile il rapporto con il cliente: non avendo mai avuto la possibilità di un contatto visivo e di una stretta di mano, occorre compensare tale mancanza concentrandosi il più possibile sulla comunicazione. E’ importante mantenere sempre un certo stile nelle comunicazioni, non spazientirsi di fronte a molte domande, ma anzi assicurarsi di aver risposto correttamente e chiedere al cliente un feedback.
Altri piccoli suggerimenti elencati nell’articolo a questo proposito sono:

– cercare di personalizzare il rapporto, senza sconfinare troppo nel privato, ma mostrandosi amichevoli;
rompere la “barriera digitale” con l’invio di un omaggio, con il logo dell’azienda, per inviare un messaggio positivo e che ricordi i valori aziendali;
– anche se la comunicazione è prevalentemente digitale, preparare un documento cartaceo sul lavoro svolto dall’azienda (come ad esempio un opuscolo) da inviare per posta al cliente;
coinvolgere il cliente chiedendogli feedback e pareri su come vorrebbero migliorare il servizio offerto.

Inoltre, secondo Anna Danés è opportuno impostare la comunicazione più adatta alle esigenze del cliente: in termini di mezzo di comunicazione (e-mail, telefono) e di frequenza dei contatti. Per raggiungere questo obiettivo è importante essere flessibili e riuscire ad adattarsi alle esigenze di ciascun cliente.

Infine, un suggerimento per i casi in cui qualcosa va storto: occorre giocare di anticipo, non aspettare che sia il cliente a scoprire che c’è stato un errore o che c’è un problema. Bisogna comunicarlo subito e con chiarezza, spiegando qual è il problema e che soluzione si propone, agendo in maniera proattiva: mai inviare semplicemente un messaggio in cui si informa dell’esistenza di un problema, occorre segnalare sempre la relativa soluzione.

Con grande probabilità, conclude Anna Danés, se la relazione con il cliente è stata costruita seguendo tutti i passaggi descritti ogni eventuale incidente potrà essere superato senza intaccare il buon rapporto con il cliente.

Per leggere l’articolo originale da cui è tratto questo post: http://www.wework.com/magazine/knowledge/digital-relationship-work-clients-youve-never-met-person/

Napoli, 04/06/2014

Value Cycles, Revenue e metriche: concetti-chiave per il processo di crescita di una startup

Jiquan Ngiam è nel team di Coursera, una piattaforma di formazione che offre corsi on-line gratuiti in tutto il mondo attraverso partnership con le migliori università e organizzazioni a livello globale.
Nella sezione “Startup Strategy” di www.medium.com Ngian ha pubblicato un suo interessante contributo dedicato a quelli che definisce i quattro step fondamentali per una grande startup.

Quando una startup inizia a crescere e ottenere traction, spesso il team si trova a dover prendere delle importanti decisioni riguardo agli aspetti su cui concentrare attenzione e risorse per mantenere i ritmi di una crescita efficace. Come punto di partenza della sua analisi, Ngian sceglie il concetto di Value Cycles (cicli del valore): qualsiasi sia il prodotto preso in considerazione, c’è sempre alla base un ecosistema formato da produttori e consumatori di valore.

Rispetto al concetto di Value Cycles una startup può essere vista come un intervento all’interno dell’ecosistema finalizzato ad aumentare la quantità di valore consumata: ciò avviene attraverso la creazione di valore, moltiplicando/distribuendo valore, aumentando il consumo di valore o attraverso strumenti/mezzi che aumentano il valore consumato.

Tra gli esempi scelti dall’autore per spiegare questo concetto c’è Airbnb: la startup utilizza il valore latente costituito dalle stanze vuote di molte case e le collega con i viaggiatori in cerca di una stanza da affittare. In questo modo, hanno trovato una fonte di valore non sfruttata (latente) e creato un prodotto che consente la creazione ed il consumo di valore per i proprietari delle case e per i viaggiatori.

Una volta creato il nuovo valore, occorre conventirlo in Revenue: si tratta di una conversione spesso complicata, che dipende dal valore effettivamente consumato. Ad esempio, un utente che ricerca su Google “assicurazione auto” ottiene grande valore che sarà facilmente convertito in revenue. Un utente che, invece, cerca “video divertenti” otterrà allo stesso modo un grande valore che sarà difficilmente monetizzabile.

In termini di business model, occorre in primo luogo capire il valore che si sta creando e, successivamente, scoprire le opportunità di convertire tale valore in revenue: una startup, inoltre, dovrebbe tener presente il fatto che la conversione value/revenue diventa spesso più semplice con l’implementazione di una nuova funzione.

Altro aspetto importante per una startup in fase di crescita è quello delle metriche: capire quali siano le metriche chiave da tenere sotto controllo nelle fasi early stage è fondamentale quanto capire i value cycles e le revenue.
Si tratta di un aspetto che difficilmente le startup riescono a tenere sotto controllo in maniera efficiente: nelle prime fasi, infatti, si tende ad osservare metriche quali il numero di utenti iscritti o le visite al sito internet.

Ma ciò che conta davvero è capire come si crea e come cresce il valore: occorre quindi comprendere e misurare i cicli di creazione del valore, per poter individuare le metriche davvero utili a monitorare la crescita di una startup.

In conclusione, quindi, Ngiam riassume ed elenca le sue idee in quelli che definisce i 4 step per una grande startup:

1) Comprendere il flusso di valore nel vostro ecosistema. Il consiglio è quello di creare un diagramma del value cycle per comprendere meglio tale flusso.

2) Concentrare il focus sulla creazione di valore. Bisogna capire quali siano gli effettivi bisogni dei clienti/utenti, lavorando al fine di individuare i problemi da risolvere con il proprio prodotto. A questo punto occorre definire il proprio prodotto in modo che offra valore agli utenti: l’ideale sarebbe individuare il valore latente nel proprio ecosistema e da qui cercare idee per nuovi prodotti.

3) Cercare nuove opportunità per convertire il valore in revenue. Occorre capire quale sia la disponibilità a pagare per i diversi tipi di valore e se esistono delle condizioni supplementari che possano sbloccare la conversione. In questa fase è importare tenere sempre ben presente il fatto che i clienti pagano per il valore ricevuto, non per le funzioni o la tecnologia che caratterizzano il prodotto.

4) Determinare le metriche giuste per monitorare la crescita di valore. Si tratta di uno step indispensabile per assicurarsi che si sta fornendo valore alla clientela.

Per leggere il post originale di Jiquan Ngiam: https://medium.com/startup-strategy/7e943ffcd27c

Napoli, 23/04/2014