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Tag: leadership

Team Management: come gestire le situazioni problematiche e creare una squadra che funzioni come un ecosistema

Patty McManus è senior consultant presso la Interaction Associates, società che si occupa a livello globale di leadership, collaborazione e team management. Di recente Fast Company ha pubblicato un suo articolo sulla gestione dei team “difficili”, elencando tre possibili tipologie di questi ultimi e definendo il così detto “Ecosystem team” con le caratteristiche e i passaggi fondamentali per costruire il team ideale.

Il team è sicuramente un argomento chiave per il successo di qualsiasi business, in particolare rappresenta il fulcro alla base di una startup in crescita. E’ quindi fondamentale che il leader (o founder) sia in grado di gestire e comunicare in maniera efficace con la propria squadra, imparando a mantenere il giusto equilibrio tra la posizione “di comando” e la vicinanza al team di lavoro.

Ci sono essenzialmente tre tipologie di team problematici, che McManus elenca nel suo articolo:

1) The War Zone

Questa tipologia di team si caratterizza per atteggiamenti come il guardarsi le spalle, la formazione di “fazioni” interne, le manovre nascoste. Si tratta di una situazione in cui i componenti sono particolarmente competitivi tra loro, e i leader si trovano costretti a tener conto di queste dinamiche per mantenere il controllo.

In situazioni di questo tipo, infatti, è difficile raggiungere un accordo e spesso i leader si trovano nell’impossibilità ad agire di concerto con il team per raggiungere gli obiettivi aziendali. A volte si è costretti a mandare messaggi contradditori al team, intaccando ancora di più le possibilità di lavorare insieme per le persone coinvolte.

2) The Love Fest

In questo caso, invece, tutti gli sforzi e le attenzioni del team sono finalizzate ad andare d’accordo: il rischio è che team di questo genere tendono all’isolamento, e ad auto-convincersi di sapere già tutto ciò che bisogna sapere per lavorare al meglio.

Uno degli aspetti più difficili in team di questo genere è la tendenza ad evitare problemi e conflitti per mantenere intatta l’armonia all’interno del gruppo.

3) The UnTeam

Si tratta di team che in realtà funzionano separatamente, in cui l’unico collegamento è il leader. Qui le riunioni e i meeting sono utilizzati come occasione di aggiornamento sullo stato dei lavori e la comunicazione è di tipo “top-down”. Hanno poche o addirittura nessuna prospettiva condivisa, anche relative ad aspetti più ampi come la vision aziendale, e spesso i membri vedono le riunioni come una perdita di tempo.

In situazioni di questo genere, le persone coinvolte possono anche andare d’accordo a livello individuale, ma non ci sono connessioni nè uno scopo condiviso.

Il Team come Ecosistema

La sana alternativa a queste situazioni difficili, secondo l’autore è il team visto come Ecosistema. Sappiamo che in natura, un ecosistema è in buona salute quando conserva la biodiversità grazie all’adattamento alle circostanze e alle minacce ambientali. Allo stesso modo, i team sani, soprattutto in una situazione economica dinamica come quella attuale, devono connsentire l’armonia e il rispetto tra componenti con valori e prospettive differenti.

Quando il team funziona come un ecosistema, le attività non restano bloccate perchè si lavora sui dati e sulle conoscenze individuali dei membri, trovando su queste basi delle soluzioni in comune accordo. Eventuali divergenze di opinione sono viste come sfide in cui cimentarsi e non come situazioni in cui combattere per far vincere la propria idea.

In queste situazioni, inoltre, la comunicazione è sana e rispettosa, non forzata, e funziona attraverso riunioni strutturate. Il processo decisionale è chiaro a tutti i componenti del team oltre che al leader, il quale tra l’altro non opera in maniera autoritaria ma con un processo equo ed equilibrato, in grado di intervenire per superare eventuali empasse. I problemi e i conflitti si risolvono in maniera semplice, contando su dinamiche basate sulla fiducia.

Per costruire un team di questo genere è necessario lavorare con impegno e attenzione, e con la collaborazione attiva del leader e di tutti i componenti del team. Inoltre, ci sono delle priorità sulle quali il leader dovrebbe concentrarsi, che Patty McManus individua nel suo articolo:

1) Gestire le differenze

Un leader efficace non rifugge all’idea di avere nel proprio team persone con competenze importanti ma con opinioni differenti: sa che, per mantenere rapporti civili e rispettosi, deve stabilire delle regole e impegnarsi a farle rispettare. Un vero leader lavora per creare uno “spazio sicuro” nel quale ciascuno possa esprimere le proprie idee, anche quando sono in disaccordo, offrendo un modello di comportamento basato sull’aspettativa che i conflitti vanno affrontati e risolti.

Il leader deve però essere sempre consapevole delle possibili reazioni dei membri del team di fronte ad eventuali conflitti e disaccordi: deve essere in grado di contenere tali reazioni ed invitare il team a riformulare le proprie opinioni in maniera differente, per favorire lo scambio di opinioni, anzichè soffocarlo.

2) Costruire una sana interdipendenza

Un vero leader sa che all’interno del team è importante creare sinergie utili: ciò non significa, però, che il leader debba essere responsabile di tali sinergie, nè che debba essere sempre presente a gestire e supervisionare tutte le comunicazioni all’interno del team.

Occorre invece saper creare le giuste interdipendenze, per le quali è indispensabile il sostegno reciproco tra i componenti della squadra di lavoro in termini di obiettivi, competenze e prospettive. Se questo tipo di interdipendenza costruttiva è assente, il leader deve provare a crearla favorendo lo scambio di input e il dialogo all’interno del team.

Uno strumento molto utile in questo senso è lo scambio di feedback: il leader deve assicurarsi che i membri del team si dicano direttamente ciò che pensano tra loro, senza scaricare le critiche tra colleghi sul leader. Il leader efficace favorisce la diffusione del feedback diretto all’interno del team.

3) Non “chiudersi” ai rapporti con l’esterno

A volte c’è il rischio che, nel tentativo di cementare il team, si ricada nell’errore di “isolarsi” troppo dalla realtà esterna. Invece, soprattutto per una startup, è fondamentale mantenere vivi i contatti con l’esterno e soprattutto con i potenziali clienti.

Bisogna quindi creare quella che McManus definisce una sorta di membrana semi-permeabile tra il team e il sistema esterno, ad esempio invitando alcuni ospiti ad assistere, in via informale, alle riunioni. In questo modo sarà possibile capire cosa pensa la gente dell’azienda e del lavoro che il team sta portando avanti.

Per leggere il post originale: http://www.fastcompany.com/3033275/3-types-of-dysfunctional-teams-and-how-to-fix-them

Napoli, 25/07/2014

Consigli alle startup: quando si tratta di partnership, la scelta più giusta è seguire la regola “Gli opposti si attraggono”

Chris Klündt è founder e presidente di StudyBlue, un’app dedicata al collaborative learning che consente alle persone di raccogliere informazioni per poter padroneggiare qualsiasi argomento: nata come un progetto accademico, è oggi un’azienda con oltre 5 milioni di utenti.
Klündt ha recentemente pubblicato un post su Entrepreneur dedicato alle startup e, nello specifico, tema della scelta di un partner.

Convenzionalmente si è portati a credere che un buon team sia composto da persone con personalità simili e competenze complementari: in generale, poi, le persone scelgono di avvicinarsi a chi è simile a loro, a persone di cui sentono di poter aver fiducia.

Ma una delle regole base dell’innovazione è quella di tenersi sempre al di fuori della propria “zona di comfort”: per questo, la scelta di un business partner per una startup deve ricadere, secondo Klündt, su qualcuno che riesca a sfidare continuamente e in maniera costruttiva le nostre opinioni, qualcuno che ci porti a ripensare le nostre decisioni. Il punto è che il partner dovrebbe essere qualcuno in grado di espandere la nostra vision, non di confermarla.

Ecco perchè, per una startup, vale la regola secondo la quale “gli opposti si attraggono”: scegliendo come partner qualcuno che sia completamente diverso da noi, è possibile creare quella che l’autore definisce una vera e propria forza della natura all’interno dell’azienda, che può rendere la startup abbastanza forte da affrontare le varie sfide osservando i fattori in gioco da angolazioni differenti.

L’autore parte dalla propria esperienza personale con StudyBlue per motivare la sua idea e analizza i fattori che reputa centrali per scegliere il partner giusto per una startup, basandosi sulla convinzione che dovrebbe essere totalmente differente da noi:

1) Secondo Klündt, troppo spesso i giovani startuppers (soprattutto nel settore tech) tendono a sopravvalutare le proprie potenzialità e sottovalutano quelle dei veterani del mercato. La stessa StudyBlue è nata a causa della frustazione di Klündt nel riscontrare la scarsità di offerta nel settore delle risorse educative: all’epoca era ancora un ingegnere alle prime armi impegnato negli studi al college. Pochi anni dopo, Klündt ha incontrato Becky Splitt: una mamma con 15 anni di esperienza nel settore tech con la quale aveva ben poco in comune.

Nonostante i due fossero così diversi da formare un team davvero improbabile, oggi Klündt ammette che la scelta di fare di Becky Splitt il CEO di StudyBlue è stata la svolta per il successo della sua startup. In qualità di founder, il giovane Klündt sapeva come creare un buon prodotto, ma non aveva l’esperienza necessaria per affrontare le sfide che il mercato poneva. E’ stata proprio Becky Splitt a trasformare StudyBlue in una startup di successo.

Quindi, Klündt conclude che un giovane founder alle prese con una startup tecnologica dovrebbe scegliere come partner una persona con anni di esperienza, in grado di affrontare i problemi che l’azienda incontra giorno dopo giorno sapendo di poter contare sulle competenze e la professionalità acquisita negli anni.

2) Altro aspetto fondamentale da tenere in considerazione secondo Klündt riguarda i concorrenti: scegliere un concorrente come partner può essere un’ottima strategia, in quanto significa unire le forze per sviluppare un progetto migliore, con maggiori potenzialità di crescita rispetto a due progetti concorrenti.

Un esempio di come questa strategia possa risultare vincente è Ministry of Supply, un brand che fonde moda e tecnologia nato dall’unione tra due progetti differenti che avrebbero potuto essere in concorrenza sul mercato: i tre founder hanno deciso di fondere le proprie tecnologie e competenze in un unico progetto, ottenendo una startup di successo.

3) A volte, accettare di essere in disaccordo può essere la chiave per raggiungere il successo: impegnarsi in una partnership con chi la pensa in maniera differente da noi stimola il confronto e la messa in discussione, producendo effetti positivi sulla startup.

Ne sono un esempio Matthew Bellows e Cashman Andrus, rispettivamente CEO e CTO di Yesware: il primo è il tipico venditore, un sognatore spiccatamente ottimista, mentre il secondo è il tipico tecnico, problem-solver orientato alla pratica e al realismo. Le loro personalità opposte sono proprio il motivo per cui hanno deciso di lavorare insieme.

Collaborare con chi ha una prospettiva differente significa ritrovarsi a discutere su qualsiasi argomento, ma queste accese discussioni portano alla fine a prendere decisioni migliori: questa è l’esperienza del team di Yesware, sales e-mail service che conta oggi oltre 450.000 utenti in tutto il mondo e che ha raccolto capitali per 20 milioni di dollari da fondi tra cui Google Ventures.

In conclusione, Klündt sostiene che la scelta di un executive partner con background e punti di vista differenti ha sicuramente alcuni svantaggi, ma i pro superano di gran lunga i contro: la startup potrà infatti contare su una leadership dinamica, in grado di osservare le cose da una prospettiva a tutto tondo sul prodotto e sul mercato. Inoltre, la giusta quantità di attriti è una delle basi per il successo.

Per leggere il post originale di Klündt: http://www.entrepreneur.com/article/235029

Napoli, 27/06/2014

Consigli alle startup: i passi per raggiungere la leadership nel mercato di riferimento

Per una startup di successo è fondamentale riuscire a raggiungere una buona posizione nel proprio mercato di riferimento: lo scopo finale dovrebbe essere quello di ricoprire la posizione da leader di mercato, riuscendo ad ottenere risultati migliori di quelli dei concorrenti.

Naturalmente il primo passo è che la startup riesca ad avere un buon prodotto da proporre: questo, però, rappresenta solo il “biglietto da visita” di una startup. Possono essere decine i concorrenti in grado di fare un buon prodotto, ecco perchè può essere utile individuare alcune caratteristiche e alcuni punti fondamentali per una startup che voglia conquistare la leadership sul mercato di riferimento.

I primi consigli utili sono tratti da un recente post pubblicato da StartupSmart con la firma di Amanda Jesnoewski (esperta di comunicazione e copywriting a VelocityMedia), che focalizza l’attenzione su tre aspetti essenziali per una startup che voglia essere leader di mercato, e non limitarsi semplicemente seguire i concorrenti: questi consigli possono aiutare i founder ad iniziare a costruire l’approccio giusto per raggiungere il successo con la propria startup.

1) Rimanere concentrati sui clienti, non sui concorrenti

Si tratta del modo migliore per far crescere il business ed espandere la quota di mercato di una startup: bisogna sempre preoccuparsi dei clienti, imparare a conoscerli meglio in modo da poter lavorare in maniera pertinente e mirata sul prodotto/servizio e sulle attività di marketing.

Ciò che consente ad una startup di raggiungere la leadership di mercato anziché continuare ad inseguire la concorrenza è scoprire le opportunità per differenziarsi, capire cosa vuole davvero il cliente e lavorare continuamente sull’innovazione e sul valore aggiunto da offrire.

Seguendo questo approccio, afferma Amanda Jesnoewski, saranno i concorrenti a doversi preoccupare di seguirvi.

2) Anticipare le esigenze e le tendenze

Secondo l’autrice un vero leader di mercato è colui che non si accontenta di soddisfare le esigenze attuali dei clienti, bensì è colui che lavora per scoprire ed anticipare le esigenze future.

Ciò si traduce nell’impegno a costruire modelli previsionali, ad analizzare eventuali trend e tendenze che si stanno formando, ad essere sempre aggiornati sulle nuove tecnologie che potranno avere un impatto nel proprio settore di riferimento. Ma soprattutto, significa rimanere in costante ascolto della clientela.

L’impegno a monitorare, scoprire e anticipare le tendenze future aumenta la possibilità della startup di raggiungere la leadership di mercato perché la mette in condizione di arrivare in anticipo rispetto ai concorrenti, che si troveranno invece costretti ad “inseguire”.

3) Giocare sui propri punti di forza

Ogni azienda ha i propri punti di forza: può trattarsi del know-how, del personale specializzato, dell’alta qualità di prodotti e servizi, della creatività e delle idee, del livello di servizi al cliente, del busget, etc.

Qualsiasi sia il punto di forza, la startup deve assicurarsi sempre di utilizzarlo adeguatamente per trarne il massimo vantaggio possibile: come spiegato dall’autrice del post, invece, spesso la tendenza dei team è quella di concentrarsi sui propri punti di debolezza o sui punti di forza dei concorrenti. Questo atteggiamento, però, non aiuta a costruire il vantaggio competitivo.

Oltre ai consigli appena elencati di Amanda Jesnoewski, il tema della leadership di mercato per le startup è stato affrontato anche da Ilya Pozin, startupper seriale che ha fondato la sua prima società a 17 anni, in un post pubblicato da Inc.com qualche tempo fa. Pozin propone una vera e propria scaletta composta da 9 step, destinata a startup che cercano di raggiungere la leadership nel proprio mercato di riferimento. I 9 step rappresentano altrettante domande cui la startup deve rispondere e riguardano fondamentalmente tre grandi aree di riferimento, corrispondenti a tre fasi del processo di crescita di una startup: Health (step 1 – 3), Growth (step 4 – 6) e Leadership (step 7 – 9).

1) L’azienda è redditizia?

Sembra una domanda scontata, ma è comunque un fattore critico: il team può avere passione e unità di intenti, ma se non ci sono profitti la startup non va da nessuna parte.

2) Siete in grado di generare vendite?

Le vendite, oltre ai profitti, rappresentano la colonna portante dell’azienda. Bisogna assicurarsi di generare un adeguato volume di vendite nel futuro.

3) Siete in grado di generare contatti?

Non importa se al momento non ne avete bisogno. Qualora si rivelasse necessario in futuro, sareste in grado di farlo?

4) I clienti sono soddisfatti?

Cosa direbbero i vostri clienti se qualcuno li intervistasse in questo momento? I clienti soddisfatti sono la base della solvibilità di un’impresa.

5) Avete formalizzato una strategia di vendita?

Occorre avere ben chiaro come si pensa di raggiungere ed acquisire nuovi clienti per il futuro: non è possibile pensare di attrarre la clientela senza un piano formale e preordinato.

6) In che modo vi differenziate?

La startup deve cercare, identificare e focalizzarsi sui propri fattori distintivi, sugli elementi che la differenziano dalla concorrenza.

7) La startup è innovativa?

Le aziende leader di mercato sono quelle che si impegnano per un’evoluzione costante, che abbracciano ogni giorno il cambiamento e non temono l’innovazione.

8) Avete una “sales culture”?

Si tratta dello “stile” con cui la startup affronta le vendite, il modo in cui si differenzia nel rapporto con la clientela rispetto ai concorrenti. Stabilire una vera e propria “cultura” in fatto di vendite significa garantire alla startup di differenziarsi rispetto alla concorrenza.

9) Sei un brand leader?

Una volta attraversati nel migliore dei modi gli 8 step precedenti, la startup dovrebbe essere sulla buona strada per realizzare la propria leadership di mercato. A questo punto i clienti dovrebbero conoscere ed apprezzare il marchio, e acquistare il prodotto anche se i prezzi sono superiori a quelli dei concorrenti. A questo punto l’azienda è brand leader, e le entrate sono tali da garantire la crescita del business anche per gli anni successivi.

FONTI:

Napoli, 23/06/2014

Consigli per startup e imprese in tema di team management: come gestire correttamente il feedback per i componenti del team?

In un recente post pubblicato dal Blog Network della Harvard Business Review, la giornalista freeleance Rebecca Knight (The New York Times, USA Today, The Financial Times, The Economist) affronta un argomento di grande rilevanza per i founder di una startup, che si ritrovano a dover gestire un team e a capire come fornire ai componenti dei feedback in maniera costruttiva ed efficace.

Secondo gli esperti, fornire un feedback non è responsabilità esclusiva del team leader: prima di tutto, perché non è possibile che un’unica persona abbia la responsabilità di tutto ciò che accade all’interno di una startup e in generale di un’azienda, visto che difficilmente è possibile avere un quadro chiaro e dettagliato di tutto ciò che accade. Inoltre, se c’è una sola persona a lodare o criticare le dinamiche interne del team ne risentono.

Il compito di chi gestisce un team è innanzitutto quello di garantire che tutti i componenti forniscano regolamente dei feedback costruttivi. Inoltre, gli esperti sostengono che è fondamentale fornire al team delle aspettative: un elemento basilare per una responsabilità di leadership condivisa.

Il primo consiglio dell’autrice è quindi quello di impostare prima possibile le aspettative: per lavorare bene insieme, infatti, i componenti di un team devono operare sulla base di una mentalità comune, avere ben chiari i propri obiettivi e le regole da seguire. Nelle prime fasi di vita di una startup, il team deve decidere come lavorare insieme e, soprattutto, come gestiranno la responsabilità reciproca: è opportuno avere un accordo esplicito sull’argomento, con le regole da rispettare per far funzionare al meglio l’intera squadra.

Un altro suggerimento è quello che prevede dei regolari momenti dedicati al check-in, ossia degli incontri durante i quali il team può fare il punto della situazione sull’andamento del lavoro. In generale, all’inizio una startup dovrebbe prevedere tali appuntamenti in maniera strutturata, inserendoli nella timeline del progetto: in seguito, durante la fase di execution, è possibile approcciarsi ai check-in con maggiore flessibilità.

Ancora, per dare e ricevere feedback in maniera efficace è importante porre delle domande generali, da rivolgere all’intero team. Con il passare del tempo, poi, sarà possibile inserire dei momenti di approfondimento individuali: una volta che il team è abituato a confrontarsi regolarmente, a lavorare in squadra e a condividere le risposte, è possibile affiancare delle richieste di feedback sul lavoro di squadra ai singoli componenti del team.

Altro aspetto da tener presente è quello che l’autrice del post definisce un vero e proprio mantra del team management: mentre per le relazioni con i singoli vale la regola “Lodare pubblicamente, criticare in privato”, quando si tratta di gestire situazioni problematiche a livello di team il consiglio è quello di affrontare le difficoltà apertamente, in un confronto aperto a tutti i componenti. Solo dopo aver fatto confrontare il team al completo, sarà possibile rivolgersi ai singoli componenti ponendo domande come: “Cosa hai sentito durante l’incontro con il team? Come hai intenzione di cambiare la situazione? In che modo posso aiutarti a farlo?”.

Naturalmente, in una startup (come in un’azienda di qualsiasi tipo) i conflitti tra colleghi sono inevitabili: chi gestisce il team però non può affrontare il problema direttamente, non essendovi realmente coinvolto. Ciò che è possibile fare quando si gestisce una startup è formare i membri del team a sostenere conversazioni scomode, affrontare eventuali problemi, facilitare la risoluzione di conflitti. Inoltre, è importante aiutare i membri del team a costruire la fiducia tra loro: un buon lavoro è possibile soltanto se tra le persone coinvolte esistono buoni rapporti, basati sul confronto aperto.

Infine, l’ultimo suggerimento di Rebecca Knight è quello di pianificare al termine di ogni progetto un incontro per fare il check-in della situazione: si tratta di un momento fondamentale per capire cosa ha funzionato e cosa non ha funzionato, e di conseguenza capire come affrontare al meglio il lavoro in futuro. E’ importante che i risultati siano raccolti in una relazione finale, che non dovrà essere esclusivamente per chi detiene la leadership: anzi, è fondamentale che tale relazione venga sottoposta a tutti i membri del team, per dare a tutti l’opportunità di migliorare in vista dei progetti futuri.

L’articolo originale da cui è tratto questo post (che termina con l’esposizione di due interessanti Case Study sul tema) è disponibile al seguente link: http://blogs.hbr.org/2014/06/how-to-give-your-team-feedback/

Napoli, 19/06/2014

Consigli per startup e imprese: l’importanza del pensiero strategico nel processo decisionale aziendale

Nick Tasler è CEO di Decision Pulse e creatore del sistema di apprendimento integrato “Think Strategically & Act Decisively”, utilizzato, tra gli altri, da aziende del calibro di Microsoft e dalla Royal Bank of Canada. Di recente il Blog della Harvard Business Review ha pubblicato un suo post dedicato al tema della Pianificazione Strategica e ad alcuni “falsi miti” che ostacolano tale attività fondamentale per startup e imprese di ogni settore.

Tasler parte da quella che definisce la forma più semplice di pensiero strategico: decidere su quali opportunità concentrare il proprio tempo, risorse e denaro e quali opportunità lasciar perdere. Per spiegare meglio ciò che si intende per pensiero strategico, cita Napoleone Bonaparte (che definisce uno dei più grandi pensatori strategici della storia), secondo il quale “Per concentrare al massimo le forze in un luogo, bisogna economizzare le forze negli altri“. Per descrivere lo stesso concetto, Michael Porter afferma invece che “L’essenza della strategia è decidere cosa non fare“.

Passando ad un livello successivo, più vicino alla pianificazione strategica aziendale, il pensiero strategico può riguardare varie tipologie di scelte: Tasler elenca, a titolo di esempio, la possibilità di liquidare una società per acquistarne un’altra, o la decisione di concentrare la maggior parte delle risorse in un unico settore chiave. In ogni caso, esistono tre falsi miti che possono incidere negativamente sulla pianificazione strategica, che l’autore mette in evidenza nel suo post:

1) La produttività è l’obiettivo

La produttività riguarda il “fare” qualcosa. Il pensiero strategico riguarda il fare “la cosa giusta nel modo giusto“. Corollario di queste affermazioni è che la strategia richiede di lasciar perdere alcune cose, suscitando delle emozioni e reazioni spiacevoli. Quando si lasciano dei progetti a metà o si decide di non iniziarli affatto viene a mancare quella sensazione di fiducia e di controllo che deriva dal perseguire un obiettivo concreto: ma nel gestire un’azienda occorre combattere questo fenomeno psicologico universale di “avversione al lasciar perdere” che deriva dal dover abbandonare un progetto nel quale si è investito tempo e denaro. Tasler mette in guardia gli imprenditori: è possibile che ci si trovi a dover affrontare la reazione negativa del team, nel momento in cui gli si comunica che uno dei loro progetti o l’intero reparto è stato “retrocesso” in favore di altri progetti più “preziosi”.

Di fronte a tali difficoltà, si può essere tentati di perseguire l’obiettivo della produttività: ma concentrarsi sul volume di produzione non è la stessa cosa di concentrarsi sul perseguimento dell’eccellenza. Secondo Tasler, infatti, “senza una strategia, la produttività è priva di significato“. Il passo fondamentale da cui partire è capire quali siano le “cose giuste” su cui concentrarsi.

2) Il lavoro del leader è identificare “che cosa è importante”

L’autore propone un semplice e rapido esercizio: stilare una lista di tutti i progetti, le attività e le iniziative cui il team sta lavorando e tracciare una linea su tutte le voci che non sono importanti.
Il 99% dei team non barrerà nessuna voce in elenco: ogni progetto cui il team sta lavorando è importante per qualcuno dei componenti, ogni voce elencata ha il proprio “valore aggiunto” per l’azienda. Questo dimostra che discutere su ciò che è importante è un’attività futile: i pensatori strategici devono decidere su quali progetti e attività focalizzarsi, non semplicemente quali sono le cose importanti. Anzi, Tasler afferma che il vero leader strategico è colui che, tra una serie di opportunità importanti, sceglie su quali focalizzarsi e quali, invece, lasciar perdere.

Mentre i team con focus sulla produttività spendono ore e ore, anche di straordinario, per portare a compimento un progetto importante dopo l’altro, i team strategici scelgono quali sono i progetti che maggiormente contribuiscono a realizzare la strategia aziendale, mettendo in attesa gli altri progetti importanti.

3) Il pensiero strategico è semplicemente “pensare”

La leadership strategica non è un problema matematico né un esperimento di pensiero. In ultima analisi, il pensiero strategico deve portare all’azione strategica. Un’accurata analisi costi/benefici, le previsioni, i fogli di calcolo, lo studio dei trend sono del tutto inutili se non sfociano in una decisione attuabile. Nonostante le incertezze, le complessità, i rischi, la possibilità di fallimento un vero leader strategico deve intensificare e far lavorare il team e le risorse comunicando chiaramente su cosa concentrarsi e su cosa no.

L’autore chiude il suo post riprendendo nuovamente il pensiero di Napoleone: “Non c’è nulla di più difficile, e quindi di più importante, dell’essere capaci di decidere“. Probabilmente è questa la caratteristica più importante che un imprenditore deve possedere per detenere posizioni di leadership.

Il post originale è disponibile al seguente link: http://blogs.hbr.org/2014/05/3-myths-that-kill-strategic-planning/

Napoli, 22/05/2014

Percorsi di innovazione in azienda: i pro e i contro degli approcci top-down e bottom-up

Vishal Kumar è un imprenditore esperto in tema di innovazione, con focus particolare sul tema Web e Big Data Analytics, Sviluppo Software, Social Media Strategy e Lean Innovations. Attualmente è founder di Cognizeus, società specializzata nell’analisi dei Big Data che offre sistemi di gestione dei dati per la crescita sostenibile delle aziende.

Kumar ha pubblicato un suo recente articolo sulle differenze tra percorsi di innovazione bottom-up e top-down: in un percorso di innovazione bottom-up, le idee e gli spunti per l’innovazione in azienda provengono “dal basso”, ossia da clienti e dipendenti. Nel percorso di innovazione top-down, viceversa, gli spunti provengono dalla leadership aziendale.

Secondo Kumar, ciascuno dei due percorsi ha pregi e difetti, ma l’approccio bottom-up è più efficace per l’innovazione aziendale: per raggiungere la sua tesi, Kumar ha raccolto dati in merito ad entrambi gli approcci, fino a giungere alla conclusione che i benefici di una strategia di innovazione bottom-up superano nella maggior parte dei casi quelli di una strategia di innovazione top-down.

Nel suo post, infatti, Kumar elenca quelli che sono, a suo parere, i benefici di una strategia di innovazione che segue un percorso bottom-up:

1) Data sets you free: i dati rendono liberi.

Il punto di partenza di Kumar per spiegare quest’affermazione risiede in quello che egli definisce “l’incubo più spaventoso per qualsiasi business”: una decisione aziendale errata.
Qualsiasi decisione aziendale porta con sè dei rischi non sempre facilmente misurabili: ma basarsi sui dati per prendere le decisioni consente di diminuire sensibilmente il rischio, consentendo di prendere decisioni più “calcolate” e di conseguenza più sostenibili in termini di rischio. Una strategia bottom-up si caratterizza per essere guidata da un processo decisionale “data driven”, basato su dati misurabili, con la conseguenza di ottenere un’innovazione meno rischiosa e più sostenibile.

2) L’innovazione basata sui feedback dei clienti aiuta a plasmare le caratteristiche “core” del business e ad accrescere la fiducia della clientela.

Secondo Kumar, i clienti sono i più grandi appassionati di qualsiasi prodotto. Sono loro che investono tempo e denaro per integrare un prodotto nella propria vita ed è per questo che nessuno, più dei clienti, è adatto a indicare i cambiamenti, i miglioramenti e le innovazioni necessarie ad un prodotto.
Per implementare un processo di innovazione bottom-up basato sui feedback della clientela occorre stare il più vicino possibile ai clienti, prendere in attenta considerazione i loro pareri e basare le decisioni di innovazione su questi.

3) L’innovazione è solo un passo avanti, ma un posizionamento customer centric è il vero successo.

Per ottenere tutti i vantaggi di un processo di innovazione bottom-up, è necessario cambiare l’intera configurazione della cultura aziendale impostandola in modo che sia “customer centric”, centrata sul cliente. Ciò significa, secondo Kumar, che l’azienda deve imparare ad ascoltare attentamente i clienti e utilizzare i dati ottenuti come guida per una gestione efficace ed ottimale del business. Il risultato sarà, assieme ad un processo di innovazione sostenibile e vincente, che la clientela sarà sempre più soddisfatta.

4) La democrazia porta sempre avanti le idee migliori.

Secondo Kumar, quando si decide di impostare un processo di innovazione aziendale bottom-up, entra in gioco la democrazia come strategia vincente per filtrare le migliori idee su cui basare le decisioni innovative. Bisogna quindi ascoltare tutti i pareri e tenere in attenta considerazione quelli “più gettonati”.

5) Far passare le idee “top-down” attraverso il processo bottom-up.

Se la leadership aziendale ha una grande idea innovativa, o un’intuizione che sembra poter avere successo sul mercato, è possibile farla comunque passare attraverso un processo bottom-up proponendola a clienti e dipendenti per ottenere i loro feedback. In questo modo sarà possibile raccogliere dei dati utili per prendere le decisioni più efficaci e per testare le probabilità di successo dell’intuizione. Inoltre, se ci sono dei punti deboli da modificare, un processo di valutazione bottom-up di un’intuizione della leadership aziendale consente di metterli a fuoco e rimediare.

In conclusione, Kumar afferma che le strategie di innovazione dovrebbero partire da un percorso bottom-up abilmente affiancato da decisioni top-down: in questo modo, l’azienda è in grado di prendere il meglio da ciascuno dei due approcci prendendo le idee innovative “dal basso” e filtrandole/sviluppandole basandosi sui dati e sui feedback di clienti e dipendenti.

Per leggere il post originale: https://www.linkedin.com/today/post/article/20140422124336-1853953-why-bottom-up-innovation-trumps-top-down-innovation?goback=.mpd2_*1_*1_*1_*1_*1_*1_20140422124336*51853953*5why*5bottom*5up*5innovation*5trumps*5top*5down*5innovation&trk=prof-post

Napoli, 22/04/2014

I falsi miti per le startup in tema di crescita e scalabilità

La scalabilità è uno degli aspetti che caratterizzano una startup, in particolare una startup tecnologica: tutti i business plan di un’azienda di questo tipo, prima o poi, devono prevedere una strategia per scalare a livello globale. Scalare in maniera errata, però, può essere il modo più facile e veloce per portare una startup al fallimento: di questo tema hanno recentemente parlato Robert Sutton e Huggy Rao, con il loro “Scaling Up Excellence”.

Sutton e Rao sono tutor esperti di startup tecnologiche a Stanford, e nel loro lavoro hanno studiato i casi di maggior successo di startup che hanno scalato il mercato globale..
In un pubblicato da “Startup Smart” con la firma di Rose Powell, sono raccolti alcuni spunti fondamentali per capire il processo di scalabilità più adatto ad una startup tecnologica, partendo dai cinque falsi miti più frequenti sull’argomento.

1) Scalare è un processo di rapida crescita basato su decisioni rapide

Guardando a casi di successo globale come Twitter, Google e Facebook sembra naturale pensare che tutte le decisioni e i momenti fondamentali per l’implementazione del processo di crescita siano state prese in tempi brevi. In realtà, Sutton afferma che le decisioni fondamentali per il processo di scalabilità delle aziende di maggior successo sono state prese con calma, prendendosi il tempo giusto per riflettere.

Un esempio chiave di quanto sia importante concentrarsi sui risultati anziché sui tempi di execution è il processo di assunzione del personale (tema che abbiamo affrontato di recente in questo post del nostro blog): Sutton spiega questo punto prendendo ad esempio Google, che fin dall’inizio ha sempre trattato con grande attenzione il processo di selezione del personale, dimostrandosi molto esigente. Le persone assunte da Google sono molto abili tecnicamente e dotate di grandi capacità di leadership per far sì che il personale potesse crescere insieme alla società.

Sutton specifica che, pur mantenendo un atteggiamento esigente e rigoroso, i founders di una startup devono occuparsi delle selezioni del personale senza mostrare arroganza, né la convinzione che il loro business scalerà a livelli globali.

2) Il conflitto uccide la società

Quando una startup inizia a crescere, diventa inevitabile affrontare alcuni argomenti nel team, come ad esempio gli aspetti del business su cui focalizzarsi: Sutton è convinto che imparare a discutere in maniera costruttiva all’interno del team, anche di fronte ad eventuali divergenze, è di vitale importanza per la crescita di una startup.

Fondamentale da questo punto di vista la chiarezza, il rispetto e la condivisione da parte di tutti i membri del team degli obiettivi a medio termine della startup. Inoltre, è importante secondo Sutton seguire l’esempio di FIrefox: quando il CEO John Lily si è reso conto che i suoi dipendenti iniziavano a temerlo, ha deciso di affrontare regolarmente gli argomenti riguardanti le decisioni da prendere per la crescita del business assieme agli altri membri del team, dando a ciascuno la possibilità di esprimere il proprio parere.

3) Per scalare occorre aumentare il numero di membri del team più velocemente possibile

Secondo Sutton, un’altro falso mito pericoloso per una startup in fase di crescita è la convinzione che, quando si tratta del team, “più grande è, meglio è”: l’idea che per scalare sia fondamentale far crescere il numero di componenti del team è pericolosa per una startup. Selezionare il personale in fretta aumenta il rischio di scegliere le persone sbagliate.

Sutton aggiunge che, spesso, l’idea di aumentare il numero di dipendenti viene dalla pressione degli investitori: ciò accade perché hanno fretta di vedere fruttare il proprio capitale.
Ma una startup non ha bisogno di assumere personale, specialmente quando sta ancora sviluppando il prodotto/servizio che dovrà poi lanciare sul mercato. La scelta migliore per una startup è mantenere “lean” il business e la squadra, almeno finché non iniziano le vendite.

4) Dobbiamo restare piccoli, altrimenti la nostra cultura ne soffrirà

Sutton sfata immediatamente questo mito: la crescita rapida e globale non uccide una startup, se questa sa costruire il processo di scala in maniera smart. La chiave per mantenere intatta la cultura aziendale, infatti, è la stessa esaminata al punto precedente: mantenere team poco numerosi.

Ne è un esempio il caso di Amazon, il cui motto è “Non bisogna mai avere un team che non possa essere sfamato con due pizze”: la differenza tra un team di 5 persone e uno di 11, come spiega Sutton, è infatti enorme. Secondo le statistiche, la durata massima dei team numerosi è sette anni: dopo questo periodo, infatti, la comunicazione e i rapporti interpersonali iniziano a scemare.

La tendenza emergente, e più adatta alle startup, è quella di avere piccoli team come la startup australiana 99designs. Al crescere del numero di membri, infatti, la cultura aziendale si perde più facilmente perchè l’efficacia delle comunicazioni diminuisce.

5) La burocrazia e le gerarchie vanno evitate perchè uccidono l’innovazione e la produttività

Sicuramente la flessibilità sul lavoro è un aspetto piacevole per il team di una startup: ma questa può funzionare solo agli inizi. Quando una startup inizia a scalare, ha bisogno di implementare una struttura e definire dei processi, per crescere in maniera efficace sul mercato globale.

Sutton afferma che una startup in crescita ha bisogno di manager, organizzazione gerarchica e processi strutturati: basta poco, infatti, per trasformare la flessibilità in caos e mancanza di disciplina, rendendo il team un organismo fuori controllo. Le startup hanno invece bisogno di dotarsi di una struttura, di una leadership definita e di un processo ordinato a livello strategico per crescere a livelli globali.

Per leggere il post originale, qui il link di riferimento.

Napoli, 12/03/2014

Consigli alle startup: strategie utili per gestire lo stress del team ed evitare il burnout

Il burnout è una problematica molto diffusa tra i team delle startup, dove spesso occorre lavorare con il massimo impegno e a ritmi molto elevati per accelerare il percorso di crescita e di sviluppo del business: un buon CEO, quindi, deve essere in grado di guidare il proprio team in modo tale da evitare il burnout, consentendo a tutti di dare il meglio di sé senza, tuttavia, farsi sopraffare troppo dal lavoro.

Scott Gerber, founder dello Young Entrepreuner Council, ha raccolto nel suo ultimo contributo pubblicato da readwrite.com i consigli di 9 CEO di startup di successo che sono riuscite a portare equilibrio nel proprio lavoro e in quello dei propri team, facendo in modo tale che ciascuno dia il massimo senza arrivare al punto di rottura del burnout.

1. Focus sulle priorità

Quando il team lavora allo sviluppo del progetto, è responsabilità del CEO e dello staff dei senior aiutarli a focalizzarsi sulle priorità, per non disperdere energie e risorse. Un consiglio è quello di chiedere a tutti di stilare la propria to-do list, e di concentrare il lavoro sugli aspetti prioritari delle liste di ognuno.

E’ importante tener presente che nessuno è in grado di far tutto, e farlo bene: aumentare la produttività non significa necessariamente fare tutto ciò che è segnato sulla lista, ciò che è veramente importante per essere efficaci ed efficienti è mettere a fuoco le priorità e lavorare su quelle, per massimizzare l’impatto del lavoro sulla crescita del business.

2. Trovare gli ostacoli e rimuoverli

Immaginiamo una situazione in cui il CEO decide di modificare il programma e, per attuare la modifica, chiede di incontrare un membro del team: quest’ultimo dovrò cambiare il suo programma e, di conseguenza, tutti i membri del team dovranno cambiare il proprio.

Il CEO e i membri senior del team devono imparare a riflettere attentamente sull’impatto che le loro decisioni hanno sull’intera squadra e, conseguentemente, sull’intera produttività dell’azienda. Bisogna valutare attentamente la programmazione e, se necessario, chiedere direttamente al team e ai dipendenti dei suggerimenti.

Spesso i dipendenti possono essere timorosi nell’esprimere i propri pareri: è compito di un buon leader imparare a chiedere feedback e suggerimenti per il buon andamento dell’azienda.

3. Uso creativo delle risorse

Un utilizzo smart e creativo delle risorse è un’ottima strategia per aumentare i ricavi e gestire i momenti di stallo nella crescita di una startup. La maggior parte dei founders tendono a prediligere personale a tempo pieno fin dagli inizi della vita aziendale: ciò però può avere ripercussioni sulla flessibilità e avere costi molto elevati.

All’inizio della vita di una startup può essere utile avere un piccolo nucleo di dipendenti a tempo pieno per creare un core team. Le altre mansioni possono essere svolte da liberi professionisti, società offshore e collaboratori che abbiano le competenze utili a far scalare e crescere la startup nelle fasi iniziali di sviluppo.

4. Focus sui margini e sulla mission

Un business in espansione è un lavoro ricco di soddisfazioni, ma può essere molto stressante: diventa quindi fondamentale creare dei processi che facciano sentire il team tranquillo durante il periodo di crescita del business. L’approccio più utile è in questo caso quello focalizzato sui margini e la mission.

Di fronte a qualsiasi nuova opportunità bisogna chiedersi: “Accettare questa sfida è in linea con la nostra mission aziendale e, allo stesso tempo, ci consente di aumentare i nostri margini?”. Se la risposta non è affermativa per entrambi gli aspetti, è meglio lasciar perdere.

5. Essere comprensivi

Crescere molto e in maniera troppo veloce causa al team di una startup un alto livello di stress: il sovraccarico di lavoro fa sentire i membri del team frustrati. In questi casi è fondamentale l’atteggiamento con cui ci si approccia al problema: occorre essere comprensivi, simpatizzare con i dipendenti e fargli capire che “siamo tutti sulla stessa barca”.

Un atteggiamento comprensivo verso i problemi del team consente al CEO di trovare un dialogo per risolvere il malcontento e aumentare la produttività, aiutandoli ancora una volta a concentrarsi su ciò che è davvero indispensabile.

6. Mettere la propria vita prima del business

Mettere la propria vita privata davanti al proprio lavoro aiuta i dipendenti ad essere più produttivi e fa ottenere alla startup risultati migliori. Un esempio può essere quello di concedere al team la flessibilità di orario e di location: in questo modo, ciascuno impara a gestire i propri tempi nel modo più opportuno, e ha la possibilità di lavorare nel luogo che ritiene gli sia più congeniale.

Chiedere ai dipendenti di sacrificare tempo dedicato alla famiglia, agli hobbies, agli amici non aiuta la crescita del business: aggiunge ulteriore stress e avvicina la possibilità che si verifichi il burnout.
Al contrario, offrire loro la libertà di scelta li aiuta ad essere più efficaci e aumenta la fiducia e la lealtà verso l’azienda.

7. Rimuovere la gerarchia all’interno dell’azienda

Per una startup è importante non avere una gerarchia interna: le persone hanno maggiore probabilità di sentirsi stressate se si sentono inferiori a qualcun altro. Occorre offrire a tutti la possibilità di essere partecipi, creando un ambiente di lavoro ricco di energia positiva.

8. Stabilire dei ruoli ben definiti

In una startup è fondamentale definire attentamente il ruolo di ciascun componente del team: ciascuno avrà una lista dettagliata dei propri compiti e delle proprie attività, che sarà sempre condivisa con gli altri membri della squadra. In questo modo, ognuno è consapevole di ciò che tutti gli altri fanno.

Diventa quindi particolarmente utile conservare in un file apposito tutte le liste, rendendolo accessibile in qualsiasi momento a tutti i membri del team: ciò aiuta il team a conoscere attentamente la struttura della società e a rimanere focalizzati sui propri compiti ed attività.

9. Stabilire le priorità ed esternalizzare

Una volta che ogni dipendente ha la propria to-do list, è possibile chiedere a ciascuno di loro di segnalare le attività che soltanto loro possono svolgere. Sapere quali sono queste attività è indispensabile per il management della startup, che può capire quali attività è possibile esternalizzare e quali no.

Il post originale è disponibile a questo link:
http://readwrite.com/2014/03/03/startup-ceos-teams-burnout#awesm=~oxxqDzcTruQA76

Napoli, 04/03/2014

Consigli alle startup: prodotto, leadership, team management

Deep Nishar è SVP of Products and User Experience a LinkedIn. E’ responsabile dell’impostazione e dell’esecuzione della strategia di prodotto globale dell’azienda e supervisiona la gestione del prodotto, l’analisi dei dati, le vendite online, il business development, la user experience e il design.

Nishar ha 20 anni di esperienza lavorativa nel settore, in aziende del calibro di Google e ha pubblicato recentemente nel suo blog su HBR – Harvard Business Review un post molto interessante in cui mette in relazione le politiche di realizzazione dei prodotto con il management del personale: secondo Nishar, infatti, le imprese del settore tecnologico e in particolare le startup partono spesso dall’errata convinzione che tutte le risorse ed energie debbano essere concentrare sul prodotto, trascurando la gestione del personale.

Dalla sua esperienza, Nishar ha imparato che migliorare la soddisfazione sul lavoro e la fidelizzazione del personale è indispensabile per ottenere un prodotto migliore, e di conseguenza per far funzionare al meglio l’intera azienda: investire nella gestione del personale diventa ancor più importante in un settore come quello tecnologico, dove la competizione delle aziende per accaparrarsi i migliori talenti in circolazione è molto sentita.

Per assicurarsi che i manager del personale che lavorano nella sua azienda riescano ad ottenere i risultati desiderati, Nishar ha costruito un elenco di sette principi da perseguire per gestire al meglio la produzione e, al contempo, il personale: vediamo nel dettaglio quali sono.

1) Conosci il tuo pubblico. Dal lato della gestione del prodotto, ciò significa capire chi sono i clienti/utenti e quali sono le caratteristiche che li contraddistinguono: per ottenere questo tipo di informazioni, è necessario aprire un dialogo significativo con loro in maniera tale da ottenere i feedback necessari ad eventuali aggiustamenti.
Dal lato del management del personale, invece, significa conoscere veramente i dipendenti e i membri del team, capire quali sono le preoccupazioni, le cose che li motivano e ciò che invece li infastidisce. Nishar suggerisce di favorire il più possibile le occasioni di incontro e di dialogo, organizzando meeting e riunioni con cadenza regolare. E’ fondamentale in queste occasioni impegnarsi ad ascoltare i dipendenti e i membri del team, e comunicare al meglio gli obiettivi aziendali.

2) Semplificazione. E’ una parola chiave che tutti i manager di successo conoscono: nel prodotto, significa impegnarsi per dare a quest’ultimo le caratteristiche veramente importanti per i clienti, ponendo molta attenzione sulle decisioni relative a ciò che va eliminato per non incorrere nei pericoli della complessità. L’autore fornisce a riguardo l’esempio di Microsoft Word: tra il 1984 e il 2003, il software è passato da 40 caratteristiche a oltre 1.500, con 35 barre degli strumenti: molti utenti, frastornati e sopraffatti da tale complessità, hanno optato per soluzioni alternative più semplici.
Allo stesso modo, bisogna semplificare il lavoro dei dipendenti e del team: i superiori devono fornire in maniera chiara la mission e gli obiettivi dell’azienda, ma devono poi uscire di scena per consentire a ciascuno di fare il proprio lavoro e prendere le proprie decisioni autonomamente ogni giorno.

3) Porre dei vincoli. Riguardo al prodotto, è indubbio che avere dei vincoli in termini di tempo e risorse contribuisca ad affinare la creatività e a rispondere meglio alle esigenze dei clienti. Basta pensare, scrive Nishar, al passaggio dal web-based al mobile, e a come le aziende abbiano completamente ripensato ed adattato i propri prodotti a uno schermo di piccole dimensioni, per venire incontro alle esigenze dei nuovi clienti del settore mobile.
Anche nella gestione del personale, è possibile porre dei vincoli utili ed accuratamente scelti per favorire la creatività: ad esempio, LinkedIn lancia periodicamente “venture bet” (scommesse rischiose). Attraverso queste “ideas competition” interne all’azienda, si dà al personale una determinata quantità di tempo e risorse per realizzare un’idea innovativa. Le migliori entreranno a far parte del portafoglio prodotti aziendale. Si tratta di una situazione che simula la realtà di molte startup in fase seed: i vincoli sono di grande aiuto per stimolare la creatività e cercare le soluzioni più efficaci per far progredire l’idea e far crescere l’azienda.

4) I dati devono essere la vostra guida. Essere in possesso di dati sulle esigenze e i bisogni del cliente è fondamentale per gestire al meglio le politiche aziendali di prodotto, ma è altrettanto importante per i responsabili della gestione del personale.
Le aziende dovrebbero adoperarsi per ottenere dati sui propri dipendenti, sulle loro necessità e su quello che pensano riguardo a ciò che accade in azienda. E’ importante implementare i metodi di gestione e le politiche del personale basandosi su dati misurabili anzichè su semplici “voci di corridoio”.

5) L’innovazione non è immediata. I prodotti migliori costruiscono la propria innovazione e la propria posizione sul mercato impegnandosi a perseguire l’innovazione nel tempo, con costanza, attenzione e tenacia. Allo stesso modo, ad oggi un buon leader deve impegnarsi per costruire pazientemente un rapporto continuativo di fiducia ed autenticità basato sulla comunicazione e la collaborazione con il personale: Nishar è convinto che, anche se la costruzione di questo tipo di relazioni richiede tempi più lunghi, si tratta di momenti ben spesi.

6) Essere veloci, flessibili e pronti ad adattarsi. Nishar fornisce alcuni esempi di come alcuni tra i prodotti di maggior successo in ambito tecnologico siano nati per determinate esigenze, e siano poi arrivati al successo globale attraverso modifiche ed adattamenti successivi applicati al momento giusto: PayPal, ad esempio, nace come prodotto per lo scambio di denaro tra due Palm Pilot. Riguardo al prodotto, quindi, è fondamentale essere molto aperti al momento del lancio sul mercato, in modo da poter recepire i feedback dei clienti ed applicare al prodotto gli eventuali, necessari adattamenti.
Allo stesso modo, un buon leader deve periodicamente “tastare il polso” del proprio team, e capire se è necessario modificare i propri atteggiamenti e le politiche di gestione del personale. Ad esempio, Nishar racconta un episodio recentemente avvenuto a LinkedIn: un alto dirigente ha appreso da un sondaggio tra i dipendenti che questi ultimi avevano poco chiare le modalità con cui viene misurata la loro performance. Sono state prese immediatamente delle misure correttive: nel giro di una settimana dalla ricezione dei dati, si è tenuta una riunione per spiegare in modo chiaro, dettagliato e trasparente il processo di misurazione delle performance. I risultati del team sono ora in crescita.

7) Costruire per scalare. Nel settore della tecnologia, si parla di architetture flessibili, costruire in modo da poter “scalare” e crescere in fretta: ciò dipende soprattutto dall’elevato rischio per le aziende del settore di diventare presto obsolete.
Per costruire un’azienda tecnologica in grado di durare nel tempo, secondo Nishar è fondamentale concentrarsi sula creazione si una cultura aziendale fatta di valori forti e sufficientemente flessibili da far fronte ai cambiamenti, adattandovisi.
Ciò significa, dal punto di vista del personale, assumere persone che siano in grado di concentrarsi sulla costruzione di prodotti di grande successo, sulla mission dell’azienda e sulla propria carriera.

La conclusione di Nishar è che le aziende, che siano già affermate o ancora in fase di startup, dovrebbero investire nelle capacità di leadership dei manager del personale per poter creare e sostenere una cultura dell’innovazione nell’ambito della quale i membri del team siano incoraggiati a prendere le migliori decisioni, ad assumersi rischi intelligenti e ad eseguire una strategia di business vincente.

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Napoli, 17/09/2013

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