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Tag: CEO

Tech All Stars Competition: le migliori startup volano a Londra grazie al contest UE. Application entro il 22 maggio

La Commissione Europea ha lanciato l’edizione 2014 della Tech All Stars Competition, iniziativa dedicata alle migliori startup ed imprese innovative che permette ai finalisti e ai vincitori del contest di partecipare ad eventi internazionali in cui entrare in contatto con imprenditori di successo mondiale ed esperti del settore.

L’idea alla base della Tech All Stars Competition, infatti, è espressa dalle parole del Commissario UE per l’Agenda Digitale Neelie Kroes, la quale ha dichiarato “Gran parte del successo di un’impresa dipende dalle giuste relazioni e la Commissione europea sta lavorando proprio per questo“. Inoltre, “Le imprese finaliste saranno messe in contatto con fonti di finanziamento europee, imprenditori di successo e altre influenti personalità“.

La partecipazione all’edizione 2014 di Tech All Stars Competition è aperta a startup registrate in uno degli Stati Membri dell’Unione Europea da meno di 3 anni, che abbiano raccolto capitali e finanziamenti esterni per meno di un milione di euro.

Per candidare la propria startup è necessario compilare entro il 22 maggio 2014 l’application form disponibile al sito internet ufficiale dedicato al contest: http://techallstars.eu/

Saranno selezionate le migliori 12 startup che parteciperanno all’evento Tech All Stars Competition 2014 che si terrà il 10 e 11 giugno 2014 a Londra: saranno due giornate durante le quali i partecipanti potranno beneficiare di importanti occasioni di networking con imprenditori di successo e altri stakeholders del settore dell’imprenditoria innovativa. Inoltre, le 12 startup prenderanno parte ad un pitch panel che decreterà le tre finaliste.

Le tre startup finaliste parteciperanno il 12 giugno 2014 al Founders Forum London, un evento globale dedicato a imprenditori, CEO e key investors dei settori media e technology durante il quale avranno l’opportunità di partecipare a dibattiti, sessioni di brainstorming e tavole rotonde su temi centrali per l’ecosistema imprenditoriale. Inoltre, ci sarà la possibilità di entrare in contatto con alcuni tra i più importanti imprenditori ed innovatori di successo planetario (tra gli ospiti delle edizioni precedenti figurano Sir Richard Branson – Virgin Group, Reid Hoffman – LinkedIn, Daniel Ek – Spotify).
Durante il Founders Forum London, infine, sarà annunciato il vincitore della Tech All Stars Competition 2014, il “Grand Tech All Stars Winner“.

Il Grand Tech All Stars Winner sarà invitato a partecipare all’evento organizzato dalla Commissione Europea nel luglio 2014, la Digital Agenda Assembly, con l’opportunità di presentare un proprio panel e di incontrare i principali protagonisti internazionali dell’ecosistema hi-tech.

Napoli, 18/04/2014

Consigli alle startup: come gestire il lancio di un nuovo prodotto sul mercato

Janine Popick è founder e CEO della “VerticalResponse”, una società di commercializzazione specializzata in web-based marketing software con sede a San Francisco. Recentemente Inc.com ha pubblicato un suo post, nel quale racconta la sua esperienza della più grande release fatta dalla società negli ultimi 13 anni.

Di recente, infatti, la VerticalResponse ha affrontato un’esperienza di totale riscrittura da zero del codice, allo scopo di poter offrire ai suoi clienti un prodotto totalmente nuovo, che andasse ad integrare tutte le più recenti innovazioni tecnologiche.
Il progetto di innovazione della VerticalResponse, inoltre, è stato affidato ad un team totalmente nuovo: si tratta quindi di una situazione che può essere d’esempio sia per una startup che per un’azienda già avviata che decide di implementare un’innovazione di prodotto.

Ecco alcuni degli insegnamenti utili che Janine Popick ha ricavato dalla sua esperienza per la release di VerticalResponse:

1) I team vogliono lavorare insieme. Hanno solo bisogno che gli si dia un motivo per farlo.

Il team di VerticalResponse voleva offrire ai propri clienti il miglior prodotto possibile, ed era impossibile farlo con le tecnologie esistenti in azienda. Volevano anche creare un prodotto gratuito per piccole imprese in fase di startup.

Per farlo, il team si è riunito e ha iniziato a confrontarsi per capire chi erano i clienti, di cosa avevano bisogno e come la VerticalResponse poteva risolvere i loro problemi.
E’ stato fatto un piano con le attività da completare, a breve e a lungo termine.

Al termine della riunione, ciascun componente del team sapeva cosa avrebbe dovuto fare, di quali competenze aveva bisogno, quale era la vision aziendale e come comportarsi per raggiungerla. Il risultato è stato una strategia concreta su come e quando il nuovo software sarebbe stato lanciato sul mercato.

2) Tutti vogliono raggiungere il successo, ma come?

Qual è il successo che vogliamo ottenere? Quali indicatori chiave di performance utilizzeremo per monitorarlo e misurarlo? Occorre avere dati e informazioni facilmente accessibili e comprensibili per tutti i livelli aziendali.

Dare accesso ai risultati di ciò che si sta facendo è importante. Il team deve essere informato ed aggiornato sull’evolversi dei processi aziendali e del piano nel suo complesso. Occorre quindi far circolare le informazioni in maniera efficace e trasparente.

VerticalResponse ha deciso di tenere informati i componenti del team attraverso un sistema di comunicazione che invia a tutto il team una mail ogni volta che qualcuno acquista il nuovo prodotto: può sembrare eccessivo, ma sapere che i clienti rispondono positivamente al lavoro fatto riesce a strappare un sorriso a tutti.

3) Bisogna dire alle persone che hanno fatto un buon lavoro.

L’intera squadra aziendale lavora per costruire il successo dell’impresa, ed è importante riconoscere regolarmente gli sforzi di ognuno. Questo fa sentire le persone soddisfatte del modo in cui contribuiscono al risultato dell’azienda e aiuta a tenere alto il livello di entusiasmo per il lavoro.

Nell’esperienza di VerticalResponse, le persone hanno lavorato di notte, hanno fatto il doppio delle ore di lavoro, hanno contribuito in ogni modo possibile al lancio del nuovo prodotto: è stato un lavoro duro ed incredibile, ed era fondamentale che le persone coinvolte lo sapessero.

4) Quando tutto è finito, in realtà è appena iniziato.

Il post di Janine Popick si chiude con questa consapevolezza: quando tutto il lavoro per il lancio è finito, e il prodotto è finalmente sul mercato, il team si trova di fronte al vero banco di prova. Ci saranno nuove metriche da misurare, nuovi risultati da raggiungere: tutto è più facile se si riesce a prenderla come un’avventura.

Per leggere il post originale da Inc.com: http://www.inc.com/janine-popick/4-things-i-learned-from-the-biggest-software-release-in-our-history.html

Napoli, 09/04/2014

Consigli alle startup: gestire il personale secondo il principio “Hire Slow, Fire Fast”

Greg McKeown è Young Global Leader per il World Economic Forum, esperto consulente d’impresa in Silicon Valley e autore del libro “Essentialism: The Disciplined Pursuit of Less”: il suo più recente contributo pubblicato dal blog della Harvard Business Review riguarda il tema delle assunzioni e dei licenziamenti in una startup.

Molte startup, infatti, a causa dei ritmi elevati di crescita tipici delle prime fasi di vita dell’impresa tendono ad assumere personale molto velocemente per poter far fronte al carico di lavoro e poter ricoprire al più presto i ruoli scoperti nel team, ma sono poi molto lente a licenziare gli impiegati che si rivelano non all’altezza della posizione da ricoprire: questo accade, secondo McKeown, perché spesso i founders della startup sono molto impegnati a far decollare il progetto, o ancora perché preferiscono rimandare questo tipo di situazione (a volte anche per inesperienza).

L’autore spiega come questa tendenza abbia portato alcun startup in Silicon Valley a passare da un periodo di crescita incontrollata ad una di numerosi licenziamenti: il paragone utilizzato è quello di un intervento chirurgico a cuore aperto. Anziché indirizzare i propri sforzi quotidiani sul mantenere una squadra “lean” e di alto valore per l’impresa, i founders della startup attendono finché le arterie dell’organizzazione sono ormai bloccate e qualsiasi sistema diventa insufficiente a risolvere il problema: l’unica possibilità diventa a quel punto un intervento chirurgico correttivo.

McKeown racconta poi di una sua recente esperienza come consulente in un’azienda con circa 700 dipendenti e oltre un miliardo di dollari di fatturato annuo: il CEO e gli executives volevano scalare il proprio business, continuando però a mantenere il vantaggio competitivo derivante da una squadra “lean” e con un grande spirito imprenditoriale.
McKeown ha provato subito a introdurre la sua idea di “Assumere lentamente, licenziare in fretta” ma, con sua grande sorpresa, il CEO gli ha subito fatto presente che era proprio quella la filosofia sulla quale aveva basato le proprie decisioni nei dieci anni di vita della sua impresa.

Anche se, a detta dello stesso autore, il principio “Assumere lentamente, licenziare in fretta” può sembrare insensibile nell’attuale contesto economico, caratterizzato da alti livelli di disoccupazione giovanile, il post elenca tre motivi per cui in realtà tale principio funziona:

1) Innanzitutto, non è utile né produttivo creare grosse imprese piene di lungaggini burocratiche: questo tipo di imprese sono destinate a morire lentamente. Occorre invece creare aziende snelle, che possano essere in grado di crescere ed essere competitive nel lungo periodo.

2) Non è giusto né compassionevole mantenere nel team una persona non adatta a quel lavoro, anche perché tutta la squadra non la vedrà di buon occhio. Ciò che serve per far funzionare un’azienda e per svolgere il lavoro ad alti livelli è invece un team nel quale tutti possono fidarsi l’uno dell’altro.

3) Forzare qualcuno a fare un lavoro per il quale non è adatto non è sostenibile né eticamente corretto: è deleterio trattenere le persone nel posto che per loro è sbagliato, esponendoli a feedback negativi per settimane, per mesi. Naturalmente, prima di pensare al licenziamento, è buona regola valutare la possibilità di una riassegnazione all’interno dell’azienda: a volte basta semplicemente trovare il ruolo giusto.

Ma come funziona il processo di selezione che si basa sul principio “Assumere lentamente, licenziare in fretta”?
Innazitutto, McKeown spiega che bisogna gestire le assunzioni con una procedura altamente selettiva: è importante prevedere più colloqui ed, eventualmente, un breve periodo di prova. Bisogna sempre tener presente che l’eventuale assunzione deve essere giusta sia per il datore di lavoro che per il lavoratore.

Altro aspetto utile, quello di prevedere criteri di valutazione il più possibile selettivi: anche se questo significa che ben pochi riusciranno a superare le selezioni per la vostra startup. In questo modo, potremmo essere sicuri di assumere personale veramente adatto a lavorare nel nostro team.

Infine, McKeown offre qualche consiglio su come affrontare il momento di licenziare un dipendente: è possibile, infatti, far sì che questo momento non sia umiliante per le persone che hanno lavorato con noi.

L’autore del post spiega questo punto partendo dall’esperienza di un imprenditore della Silicon Valley che, resosi conto di aver sbagliato ad assumere un dipendente, ha cercato di nascondere il proprio errore con un round di feedback negativi ed elaborando un piano di miglioramento delle prestazioni difficile da mettere in pratica. Purtroppo, il problema non era risolvibile in quanto il dipendente in questione aveva un carattere aggressivo e poco incline ad amalgamarsi con il team.

Nel giro di due settimane era chiaro l’effetto negativo sull’intera squadra di lavoro: l’unica soluzione è stata quella di affrontare in maniera chiara, diretta ed esplicita il dipendente spiegandogli come, nonostante le sue grandi capacità e il suo talento, fosse inadatto a quel lavoro. La società ha inoltre offerto una consulenza gratuita per aiutare la persona a trovare una nuova occupazione: in questo modo, il problema è stato affrontato con successo, il team ha ritrovato il proprio equilibrio e il dipendente licenziato ha lasciato l’azienda senza ripercussioni negative.

In conclusione, McKeown afferma che gestire il personale nel rispetto del principio “Assumere lentamente, licenziare in fretta” è sicuramente difficile, occorrono grandi capacità di leadership, ma è la modalità vincente per far crescere il business.

Il post originale è disponibile a questo link: http://blogs.hbr.org/2014/03/hire-slow-fire-fast/

Napoli, 06/03/2014

Consigli alle startup: strategie utili per gestire lo stress del team ed evitare il burnout

Il burnout è una problematica molto diffusa tra i team delle startup, dove spesso occorre lavorare con il massimo impegno e a ritmi molto elevati per accelerare il percorso di crescita e di sviluppo del business: un buon CEO, quindi, deve essere in grado di guidare il proprio team in modo tale da evitare il burnout, consentendo a tutti di dare il meglio di sé senza, tuttavia, farsi sopraffare troppo dal lavoro.

Scott Gerber, founder dello Young Entrepreuner Council, ha raccolto nel suo ultimo contributo pubblicato da readwrite.com i consigli di 9 CEO di startup di successo che sono riuscite a portare equilibrio nel proprio lavoro e in quello dei propri team, facendo in modo tale che ciascuno dia il massimo senza arrivare al punto di rottura del burnout.

1. Focus sulle priorità

Quando il team lavora allo sviluppo del progetto, è responsabilità del CEO e dello staff dei senior aiutarli a focalizzarsi sulle priorità, per non disperdere energie e risorse. Un consiglio è quello di chiedere a tutti di stilare la propria to-do list, e di concentrare il lavoro sugli aspetti prioritari delle liste di ognuno.

E’ importante tener presente che nessuno è in grado di far tutto, e farlo bene: aumentare la produttività non significa necessariamente fare tutto ciò che è segnato sulla lista, ciò che è veramente importante per essere efficaci ed efficienti è mettere a fuoco le priorità e lavorare su quelle, per massimizzare l’impatto del lavoro sulla crescita del business.

2. Trovare gli ostacoli e rimuoverli

Immaginiamo una situazione in cui il CEO decide di modificare il programma e, per attuare la modifica, chiede di incontrare un membro del team: quest’ultimo dovrò cambiare il suo programma e, di conseguenza, tutti i membri del team dovranno cambiare il proprio.

Il CEO e i membri senior del team devono imparare a riflettere attentamente sull’impatto che le loro decisioni hanno sull’intera squadra e, conseguentemente, sull’intera produttività dell’azienda. Bisogna valutare attentamente la programmazione e, se necessario, chiedere direttamente al team e ai dipendenti dei suggerimenti.

Spesso i dipendenti possono essere timorosi nell’esprimere i propri pareri: è compito di un buon leader imparare a chiedere feedback e suggerimenti per il buon andamento dell’azienda.

3. Uso creativo delle risorse

Un utilizzo smart e creativo delle risorse è un’ottima strategia per aumentare i ricavi e gestire i momenti di stallo nella crescita di una startup. La maggior parte dei founders tendono a prediligere personale a tempo pieno fin dagli inizi della vita aziendale: ciò però può avere ripercussioni sulla flessibilità e avere costi molto elevati.

All’inizio della vita di una startup può essere utile avere un piccolo nucleo di dipendenti a tempo pieno per creare un core team. Le altre mansioni possono essere svolte da liberi professionisti, società offshore e collaboratori che abbiano le competenze utili a far scalare e crescere la startup nelle fasi iniziali di sviluppo.

4. Focus sui margini e sulla mission

Un business in espansione è un lavoro ricco di soddisfazioni, ma può essere molto stressante: diventa quindi fondamentale creare dei processi che facciano sentire il team tranquillo durante il periodo di crescita del business. L’approccio più utile è in questo caso quello focalizzato sui margini e la mission.

Di fronte a qualsiasi nuova opportunità bisogna chiedersi: “Accettare questa sfida è in linea con la nostra mission aziendale e, allo stesso tempo, ci consente di aumentare i nostri margini?”. Se la risposta non è affermativa per entrambi gli aspetti, è meglio lasciar perdere.

5. Essere comprensivi

Crescere molto e in maniera troppo veloce causa al team di una startup un alto livello di stress: il sovraccarico di lavoro fa sentire i membri del team frustrati. In questi casi è fondamentale l’atteggiamento con cui ci si approccia al problema: occorre essere comprensivi, simpatizzare con i dipendenti e fargli capire che “siamo tutti sulla stessa barca”.

Un atteggiamento comprensivo verso i problemi del team consente al CEO di trovare un dialogo per risolvere il malcontento e aumentare la produttività, aiutandoli ancora una volta a concentrarsi su ciò che è davvero indispensabile.

6. Mettere la propria vita prima del business

Mettere la propria vita privata davanti al proprio lavoro aiuta i dipendenti ad essere più produttivi e fa ottenere alla startup risultati migliori. Un esempio può essere quello di concedere al team la flessibilità di orario e di location: in questo modo, ciascuno impara a gestire i propri tempi nel modo più opportuno, e ha la possibilità di lavorare nel luogo che ritiene gli sia più congeniale.

Chiedere ai dipendenti di sacrificare tempo dedicato alla famiglia, agli hobbies, agli amici non aiuta la crescita del business: aggiunge ulteriore stress e avvicina la possibilità che si verifichi il burnout.
Al contrario, offrire loro la libertà di scelta li aiuta ad essere più efficaci e aumenta la fiducia e la lealtà verso l’azienda.

7. Rimuovere la gerarchia all’interno dell’azienda

Per una startup è importante non avere una gerarchia interna: le persone hanno maggiore probabilità di sentirsi stressate se si sentono inferiori a qualcun altro. Occorre offrire a tutti la possibilità di essere partecipi, creando un ambiente di lavoro ricco di energia positiva.

8. Stabilire dei ruoli ben definiti

In una startup è fondamentale definire attentamente il ruolo di ciascun componente del team: ciascuno avrà una lista dettagliata dei propri compiti e delle proprie attività, che sarà sempre condivisa con gli altri membri della squadra. In questo modo, ognuno è consapevole di ciò che tutti gli altri fanno.

Diventa quindi particolarmente utile conservare in un file apposito tutte le liste, rendendolo accessibile in qualsiasi momento a tutti i membri del team: ciò aiuta il team a conoscere attentamente la struttura della società e a rimanere focalizzati sui propri compiti ed attività.

9. Stabilire le priorità ed esternalizzare

Una volta che ogni dipendente ha la propria to-do list, è possibile chiedere a ciascuno di loro di segnalare le attività che soltanto loro possono svolgere. Sapere quali sono queste attività è indispensabile per il management della startup, che può capire quali attività è possibile esternalizzare e quali no.

Il post originale è disponibile a questo link:
http://readwrite.com/2014/03/03/startup-ceos-teams-burnout#awesm=~oxxqDzcTruQA76

Napoli, 04/03/2014

Consigli alle startup: il passaggio fondamentale da founder a CEO

Uno degli ultimi articoli pubblicati da Entrepreuner porta la firma di Darrel Kopke, co-founder dell’acceleratore di impresa canadese InstituteB (caratterizzato da una vision che mette sullo stesso piano il profitto e il valore sociale del business). Tema dell’articolo è il passaggio fondamentale che il founder di una startup deve affrontare: quello che lo porta a diventare CEO della sua impresa.

Spesso infatti, quando una startup raggiunge una fase di stallo nella sua crescita o compie un passo falso, il founder dà la colpa agli altri quando, in realtà, alla base del problema potrebbe esserci proprio lui: Kopke fa l’esempio di una recente esperienza vissuta con una società di software che aveva avuto una crescita esponenziale delle vendite per i suoi primi 5 anni di attività, salvo poi assistere per 2 anni consecutivi ad una fase di stagnazione e infine di calo delle vendite.

In questa società il founder gestisce un team di 80 persone, è oberato di lavoro, ma cerca in tutti i modi di ritrovare lo slancio che aveva caratterizzato i primi anni di vita dell’azienda: ciò che appare evidente a Kopke è che il founder si occupa ancora di lavorare a troppe attività come quelle di marketing, o la correzione degli errori nel codice, e ancora la partecipazione a tutte le fiere e gli eventi di networking del settore. Nonostante abbia un team di senior leadership, interferisce nel loro lavoro e nelle loro scelte.

Dal punto di vista del founder, il motivo alla base della crisi che l’azienda attraversa è la combinazione di un team debole al marketing, un mercato del lavoro competitivo per gli sviluppatori e una serie di mosse intelligenti messe a segno dai concorrenti. In realtà, secondo Kopke, il problema è nel mancato passaggio da founder a CEO.

Kopke sostiene infatti che la crescita e la traction dei primi anni era il risultato dell’intelligenza, la passione, la vision e l’etica del founder e, allo stesso modo, costui dovrebbe assumersi la responsabilità anche della crisi attuale che il business sta attraversando.

Secondo l’autore, il passaggio dalla mentalità da founder a quella da CEO non è una progressione naturale: il founder, che ha costruito fin dagli inizi la propria startup seguendo e controllando tutti gli aspetti del business, ha difficoltà a delegare ad altri il controllo di alcune attività, temendo di perdere il controllo dell’azienda. Ma i founders che non delegano diventano essi stessi un ostacolo alla crescita del proprio business.

Vediamo, quindi, alcuni consigli che Kopke elenca nel suo articolo e che sono utili al passaggio dalla mentalità di founder a quella di CEO:

1) Stabilisci il valore del tuo tempo a 1.000$ a ora.

E’ fondamentale che un CEO dia il massimo valore al proprio tempo. Bisogna sempre domandarsi “Qual è il miglior utilizzo che posso fare del mio tempo in questo momento?”. Ad esempio, non è proficuo lavorare sulle attività che dovrebbe chiudere un copywriter, mentre è necessario impiegare il proprio tempo sulla creazione di entrate e profitti.

2) Non svolgere nessuna attività, ma gestirle tutte.

Occorre cambiare completamente la mentalità: il CEO deve lavorare sulla propria attività, non lavorare nel proprio settore. Un leader efficace è colui che riesce ad allineare il proprio team su risultati specifici e definiti, per poi gestire tali risultati una volta che sono stati raggiunti. Occorre gestire il chi, il cosa e il quando: non il come.

3) Diventare il “Chief Why Officer”.

Vuol dire costruire un contesto della propria leadership, ricordando sempre al team perchè la società sta facendo ciò che sta facendo, qual è il ruolo di ciascuno all’interno dell’azienda, compreso il ruolo del CEO. Si tratta di un passaggio fondamentale per costruire la vision aziendale, per farla comprendere al team: è il modo migliore affinché tutti comprendano i valori aziendali e lavorino secondo tali valori, basando su essi tutti i processi decisionali.

In conclusione, secondo Kopke, i founders che riescono a spostare la propria mentalità su quella da CEO non devono aver timore che la situazione sfugga loro di mano: al contrario, sono proprio i founders che riescono a fare questo passaggio quelli che non perdono contatto con il proprio business, garantendosi la possibilità di guidare la propria azienda verso un futuro prospero e di crescita.

Per leggere l’articolo originale su Entrepreuner: http://www.entrepreneur.com/article/231825

Napoli, 28/02/2014

Consigli alle startup. “Succession Planning”: il team, i ruoli-chiave, le skills e i metodi di lavoro

Mark Suster è un imprenditore che, dopo aver lanciato e venduto la sua azienda Salesforce.com, dal 2007 è alla guida di Upfront Ventures, fondo di Venture Capital specializzato in finanziamenti early stage per startup tecnologiche.
Nel suo blog Both Sides of the Table pubblica una serie di articoli su temi interessanti per il mondo startup: in particolare, approfondiamo oggi in questo post una sua riflessione sull’importanza del team e del legame tra i founders.

Il suo presupposto di base è che ci sono alcune persone che possono davvero fare la differenza per il successo di una startup, e non solo: lo stesso discorso vale per le grandi aziende e per qualsiasi altro tipo di organizzazione.
Proprio per questo, è davvero importante che un’azienda, in particolare una startup, pensi fin da subito a pianificare le “successioni”: cosa accadrebbe, infatti, se il CEO o un’altra figura-chiave dovessero lasciare il team?

L’idea della pianificazione delle successioni è nata nella mente di Suster quando, a 23 anni, lavorava per Accenture: una delle prime cose che ha imparato è stata infatti che “per avere successo, è necessario diventare irrilevanti”.
Questa affermazione, strana ad un primo impatto, era stata spiegata a Suster nel modo seguente: il compito di chi gestisce un team è quello di farlo crescere rapidamente, portandolo ad assumersi le responsabilità del proprio lavoro. La maggior parte dei manager, invece, continua a trascorrere la maggior parte del tempo nel controllare le informazioni e proteggere il proprio lavoro, non condividendo nè delegando.

Questo approccio è sbagliato per un CEO, e Suster ne ha avuto conferma alla sua prima esperienza in questo ruolo: ha capito subito che per far davvero crescere il business l’unica strada era quella di mettere il suo team in condizione di svolgere al meglio il proprio lavoro, delegando al massimo per costruire una squadra che fosse autonoma.

Poi, ad un certo punto, il CTO del team ha lasciato l’azienda e sono iniziati i problemi: Surter non aveva sempre pensato che il suo core team sarebbe rimasto unito fino alla fine, non aveva mai preso in considerazione la possibilità che uno dei membri sarebbe potuto andar via. Di conseguenza, non aveva mai speso nemmeno un minuto a pensare a chi avrebbe dovuto prendere il posto del suo CTO in caso di bisogno.

Questo episodio è servito a Surter a capire che è assolutamente indispensabile per un team di lavoro parlare di quale sia il ruolo di ciascuno, capire per ricoprire quel ruolo quali sono le abilità e i metodi utilizzati, in particolare per quei ruoli-chiave che risultano fondamentali per il buon avanzamento del progetto.

Da qui, la centralità della “succession planning”: un’attività che potrebbe sembrare superflua in una startup agli inizi, con team composti di solito da 5/10 persone, ma che in realtà è fondamentale e diventa indispensabile man mano che l’azienda cresce.

Surter specifica infine un aspetto fondamentale: il leader di un team deve incoraggiare i membri a riflettere e discutere tra loro questo tipo di questioni, prendendosi al contempo la responsabilità di farsi e fare al team delle domandi in apparenza difficili e spinose. Inoltre, questo tipo di confronto è fondamentale per incrociare e condividere le skills di ciascun membro del team.

Per leggere il post originale dal sito di Mark Suster: http://www.bothsidesofthetable.com/2013/09/30/why-founders-cant-afford-to-have-any-weak-links/

Napoli, 24/01/2014

Consigli per startup e imprese: Quali sono gli elementi di una cultura aziendale vincente?

Il blog della Harvard Business Review ha recentemente pubblicato un interessante contributo firmato da Michael C. Mankins, partner di una delle più importanti società di consulenza manageriale a livello globale: Bain & Company, organizzazione con base a San Francisco e sedi dislocate in tutto il mondo.

Il post riguarda il tema della Cultura aziendale, e di quali siano le basi e gli elementi indispensabili per costruire una cultura vincente per un’azienda: secondo Mankins, infatti, la cultura aziendale può rappresentare una fonte duratura di vantaggio competitivo, essendo al tempo stesso il collante che tiene unita l’azienda e la cosa più difficile da replicare per la concorrenza.

Mankins inizia elencando alcuni esempi rappresentantivi in materia:
Kent Thiry con DaVita (compagnia statunitense leader nel mercato HealthCare), che ha trasformato il business da inseguitore a principale fornitore di servizi per la dialisi a livello globale attraverso la costruzione di una cultura values-focused;

Alan Mulally con Ford Motor Company, che grazie allo spirito working–together è riuscito a riportare la casa automobilistica ad un livello elevato sul mercato internazionale dopo alcuni anni di continuo calo delle quote di mercato;

Herb Kelleher di Southwest Airlines, che ha permesso alla compagnia di diventare uno dei migliori vettori del mondo basandosi su una cultura di empowerment dei dipendenti ed una politica di contenimento dei costi;

Steve Jobs, che ha trasformato la Apple nell’azienda più redditizia del mondo con una cultura stimolante basata sugli slogan “reality is suspended” e “anything is possible”.

Secondo l’autore del post è però fondamentale mettere in chiaro che non sempre la cultura aziendale è fonte di successo: secondo una ricerca effettuata da Bain & Company su un campione di 400 grandi aziende, infatti, meno di uno su quattro dirigenti dichiarano che la cultura sia stata un elemento efficace per le prestazioni di business dell’azienda. Anzi, nella maggioranza dei casi, i dirigenti dichiarano che la cultura della società spessò non è collegata a ciò che effettivamente serve all’azienda per ottenere risultati sul mercato.

A parere di Mankins questa disconnessione nasce dal fatto che spesso le aziende pensano alla cultura aziendale come a un elemento che debba far sentire i dipendenti a proprio agio nel luogo in cui lavorano e non come un modo per aiutare i dipendenti (e di conseguenza la società) ad ottenere un rendimento migliore. In realtà bisogna sempre tenere ben presente il fatto che le culture vincenti non possono basarsi solo sul senso di appartenenza, ma devono essere assolutamente focalizzate sui risultati.

Partendo da questo punto di vista, e dai risultati della ricerca di Bain & Company, Mankins arriva alla conclusione che una cultura aziendale vincente si basa su due elementi connessi tra loro, che si rinforzano a vicenda in un circolo virtuoso.

In primo luogo, tutte le aziende ad alte prestazioni si contraddistinguono per un’identità unica, per una serie di caratteristiche peculiari che la differenziano dalle altre società. Queste caratteristiche conferiscono ai dipendenti un senso di unicità per la sola appartenenza alla società, che si traduce nella passione per ciò che fanno.

L’esempio riportato da Mankins è ancora una volta quello di Southwest Airlines: sotto la guida del già citato Herb Kelleher, la compagnia divenne ben presto nota per il suo senso dell’umorismo, la sua irriverenza e la sua attitudine a concentrarsi sui dipendenti. Questa identità unica e distintiva ha fatto ben presto di Southwest Airlines una compagnia famosa per aver reso il volo un’attività divertente per i passeggeri, ma ha anche aumentato la produttività della forza lavoro. Gli stessi dipendenti si sono adoperati per migliorare le prestazioni e i servizi dell’azienda, lavorando ad esempio alla pulizia degli aerei, riducendo i tempi di attesa, rendendo più efficace il sistema di manutenzione: il risultato è che Southwest Airlines è oggi il vettore low-cost più grande del mondo ed è costantemente in cima alle classifiche delle compagnie aeree più redditizie.

Ma la cultura aziendale non può basarsi esclusivamente su un’identità unica: il secondo elemento di cui parla Mankins è un insieme di attributi di performance che si allineano alla strategia aziendale e rafforzano i comportamenti positivi dei dipendenti. La ricerca di Bain & Company ne ha evidenziati sette:

Onestà: elevata integrità in tutte le interazioni tra dipendenti, clienti, fornitori e altri soggetti interessati;

Performance-focused: e attività di sviluppo e di gestione dei talenti sono in sintonia con i drivers della prestazione;

Responsabili e proprietà: ruoli, responsabilità e autorità sono tesi a rafforzare la proprietà e ciò incide positivamente sul lavoro e dei risultati;

Collaborazione: è risaputo che le migliori idee nascono dallo scambio e la condivisione di idee tra individui e gruppi, e questa modalità è abitualmente utilizzata in aziende ad elevate prestazioni;

Flessibilità e adattività: l’azienda è in grado di cambiare rotta quando necessario e adattarsi ai cambiamenti dell’ambiente esterno;

Innovatività: i dipendenti si muovono verso modi di pensare nuovi.

Orientata verso il successo: vi è una forte ambizione e orientamento al successo, sia rispetto alla concorrenza che verso alcuni standard di assoluta eccellenza.

Mankins specifica però che sono poche le aziende in possesso di tutti gli attributi elencati, ma tipicamente le aziende con le migliori performance spiccano in almeno tre o quattro di questi fattori critici per il successo.

Ancora una volta Mankins riprende un esempio tra quelli elencati in apertura: Alan Mulally, CEO della Ford dal 2006, ha concentrato una produzione dispersiva su un solo modello di automobile lavorando con un metodo fondato sulla collaborazione, l’innovazione e il desiderio di tornare ad essere leader di mercato. In soli tre anni, Ford ha ricominciato a crescere in termini di fatturato e di quote di mercato, invertendo la rotta rispetto alla situazione di calo degli anni precedenti.

In conclusione, Mankins afferma che una cultura vincente ha un ruolo fondamentale per le prestazioni aziendali, e che questo tipo di cultura genera risultati migliori non solo nei dipendenti, ma anche per i clienti, i fornitori e gli azionisti.

Per leggere il post originale, il link di riferimento è: http://blogs.hbr.org/2013/12/the-definitive-elements-of-a-winning-culture/

Napoli, 20/12/2013

I 5 superpoteri del marketing: tecnologia e team alla base del successo

Mark Bonchek (Chiaf Catalyst di Orbit & Co., network per leader e organizzazioni che vogliono tenersi al passo con le novità del mondo digitale) e Cara France (CEO di The Sage Group, società di marketing e consulenza con sede a San Francisco) hanno pubblicato di recente un post su Harvard Business Review dopo l’esperienza come organizzatori e giudici di Marketers that Matter, una competition destinata ai migliori progetti innovativi nel marketing.

Durante l’esperienza di Marketers that Matter, infatti, hanno avuto modo di entrare in contatto con i migliori esperti e CMO della Silicon Valley: parlando con loro, sono riusciti a raccogliere le cinque skills fondamentali per una campagna di marketing di successo.
Il punto di partenza è che, oggi più che mai, i clienti sono sempre più connessi ed hanno un grande potere: è fondamentale quindi conquistare i loro cuori e le loro menti, servendosi delle tecnologie più moderne, basandosi su grandi quantità di dati e coinvolgendoli con prodotti e servizi che superino le loro aspettative.
Per fare tutto questo, è importante avere un team composto dai migliori talenti, e riuscire a far lavorare la squadra in vista di un obiettivo comune.

Ma quali sono le skills che possono essere definiti dei veri e propri “superpoteri” nel marketing?

1. Sentire ciò che nessun altro riesce a sentire

Da sempre, i migliori esperti di marketing sono dei grandi ascoltatori. La rivoluzione digitale ha dato voce a tutti e ciascuno può esprimersi scegliendo il canale che preferisce: bisogna quindi adeguarsi e sfruttare le nuove tecnologie per ascoltare pareri, bisogni ed aspettative dei clienti.
Un esempio è quello di SAP, azienda leader nella produzione di software destinati alle imprese: il CMO Jonathan Becher ha impostato il lavoro dell’azienda su un processo di miglioramento dei prodotti basato sulla collaborazione dei clienti. Insieme al suo team ha creato “Idea Place”, piattaforma dove la community di SAP può votare e suggerire le modifiche ai prodotti. Da sottolineare il risultato ottenuto da SAP: oltre 10.000 contatti, 600 miglioramenti di prodotto e la crescita della customer engagement and satisfaction, dovuta all’approccio open e trasparente che l’azienda ha seguito.

2. Prendere sempre parte alle conversazioni

Grazie ai canali social, il numero di conversazioni su prodotti e aziende si è moltiplicato in maniera esponenziale. I responsabili di marketing devono essere presenti e partecipare a tutte le conversazioni, servendosi degli strumenti che la tecnologia offre: è fondamentale non stare sempre a parlare di sè, dell’azienda e dei prodotti, ma lavorare per costruire una community stimolante, iniziando conversazioni che portino i partecipanti a commentare e partecipare.
Caroline Donahue, CMO di Intuit, è bravissima a convincere le persone a parlare: con il suo team ha lanciato Intuit’s Small Business Big Game, una piattaforma social che coinvolge e responsabilizza migliaia di piccole imprese incoraggiandole a condividere le proprie storie e a votare le più interessanti.
Il programma ha ottenuto ottimi risultati, con decine di migliaia di storie e milioni di visite e voti.

3. Superare con un solo salto montagne di dati

I dispositivi digitali generano ogni giorno moltissimi dati: click, post, tweet e like. I vecchi sistemi, come i fogli di calcolo e le relazioni, non bastano a tenere tutto sotto controllo: il primo problema che il team di marketing deve risolvere diventa quindi riuscire ad avere accesso ai dati e gestirli in modo da ottenere informazioni utili e fruibili.
Pat Connolly, CMO di Williams – Sonoma, si è servito del cloud per rendere accessibili i dati provenienti dalle svariate fonti. A questo punto, per rendere tali dati significativi, si è impegnato per ottenere algoritmi e modelli utili. Spesso questo passaggio è difficile per le aziende, ma l’esempio di Williams – Sonoma insegna che si tratta di un punto di forza fondamentale che differenzia l’azienda da chi non riesce ad organizzare i dati in maniera utile.

4. Far sparire i silos

I silos sono strutture isolate, ed ogni azienda può avere i propri silos: nelle varie aree (marketing, vendite, IT, servizi), all’interno di una singola area (nel marketing, ad esempio, brand, comunicazione, advertising e digitale). Nelle vendite, ad esempio, ci sono i negozi, il call center e l’e-commerce. I migliori esperti di marketing riescono ad eliminare queste singole suddivisioni, facendo in modo che tutti lavorino allo stesso obiettivo: una customer experience che il cliente possa recepire come eccezionale.
L’esempio è fornito da Julie Bornstein, CMO di Sephora, che ha rivoluzionato completamente il modo “classico” di pensare all’azienda come composta da più silos: tutte le operazioni (marketing, IT, magazzino, programmi di fidelizzazione) sono pensati in modo che siano collegati tra loro: questo perché il cliente può essere in negozio, può vedere la pubblicità su una rivista, o può visitare il sito internet, ma è sempre lo stesso cliente.
Il segreto è quello di far lavorare tutti i componenti dell’azienda con una vision “clent-centric” e a 360°, eliminando dalla mentalità dei dipendenti l’idea “io lavoro su questo”. Il risultato di questo approccio è che Sephora ha ottenuto oltre 20 milioni di clienti iscritti al suo programma fedeltà.

5. Condividere i “superopoteri” con gli altri

Un’azienda vincente si costruisce solo con una squadra vincente: un esperto di marketing sa che il modo migliore per ottenere risultati è quello di condividere le proprie skills per farle arrivare anche agli altri.
Il CBO di Visa Antonio Lucio lavora esattamente in questo modo, costruendo i migliori team combinando vecchi e nuovi dipendenti: secondo Lucio, infatti, “il trucco per creare la magia è combinare l’esperienza e le prospettive dei brand builders tradizionali con l’energia e l’innovazione dei nativi digitali”.
Sulla base di questa vision Visa ha costruito la sua campagna per le Olimpiadi di Londra 2012, ottenendo i migliori risultati in 26 anni di campagne olimpiche.

Riassumendo, per ottenere una campagna di marketing vincente è necessario utilizzare questi cinque “superpoteri” combinandoli con l’utilizzo delle tecnologie e il lavoro di squadra: in questo modo sarà possibile tenere il passo con i consumatori sempre più esigenti e offrirgli una customer experience che supererà tutte le loro aspettative.

Napoli, 04/12/2013

Come costituire un team di successo con i consigli di Steve Blank

In un post recentemente pubblicato sul suo blog, Steve Blank affronta un argomento di cui si parla poco: le caratteristiche che un team di founders deve possedere per creare una grande startup.
Il presupposto di partenza di Blank è che esistono tre figure fondamentali in una startup, con differenti caratteristiche: il founder, il team dei founders e il founding CEO.
Vediamo quali sono le definizioni di Blank e le caratteristiche che ciascuna di queste figure deve possedere a suo parere per costruire una startup di successo.

1) Il Founder: l’idea
Il founder è, secondo Blank, colui che è in possesso di un’idea originale, una scoperta scientifica, un’innovazione tecnologica, un’intuizione, una passione: il founder recluta i co-fondatori, che coinvolge giorno per giorno nel processo di creazione della propria startup.

Blank pone l’accento su due aspetti che ritiene fondamentali: il primo, riguarda la capacità di distinguere tra un’idea innovativa che potrà effettivamente trasformarsi in un’impresa di successo e un’idea che non potrà mai essere commercializzata .
Il secondo aspetto fondamentale è che bisogna essere consapevoli che, nel momento in cui si costituisce un team, non è detto che il founder che ha avuto l’idea debba necessariamente assumere la leadership: è qui che Blank anticipa la differenza fondamentale tra founder e CEO, che sarà spiegata meglio più avanti.

2) Il Founding Team: the rock on which to build the company
Il gruppo che costituisce la società (che Blank definisce come la roccia su cui costruire la società) è formato dal founder e da un ristretto team di co-fondatori in possesso di competenze complementari a quelle del founder.
Si tratta del team che dovrà assicurarsi di partire dall’idea originale per trovare il miglior modello di business ripetibile e scalabile, con un product/market fit, dopo aver effettuato tutti i test necessari su ogni aspetto del business model (pricing, canali distributivi, partner, costi, etc.).
Secondo Blank non esiste un “numero magico” per i componenti di un team, ciò che conta davvero sono le competenze in possesso dei fondatori: queste ultime devono essere quelle più adatte a mettere in pratica l’idea imprenditoriale, e devono essere complementari tra loro.
Blank consiglia agli aspiranti startuppers di porsi due domande per decidere se una persona debba essere o meno un co-founder: bisogna chiedersi se è possibile avviare la società senza quella persona, e se è possibile trovare qualcun altro simile. Se entrambe le risposte sono negative, quella persona sarà un co-founder. Secondo Blank, inoltre, se la risposta ad una delle due domande è “sì”, quella persona dovrà essere assunta in seguito tra i primi dipendenti della startup.

Tra le caratteristiche chiave che Blank elenca per un team di founders vincente, ritroviamo la passione, la determinazione, la tenacia, la curiosità ed il rispetto reciproco: è fondamentale che i co-founders valutino la loro capacità di lavorare insieme come un gruppo affiatato, con coraggio e fiducia per gli altri membri del team.

3) Founding CEO: Reality Distortion Field e Comfort in Chaos
Secondo Blank, la visione idealista della leadership collettiva, senza una persona responsabile di prendere le decisioni, è il modo più veloce perchè la startup esca dal mercato. Nel mondo delle startup, la velocità, il ritmo e le decisioni prese senza timore sono fondamentali per mantenere il vantaggio competitivo: per questo, è fondamentale che ci sia un CEO che prenda le decisioni in maniera rapida ed immediata.

Il Founding CEO è il “primo tra uguali” in un team di fondatori, e secondo Blank spesso non è il più intelligente del gruppo: ciò che distingue un Founding CEO dai co-founders è la loro capacità di guardare la realtà in una maniera distorta, caratterizzata dalla totale assenza di paura che essi usano per mandare avanti la società.
Tra le caratteristiche più importanti del Founding CEO, Blank elenca la passione, la dedizione totale alla mission della società e l’abilità di comunicare la loro idea che, seppur apparentemente folle, è in grado di cambiare il mondo.
Inoltre, Blank spiega che il Founding CEO è totalmente a proprio agio nel caos e nell’incertezza: ciò è fondamentale in una startup, dove bisogna affrontare quotidianamente i problemi di sviluppo del prodotto, o le difficoltà di acquisizione dei primi clienti. Si tratta di situazioni in continua evoluzione che spesso sfociano improvvisamente in scenari imprevedibili: per dirlo con le parole di Blank, il Founding CEO cerca ogni giorno di risolvere un’equazione in cui quasi tutte le variabili sono ignote.
Un grande Founding CEO è in grado agire per modificare lo status della situazione, senza stare ad aspettare che qualcuno gli dica cosa fare.

La conclusione di Blank è che conoscere le differenze tra Founder, Founding Team e Founding CEO è fondamentale per gli aspiranti startuppers che potranno costruire il proprio team scegliendo i compagni di viaggio con cui costruire una startup di successo.

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Napoli, 26/08/2013

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