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Tag: bisogni

Chivas Venture 2019: la Startup Competition mondiale da un milione di dollari

Chivas Venture mette a disposizione un milione di dollari per imprese e startup con progetti nel settore sociale o ambientale

The Chivas Venture è una competizione annuale a livello mondiale promossa da Chivas Brothers Limited allo scopo di individuare e sostenere imprese e startup che si impegnano dare soluzione a problemi di carattere ambientale e/o sociale, confermando l’attuale interesse di investitori e finanziatori per questa tipologia di progetti: di recente, infatti, abbiamo approfondito anche il bando Innovare in Rete, un’altra opportunità per l’innovazione a impatto sociale e ambientale.

Le candidature devono essere inviate da un founder (o un dipendente) che abbia compiuto almeno 25 anni di età entro la deadline fissata al 31 ottobre 2018, attraverso l’apposito form di application al seguente link: https://www.chivas.com/it-it/the-venture/register .

La competition ha un respiro internazionale ed è aperta alle candidature provenienti dai seguenti Paesi: Argentina, Uruguay, Belgio, Brasile, Bulgaria, Cile, Inghilterra o Galles, Grecia, Israele, Italia, Giappone, Messico, Olanda, Polonia, Portogallo, Romania, Scozia, Irlanda del Nord, Slovacchia, Sudafrica, USA, Vietnam.

Possono partecipare le aziende che, tra il 1° settembre 2017 e il 1°settembre 2018, abbiano generato un fatturato non superiore a 1.500,00$, trovandosi quindi in uno dei seguenti stadi:

– Seed > il prodotto è ancora nella fase di prototipo e l’attività non genera ancora reddito proveniente da cliente/utenti;
– Start-up > il team ha elaborato un prototipo o un prodotto (anche di primissima fattibilità) pronto per l’introduzione sul mercato, o ci sono già clienti paganti, possibilmente con una crescita dimostrabile del numero di utenti;
– Growth > l’azienda ha una proposta già convalidata e si sta preparando a un cambiamento di natura dimensionale (crescita del business).

Le candidature saranno valutate in base ai seguenti criteri:

– Opportunità di mercato & Bisogni,
– Modello aziendale & Team,
– Impatto sociale dimostrabile,
– Dati di natura finanziaria,
– Qualità dell’esposizione e passione del rappresentante dell’azienda.

Il percorso della competition si suddivide in due fasi:

– la Fase 1, di natura essenzialmente Locale, prevede l’individuazione dei vincitori nei singoli paesi partecipanti, tra cui l’Italia. I vincitori saranno annunciati entro il 17 Gennaio 2019.

– la Fase 2, di competizione a livello Globale, vedrà i vincitori nazionali in competizione tra loro, e prevede al suo interno tre sotto-fasi: 1) la partecipazione al “Programma Accelerator”, che avrà luogo nei mesi di marzo/aprile 2019 nel Regno Unito; 2) la fase delle votazioni, che si chiuderà con l’assegnazione di $100.000 prelevati dal Fondo sulla base dei voti espressi dai consumatori; 3) la finale mondiale di Chivas Venture 2019, che avrà luogo in Europa nel mese di maggio 2019, con la possibilità di vincere una parte del Fondo messo a disposizione per la competition.

I premi assegnati potranno avere un valore compreso tra 50.000 e 750.000 dollari. Per maggiori dettagli e informazioni sull’assegnazione dei premi e, in generale, sul funzionamento di Chivas Venture 2018, si rimanda alla lettura integrale del Regolamento (disponibile a questo link).

Costruire il miglior MVP per una startup: alcuni consigli utili per i founder

Rahul Varshneya è co-founder di Arkenea LLC, una società di consulenza specializzata in aziende che si occupano di prodotti ed app mobile: di recente, il portale Entrepreneur ha pubblicato un suo articolo dedicato ad una tematica di importanza molto rilevante per le startup. L’articolo di Varshneya è infatti dedicato alle caratteristiche fondamentali di un perfetto MVP, che spesso rappresentano delle vere e proprie sfumature, a volte molto sottili, che il team di una startup deve imparare a riconoscere.

MVP

Un MVP rappresenta il prodotto con il maggiori tasso di ritorno degli investimenti rispetto al rischio. Esso può assumere differenti livelli di complessità e avere una quantità più o meno numerosa delle caratteristiche finali previste per il prodotto: si può avere un MVP tale da poter avere il prodotto finale nel giro di poche settimane, così come si può avere un MVP consistente in una semplice landing page.

Non esiste un MVP predefinito che vada bene per qualsiasi startup: dipende da una serie di fattori, tra cui il settore di riferimento, il problema che ci si propone di risolvere, la concorrenza già esistente e potenziale. Ma è possibile, secondo l’autore, identificare alcuni concetti di base sul MVP per selezionarne le caratteristiche fondamentali.

1) Distinguere tra “must have” e “nice to have”

La regola di base per le fasi iniziali di sviluppo di qualsiasi prodotto è capire il “core value” che si sta offrendo. Essere in grado di separare le caratteristiche “must have” da quegli orpelli che Varshneya definisce “campanelli e fischietti” aiuterà la startup ad arrivare sul mercato e convalidare le ipotesi con un investimento decisamente più basso.

La prima versione di un prodotto dovrebbe concentrarsi esclusivamente sul core value, ma ciò non significa che non debba essere sviluppata in modo accurato: anche se un’app deve possedere soltanto un paio di features, queste devono essere progettate e sviluppate nel migliore dei modi possibili.

La maggior parte dei founder crede che un MVP sia un prodotto incompleto, mentre è essenziale che le caratteristiche (seppur limitate) che si offrono al cliente siano sviluppate al meglio e nell’ottica di facilitare e rendere piacevole la customer experience.

In breve, un MVP non è una landing page, non è un mock-up, non è un prototipo: un MVP è un prodotto vero e proprio.

2) Indirizzare il MVP ad un solo segmento di mercato

Un MVP deve essere progettato in maniera tale da contenere le caratteristiche e funzionalità che servono al nostro cliente target. Naturalmente, il prodotto finale può essere adatto a differenti segmenti di mercato, ma per il lancio di un MVP è molto più prudente concentrarsi su un segmento di mercato unico, specifico, ben delineato.

Quando si sviluppa un MVP occorre impegnarsi nella creazione di un prodotto economicamente sostenibile, in grado di risolvere il problema degli early adopters: il passo successivo alla costruzione del MVP è infatti l’identificazione e il raggiungimento degli early adopters della startup, in modo tale da poter iniziare a raccogliere i feedback.

Spesso raggiungere gli early adopters è un compito impegnativo per una startup, ma concentrarsi su uno specifico segmento di clientela è un buon modo per iniziare. Inoltre, risolvere il problema specifico dei primi clienti è il modo migliore per cercare il product/market fit: i passi successivi sono quelli di scale-up e commercializzazione.

3) Riconoscere la differenza tra un mercato servito e uno non sfruttato

Non sempre è possibile lanciare un prodotto su un mercato nuovo e non sfruttato: il vostro prodotto può essere semplicemente migliore di quelli già esistenti. Ma se esiste già della concorrenza, è necessario riuscire a costruire una soluzione migliore di quelle che sono sul mercato.

In uno scenario del genere, quindi, un MVP potrebbe essere concepito come “meno” di un prodotto concorrente già sul mercato: ma è un errore concentrarsi sul “meno”. Il MVP di una startup non deve avere meno caratteristiche e funzioni, deve piuttosto concentrarsi sulla customer experience offerta al cliente e sulle caratteristiche “must have” del prodotto.

Naturalmente il MVP di un mercato concorrenziale è differente da quello di un mercato nuovo e non sfruttato: occorre quindi raccogliere più informazioni possibili sul mercato di riferimento, sui concorrenti, sulla clientela e sui suoi bisogni.

Proprio su questo punto, Varshneya conclude il suo articolo con un consiglio agli startupper: non esistono caratteristiche “preconfezionate” adatte a qualsiasi MVP. Bisogna sempre agire con giudizio, basando le proprie scelte sulle informazioni raccolte riguardo lo scenario esistente.

Per leggere il post originale: http://www.entrepreneur.com/article/247685

Napoli, 04/11/2015

Startup e grandi aziende a confronto: puntando a soddisfare il cliente, Davide riesce a vincere contro Golia

Darren Guarnaccia è Chief Strategy Officer per Sitecore, azienda leader globale nel settore del Customer Experience Management: il suo compito è quello di guidare la strategia dell’azienda, plasmare i prodotti in maniera tale da semplificarne la complessità ed offrire al cliente la miglior esperienza possibile.

Alcune settimane fa, il portale Mashable ha pubblicato un articolo di Guarnaccia dal titolo “Size matters: Why it’s better for startups to be David than Goliath”.
Si tratta di un interessante punto di vista che accomuna le startup al piccolo Davide e i grandi colossi dell’industria al gigante Golia: nella leggenda, Davide riesce a vincere la battaglia grazie alle sue tattiche intelligenti fino ad abbattere Golia con una semplice fionda.

Secondo Guarnaccia, le startup devono essere come Davide: con le loro piccole dimensioni e la loro struttura lean e flessibile, devono riuscire a vincere la loro “battaglia” contro la concorrenza grazie ad una buona strategia. Non si tratta, infatti, di dimensioni dell’azienda o di voci di bilancio: ciò che conta davvero è ciò che si fa e come lo si fa.

Da un punto di vista strategico, invece, spesso le startup puntano erroneamente a voler sopraffare i grandi colossi del mercato cercando di imitarli, ricadendo in una vera e propria trappola che li distrae dal vero obiettivo: capire cosa i clienti vogliono, di cosa hanno davvero bisogno.

Una grande azienda, spesso, man mano che cresce su larga scala perde di vista il focus sul cliente: una startup invece, potendo contare su una struttura più piccola e flessibile, dovrebbe concentrarsi proprio sul cliente e sulla sua soddisfazione, anziché sul cercare di imitare i concorrenti di grandi dimensioni.

Vediamo, quindi, i tre consigli che Guarnaccia offre alle startup per abbracciare e far fruttare il vantaggio competitivo derivante dall’essere dei “piccoli Davide”:

1) Rimanere concentrati sulla maniera distintiva in cui possiamo soddisfare il cliente 

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Quando le preferenze del cliente cambiano, una piccola azienda nata da poco riesce a cambiare rotta molto più facilmente di un grande colosso consolidato: la struttura è più snella, l’organigramma e la burocrazia sono meno pesanti. Una startup riesce a cambiare e ad innovare più facilmente ed è per questo che non deve mai perdere di vista le peculiarità che le permettono di soddisfare al massimo i bisogni della sua clientela.

Esempio: Zipcar – Il mercato è pieno di aziende che offrono macchine a noleggio su base giornaliera, ma Zipcar ha capito che molti clienti avevano bisogno di noleggiare un’auto ad ore. Offrendo questo servizio si è differenziata dai concorrenti, basandosi sulla maniera distintiva con cui poter soddisfare i clienti.

2) Domandarsi perché e come 

whyhow

Una startup (e, in generale, una piccola azienda) deve affrontare una sfida ben precisa: risolvere in maniera unica ed univoca il più grande problema del cliente. Ecco perché il primo passo è quello di capire qual è il problema da risolvere. Le domande da porsi a riguardo sono essenzialmente due: perché sto creando questo particolare prodotto/servizio? Come questo risolve il problema del mio cliente?

Queste due domande devono guidare l’intera attività di business: ciò significa allineare il team e condurlo il più possibile a contatto con il cliente. Dipendenti e clienti si allineeranno intorno al perché, rafforzando la capacità dell’azienda a trovare il come per raggiungere gli obiettivi di business.

Esempio: Zappos – L’azienda per la vendita on-line di scarpe è nota per la sua cultura aziendale e per la sua struttura piatta, in cui lo scopo è allineare le persone sul come e sul perché.

Rispetto al concorrente Amazon, Zappos rappresenta Davide: ma ciò che la contraddistingue e le consente di avere successo è il suo mettere il cliente al primo posto, concentrandosi sulla sperimentazione di nuovi approcci per soddisfare il cliente. I clienti di Zappos, ad esempio, non erano soddisfatti dalla politica di reso entro 30 giorni: per questo motivo, Zappos li ha accontentati offrendo una politica di reso a 365 giorni.

3) Creare una cultura di empowerment 

Businessman holding lightning in fist. Power and control

La creazione di una cultura aziendale forte è fondamentale e deve partire dai vertici aziendali: ne è un esempio lampante Bradley Tilden, CEO di Alaska Airlines. Nella sua compagnia aerea, Tilden ha creato una cultura aziendale in cui i dipendenti sono liberi di agire come ritengono più opportuno, senza dover sottostare al permesso di chi è più in alto in gerarchia.

Nelle grandi aziende Golia, i dipendenti diventano dei meri esecutori delle linee guida e delle politiche decise dall’alto. Una piccola startup Davide, invece, è in grado di non sottomettersi a questo tipo di cultura: questo rappresenta un grande vantaggio nella soluzione dei piccoli e grandi “intoppi” quotidiani.

Nel caso di Alaska Airlines, Guarnaccia racconta una sua esperienza diretta come cliente: per un errore della compagnia gli era stato prenotato il volo sbagliato e l’agente al banco check-in non gli ha fatto pagare la tassa per la nuova prenotazione. Molte compagnie aeree, in una situazione del genere, avrebbero fatto pagare al cliente un errore non suo a causa della politica aziendale.

Con la sua politica basata sull empowerment, invece, Tilden dimostra fiducia nei propri dipendenti consentendogli di lavorare in autonomia.

In conclusione, molte startup aspirano a diventare dei Golia: la realtà è che dovrebbero abbracciare i vantaggi derivanti dall’essere un piccolo Davide, potendosi permettere di costruire un prodotto/servizio che soddisfa realmente il cliente ed ispira i dipendenti a lavorare nella maniera migliore.

Per leggere il post originale: http://mashable.com/2015/07/01/startups-david-versus-goliath/#fWqaQpUifOqZ

Napoli, 07/10/2015

Passione, innovazione e lavoro di squadra: perché pensare come una startup è utile anche alle grandi aziende

Philip Brittan è CTO e Global Head of Platform alla Thomson Reuters, società statunitense nel settore dell’informazione nata nel 2008 dalla fusione tra il colosso dell’informazione finanziaria canadese Thompson e la Reuters, agenzia di stampa britannica con sede a Londra.

Nella fase iniziale della sua carriera ha partecipato alla fondazione e allo sviluppo di tre startup, per poi approdare a ruoli dirigenziali in grandi aziende: a prima vista, il suo percorso lavorativo potrebbe sembrare a ritroso, visto che nell’immaginario comune i giovani iniziano a fare esperienza come dipendenti in azienda per poi provare a dar vita al proprio progetto imprenditoriale come founder di startup. In realtà, come spiega Brittan in un interessante articolo dell’Huffington Post, il suo percorso è molto più lineare di quanto si possa immaginare: ciò che si impara in una startup è spesso un valore aggiunto inestimabile per lavorare in una grande azienda.

Secondo Brittan, infatti, alcuni aspetti tipici di una startup, come il senso di libertà e di accesso alle possibilità, l’attenzione all’innovazione, la passione per la mission e l’attaccamento ai valori della cultura aziendale possono essere fondamentali per una grande azienda.
Ma quali sono i fattori di base che una startup possiede e che gli permettono di avere accesso a queste caratteristiche? Secondo l’autore, sono essenzialmente due: la novità e le piccole dimensioni.

Una startup, per definizione, è un’azienda appena nata e per questo riesce a non avere aspettative: questo aspetto è fondamentale per quel senso di libertà e di “possibilità” tipico di una startup.
L’aspetto legato alle piccole dimensioni, invece, viene riassunto da Brittan in un’espressione metaforica: “you can easily see the edges“.

In inglese, “edge” significa “bordo, margine”: l’autore sostiene che un’azienda può essere immaginata come un gruppo di persone (il team) all’interno di un recinto: al di fuori del recinto c’è il resto del mondo, quindi i clienti, i concorrenti, i fornitori, etc. Una startup, grazie alle sue dimensioni ridotte, può vedere al di là del recinto molto più facilmente: questo significa avere sempre la possibilità di guardare con chiarezza il business e di focalizzare al meglio il mercato e le sue dinamiche.

Il primo aspetto tipico di una startup che anche le grandi aziende dovrebbero adottare è quindi la capacità di mantenere il focus sul mondo esterno: spesso, invece, sono talmente concentrate sul proprio business da perdere il punto di vista su ciò che accade fuori.

Inoltre, stare “vicino ai bordi” ha un impatto positivo sul team: tutti lavorano fianco a fianco, il senso di attaccamento e di cultura aziendale raggiunge livelli molto elevati e tutti sono istintivamente portati ad un senso di responsabilità condivisa. Il team di una startup è guidato da founder con senso di leadership efficace e animati da forte passione. Infine, spesso le risorse sono limitate e questo aspetto è il motore dell’innovazione: si cerca di far crescere l’azienda adottando nuovi sistemi con le risorse limitate a disposizione (approccio agile e flessibile).

In una grande azienda, invece, tutti questi aspetti si perdono di vista, assieme al contatto diretto con il cliente e con il mercato. Inoltre, l’organizzazione è spesso basata su processi e sistemi standardizzati che annullano il senso di responsabilità condivisa, facendo sentire le persone come se lavorassero in maniera meccanica, automatica.

In conclusione, tutte le aziende, a prescindere dalla dimensione e dal numero di anni di attività, possono beneficiare dall’adottare il modo di pensare di una startup. Brittan offre quindi alcuni spunti utili per le aziende che desiderano cogliere e mettere in pratica gli aspetti e le caratteristiche tipiche delle startup:

1) Concentrarsi attentamente sul cliente e sulla sua soddisfazione.

I clienti non vanno visti come un’entità astratta e lontana, ma come una realtà effettiva: l’ideale è costruire e mantenere delle relazioni con la clientela, trascorrere del tempo con i clienti, cercare di immergersi nella loro realtà per capire i loro bisogni. Per dirlo con le parole di Brittan: “I believe that the greatest source of truth you can have in business is sitting face to face with a customer“.

2) Creare un senso di responsabilità condivisa

L’autore ricorda con grande piacere i meeting ai quali partecipava assieme a tutti i membri del team quando lavorava in una startup. Lo scopo degli incontri era quello di capire cosa stava facendo la squadra: non c’era una suddivisione esasperata dei ruoli e delle attività, piuttosto la condivisione degli obiettivi e delle strategie da mettere in atto per raggiungerli. Il lavoro di squadra in una startup si basa sulla collaborazione, sapendo che si riesce o si fallisce tutti insieme.

3) Riconoscere che le risorse sono limitate e avere un approccio agile

Rendersi conto che qualsiasi azienda ha dei vincoli dovuti al fatto che le risorse sono limitate è il primo passo per capire come agire di conseguenza. I vincoli devono essere utilizzati come catalizzatori per l’innovazione, come molla che fa scattare l’inventiva: sono una risorsa indispensabile per attivare la creatività.
Una volta individuati i limiti, occorre poi darsi da fare per stabilire le priorità (non è possibile fare tutto!) e stabilire delle strategie agile e flessibili per raggiungere gli obiettivi.

Il post originale è disponibile qui: http://www.huffingtonpost.com/philip-brittan/how-every-business-can-be_b_6624070.html

Napoli, 06/02/2015

Consigli alle startup: il punto di vista di un Angel Investor quando si tratta di valutare il pitch

Nel suo “Instigator Blog”, Ben Yoskovitz (VP Product di Codified, co-autore di “Lean Analytics” e Angel Investor in diverse startup) ha pubblicato un post nel quale descrive il suo approccio da investitore nei primi incontri con i founder di startup alla ricerca di finanziamenti: si tratta di un interessante punto di vista per aspiranti startupper che possono farsi un’idea di come ragiona un Angel Investor e di cosa cerca nel team e nel progetto quando deve decidere se investire il suo capitale.

Yoskovitz elenca dieci “domande-tipo” che è solito rivolgere ai founder di una startup:

1) Cosa ti spinge a portare avanti questo progetto?

Per Yoskovitz è di fondamentale importanza sapere quali sono le preoccupazioni e le motivazioni che spingono i founder di una startup: bisogna capire bene su cosa si poggia il lungo e spesso duro lavoro che comporta una startup early-stage.

2) Come sapete che il vostro prodotto/servizio risponde ai bisogni dei clienti? 

Yoskovitz è convinto che l’approccio Lean sia il migliore per una startup, per cui la validation è un aspetto chiave: per capire se i founder lo stanno applicando, gli si chiede se hanno già parlato con clienti ed utenti potenziali, se c’è una vision di riferimento e se alle spalle della vision c’è un piano strutturato per metterla in pratica.

3) Cosa ti tiene sveglio la notte?

Secondo la sua esperienza, Yoskovitz sa che c’è sempre qualcosa che spaventa gli imprenditori: in base alla risposta si può capire quali sono le priorità, se si è concentrati su ciò che è davvero importante. Inoltre, consente all’Angel Investor di “rompere il ghiaccio” e mettere le basi per una conversazione personale e “umana” con gli startupper.

4) Quali sono i prossimi step in programma?

Anche se è risaputo che nessun business plan sopravvive al primo contatto con il mercato, è comunque fondamentale che la startup abbia un piano strutturato dei prossimi step da implementare (di solito, si richiede un orizzonte temporale di 3/6 mesi dopo il finanziamento). Il piano deve essere costruito sulla base di una strategia logica e razionale, basata sui compiti e le sfide ordinati su scala prioritaria.

5) Chi saranno i prossimi ad essere assunti dalla vostra startup?

Nella maggior parte dei casi, una startup nelle primissime fasi di vita assumerà un talento tecnico. In casi più rari, alcune startup particolarmente lungimiranti possono scegliere di assumere un componente che si occupi del marketing o delle vendite. In ogni caso, è fondamentale per l’investitore sapere come si pensa di gestire le assunzioni, perché i costi per il personale sono sempre quelli più elevati per una startup ed è importante che i founder sappiano come gestirli.

6) Dove vedete i maggiori rischi per il vostro business?

Serve a capire se i neo-imprenditori hanno compreso a fondo le dinamiche relative al mercato di riferimento. Inoltre, questa domanda è essenziale per capire in che modo i founder intendono approcciarsi ai problemi: suona come “cosa hai intenzione di fare per affrontare i maggiori rischi del tuo business?”.

7) Chi sono i concorrenti?

Un investitore si trova ad ascoltare molti pitch, quasi sempre afferenti a settori diversi di mercato: è quindi indispensabile che i founder abbiano una profonda conoscenza del proprio mercato di riferimento e della concorrenza, per dare all’investitore tutte le informazioni utili per valutare la possibilità di concedere o meno il finanziamento. Inoltre, la startup deve dimostrare di avere almeno un elemento di differenziazione rispetto alla concorrenza: solo in questo caso l’Angel Investor potrà decidere di rischiare il proprio capitale.

8) Com’è la traction?

Naturalmente le startup in fase early stage avranno una traction piuttosto bassa, ma ciò non vuol dire che l’investitore non sia interessato ad approfondire l’argomento. Si tratta infatti di un aspetto molto importante per valutare se i founder hanno davvero capito a fondo la questione, e se sanno quali sono le metriche davvero importanti per la loro startup.

9) Perché stai chiedendo questo finanziamento?

Un Angel Investor vuole sapere a cosa serviranno i fondi da lui investiti, come verranno impiegati nel dettaglio: l’ideale sarebbe presentare un piano relativo ai 12 mesi successivi, per rassicurare l’investitore che sta rischiando il proprio capitale sui tempi in cui sarà possibile vedere eventuali progressi.

10) Come posso aiutarti in qualità di Angel Investor?

Con questa domanda Yoskovitz si riferisce al valore aggiunto che può offrire al team al di là del capitale investito: spesso, infatti, gli investor sono competenti in alcuni aspetti specifici del business e, in quanto tali, possono dare un aiuto esperto agli startupper.

Infine, esistono altri due aspetti fondamentali per un Angel Investor che valuta la possibilità di finanziare una startup: il team e il prodotto. Ogni startup dovrebbe assicurarsi di presentare questi due punti in maniera efficace al potenziale investitore, che ha bisogno di sapere su chi e su cosa sta rischiando il proprio capitale.

Per leggere il post originale: http://www.instigatorblog.com/10-questions-entrepreneurs-investing/2014/02/05/

Napoli, 30/12/2014

Consigli per startup: i 9 passi fondamentali per il successo di una nuova impresa

Laura Dornbush (AHA Strategic Partners), specializzata in Business and Personal Coaching, ha pubblicato attraverso LinkedIn un interessante contributo sul tema delle startup in cui elenca 9 passaggi critici da tenere in attenta considerazione per lanciare un’attività imprenditoriale di successo. Si tratta di un vero e proprio vademecum che i founder dovrebbero cercare di implementare passo dopo passo: vediamo più nel dettaglio i singoli step che lo compongono.

1) Smettere di mirare alla perfezione

La perfezione è soltanto un mito, non è la realtà: attendere che tutto sia perfetto serve solo a rallentare il momento della partenza. In più, bisogna sempre ricordare che “L’ottimo è nemico del bene“, vero più che mai anche quando si parla di startup e impresa.

2) Pianificare il successo

Per raggiungere il successo, in generale e a maggior ragione quando si tratta di startup, occorre prendersi tutto il tempo necessario per l’attività di pianificazione. i piani sono indispensabili per comprendere meglio il percorso da fare.
L’autrice cita in questo caso Benjamin Franklin: “Failing to plan is planning to fail“: quindi, non è possibile raggiungere la perfezione, ma è possibile e indispensabile costruire un piano solido per raggiungere il successo.

3) Fare le proprie ricerche

La ricerca è un aspetto imprescindibile per aspiranti imprenditori: amare ciò che si fa non basta, se non si conosce al meglio il settore, il mercato, tutto ciò che concerne il proprio business. La ricerca è un fattore chiave per capire se la strada che si sta scegliendo di percorrere con la propria startup è quella giusta.

Quindi, quando si sviluppa il business plan, è importante effettuare un’accurata attività di ricerca sul mercato di riferimento, sulla concorrenza, su prodotti e servizi complementari, etc. Infine, riguardo alla ricerca, non bisogna mai trascurare l’attività di documentazione dei risultati: si tratta infatti di dati e informazioni indispensabili sia per l’attuale pianificazione che per le future ricerche di cui la startup avrà bisogno nel corso degli anni.

4) Identificare i “core values”

Si tratta dei valori fondamentali della cultura aziendale, che rappresentano il cuore di qualsiasi attività e, in particolare, di una startup. Saranno indispensabili per affrontare eventuali crisi e periodi di stallo, per avvicinarsi ai clienti e costruire relazioni con loro, per scegliere le attività su cui concentrare il business.

In questo ambito Laura Dornbush consiglia ai founder di tenere sempre a mente che “si tratta di una maratona, non di uno sprint“: occorre lavorare in maniera continuativa per far sì che i clienti conoscano i valori dell’azienda e accrescano la loro fiducia, con la consapevolezza che i risultati arriveranno con il tempo.

5) Definire al meglio il target

La maggior parte delle startup sono convinte che il target di riferimento sia composto semplicemente da chi ha i soldi per comprare il loro prodotto/servizio: purtroppo, questo tipo di ragionamento porta a spendere male le risorse, attirando fasce errate di clientela e finendo per erodere i profitti.

L’autrice consiglia invece di prendere il tempo necessario per definire il target di mercato: partendo da aspetti demografici, occorre restringere sempre più il campo e identificare un target di clienti più possibile specifico. Si tratta infatti del modo migliore per assicurarsi di soddisfare al meglio i bisogni.

6) Trovare finanziamenti

Il sostegno finanziario, naturalmente, è indispensabile per una startup: spesso il rischio è quello di partire con una grande idea e un grande progetto, ma di arrivare a fine percorso senza i capitali necessari per il “salto” dalla fase di startup a quella di impresa consolidata.

Il primo passo che Laura Dornbush consiglia di fare è quello di impostare una rete di sostegno finanziario partendo da amici, famiglia, parenti e poi accedere alla banca. L’obiettivo deve essere quello di assicurarsi un flusso di cassa costante per svolgere le attività quotidiane, più un piccolo budget per eventuali spese impreviste.
Con il passare del tempo, la startup potrà poi avere accesso ad eventuali finanziamenti o prestiti.

7) Affidarsi all’outsourcing quando è possibile

Esternalizzare le attività è un passo indispensabile per assicurare il successo del business: una startup non può pensare di fare tutto da sola, anche perché alcune attività potrebbero togliere tempo prezioso per il core business.

Le aree che una startup dovrebbe esternalizzare sono, secondo l’autrice, soprattutto quelle relative agli aspetti contabili e amministrativi.

8) Assumere le persone migliori

La startup è fatta soprattutto delle persone che la compongono: ecco perché è importante assumere le persone migliori che ci si può permettere. Occorre quindi uscire, parlare con le persone, capire cosa sanno fare e come possono dare un contributo al progetto.

Inoltre, è importante guardare in maniera obiettiva le competenze dei componenti del team e assicurarsi di assumere persone che possono completarlo.

9) Creare una dashboard finanziaria

Molte aziende perdono soldi perché non hanno stabilito fin dall’inizio il proprio schema di riferimento per tenere sotto controllo gli aspetti finanziari del business: occorre invece creare la propria dashboard e aggiornarla in maniera precisa e puntuale nel tempo.

Secondo l’autrice, l’ideale sarebbe dedicare almeno 15 minuti all’aggiornamento settimanale della dashboard finanziaria della startup, per tenere sotto controllo gli aspetti fondamentali del business.

Per leggere il post originale: https://www.linkedin.com/pulse/9-critical-startup-steps-launch-your-dream-business-laura-dornbusch

Napoli, 22/12/2014

Value Creation e Value Capture: come cambia il Business Model di una startup con la diffusione dell’Internet of Things?

In un interessante post pubblicato dal Network Blog della Harvard Business Review, Gordon Hui (leader della Business Design & Strategy per la società di consulenza americana SmartDesign) ha approfondito un tema interessante per startup e imprese innovative: le implicazioni sul Business Model causate della crescente diffusione dell’Internet of Things.

Le implicazioni e le nuove opportunità offerte dall’IoT e dalle soluzioni cloud-based ad esso correlate sono infatti di rilevanza fondamentale per le nuove imprese, in particolare in tema di value creation (creazione del valore) e value capture (monetizzazione del valore): è risaputo, infatti, che la creazione di valore rappresenta il cuore di qualsiasi Business Model, in quanto coinvolge tutte le attività fondamentali di un’azienda ed è la motivazione alla base delle decisioni di acquisto del cliente.

Nelle aziende tradizionali, creare valore significava individuare le esigenze durature del cliente e produrre sulla base di queste delle soluzioni di prodotto altamente progettate e, nella maggior parte dei casi, standardizzate.
Le aziende moderne, invece, devono fare i conti con l’innovazione continua ed incrementale e con le sue conseguenze: cambiano infatti gli aspetti relativi alla concorrenza (che cambia e cresce in maniera più rapida rispetto al passato) e si accorcia la vita dei prodotti, che diventano più rapidamente obsoleti.

In un mondo connesso e internet-based, i prodotti non sono più fatti per durare nel tempo: grazie agli aggiornamenti on-line, è possibile inviare al cliente con regolarità nuovi aggiornamenti e nuove funzioni/caratteristiche, è possibile rispondere al comportamento dei clienti in tempo reale grazie alla tracciabilità dei prodotti e, soprattutto, i prodotti possono essere connessi tra loro portando a nuove analisi previsionali più efficienti, ad un’ottimizzazione dei prodotti più efficace, a nuove user experience personalizzate.

Albert Shun, Partner Direct di UX Design per Microsoft, osserva: “I business model riguardano la creazione di esperienze di valore. E con l’Internet of Things, si può davvero capire come un cliente vive un’esperienza, che sia entrare in un negozio, acquistare un prodotto o usarlo, e infine capire cos’altro è possibile fare con quel prodotto/servizio. E’ possibile rinnovare l’esperienza, dargli nuova vita”.

Così come per la creazione di valore, il cloud impone un nuovo modo di approcciarsi anche alla monetizzazione del valore per il cliente.
Nella maggior parte delle aziende tradizionali, la monetizzazione del valore richiedeva semplicemente di fissare il prezzo giusto per ottenere il massimo dei profitti dalla vendita di un determinato prodotto. I margini vengono massimizzati in base alle principali leve dell’azienda, che stabiliscono il controllo su alcuni punti chiave della catena del valore (costi delle materie prime, brevetti, brand).

Vediamo quindi, in maniera schematica, come cambia la concezione del Business Model nelle attività di value creation e value capture con l’avvento dell’Internet of Things:

VALUE CREATION

Bisogni del cliente: nelle aziende tradizionali, si risolvono i problemi del cliente in maniera reattiva. Con l’IoT le esigenze e i bisogni vengono rilevati in tempo reale o ancora in fase emergente, con un approccio predittivo.

Offerta: per le aziende tradizionali, l’offerta consiste in un prodotto che viene immesso sul mercato e resta uguale finché il tempo lo renderà obsoleto e sarà necessario costruire un nuovo prodotto. L’avvento dell’Internet of Things permette di aggiornare continuamente il prodotto e di creare delle sinergie di valore attraverso la connessione ad altri prodotti.

Ruolo dei dati: nelle aziende tradizionali i dati venivano raccolti ed utilizzati per i futuri prodotti, mentre oggi le informazioni provengono da più fonti e convergono creando esperienze utili per aggiornare i prodotti attualmente sul mercato o aggiungere ad essi funzionalità e servizi.

VALUE CAPTURE

Path of Profit: nelle aziende tradizionali, il profitto cambia quando si vende sul mercato un nuovo prodotto o servizio. Gli aggiornamenti possibili grazie all’IoT offrono la possibilità di generare profitto attraverso entrate ricorrenti, che non dipendono necessariamente da nuove vendite.

Punti di Controllo: nelle aziende tradizionali è possibile controllare vari punti/livelli della catena del valore, mentre grazie all’Internet of Things si creano prodotti personalizzati e basati sul contesto (effetti del network sui prodotti).

Sviluppo delle Competenze: le aziende tradizionali utilizzano come leva per il profitto le core competences, le risorse e i processi già esistenti. Grazie all’avvento dell’IoT è possibile capire quali sono eventuali partner presenti nell’ecosistema di riferimento per aumentare i profitti dell’azienda.

In conclusione, con l’avvento dell’Internet of Things si ribalta la visione tradizionale delle aziende product-based: mentre per queste ultime le fonti di reddito possibili sono incentrate sulle vendite di nuovi prodotti, l’attuale situazione permette di aumentare le fonti di reddito, allargandole ad eventuali aggiornamenti, up-dates e personalizzazioni.

Il Business Model deve tenere in considerazione questa situazione, mettendo al centro ciò che consente di generare ricavi correnti: in caso contrario, come afferma Renee DiResta (O’Reilly AlphaTech Ventures), la startup baserebbe il proprio sviluppo sulla speranza che i clienti sviluppino una tale fedeltà al brand da acquistare anche un secondo prodotto presso l’azienda.

Altro aspetto fondamentale di cui tener conto nel Business Model è quello delle opportunità di partnership offerte dallo sviluppo dell’IoT: oggi, come afferma Zach Supalla (CEO della piattaforma open source Spark), non è più possibile pensare ad un’azienda “solitaria”, che agisce in un mercato “vuoto”. Una startup deve pensare non soltanto a come monetizzerà i propri profitti, ma anche a come il prodotto permetterà ad altri di generare e monetizzare valore.

Infine, l’autore evidenzia come la scelta tra una delle strategie competitive “tradizionali” identificate da Michael Porter (differenziazione, leadership di costo, focus) non sia più un approccio adatto alle startup e alle imprese che si muovono in settori in cui si fa strada l’Internet of Things: oggi, le tre strategie non si escludono automaticamente l’una con l’altra, ma possono essere utilizzate in maniera congiunta, rafforzandosi reciprocamente e migliorando i risultati in termini di value creation e value capture.

Per saperne di più, il post originale di Gordon Hui è disponibile al seguente link: http://blogs.hbr.org/2014/07/how-the-internet-of-things-changes-business-models/

Napoli, 05/08/2014

Un programma di accelerazione per startup focalizzate sull’innovazione sociale: è aperta fino al 10/07 la call di Unipol Ideas

A partire da oggi è aperto il Bando per le selezioni dei 10 migliori progetti di innovazione sociale per l’iniziativa Unipol Ideas: il Gruppo Unipol offre un programma di accelerazione della durata di due mesi (tra ottobre e dicembre 2014) nella sua struttura di Bologna, più quattro mesi di follow up.

La partecipazione a Unipol Ideas è aperta a cittadini italiani e stranieri maggiorenni, sia come realtà già costituite da non più di 36 mesi (startup, cooperative, srl, spa, imprese sociali, associazioni), sia come gruppi informali in possesso delle competenze per trasformare la propria idea in una solida realtà imprenditoriale.
Il programma di accelerazione sarà svolto in italiano e in inglese, per cui è fondamentale la conoscenza di entrambe le lingue.

I progetti partecipanti a Unipol Ideas dovranno essere in grado di creare prodotti, servizi e soluzioni che rispondano ai bisogni del futuro: il focus dell’acceleratore Unipol è infatti l’innovazione sociale, con realtà che possano contribuire a ridurre le diseguaglianze economiche e sociali, migliorare il benessere e la qualità della vita delle persone, ridurre il gap culturale, consolidare il senso civico attraverso l’utilizzo delle nuove tecnologie.

Il Gruppo Unipol, per la sua call for ideas, è infatti alla ricerca di idee:

innovative, in quanto legate all’utilizzo delle nuove tecnologie o all’applicazione delle tecnologie esistenti secondo modalità nuove;

utili, perché in grado di offrire risposte a bisogni sociali e ambientali ben definiti;

economicamente sostenibili, in quanto basate su un’attività imprenditoriale economicamente e finanziariamente valida ed equilibrata, con un mercato di riferimento sufficientemente ampio;

scalabili o replicabili, che possano rispondere ai bisogni diffusi in contesti geograficamente, culturalmente e socialmente differenti con un impatto positivo;

misurabili, sia in termini di performance economica che dal punto di vista degli impatti sociali e ambientali, attraverso indicatori di efficacia ed efficienza.

In particolare, la call for ideas di Unipol si rivolge a progetti innovativi nei seguenti settori:

1) Welfare e Salute: assistenza medica personalizzata, telematica per la prevenzione, eHealth, mHealth, servizi per l’infanzia, invecchiamento attivo, assistenza agli anziani, apprendimento continuo, sostegno al lavoro discontinuo e all’auto imprenditorialità;

2) Mobilità: trasporto assistito, Intelligent Transport Systems, densità dei centri abitati, aree a bassa densità di popolazione, realtà aumentata per indicazioni stradali, condivisione dei mezzi di trasporto, intermodalità e promozione della mobilità dolce, tecnologie a supporto della sicurezza stradale, obsolescenza e pericolosità dei mezzi; spazi condivisi e aree a 30 km/h;

3) Utilizzo e valorizzazione di risorse sottoutilizzate: fruizione condivisa e collettiva di beni, strumenti e servizi; rating tra pari e dinamiche collaborative; tracciabilità delle transazioni e delle responsabilità;

4) Assicurazione, credito e finanza: educazione finanziaria e alla gestione del rischio; automatizzazione e dematerializzazione delle transazioni; micro pagamenti e micro credito; personalizzazione dei servizi finanziari;

5) Resilienza e prevenzione: prevenzione, gestione emergenze e post emergenze; costruzione banche dati ambientali e mappe del rischio, riciclo e riuso; smaltimento prodotti tecnologici; monitoraggio territorio; monitoraggio e riduzione delle emissioni; crowdsourcing delle informazioni.

Per partecipare alle selezioni di Unipol Ideas bisogna compilare il form disponibile al seguente link: http://www.unipolideas.org/
All’application form vanno allegati i CV dei componenti del team e una presentazione del progetto in 15 slide. Le candidature sono aperte da oggi, 15/05/2014, fino alle ore 12:00 del 10 luglio 2014.

Entro il 15 settembre saranno selezionati i dieci migliori progetti, che parteciperanno al percorso di accelerazione che si svolgerà a Bologna dal 20 ottobre al 19 dicembre 2014, con la partecipazione degli esperti di Make A Cube a Avanzi.

Per maggiori informazioni: http://www.thefuturetobe.it/callforideas/

Napoli, 15/05/2014

La gestione delle vendite in una startup: come ottenere i migliori risultati fin dal momento dell’acquisizione dei clienti

Jake Dunlap è CEO e founder di Skaled, società di consulenza con sede a New York specializzata in sviluppo e crescita di startup scalabili su mercati internazionali. In un suo post pubblicato da WeWork, spiega come, nelle fasi iniziali di una startup, sia fondamentale che i founders si occupino delle attività di vendita.

Anche se i founders di una startup agli inizi sono impegnati in svariate attività, infatti, sono le persone più adatte ad occuparsi delle vendite: questo perché, soprattutto per le startup basate sulla metodologia Lean, l’attività di vendita va gestita fin dal principio con grande attenzione e nessuno conosce e ama il prodotto come il founder.

Purtroppo, nella realtà dei fatti sono pochi i founders a preoccuparsi delle vendite: Dunlap utilizza come esempio la storia di Take the Interview, una startup che consente ai candidati di rispondere alle domande di un colloquio attraverso il video, riducendo i costi e i tempi rispetto agli incontri di persona.

Nei primissimi tempi di attività, i founders di Take the Interview (Danielle Weinblatt e Ty Abernethy) si occupavano di contattare direttamente le aziende cui proporre il prodotto della loro startup, spiegando tutti i vantaggi che Take the Interview avrebbe apportato in termini di sistematizzazione del processo di assunzione.

Ben presto ci si è resi conto che il prodotto offerto dal team di Take the Interview poteva espandersi potenzialmente a livello globale: da qui, la necessità di trovare un nuovo sistema per identificare e contattare i potenziali clienti, e per capire i loro bisogni, le loro necessità ed eventuali dubbi e preoccupazioni.

Per prima cosa i founders si sono occupati della costruzione del profilo dei potenziali clienti di Take the Interview, per poi stabilire in maniera chiara e definita la tempistica e le modalità per mettersi in contatto con ciascuno di essi (per via telefonica o tramite e-mail). In seguito sono stati implementati alcuni sistemi di monitoraggio per tenere sotto controllo tali comunicazioni. Tutti gli sforzi erano quindi diretti a sistematizzare il più possibile le attività di acquisizione dei potenziali clienti, in modo tale da poter poi gestire in maniera efficace le vendite.

Dall’esperienza di Take the Interview, Jake Dunlap ha tratto alcuni consigli applicabili a qualsiasi startup:

1) Concentrare il focus sul problema che la startup cerca di risolvere: è il modo migliore per comunicare efficacemente cosa produce la startup e, quindi, cosa vende. L’ideale sarebbe comunicare ai potenziali clienti un problema che loro stessi non si erano ancora resi conto di avere.

2) Costruire un processo: riuscire a costruire un processo replicabile rende le vendite più facilmente gestibili per i founders, e assicura una transazione più facile e continuativa quando sarà il momento di assumere personale addetto alle vendite. Il processo sarà infatti ottimizzato e in grado di delineare le responsabilità e le risorse specifiche per far funzionare al meglio l’attività di vendita.

3) La Lead Generation è fondamentale: anche se richiede tempo, la lead generation è in definitiva un “gioco di numeri” che consente di raggiungere costantemente le persone via telefono o e-mail e di raccogliere ottimi risultati anche se il messaggio non è ancora perfetto. Basta infatti avere un messaggio forte e coerente da comunicare, ed essere perseveranti nel raggiungere i potenziali clienti.

In definitiva, costruire un processo di acquisizione clienti replicabile nelle fasi iniziali di attività di una startup, offre ai founders la possibilità di ottimizzare la gestione del settore vendite e di avere a disposizione un sistema coerente da trasferire ai venditori che saranno assunti in futuro.

Per leggere il post originale: http://www.wework.com/magazine/knowledge/sales-startups-founder-selling-can-go-right/

Napoli, 16/04/2014