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Tag: customer development

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VulcanicaMente4R: startup insediate, via al percorso di validazione!

Come previsto dall’Avviso Pubblico di “VulcanicaMente: dal talento all’impresa 4 – Reloaded”, parte oggi il percorso di validazione per le 10 migliori startup dell’Open Day.

I 10 team si sono insediati negli spazi del CSI – Incubatore Napoli Est e oggi parteciperanno al Kick Off, evento di lancio del percorso di validazione cui hanno diritto, essendo arrivati tra i primi 10 all’Open Day dello scorso 14 dicembre.

Le startup del percorso di validazione di #VulcanicaMente4R, selezionate al termine della pitching session dell’Open Day, hanno iniziato questa nuova fase del programma con una giornata fitta di impegni: tra tutti, ricordiamo la Presentazione del Percorso di Validazione e del Team, a cura di Giampiero Bruno, l’approfondimento sul tema Il Mentorship Program (I Mentor, Perchè?, Come e quando? Struttura e strumenti) affidato a Cosimo Panetta e il workshop ScrumBan: Sistema di Lavoro per le Startup, curato da Marco Meola.

Ecco le startup (ciascuna con il link alla propria scheda di presentazione) che, superata la fase dei Learning Days e dell’Open Day, accedono di diritto alla nuova fase di #VulcanicaMente4R:

Il percorso di validazione per i team di #VulcanicaMente4R terminerà a settembre 2019 e sarà interamente costruito sul metodo scientifico – sperimentale costruito ad hoc per le startup. L’impianto metodologico sarà infatti un vero e proprio mix di approcci e strumenti, basati su contributi derivanti da Lean Startup e Customer Development. I dettagli dell’approccio su cui si basa il percorso sono disponibili qui.

Infine, ricordiamo che le 10 startup che partecipano al percorso di validazione di VulcanicaMente4R hanno accesso anche al montepremi in denaro, per un totale complessivo di 70.000 €.

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In bocca al lupo a tutti i team… e buon lavoro!

 

La tua startup in Spagna con Bolt Accelerator: fino a 20K e 12 settimane di mentorship

Il Bolt Accelerator Program è il programma di mentorship per startup early stage rivolto a progetti di impresa innovativi e tecnologici che aspirano al mercato globale, che si svolge nella città spagnola di Malaga.
Attualmente è aperta la call per l’accesso alla sua quarta edizione, riservata a startup europee che siano in possesso di un prototipo (o mock up).

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Il programma di accelerazione per le startup ammesse ha una durata di 12 settimane e la mentorship si focalizza su alcune tematiche chiave di valore fondamentale per la crescita di una startup: lean startup, customer development, business model canvas, etc.
Scopo finale del percorso, è quello di aiutare la startup a trovare il proprio product-market fit.

Oltre alla partecipazione al programma di accelerazione, il Bolt Accelerator offre alle startup spazi di lavoro in modalità co-working, servizi di assistenza e consulenza, opportunità di networking e la partecipazione agli eventi Demo Day e Investor Day.

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Per ciascuna delle startup selezionate, inoltre, è previsto un investimento fino a 20.000€ (a fronte della cessione del 6% in Equity). Per le migliori startup, al termine del percorso, è prevista la possibilità di accedere a finanziamenti a condizioni agevolate fino a 100.000€.

Le application possono essere effettuate entro il 31 luglio 2015 a questo link: https://www.f6s.com/boltaccelerator4thprogram/apply

Per maggiori informazioni: http://bolt.eu.com/en/

Napoli, 24/07/2015

Innovazione e metodologia Lean: dalle startup alle aziende consolidate, secondo Steve Blank

Negli ultimi 5 anni la metodologia Lean Startup ha permesso agli imprenditori di costruire startup di successo adoperandosi nella ricerca del product/market fit, piuttosto che nel lanciarsi “alla cieca” nelle attività di execution. Le aziende corporate che perseguono l’innovazione cercano un modo efficace per poter applicare i principi di Open Innovation, ma trovare una teoria unificata dell’innovazione, che sia adattabile alle esigenze di aziende corporate e, contemporaneamente, alle esigenze di sviluppo rapido di una startup non è decisamente un’impresa semplice. Ci ha provato Steve Blank, che racconta la sua esperienza e i risultati delle sue attività in un post pubblicato poche settimane fa nel suo blog.

Di recente, alcuni innovatori particolarmente coraggiosi hanno tentato di sovrapporre gli strumenti Lean e le tecniche che funzionano nelle startup ad aziende corporate ed enti governativi, ma i risultati sono stati deludenti, caotici e frustranti: in definitiva, fallimentari. Queste brevi esperienze si sono trasformate in una sorta di “Teatro dell’Innovazione”, fatto di grandi proclami e comunicati stampa, ma senza cambiamenti reali e sostanziali.

Lavorando in collaborazione con Greg Hannon, responsabile dell’Innovazione a W.L.Gore, Steve Blank ha rilevato due strumenti di corporate strategy sviluppati da persone smart che possono aiutare ad intersecare i principi di Lean Startup a quelli di Corporate Innovation:

Il primo è la nozione di “ambidextrous organization” (di O’Reilly e Tushman), secondo cui le aziende che vogliono fare innovazione devono lavorare su due binari paralleli: da un lato, continuare ad eseguire il core business aziendale, dall’altro, lavorare per l’innovazione.

La seconda grande idea per la corporate innovation è rappresentata dai “Three Horizons of Innovation”, identificati da Baghai, Coley e White. Secondo questa teoria, le aziende devono allocare le proprie innovazioni in una delle tre categorie coincidenti con altrettanti “Orizzonti”:

Horizon 1: business maturi
Horizon 2: business in rapida crescita
Horizon 3: business emergenti

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A ciascun orizzonte corrispondono focus, management, strumenti e obiettivi differenti.
I tre orizzonti forniscono una tassonomia incredibilmente utile, ma nella pratica sono utilizzati dalle aziende come una semplice schematizzazione incrementale dell’execution di un business model. In realtà, questo strumento consente di spiegare in un modo del tutto nuovo come funziona l’innovazione all’interno di un’azienda corporate.

Ecco, infatti, che Blank spiega come ottenere un’innovazione più rapida applicando gli strumenti tipici delle startup (Business Model Canvas, Customer Development, Agile Engineering) assieme alla metodologia Lean e, infine, come adattare il tutto alle necessità e peculiarità delle aziende corporate.

Punto di partenza di Blank saranno quindi i “Three Horizons of Innovation”, cui viene applicata la metodologia Lean. A questi sarà affiancato il concetto di “ambidextrous organization”, e il risultato sarà un metodo di sviluppo rapido per idee innovative all’interno di aziende già consolidate.

Applicando la metodologia Lean Startup ai “Three Horizons of Innovation”, il risultato sarà la riformulazione dei tre orizzonti nel modo seguente:

Horizon 1: attività a supporto di business model già esistenti
Horizon 2: focus sullo sviluppo di business esistenti attraverso business model parzialmente noti
Horizon 3: focus su business model sconosciuti

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Il primo orizzonte (Horizon 1) rappresenta il core business dell’azienda: qui, quest’ultima si concentra nell’execution di un business model noto (sono conosciuti i clienti, le caratteristiche di prodotto, il pricing, i canali distributivi, la supply chain, etc). Nell’Horizon 1, l’azienda utilizza capacità e competenze esistenti in attività a basso rischio. Questo tipo di gestione funziona quando esistono processi ripetibili e scalabili, dove e possibile identificare procedure, metriche, KPI per l’execution e misurare i risultati del business.

Nel secondo orizzonte (Horizon 2), l’azienda estende il suo core business cercando nuove opportunità per il suo modello di business (ad esempio, canali di distribuzione differenti, nuovi clienti che utilizzano lo stesso prodotto, nuovi prodotti da vendere ai clienti esistenti, etc). In questo caso, si utilizzano per la maggior parte delle attività capacità e competenze già esistenti in azienda e le attività presentano ancora un livello di rischio moderato. La gestione in caso di Horizon 2 rappresenta quindi una sperimentazione all’interno del business model esitente.

Il terzo orizzonte (Horizon 3) è quello in cui le aziende mettono a lavorare gli “imprenditori folli”, quelli che in una startup sono solitamente rappresentati dal CEO. Si tratta di innovatori che vogliono sperimentare nuovi e rischiosi modelli di business: in questo caso, l’azienda corporate è in una situazione molto simile a quella in cui si trova una startup in fase di incubazione. In questo orizzonte, gli “imprenditori folli” operano con grande rapidità allo scopo di trovare un business model ripetibile e scalabile. I team che lavorano a questi progetti devono essere fisicamente separati dalle divisioni operative dell’azienda (ad esempio in un incubatore d’impresa) e hanno bisogno di piani, procedure, politiche, KPI differenti rispetto a quelli utilizzati nell’Horizon 1. Inoltre, per questo tipo di progetti, bisogna prevedere team di piccole dimensioni (meno di 5 componenti) che devono confrontarsi con almeno 100 persone in 10 settimane, iterando e modificando il prodotto in base ai feedback ricevuti. Date le piccole dimensioni dei team e le scarse spese di gestione, un’azienda corporate può mettere in atto più progetti in parallelo a livello di Horizon 3.

In ogni caso, le attività svolte sugli Horizon 2 e 3 non devono mai essere totalmente distaccate dalla struttura aziendale: ecco perchè è indispensabile che i manager delle attività implementate a livello di Horizon 1 siano in costante contatto e di supporto a chi lavora alle attività a livello degli altri due Horizon.

Ma cosa accade alle innovazioni sviluppate a livello degli Horizon 2 e 3? Blank spiega che lo scopo finale è che queste vengano adottate a livello di Horizon 1, a meno che non raggiungano una dimensione talmente rilevante da poter diventare un’organizzazione autonoma, o da poter essere venduta all’esterno.

Nel caso in cui un’azienda corporate si trovi a gestire numerosi progetti a livello di Horizon 2 e 3, entra in gioco inesorabilmente il concetto di “ambidextrous organization”: i progetti innovativi devono essere sviluppati in parallelo con il business model centrale, che serve i clienti già esistenti. Per ottenere questo tipo di scenario, è fondamentale che i manager condividano un intento strategico, una vision e dei valori comuni: inoltre, la parallela esecuzione delle attività dei tre orizzonti richiedere una grande capacità di gestione e risoluzione dei conflitti.

Per leggere il post originale: http://steveblank.com/2015/06/26/lean-innovation-management-making-corporate-innovation-work/

Napoli, 15/07/2015

Fàbrica de Startups è alla ricerca di startup europee nel turismo: in palio 15 percorsi di accelerazione a Lisbona

Fàbrica de Startups è l’acceleratore portoghese con sede a Lisbona che si rivolge a startup in fase early stage, offrendo programmi di accelerazione, incubazione e formazione secondo la metodologia Lean Startup.

Al momento, Fàbrica de Startups è alla ricerca di startup nel settore del Turismo con la call for ideas “Discoveries”: in palio per i vincitori, un programma intensivo di accelerazione a Lisbona della durata di quattro settimane per testare e validare il proprio Business Model con un team di mentor internazionale.

La partecipazione a Discoveries è aperta a team in possesso di un’idea innovativa di impresa nel settore del Turismo, che rientri in uno dei seguenti topic: productivity, cities, mobility, community, hospitality, entertainment, ecommerce, big data, crowd sourcing, software as a service, market places, augmented reality.

Possono presentare domanda di partecipazione team di startup che si trovino in una delle seguenti fasi:

IDEA: il team ha un’idea da sviluppare, ma non ha ancora un Business Plan;
PROTOTYPE: l’idea è già sviluppata, esiste un prototipo e il team sta provando a raggiungere i primi risultati in termini di clienti e vendite;
LAUNCH: il team è pronto a lanciare il prodotto sul mercato.

Le application devono essere inviate entro la deadline fissata al 10 luglio 2015, attraverso il form di iscrizione disponibile al seguente link: https://www.f6s.com/discoveriessummer2015/apply

Il 17 luglio 2015 saranno annunciati i vincitori di Discoveries (fino a 15 team) che avranno accesso al percorso di accelerazione previsto tra agosto e settembre 2015. Per le startup portoghesi è previsto un rimborso spese di 500€, mentre le startup provenienti da altri Stati europei avranno diritto ad un rimborso da 1.000€.

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Il percorso si svolgerà a Lisbona, presso Fàbrica de Startups, e prevede un programma di 8 Bootcamps nelle seguenti date:

17/08/2015: Welcome Session / Teams presentation / Introduction to the Business Model / Guest Speaker – Specific Training

20/08/2015: Customer Development / Defining Hypothesis / Defining Experiments / Lessons Learned

24/08/2015: Validation process / Knowing your customer / Creating Value / Guest Speaker – Specific Training

27/08/2015: Building Relationships / Defining Key Activities / Defining Key Resources / Lessons Learned

31/08/2015: Defining Key Partnerships / Generating Revenue / Guest Speaker – Specific Training

03/09/2015: Producing Value / Revenues and Costs / Lessons Learned

07/09/2015: Planning Finances / Preparing for execution / Guest Speaker – Specific Training

10/09/2015: Training for Investment Pitch / Lessons Learned

L’evento finale di Discoveries, “Investment Pitch”, è previsto il 21 settembre 2015: i team avranno la possibilità di presentare il proprio progetto ad una platea di potenziali investitori, Venture Capitalist e Business Angel.

Per maggiori informazioni: http://www.startupdiscoveries.com/

Napoli, 05/06/2015

Consigli per startup: gli “Aha Moments”, cambiamenti di approccio fondamentali per affrontare la fase di commercializzazione

Ryan Gum è uno startup marketer originario di Sidney, che attualmente vive e lavora a Stoccolma: esperto di growth e online marketing per startup, ha un sito in cui raccoglie consigli e spunti utili per aspiranti imprenditori (http://ryangum.com/).
L’ultimo post pubblicato da Ryan Gum raccoglie otto situazioni che l’autore definisce “Aha Moments”: si tratta di otto cambiamenti di paradigma, ossia cambiamenti nell’approccio o nelle convinzioni, che egli ritiene fondamentali per uno startupper prima di arrivare alla fase di commercializzazione del prodotto.

Nel suo articolo, elenca gli otto momenti individuando per ciascuno di essi l’assunto di partenza, quello su cui normalmente ci si concentra, e di seguito il cambiamento utile, che identifica ciò su cui invece occorre concentrarsi quando la startup si prepara a introdurre sul mercato il proprio prodotto.

1) Ho bisogno di un MVP > Ho bisogno di un MDP

Il MVP (Minimum Viable Product) è un concetto basilare nella metodologia Lean Startup di Eric Reis: si tratta di una prima versione del prodotto, in possesso delle caratteristiche appena sufficienti per risolvere un problema/soddisfare un bisogno di base che permette al team di ricevere i primi feedback dai clienti. In sintesi, serve alla startup ad avere un prodotto caratterizzato dal minimo indispensabile per capire se esiste un possibile business.

Secondo l’autore, per passare alla fase di commercializzazione vera e propria il MVP deve però cedere il passo a quello che Andrew Chen (imprenditore seriale ed esperto di startup) definisce MDP (Minimum Desirable Product), ossia un prodotto centrato sulla prospettiva del cliente che crea un valore tale da soddisfare il suo bisogno e convincerlo a tornare (indipendentemente dalla redditività di tale prodotto per l’azienda).

Il MDP va quindi oltre il MVP: si tratta di un leggero cambio di prospettiva che, però, fa la differenza. L’autore, inoltre, suggerisce di costruire il MDP “pubblicamente”, ossia coinvolgere il più possibile i potenziali, futuri clienti nella fase di creazione del prodotto, ad esempio curando la comunicazione sui social. In questo modo si otterranno preziosi feedback per eventuali iterazioni e miglioramenti.
2) I miei primi 100 clienti arriveranno dal processo di scaling up > I miei primi 100 clienti arriveranno da un “combattimento corpo-a-corpo” 

“Combattimento corpo-a-corpo” è l’espressione scelta da Gum per spiegare la necessità di spendere tempo in contatto diretto con i clienti (di persona, al telefono, via e-mail) per capire esattamente come il prodotto/servizio della startup deve risolvere il problema o soddisfare i bisogni delle persone.

Questi contatti diretti devono essere portati avanti dalla startup prima di pensare ad un eventuale processo di scala: anzi, per arrivare al punto in cui è possibile scalare, occorre prima di tutto entrare in contatto con i clienti per assicurarsi che l’offerta della startup sia effettivamente adatta alle esigenze dei clienti.

Si tratta di un processo che richiede tempi lunghi e un lavoro mirato, ma, come afferma l’autore, tutte le aziende di successo hanno iniziato così: con un cliente alla volta.
Una volta contattati e soddisfatti i primi 100 clienti e possibile pensare a scalare.

3) Occorre concentrarsi sul marketing già dal primo giorno > Occorre concentrarsi sul marketing una volta individuato il Product/Market Fit

Trovare il Product/Market Fit, come affermato anche da Marc Andreesen (imprenditore di successo nel web, co-founder di Netscape e Ning), significa trovare il punto in cui si può essere sicuri di avere un buon mercato ed un prodotto/servizio per servirlo adeguatamente.

E’ solo da questo momento in poi che il prodotto inizia a “tirare” il mercato ed è quindi il momento a partire dal quale valga la pena investire in marketing: non avrebbe senso, afferma Gum, spingere un prodotto/servizio in assenza di un mercato adatto sul quale lanciarlo.

Prima di aver individuato il Product/Market Fit, infatti, le risorse investite in marketing non hanno prodotto da spingere, nè clienti da attrarre: è molto meglio investire in Customer Development, incontrando i clienti ed individuando il target di mercato per capire come definire un’adeguata value proposition.

4) Il successo deriva da una serie di vittorie > Il successo deriva dalla scoperta di ciò che non funziona, dopo una serie di tentativi falliti

L’idea generalmente valida secondo la quale il successo deriva dalla perseveranza è ancora più veritiera quando si parla di marketing: i migliori marketers, infatti, sono quelli che sanno essere umili.

Gum spiega, infatti, che 8 volte su 10 gli esperimenti e i tentativi di un marketer falliscono: ciò significa che bisogna continuare a provare, spingersi oltre, attraversare il fallimento per arrivare al successo.

Parafrasando Steve Jobs, l’autore del post afferma: Stay hungry, stay foolish, stay humble (umile).

5) Chi compone il mio target di mercato > Chi NON compone il mio target di mercato

Il consiglio è ben preciso: bisogna assicurarsi di capire bene chi NON è mio cliente e impegnare le proprie risorse per evitare di attrarlo.

Sicuramente è di importanza fondamentale, all’inizio di una startup, individuare il target di riferimento capendo qual è il cliente ideale. Ma altrettanto importante, una volta individuato il nostro target, è capire chi invece non è parte del target di riferimento.

Questo procedimento è infatti indispensabile per comunicare in maniera efficace: se si tenta di parlare a tutti, il messaggio non arriva a nessuno.

Avere come obbiettivo un target troppo ampio rende inefficace la comunicazione: ad esempio, è impensabile raggiungere con lo stesso messaggio tutte le donne di età compresa tra i 25 e i 60 anni. Se si tenta di parlare con tutte le componenti di questa fascia attraverso un unico messaggio, non sarà possibile comunicare efficacemente con tutte.

Per evitare spreco di risorse e impostare una campagna di comunicazione efficace, quindi, è fondamentale porsi, in fase di commercializzazione, la domanda: chi NON compone il mio target?
Inoltre, attrarre clienti che non sono parte del proprio target di riferimento può arrivare a danneggiare l’immagine dell’azienda, perchè non sarà facile soddisfare le richieste di coloro ai quali non è propriamente diretto il prodotto/servizio.

6) Il prodotto deve essere rivoluzionario > Prendi in prestito più possibile

Raggiungere il successo con una startup è già piuttosto difficoltoso: il consiglio dell’autore è quindi di non rendere tutto ancora più difficile pretendendo di partire da zero.

Un’innovazione deve essere disruptive, ma non necessariamente rivoluzionaria: sono molti i casi di successo di startup che hanno apportato delle modifiche e dei miglioramenti a prodotti/servizi già esistenti (Gum fa l’esempio di Uber).

L’innovazione deve essere incrementale, basata sull’iterazione e il continuo miglioramento: è molto più produttivo raccogliere ispirazione da fonti differenti e, in seguito, mettere insieme i vari aspetti di ciò che funziona per creare qualcosa di completamente nuovo.

Si tratta di ciò che Brian Harris definisce la “Formula Picasso”: trova tutti gli elementi che hanno avuto successo in altri casi, raccogli le parti migliori e applicali alle tue esigenze.

7) Ho bisogno di: strategia social, contenuti, pubblicità, PR, SEO, partnership, e-mail marketing, etc… > Scopri cosa funziona davvero e focalizzati su quello, scartando il resto

Oggi i canali di comunicazione sono così numerosi che si rischia di restare schiacciati, se si cerca di diversificare troppo profondamente la comunicazione: dall’e-mail marketing, a Facebook, a Twitter, a tutti i canali di comunicazione on-line è difficile riuscire ad essere presenti in maniera efficace su tutte le possibili piattaforme.

Una startup dovrebbe evitare di strafare: il consiglio dell’autore è infatti quello di individuare da dove provengono i segnali più forti, e di concentrare gli sforzi su quegli specifici canali (ne bastano uno o due per una startup alle prese con la fase di commercializzazione).

Una volta che i risultati iniziano ad arrivare, sarà poi possibile aumentare i canali di comunicazione spostando le risorse altrove.

8) Dobbiamo acquistare questo nuovo, incredibile STRUMENTO > Dobbiamo individuare e implementare un SISTEMA: gli strumenti consentono solo di eseguire ed automatizzare ciò che c’è già

Il team di una startup, di fronte ad un nuovo strumento (ad esempio un software gestionale), immaginano di trovare la soluzione a tutti i problemi: la tentazione di acquistarlo è forte. Ma Gum sostiene che questa scelta potrebbe rivelarsi un inutile spreco di risorse.

Gli strumenti sicuramente migliorano la vita e facilitano il lavoro, ma solo quando è già stato implementato un sistema di base: non ha senso acquistare, ad esempio, uno strumento per automatizzare il processo di marketing o di monitoraggio, se non c’è ancora un sistema/processo da automatizzare.

Il concetto è simile a quello secondo il quale i founders di una startup non dovrebbero assumere qualcuno per svolgere una certa mansione, prima che la mansione sia effettivamente reale all’interno dell’azienda.

In chiusura, Ryan Gum offre ai lettori un ultimo cambiamento di paradigma che è, a suo parere, il punto di partenza per chiunque voglia fondare una startup: bisogna passare da “Non è il momento giusto per iniziare” a “Non ci sarà mai un momento giusto: bisogna iniziare lo stesso”.

L’articolo originale da cui è tratto questo post è disponibile qui: http://ryangum.com/8-aha-moments-needed-before-marketing-your-startup/?utm_content=buffer51aa9&utm_medium=social&utm_source=twitter.com&utm_campaign=buffer

Napoli, 18/06/2014

Bootstrapping: quando la start up si auto-finanzia

La tendenza di molte start up oggi è quella di cercare il modo migliore di attrarre investitori per finanziare il business: spesso, invece, la scelta migliore è quella di auto-finanziare la propria attività. Anzichè ricorrere al Venture Capital o ai Business Angels, infatti, molte start up otterrebbero risultati migliori e duraturi affidandosi al Bootstrapping, cioè al finanziamento con mezzi propri.

Il termine Bootstrapping significa infatti “tirarsi fuori dalle difficoltà senza ricorrere all’aiuto altrui” e, secondo Andrew Gazdecki (founder e CEO di Bizness Apps, piattaforma web per app mobile destinata alle piccole imprese), presenta alcuni vantaggi rispetto al ricorso al VC: vediamo quali sono, prendendo spunto dal suo post pubblicato recentemente su Gigaom.

Per prima cosa, una start up che si auto-finanzia può concentrare la propria attenzione sui bisogni dei clienti, anzichè sugli investitori.
Spesso, infatti, una start up in cerca di finanziamenti si impegna a trovare il modo per attrarre gli investitori, perdendo di vista il modello di Customer Development fondamentale per il successo di un’azienda in fase di avvio.
Prendendo la decisione di “bootstrappare”, il team può dedicarsi senza distrazioni allo sviluppo del minimal viable product da proporre ai potenziali clienti, creando così una base più affidabile di successo per il proprio business.
Gazdecki afferma che, naturalmente, è possibile concentrarsi contemporaneamente sia sui clienti che sugli investitori: ciò che conta è non focalizzarsi totalmente su questi ultimi, trascurando i primi.

Un altro aspetto fondamentale secondo Gazdecki è che la scarsità di capitale disponibile costringe il team a stabilire dei limiti e confini utili per risolvere i problemi. Avere pochi soldi a disposizione porta il team a pensare in maniera creativa, a scegliere le opzioni più vantaggiose e a prendere le decisioni in tempi più brevi.
In questo modo viene a crearsi all’interno dell’azienda una cultura orientata al problem solving, che sarà utile anche in futuro, una volta superata la fase di start up.

Inoltre, l’urgenza di “fare cassa” aumenta l’efficienza dell’intera azienda: Gazdecki spiega che in una situazione di bootstrapping il team non spenderà giornate preziose in decisioni e discorsi che è possibile rimandare (nel post troviamo ad esempio la scelta dei colori del logo): ciò che conta è lavorare al prodotto, concentrarsi affinchè quest’ultimo risponda ai bisogni del cliente. In una situazione del genere, quindi, ci si focalizza sulle decisioni veramente urgenti, si impara a definire in maniera corretta le priorità.

Secondo Gazdecki, infine, il lavoro di una start up che opta per l’auto-finanziamento vedrà nascere spontaneamente il senso di disciplina e responsabilità tra i componenti de team: come in una famiglia di acrobati, ciascuno ha un compito da svolgere, un bersaglio da raggiungere, e un tempo ed un luogo prefissati per farlo.

In conclusione, le difficoltà incontrate nella fase di start up saranno poi ripagate da una cultura aziendale basata su sane fondamenta: orientamento al cliente, creatività, definizione delle priorità, efficienza, disciplina e responsabilità.

Ma come bisogna gestire più in concreto una start up affidandosi al bootstrapping? Proponiamo alcuni consigli utili di due protagonisti del mondo delle start up: Rosemary Peavler, con 25 anni di esperienza nell’insegnamento di Business Finance nel mondo accademico americano (qui il suo decalogo “How to Bootstrap Your Startup or New Business“) e Guy Kawasaky, manager ed imprenditore americano CEO di garage.com, che finanzia iniziative hi-tech in Silicon Valley (qui il suo post “The Art of Bootstrapping“).

Innazitutto troviamo alcuni suggerimenti di base, come fare attenzione ai costi, evitare il più possibile gli sprechi, fare attenzione ai costi per la gestione del magazzino, affidarsi al co-working e allo scambio alla pari come mezzo di pagamento.

E’ importante inoltre costruire un team e assumere personale giovane: sia perchè ciò implica costi inferiori, sia perchè i giovani sono più creativi e motivati.

Kawasaki pone inoltre l’accento sull’importanza del minimal viable product: non bisogna aspettare che il prodotto sia perfetto, è importante entrare nel mercato e proporre una “versione base” al pubblico.

Un altro suggerimento utile è quello di concentrarsi all’inizio sulla vendita di servizi anzichè di prodotti, che presenta costi inferiori.

Ancora, è importante concentrare i propri sforzi su pochi obiettivi fondamentali e non sprecare risorse: bisogna avere cura delle funzionalità e non della forma.

Inoltre, Kawasaki suggerisce di evitare complicate strategie di posizionamento e focalizzarsi sulla scelta più semplice: posizionarsi contro il leader di mercato.

Ma l’aspetto più importante secondo Kawasaki è quello della conoscenza, ossia tenere gli occhi bene aperti sulla realtà affidandosi ad un semplice calcolo: attenzione al rapporto tra denaro disponibile e denaro speso, perchè solo quello può dire qualcosa su “how much longer you can live“.

Napoli, 29/05/2013

I 4 tipi di mercato e la Customer Discovery per start up: i consigli di Steve Blank

In un recente post pubblicato nel blog The Accelerators del Wall Street Journal, Steve Blank parla delle 4 tipologie di mercato e dà consigli agli aspitanti startupper per approcciarsi a ciascuna di esse: il punto di partenza è che ogni mercato ha le proprie caratteristiche e la startup dovrà affacciarsi ad esso con gli strumenti giusti, per ottenere le informazioni di cui ha bisogno senza spendere grosse cifre per strategie di marketing e di pricing.

Le quattro tipologie di mercato analizzate da Blank sono: mercati Existent, mercati Resegmented, mercati New e mercati Clone. Ognuna di esse ha le proprie peculiarità in termini di modelli e cicli di vendita e le startup, per poter competere, dovranno concentrarsi su diversi aspetti. I primi due sono i mercati in cui è effettivamente possibile procedere alla misurazione della domanda, mentre gli ultimi due sono mercati in cui non è possibile ottenere dati sulle grandezze del mercato, ma è comunque possibile ricavare informazioni utili.

MERCATI EXISTENT E MERCATI RESEGMENTED

I mercati Existent sono, come suggerisce il nome, i mercati già esistenti. In questo tipo di mercato è possibile misurare tutte le grandezze utili per capire quali sono le opportunità effettive per la startup: il numero di clienti, i concorrenti, il tasso di crescita, ecc. Si tratta di una situazione in cui è possibile reperire facilmente le informazioni su clienti e concorrenti, e il modo per vincere su questo tipo di mercato è quello di arrivare meglio e più velocemente a soddisfare i bisogni-chiave dei clienti.
In un mercato esistente è quindi indispensabile applicare gli strumenti di Customer Development e incontrare i clienti degli operatori già presenti sul mercato. Le informazioni di cui la startup ha bisogno in questo caso per valutare la domanda riguarderanno:

  • Aspetti alla base della concorrenza (velocità, prestazioni, prezzi, ecc.);
  • Come gli operatori attualmente presenti sul mercato soddisfano i bisogni della clientela;
  • Cosa potrebbe fare la startup per convincere i clienti ad acquistare il suo prodotto.

I mercati Resegmented sono monopoli o duopoli, in cui esistono già operatori che detengono la quota dominante di mercato. Blank avverte: una startup che opta per un “attacco frontale” su un mercato di questo tipo va incontro quasi certamente ad un fallimento. L’unico modo per entrare in un mercato del genere è quello di risegmentarlo: la startup deve trovare qualche caratteristica non ancora offerta dagli operatori dominanti ed incorporarla al proprio prodotto, per presentarsi ad una nicchia di clienti.
Un esempio proposto da Blank è il caso di un segmento di clienti che potrebbero essere soddisfatti anche da una versione “abbastanza buona” del prodotto offerto dagli operatori dominanti: la startup potrebbe in questo caso presentarsi come un produttore di una versione low cost del prodotto.
Per risegmentare il mercato è quindi fondamentale comprendere i bisogni del cliente: Blank sottolinea che la comprensione dei bisogni è assolutamente diversa dall’opinione che la startup può avere di questi ultimi, per cui sarà indispensabile anche stavolta incontrare i clienti e chiedere le informazioni di cui la startup ha bisogno.
Nei mercati Resegmented le informazioni utili sono quelle che consentono di capire:

  • Quale bisogno non è soddisfatto gli operatori storici;
  • Quali sono le caratteristiche del prodotto offerto dagli operatori storici;
  • Quanto e in che modo i clienti sono attualmente soddisfatti dagli operatori storici;
  • In che modo la startup può ottenere il passaggio del cliente dal prodotto già presente sul mercato al proprio prodotto.

I mercati Existent e i mercati Resegmented sono quelli in cui è effettivamente possibile misurare la domanda. Secondo Blank, gli strumenti più adatti per questa misurazione sono quelli di Customer Discovery: bisogna incontrare i clienti faccia a faccia per verificare se c’è un problema o un’esigenza che i prodotti attualmente offerti dal mercato non riescono a soddisfare. Qualora si riscontri effettivamente un problema da risolvere, è possibile per la startup andare al passaggio successivo e proporre la propria soluzione ai potenziali clienti per verificare il loro livello di interesse/entusiasmo. Blank suggerisce alcuni strumenti utili:

  • Creazione di un sito web o di un blog semplice e poco costoso per descrivere il prodotto o il problema che risolve. Il consiglio di Blank è di aggiungere un pulsante di grandi dimensioni per condividere la pagina con gli amici. Bisogna fare attenzione al livello di traffico che si genera, ma anche al numero e la percentuale di persone che riferiscono le informazioni ad altri, al numero di coloro che vengono al sito, e soprattutto a quanti decidono di “impegnarsi” lasciando il proprio indirizzo e-mail, chiedendo ulteriori informazioni, ecc.
  • Intervistare 50 persone al giorno (non è importante dove, Blank ad esempio suggerisce un parco, uno Starbucks, l’esterno di un negozio). Si suggerisce di mostrare loro una semplice foto del prodotto o del pacchetto e di fargli 3-5 domande.  Vanno considerate attentamente le risposte che corrispondono almeno al livello B+ (85% di entusiasmo).
  • Creazione di una serie di campagne pubblicitarie (Blank suggerisce Google Adwords) per cercare di spingere la gente ad uno specifico sito web. La startup dovrà cercare di capire quali sono le frasi e le parole chiave che guidano più traffico. Per approfondire l’analisi, Blank suggerisce di guardare la percentuale di persone che esprimono interesse, si iscrivono, visualizzano più pagine o indicano in qualsiasi altro modo una propensione all’acquisto.
  • Creazione di un “Dry test”. Si tratta di offrire in vendita il prodotto della startup, acquistando alcuni banners per guidare la gente alla pagina “buy”. Blank specifica che il Dry Test non prevede l’effettiva monetizzazione dell’acquisto: ciò che è importante è capire la percentuale di visitatori che cliccano effettivamentesul pulsante “buy”, dove – invece di prendere i dati delle carte di credito per concludere l’acquisto – si dice: “Grazie. Si prega di lasciare il tuo indirizzo e-mail qui e ti contatteremo non appena il prodotto è pronto”.

MERCATI NEW E MERCATI CLONE

Il mercato New è un mercato nuovo, in cui non ci sono ancora prodotti, concorrenti e clienti: si tratta di una situazione in cui non ci sono grandezze misurabili, ma è comunque necessario reperire informazioni.
Secondo Blank, una startup che decide di affacciarsi ad un nuovo mercato deve anche in questo caso parlare con i potenziali clienti: è fondamentale “uscire dall’edificio” per non correre il rischio di trascorrere anni a sviluppare un prodotto che non incontri le esigenze ed i bisogni delle persone.
In un mercato New, le informazioni utili per la startup sono differenti da quelle dei mercati già esistenti o da risegmentare. Secondo Blank l’obiettivo è quello di comprendere quali sono i bisogni e le abitudini attuali del cliente, come questi cambieranno con l’arrivo del nuovo prodotto sul mercato e quali altri cambiamenti (culturali, tecnologici, ambientali, economici, ecc.) potranno influire sul business della startup.

Il mercato Clone è quello in cui una startup decide di importare un modello di business di successo da un altro Paese (solitamente dagli USA) per riproporlo nel proprio Paese. Non è possibile avere dati certi perchè spesso il paese da cui proviene il clone ha delle proprie caratteristiche peculiari in termini di mercato, cultura, lingua, regolamentazioni e normative: ciò che la startup deve riuscire a capire è se questo modello di business funzionerà anche nel proprio Paese.
Anche in questo caso, Blank spiega come la Customer Discovery sia utile alla startup per ottenere informazioni sulla domanda di mercato. Il processo è simile a quello analizzato per i mercati Resegmented: bisogna capire se secondo i clienti c’è un problema da risolvere (o un bisogno da soddisfare) e, successivamente, proporre il proprio prodotto e verificare il livello di interesse/entusiasmo dei clienti.

In conclusione, dall’articolo di Blank si comprende ancora una volta l’importanza del Customer Development per una startup: è fondamentale uscire dall’edificio e incontrare faccia a faccia i clienti per capire di cosa hanno bisogno, senza basarsi su ipotesi e supposizioni.

Fonte: Wall Street Journal

Napoli, 22/05/2013

The Lean Startup: l’approccio “snello” spiegato da Steve Blank

In un recente post pubblicato nel suo blog, Steve Blank introduce il suo articolo pubblicato nell’ultimo numero della Harward Business Review dedicato alla metodologia Lean per startup e a come l’applicazione di quest’ultima possa cambiare non soltanto l’andamento di un’impresa, ma addirittura possa avere ripercussioni positive sull’intero sistema imprenditoriale, fornendo una spinta importante per l’uscita dalla crisi economica mondiale.

Nella sua carriera di docente, imprenditore e founder di varie startup, Blank ha osservato quali fossero le cause di fallimento più frequenti per le startup e ha avuto l’intuizione di come queste in realtà non fossero quasi mai legate a caratteristiche del prodotto. Da qui, l’intuizione di analizzare meglio l’approccio “classico” di Product Development, per capire quali fossero i problemi. Tale approccio di avvio di un’impresa prevede un percorso “a cascata” che attraversa nell’ordine una serie di fasi: punto di partenza è la stesura del Business Plan, che viene proposto agli investitori. Segue l’organizzazione del team, il quale procede a sua volta alla creazione del prodotto, che viene poi immesso sul mercato. Blank osserva che in questo approccio deve esserci qualcosa che non funziona, visto che secondo le statistiche il 75% delle nuove imprese falliscono (Blank cita in proposito una ricerca condotta dalla Harvard Business School).

La sua conclusione è che il Business Plan non sia lo strumento più adatto ad un business in fase di avvio: secondo Blank, infatti, esso raramente sopravvive al primo contatto con i clienti. Il motivo è da ricercare prima di tutto nella pretesa di fare delle previsioni a lungo termine (il Business Plan prevede un piano quinquennale): il mercato oggi non consente più approcci del genere, è in continua evoluzione, e un piano del genere “è fantascienza”.
Altra learned lesson che Blank condivide con i lettori è che le startup non vanno considerate come versioni “in piccolo” delle grandi aziende: queste ultime devono concentrarsi per far funzionare il proprio modello di business già esistente, mentre una startup deve seguire un approccio differente, lavorare sull’iterazione e sul learning and discovery, migliorando di continuo il proprio prodotto sulla base dei feedback dei propri clienti.
Ragionando su queste intuizioni, Blank costruisce una definizione rivoluzionaria di startup che porterà al superamento del modello di Product Development, alla nascita del modello di Customer Development e in seguito alla definizione della metodologia Lean da parte di Eric Ries (imprenditore della Silicon Valley, studente di Blank e autore del manuale “The Lean Startup“): un’azienda in fase di startup è un organismo temporaneo, progettato per la ricerca di un modello di business ripetibile e scalabile.

A questo punto, Blank elenca i tre principi chiave di un approccio Lean adatto alle startup:

  1. Delineare le ipotesi. Piuttosto che impelagarsi in mesi di ricerca e progettazione per scrivere un intricato Business Plan pluriennale, i founder devono concentrarsi sul fatto che ciò che davvero conta è il primo giorno in cui testeranno la propria idea e le proprie ipotesi a riguardo: lo strumento più adatto è il Business Model Canvas, un diagramma che mostra come l’impresa crea valore per sè e per i propri clienti.
  2. Ascoltare i clienti. Secondo Blank le startup devono “uscire dal palazzo” e seguire il modello di Customer Development: esso consiste nell’incontrare i propri clienti e testare le proprie idee ed ipotesi. Con l’aiuto dei feedback ricevuti, i founder devono costruire in tempi brevi il “Minimum Viable Product“, la prima versione del prodotto, e immetterlo sul mercato per ricavare ulteriori feedback dai clienti. In questa fase, sono fondamentali la velocità e l’approccio “Agile“, che consentono di individuare eventuali modifiche da apportare (per le piccole modifiche si parla di iterazioni, per quelle più sostanziali di pivot).
  3. Sviluppo rapido e responsivo. Si identifica con il cosiddetto Sviluppo Agile, nato in origine nel settore dei software e applicato da Ries alle startup nel suo “The Lean Startup“. Lo sviluppo “Agile” lavora di pari passo con quello “Customer” garantendo un processo di sviluppo del prodotto iterativo ed incrementale che elimina gli sprechi di tempo e risorse tipici dei piani di produzione pluriennali. Si tratta in sostanza del processo che consente alla startup di creare il Minimum Viable Product con cui affacciarsi al mercato.

Attualmente, il metodo Lean di approccio alle startup si sta diffondendo sempre di più: Steve Blank spiega che attualmente sono più di 25 le Università che offrono corsi in materia, oltre ad alcuni corsi on-line. Sono sempre più numerose, inoltre, le organizzazioni e le iniziative dedicate, come Startup Weekend, che diffondono i principi della metodologia Lean in tutto il mondo.
Addirittura le grandi aziende stanno iniziando ad avvicinarsi a tale approccio, come Steve Blank racconta nel suo articolo, citando l’esempio della General Electric e della sua Divisione Energy Storage, che ha lanciato la sua ultima batteria applicando la metodologia Lean. Il direttore generale della Divisione, Prescott Logan, si è infatti impegnato a parlare con i propri clienti prima di lanciare la nuova batteria sul mercato, apportando modifiche ai piani sulla base dei feedback ricevuti e lanciando il nuovo prodotto sul mercato nel 2012 con un investimento di 100 milioni di dollari: il risultato è stato un enorme successo sul mercato, tanto che GE ha già una serie di ordini in arretrato che si sta affrettando a soddisfare.

Nel proprio articolo Blank afferma che la diffusione delle metodologie Lean consente di ridurre le probabilità di fallimento delle startup: ciò significa creare nuovi posti di lavoro che possano sostituire quelli eliminati dalle grandi aziende esistenti, dando nuova spinta all’economia globale e facendo un passo avanti verso l’uscita dalla crisi economica.
Per rafforzare la propria tesi, Blank parte dall’elencazione dei cinque fattori che limitano la crescita delle startup oltre al rischio di fallimento:

  1. Costi troppi elevati, sia per raggiungere i primi clienti che per risollevarsi in caso di difetti e problemi del prodotto.
  2. Cicli di sviluppo tecnologico troppo lunghi.
  3. Numero limitato di persone disposte ad assumersi il rischio di fondare una startup o di lavorare al suo interno.
  4. L’attuale struttura del settore del capitale di rischio, in cui poche imprese sono cosrette ad investire grosse somme di denaro in un portafogli di startup per avere la possibilità di ritorni significativi.
  5. La concentrazione delle competenze in materia di startup, problema molto diffuso soprattutto negli Stati Uniti (vedi Silicon Valley), ma presente in minor misura anche in Europa e nel resto del mondo.

Secondo Blank, l’approccio Lean è in grado di ridurre innazitutto primi due vincoli: le imprese che interagiscono con i propri clienti hanno a disposizione dei feedback per mettere sul mercato un prodotto più adatto ai loro bisogni, e i cicli di sviluppo fondati sull’iterazione e i pivot sono più rapidi ed economici rispetto a quelli basati sui sistemi tradizionali. Ne consegue la riduzione del rischio connesso alla creazione di nuove startup, quindi diminuisce anche la rilevanza del terzo vincolo.

Sono anche altre le tendenze attuali che aumentano la disponibilità ad investire nella creazione di nuove startup: prima di tutto la diffusione di software open source e servizi cloud, che non costringono più le aziende a dotarsi di stabilimenti propri per la produzione di prodotti hardware.
In secondo luogo, si assiste ad un’importante tendenza di decentramento riguardo al sistema di accesso ai finanziamenti: l’ecosistema attuale vede la nascita di business angel e venture capital ovunque, non occorre più stabilirsi nella Silicon Valley per ottenere un finanziamento per la propria startup.
Altro vantaggio rilevante per le nuove imprese è l’immediata disponibilità delle informazioni cui oggi si può avere accesso grazie a internet: non è più necessario organizzare incontri formali con gli investitori per poter parlare con loro.

La conclusione di Blank è che questo sia il momento più adatto a fondare una propria startup, e che la metodologia Lean sia quella migliore da applicare. Il suo post si conclude infatti con l’invito a leggere il suo articolo che sarà disponibile gratuitamente sul sito della Harvard Business Review per un mese: “Go read it … Then go to do it“.

Napoli, 19/04/2013