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Il Blog del CSI

A Napoli il 24 settembre il Tour Digital Championship: focus su cultura digitale e innovazione sociale

E’ in arrivo a Napoli il 24 settembre la quinta tappa del tour Digital Championship, iniziativa promossa sul territorio nazionale dall’Associazione Digital Champions e da Telecom Italia allo scopo di diffondere la cultura digitale e dell’innovazione sociale nel nostro Paese, individuando i migliori progetti sul territorio di riferimento di ciascuna tappa.

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Il tour ha già attraversato le città di Cagliari, Ancona e Palermo, offrendo ai partecipanti di ciascuna tappa la possibilità di partecipare ad occasioni di confronto e dibattito sui temi dell’innovazione sociale e digitale e di conoscere e diffondere le best practices da replicare sull’intero territorio nazionale.

Ogni tappa del tour Digital Championship mette a disposizione dei talenti digitali partecipanti uno slot della durata di 6 minuti per presentare la propria idea innovativa, che sarà poi discussa e commentata dai presenti in sala e votata dalla giuria.
Per ciascuna tappa sarà scelto il miglior progetto, in termini di potenzialità, finalità e replicabilità.

La tappa del 24 settembre a Napoli si svolgerà presso il Centro Direzionale (Isola F6) a partire dalle 11:30. Potranno presentare il proprio progetto di innovazione sociale e digitale coloro che avranno presentato la candidatura entro la deadline fissata per il 14 settembre 2015.

La tappa di Digital Champions a Napoli è aperta a progetti provenienti dalle seguenti Regioni: Campania, Puglia, Molise.
Il form di iscrizione è disponibile qui: https://docs.google.com/forms/d/1gCtN4ywSxPA8M0BhqwvpTiDiVLQ0PCE6_BPCBN2RA0k/viewform

Per saperne di più:

http://www.digitalchampions.it/archives/blog/a-napoli-la-quinta-tappa-del-tour-dellinnovazione/

http://www.telecomitalia.com/tit/it/innovazione/digital-champions/digital-championship-italia.html

Napoli, 03/09/2015

Il Fondo di Garanzia per PMI e professionisti: tutte le opportunità previste dal MISE

Ci sono interessanti novità sul fronte delle agevolazioni per imprese e professionisti, e in particolare riguardano il Fondo di Garanzia per le PMI e i professionisti previsto dal Ministero dello Sviluppo Economico: con Circolare n. 11/2015 del 6 luglio 2015, infatti, la Banca del Mezzogiorno – Mediocredito Centrale Spa ha comunicato l’estensione delle agevolazioni previste dal Fondo anche alle professioniste iscritte ad ordini professionali o aderenti ad associazioni professionali (inclusi in apposito elenco del MISE).

Ad oggi, quindi, la Garanzia del Fondo è accessibile a due tipologie di beneficiari:

Imprese di micro, piccole e medie dimensioni regolarmente iscritte al Registro delle Imprese della CCIAA di riferimento (comprese le startup, che saranno valutate sulla base di piani previsionali),

Professionisti e professioniste iscritte agli ordini o aderenti alle associazioni professionali dell’elenco di cui sopra.

La Garanzia del Fondo è un’agevolazione che può essere richiesta ed attivata solo in caso di finanziamenti concessi da banche, società di leasing ed altri intermediari finanziari. Le caratteristiche del finanziamento concesso (ad es. tasso di interesse, condizioni di rimborso, etc.) sono regolate in base a contrattazione tra le parti, per cui il Fondo non interviene direttamente nel rapporto tra la banca e il soggetto finanziato.

L’intervento del Fondo di Garanzia offre la possibilità a PMI e professionisti di avere a disposizione una garanzia pubblica, che si sostituisce alle garanzie normalmente richieste per ottenere un finanziamento bancario e che spesso presentano costi proibitivi per i soggetti in questione.

La Garanzia del Fondo del MISE può coprire fino all’80% dei finanziamenti, per un importo massimo di 2,5 milioni di euro per ciascuna impresa o professionista, per operazioni di finanziamento a breve, medio e lungo termine (sia in caso di liquidità che di investimenti).
Il plafond accordato dal Fondo di Garanzia per le PMI e i professionisti può essere utilizzato per una o più operazioni di finanziamento, fino al raggiungimento del tetto massimo stabilito.
Il limite di 2,5 milioni di euro si riferisce esclusivamente all’importo garantito, mentre non sono previsti limiti per il finanziamento nel suo complesso.

Esistono delle limitazioni riguardo ai settori economici di appartenenza delle imprese e dei professionisti che possono richiedere le agevolazioni previste dal Fondo: sono infatti esclusi l’industria automobilistica, quella della costruzione navale, delle fibre sintetiche, dell’industria carboniera, della siderurgia, le attività finanziarie.
Per il settore agricolo è possibile avvalersi esclusivamente dello strumento di controgaranzia, attraverso confidi che operano nei settori agricolo, agroalimentare, della pesca.

Riguardo alla presentazione delle domande di agevolazione, esse non possono essere presentate direttamente al Fondo: al momento della richiesta di finanziamento in banca va richiesta (contestualmente) anche la garanzia diretta.
E’ inoltre prevista la possibilità di rivolgersi ad un Confidi, che gestirà l’operazione richiedendo la controgaranzia al Fondo.
Le operazioni di garanzia diretta sono attivabili da tutte le banche, mentre per i Confidi è previsto un elenco di soggetti accreditati.

Per maggiori informazioni e dettagli, il sito web ufficiale di riferimento è disponibile al seguente link: http://www.fondidigaranzia.it/imprese.html

Napoli, 02/09/2015

Startup Tips – Allineare Corporate Strategy, Product Strategy ed Execution per portare l’azienda al successo

Jim O’Leary è Vice Presidente del Product Management & Marketing per la Mitchell International, storica società californiana nel settore Software con sede a San Diego. Di recente, ha pubblicato attraverso LinkedIn un articolo molto interessante dedicato al tema della Corporate Strategy e dell’importanza di allineare la Product Strategy e l’Execution per il successo aziendale.

Il punto di partenza della sua analisi nasce dalla sua esperienza diretta nelle varie aziende in cui ha lavorato: in ognuna di esse, c’è un processo di Corporate Straqtegy ben definito, con modelli in PowerPoint e frameworks altisonanti provenienti dalla Harvard Business Review, che vengono discussi e stabiliti dal gruppo dirigente e poi condivisi con il resto dell’organizzazione. I piani di Corporate Strategy, infine, arrivano al team di Product Management e… vengono puntualmente ignorati!

O’Leary sottolinea che ciò accade non perché i responsabili di PM (Product Management) siano volontariamente disobbedienti: il fatto è che non esiste in azienda un processo per assicurarsi che la Corporate Strategy si traduca in Product Strategy e che quest’ultima venga poi effetivamente eseguita.

Per ovviare a questa situazione così diffusa, O’Leary assieme al suo team ha sviluppato e sta diffondendo una soluzione che potrebbe essere utile per risparmiare tempo e risorse, e che si presta ad essere affiancata ed inglobata con altri approcci alternativi.

Vediamo uno schema che riassume in generale la soluzione di O’Leary:

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Sharing the Corporate Strategy

Prima di tutto (come già accade in tutte le aziende) si condivide la Corporate Strategy con i Product Manager: a questo scopo, l’autore consiglia di utilizzare sessioni di gruppo interattive per piccoli team.

Product Portfolio Review Sessions

Per allineare gli investimenti di prodotto alla Corporate Strategy, O’Leary e il suo team hanno istituito delle sessioni dedicate al Product Portfolio Review ogni 10 settimane (cadenzate con il rilascio del prodotto). In queste sessioni, ci si assicura di:

– Revisionare lo stato di avanzamento di ciascun progetto di Product Development in corso (adattando le risorse se necessario),
– Selezionare i nuovi progetti da finanziare, in base alle loro potenzialità di promuovere la Corporate Strategy,
– Raccogliere gli input degli stakeholders più importanti per assicurarsi che tutti diano il proprio parere, in ordine di priorità.

PM Strategy Sessions

Per allineare l’execution delineata dal team di prodotto alla Corporate Strategy, O’Leary ha inoltre stabilito dei regolari incontri dedicati alla “PM Strategy”, da tenersi anch’essi ogni 10 settimane. Ecco come funziona ciascuna PM Strategy Session:

i Product Manager presentano i contenuti relativi a ciascuna linea di prodotto al capo e agli altri responsabili del PM & Marketing interessati a questa tipologia di informazioni;
a ciascuna linea di prodotto vengono dedicati circa 30 minuti, per poter presentare tutti gli aspetti e i dati in modo tale da offrire una visione completa dello stato attuale del prodotto, e dei futuri obiettivi da raggiungere. Le sessioni sono svolte in maniera molto interattiva, dando la possibilità di effettuare modifiche e aggiustamenti alle strategie in corso d’opera;
al termine delle presentazioni di ciascuna linea di prodotto, ogni PM identifica le strategie che potenzialmente vanno perseguite e le azioni che bisogna implementare per raggiungere i risultati desiderati (execution);
il PM stima inoltre i tempi necessari per implementare le azioni stabilite, basandosi su una stima dei tempi a disposizione. A questo punto, si preparano delle tabelle che riassumono i tempi, le azioni e gli obiettivi e che vengono esaminate con cadenza settimanale dal manager e dai dipendentri: ciò garantisce che la strategia e l’execution siano seguite quotidianamente;
in apertura della session successiva, saranno monitorate le azioni e gli obiettivi raggiunti: questa “revisione pubblica” dà grande motivazione a tutti i membri del team,
la PM session è infine indispensabile per identificare in maniera esplicita le strategie e le azioni più urgenti e quelle da tralasciare, in modo tale da ridurre al minimo la quantità di WIP (work in progress) e ottimizzare ulteriormente tempi e risorse.

PM Strategy Sessions – Metriche e Dati

Infine, O’Leary identifica i dati e le metriche fondamentali da passare in rassegna durante ciascuna PM Strategy Session:

1) Value Proposition del prodotto: è fondamentale che un Product Manager sia in grado di articolare la value proposition del suo prodotto in maniera interessante per i prospetti, i clienti, il team di vendita. Se al PM non è chiara la value proposition, infatti, si rischa di investire in capabilities di prodotto che non sono importanti per il mercato, e di veicolare messaggi che non sono efficaci. Con il tempo, l’azienda dovrebbe concentrarsi per allineare ciascuna value propsition di prodotto alla value proposition ae alla comunicazione dell’azienda in generale.

2) Fase del ciclo di vita del prodotto: identificare la fase del ciclo di vita in cui si trova ciascun prodotto è necessario per ottenere informazioni utili su cui basare le aspettative, i livelli di investimento, la quantità di risorse da spendere in marketing, etc. Molto spesso, infatti, il PM di un prodotto in fase di declino cerca di ottenere risorse aggiuntive per lo sviluppo, anzichè dedicarsi al contenimento dei costi (cosa che sarebbe più appropriata per un prodotto in fase di declino).

3) Feedback recenti raccolti dai clienti: che siano feedback raccolti in maniera diretta, o attraverso ricerche di mercato, riscontri positivi in termine di vendite, etc., si tratta di una possibilità per il PM di tenere traccia dei risultati ottenuti attraverso informazioni provenienti da varie fonti. Per il team di PM, inoltre, questo è il modo per essere più in contatto con il mercato.

4) Posizione del prodotto rispetto ai concorrenti sulla curva Prezzo-Performance: è fondamentale per capire il nostro prodotto (anche in termini di prezzo) rispetto a quelli della concorrenza. L’asse dei prezzi è relativamente semplice, mentre ottenere i dati per quella delle prestazioni è più complesso e si tratta di numeri difficili da misurare con precisione. In ogni caso, anche se le metriche di performance sono approssimate, la curva Prezzo-Performance rimane uno strumento indispensabile per il PM, che riesce a capire se il prezzo del nostro prodotto è quello più giusto rispetto a quello applicato dai concorrenti.

5) Obiettivi di Business annui per il prodotto: una volta identificata la fase di vita in cui si trova ciascun prodotto, bisogna definire ciò che significa “avere successo” per ciascun prodotto. Ciò vuol dire stabilire degli obiettivi adatti a ogni prodotto, a seconda delle sue specifiche caratteristiche.

6) Revenue Trend e Customer Trend: probabilmente la metrica più importante di tutte. Serve a capire se il prodotto è in crescita o è in calo.

7) Total Addressable Market (TAM): per quantificare se il prodotto è in un mercato che vale la pena perseguire, occorre osservare il gap tra il TAM e la quota di mercato stimata composta da “nostro fatturato + fatturato dei concorrenti”. In questo modo è possibile capire se ci sono opportunità di mercato non ancora sfruttate, o se l’azienda sta investendo troppo in un TAM in realtà basso. In questo modo è possibile fare degli aggiustamenti efficaci agli investimenti previsti per ciascuna linea di prodotto.

8) Margine di prodotto: presentato di solito con un grafico a cascata, aiuta a visualizzare quanto profitto viene generato da un prodotto e aiuta il team ad identificare le opportunità per migliorare la redditività riducendo i costi.

9) Andamento del Technical Support Case Volume nel tempo: l’indicatore in questione offre informazioni sul livello di soddisfazione dei clienti (i clienti soddisfatti non hanno bisogno di supporto tecnico) e identificano le opportunità per attuare modifiche migliorative al prodotto, abbassando così i costi di Technical Support.

Per leggere il post originale: https://www.linkedin.com/pulse/stop-ignoring-your-corporate-strategy-how-align-product-jim-o-leary

Napoli, 02/09/2015

Startup Tips – Come ottenere l’attenzione della stampa per il tuo pitch

La scorsa settimana, in questo post del nostro blog, abbiamo affrontato il tema dei “Believers”: si tratta di coloro che credono nelle potenzialità di una nuova azienda e del suo prodotto, si raggruppano in sei “categorie” e la loro presenza è fondamentale per la crescita ed il successo di una startup.

Tra i Believers di una startup abbiamo elencato la stampa: oggi, attraverso un post firmato da Jerrid Grimm (co-founder di Pressboard) e pubblicato da Entrepreneur, scopriamo alcuni suggerimenti per portare una startup all’attenzione della stampa e per riuscire a trovare degli spazi dedicati al nuovo prodotto/servizio sui media.

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Secondo Grimm, infatti, dopo essersi concentrati sulle prime tre P nelle primissime fasi (prodotto, prezzo, placement) una startup deve iniziare ad occuparsi delle attività di promozione. Naturalmente, ottenere degli spazi sui media e sulla stampa è uno dei modi più efficaci per far parlare della startup e attrarre i primi, importantissimi clienti, indispensabili per convalidare il prodotto.

Molti founder di startup, in prima battuta, sono convinti che la copertura mediatica sia semplice da ottenere: basta mandare una semplice e-mail ad alcuni giornalisti di alto profilo per riuscire a farsi intervistare. Ma nella realtà le cose non sono così semplici. Prendendo spunto dalla propria esperienza di startupper, e dalle storie di altri founder, Grimm decide quindi assieme a Josh Catone (ex redattore di Mashable) di rivolgersi ad alcuni dei più importanti giornalisti, scrittori ed editori in campo tecnologico per chiedergli alcuni consigli utili su come rendere il pitch della propria startup interessante per la stampa.

La storia raccontata dal pitch deve essere interessante

Può sembrare ovvio, ma i giornalisti intervistati da Grimm e Catone dichiarano di ricevere centinaia di pitch ogni settimana, e solo l’1-2% di questi viene utilizzato per pubblicazioni e articoli. La domanda da porsi è: la tua storia è abbastanza unica da rientrare in questa piccola percentuale?

Per assicurarsi che la risposta sia sì, bisogna iniziare il pitch da ciò che rende la vostra startup (o il vostro prodotto) unica rispetto a tutte le altre.

Un altro test utile per capire se il pitch è davvero interessante per la stampa, è chiedersi se, mettendosi nei panni di un potenziale lettore o cliente, troveresti la storia abbastanza interessante da impiegare il tempo necessario a leggerla. Se si esita un po’, allora provare a rendere il pitch più interessante prima di inviarlo alla stampa è una buona idea.

La storia raccontata dal pitch deve sottolineare il ruolo delle persone, più che i numeri della startup

La prima cosa che un giornalista cerca in un pitch è l’aspetto umano: come dice Owen Thomas, redattore capo a ReadWhite, il pitch deve raccontare “una storia personale. Qualcosa di vero, che è realmente accaduto ad un essere umano”.

Le storie che riguardano persone sono decisamente più interessanti per la stampa, rispetto a numeri e dati. La narrazione di una storia personale sviluppa una relazione empatica ed emotiva con il giornalista e con i lettori.

Arrivare dritti al punto, e in fretta

Spesso l’oggetto della mail può essere l’unica cosa che un giornalista super impegnato riesce a vedere: quando si invia un pitch, quindi, è importante prestare attenzione a ciò che si scrive nel campo dedicato all’oggetto.
Riassumere l’intero pitch in poche parole è tutt’altro che semplice, ma è necessario imparare a farlo: se ci vogliono più di due frasi per arrivare al punto, il lettore avrà già perso interesse.

Rispondere rapidamente

Attenzione ad essere rapidi e disponibili nelle risposte: se si invia un pitch ad un giornalista, e si riceve da quest’ultimo una risposta per ulteriori dettagli, occorre essere rapidi e precisi. Il follow-up è fondamentale in un mondo come quello delle startup, in cui le notizie diventano rapidamente stantie.

Poiché è altamente improbabile che un giornalista riesca a scrivere un articolo basandosi esclusivamente sulla mail e il comunicato stampa inviatogli, occorre che la startup abbia una persona pronta a rispondere in maniera tempestiva ed esaustiva alle eventuali richieste di maggiori dettagli ed informazioni.

Ricordarsi che anche i giornalisti sono persone!

Molti dei giornalisti intervistati da Grimm e Catone sottolinea come il tempo e l’attenzione impiegati a costruire un rapporto con i giornalisti sia fondamentale per aumentare la possibilità di veder pubblicata la propria storia.

Inoltre, i founder di una startup devono sempre ricordare di personalizzare il pitch a seconda del destinatario: è importante conoscere il giornalista, il suo lavoro, le sue opinioni e la testata di riferimento, evitando messaggi e commenti superficiali che possono indispettire chi li riceve.

Per leggere il post originale: http://www.entrepreneur.com/article/249478

Napoli, 01/09/2015

Regime Patent Box: firmato il Decreto Attuativo per il via alle agevolazioni

E’ stato firmato dai Ministri dello Sviluppo Economico e dell’Economia e delle Finanze il decreto di attuazione del regime Patent Box (approfondito in questo post del nostro blog), attualmente in fase di registrazione alla Corte dei Conti e di prossima pubblicazione in Gazzetta Ufficiale: approfondiamo i contenuti del Decreto, per capire meglio come funziona il regime opzionale introdotto dalla Legge di Stabilità (n. 190 del 23 dicembre 2014) e modificato a seguito del decreto legge Investment Compact (n. 3 del 24 gennaio 2015, convertito con legge n. 33 del 24 marzo 2015).

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ARTICOLO 1 – AMBITO DI APPLICAZIONE

Il Patent Box è un regime opzionale di tassazione che si applica ai redditi derivanti dall’utilizzo di beni immateriali, che il decreto elenca come: opere dell’ingegno, brevetti industriali, marchi, disegni e modelli, nonché processi, formule e informazioni relativi a esperienze acquisite nel campo industriale, commerciale o scientifico giuridicamente tutelabili.

ARTICOLO 2 – SOGGETTI BENEFICIARI

Tutti i titolari di reddito di impresa (comprese le persone fisiche che esercitano imprese commerciali e i soggetti residenti in Paesi con cui sia in vigore un accordo per evitare la doppia imposizione) a condizione che esercitino le attività di ricerca e sviluppo, così come definite all’art. 8 del decreto.
Il regime Patent Box può essere applicato a chi ha diritto allo sfruttamento economico dei beni immateriali indicati all’art. 6.

ARTICOLO 3 – SOGGETTI ESCLUSI

Il regime opzionale non può essere richiesto da società in fallimento, liquidazione coatta, amministrazione straordinaria.

ARTICOLO 4 – MODALITA’ DI ESERCIZIO E DURATA

L’opzione ha una durata pari a cinque periodi di imposta, è irrevocabile e rinnovabile.

Nei primi due periodi di imposta successivi a quello in corso al 31 dicembre 2014, l’opzione va comunicata all’Agenzia delle Entrate. Dal momento della comunicazione, l’opzione riguarda il periodo di imposta in corso e i successivi quattro.
A partire dal terzo periodo di imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2014, l’opzione va comunicata nella dichiarazione dei redditi.

ARTICOLO 5 – OPERAZIONI STRAORDINARIE

In caso di fusione, scissione e conferimento di azienda, il nuovo soggetto subentra nell’esercizio dell’opzione.

ARTICOLO 6 – DEFINIZIONE DI BENE IMMATERIALE

L’articolo elenca cinque tipologie di beni immateriali: l’opzione è applicabile ai redditi derivanti dall’utilizzo di tali beni. Si tratta, nello specifico, di:

a) software protetto da copyright,
b) brevetti industriali concessi o in corso di concessione,
c) marchi di impresa (inclusi i marchi collettivi) registrati o in corso di registrazione,
d) disegni e modelli giuridicamente tutelabili,
e) informazioni aziendali ed esperienze tecnico-industriali (comprese quelle commerciali o scientifiche) proteggibili come informazioni segrete e giuridicamente tutelabili.

ARTICOLO 7 – TIPOLOGIE DI UTILIZZO AGEVOLABILI

Rientrano nell’opzione Patent Box sia la concessione in uso che l’uso diretto dei beni immateriali elencati all’articolo precedente.

ARTICOLO 8 – DEFINIZIONE DI ATTIVITA’ DI RICERCA E SVILUPPO

L’articolo elenca sei tipologie di attività che sono considerate attività di ricerca e sviluppo. In tutti e sei i casi, si tratta di attività finalizzate allo sviluppo, al mantenimento, all’accrescimento dei beni immateriali in questione.

a) ricerca fondamentale: lavori sperimentali o teorici finalizzati all’acquisizione di nuove conoscenze, che saranno poi utilizzate nelle attività di ricerca applicata e di design;
b) ricerca applicata, ossia pianificata allo scopo di acquisire nuove conoscenze e capacità da utilizzare per sviluppare (o apportare miglioramenti) a processi, prodotti e servizi. Tra le attività che rientrano nella ricerca applicata, ricordiamo la costruzione di prototipi, i test di convalida di prodotti, processi e servizi, la realizzazione di impanti e attrezzature;
c) design: attività di ideazione e progettazione di prodotti, processi e servizi (anche per l’aspetto esteriore degli stessi) e attività di sviluppo dei marchi;
d) ideazione e realizzazione di software protetti da copyright;
e) ricerche preventive, compresi test e ricerche di mercato;
f) attività di presentazione, comunicazione e promozione che accrescano il carattere distintivo e la rinomanza dei marchi, e contribuiscano alla conoscenza e affermazione commerciale di prodotti e servizi.

ARTICOLO 9 – DETERMINAZIONE DELLA QUOTA DI REDDITO AGEVOLABILE

Nella determinazione della quota di reddito agevolabile, occorre considerare il rapporto tra Costi Qualificati e Costi Complessivi, moltiplicato per i Redditi derivanti dal Bene Immateriale.

In particolare, si segnala che nella determinazione dei Costi Qualificati rientrano anche le attività di Ricerca & Sviluppo svolte attraverso Università ed Enti di Ricerca o Società e Startup Innovative.

Riguardo alle aliquote previste, il Decreto conferma che per il 2015 è fissata al 30%, per il 2016 al 40% e per il 2017 al 50%.

Per maggior dettagli sul calcolo per la determinazione della quota di Reddito Agevolabile si rimanda alla lettura del testo del Decreto.

ARTICOLO 10 – REINVESTIMENTO DEL CORRISPETTIVO DA CESSIONE DI BENI IMMATERIALI

L’articolo 10 è dedicato al caso di esclusione delle plusvalenze, in caso di cessione dei beni immateriali. Esse sono escluse dal calcolo del reddito d’impresa, quando almeno il 90% del corrispettivo dalla cessione dei beni viene reinvestito prima della chiusura del secondo periodo d’imposta successivo a quello in cui si è verificata la cessione. Il reinvestimento deve essere sempre in attività di Ricerca e Sviluppo per beni immateriali.

Per maggior dettagli sul calcolo delle plusvalenze in caso di cessione di beni immateriali, si rimanda alla lettura del testo del Decreto.

ARTICOLO 11 – TRACCIABILITA’ DELLE SPESE E DEI REDDITI

Per beneficiare del regime Patent Box, deve esserci un collegamento diretto tra le attività di Ricerca e Sviluppo (previste dall’art. 8) e i beni immateriali (previsti dall’art. 6). Tale collegamento deve risultare da un sistema di rilevazione contabile o extracontabile ad hoc.

ARTICOLO 12 – PROCEDURA DI RULING

La procedura di Ruling serve a calcolare la quota parte di reddito in accordo con l’Agenzia delle Entrate: tale procedura è obbligatoria nel caso di utilizzo diretto dei beni, mentre è opzionale per i casi di utilizzo indiretto e cessione dei beni immateriali.

RELAZIONE ILLUSTRATIVA

Al Decreto Attuativo del regime Patent Box è infine allegata una Relazione Illustrativa che approfondisce i contenuti e le caratteristiche delle agevolazioni.

Per maggiori dettagli e informazioni, il testo del Decreto Attuativo è disponibile qui: http://www.governo.it/backoffice/allegati/79186-10362.pdf

Napoli, 31/08/2015

5 Startup italiane nel Gaming ad Helsinki con AESVI e dPixel

AESVI è l’Associazione Editori Sviluppatori Videogiochi Italiani e offre, in collaborazione con dPixel, un’interessante opportunità alle migliori startup italiane nel settore del Gaming.
Fino a venerdì 18 settembre, infatti, è possibile candidarsi per la Missione Italia a Slush: saranno selezionati le migliori 5 startup che avranno l’opportunità di partecipare a Slush 2015, evento internazionale del settore Gaming che si svolgerà ad Helsinki (Finlandia) l’11 e 12 novembre 2015.

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Alle cinque startup vincitrici saranno offerti in premio:

4 biglietti per partecipare a Slush 2015
un Europass Ticket, che copre viaggio e soggiorno per due persone ai due più importanti eventi d’Europa per l’ecosistema startup.

Le candidature possono essere inoltrate on-line, entro la deadline fissata al 18 settembre 2015, compilando il form disponibile a questo link: https://www.f6s.com/aesvislush2015/apply

Le cinque startup che voleranno in Finlandia saranno selezionate sulla base dei seguenti criteri:

1) Life Stage della startup (almeno un gioco pubblicato, o molto vicino alla pubblicazione);
2) Team (mix di esperienze e competenze);
3) Qualità del materiale allegato all’application (pitch, video di presentazione, etc);
4) Conoscenza della lingua inglese.

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Napoli, 31/08/2015

Startup Tips – Believers: il successo dipende dalle persone che credono nell’idea

Joseph Walla è CEO e co-founder della startup statunitense HelloSign, lanciata nel 2012 a San Francisco, che conta ad oggi oltre un milione di utenti: HelloSign consente di ottenere firme elettroniche legalmente valide, che eliminano i problemi di stampa, scansione, fax di documenti, offrendo un servizio utile anche e soprattutto alle aziende che ottengono un impatto sulle entrate e sulla customer experience.

Prima di lanciare HelloSign, Walla racconta di averla mostrata ad alcuni familiari: alcuni di loro erano colpiti favorevolmente, altri perdevano attenzione dopo un primo sguardo interessato, altri ancora non hanno mostrato alcun tipo di interesse ed entusiasmo. L’unico a credere, ad avere davvero fiducia nelle potenzialità di HelloSign era proprio Walla.

La fiducia è fondamentale per le grandi aziende: in un post pubblicato su LinkedIn, Joseph Walla scrive che i “believers”, coloro che credono nel business, sono indispensabili per il successo di un’azienda. Dropbox ne ha 100 milioni, Google addirittura un miliardo.

Quando una startup è agli inizi del suo sviluppo, ha un unico believer: il fondatore. Ecco perché, afferma Walla, il primo lavoro di un founder è creare i believersPer creare una community di persone che credono nella startup è necessario credere nel proprio prodotto, avere fiducia nelle sue potenzialità: questo è il primo passo per convicere altre persone a diventare believers. Una startup, per crescere, ha bisogno di differenti tipologie di believers. Vediamo quali sono quelli che Joseph Walla elenca nel suo post.

1) You have to believe

Come accennato, il founder deve essere il primo a credere nella startup. La domanda fondamentale da porsi, quando si ha un’idea di business, è “Voglio davvero lavorare a questa cosa?”. Bisogna capire se si tratta di un’idea per cui valga la pena investire tempo, impegno, risorse.

Un esempio di founders che hanno creduto nella propria idea fino a portarla al successo è Airbnb: hanno investito tutti i risparmi, hanno venduto cereali per restare a galla. Hanno atteso 999 giorni senza vedere un minimo di traction: ma non hanno mai smesso di credere nella propria idea, fino a raggiungere il successo a livello globale.

2) You need customers that believe.

I clienti sono coloro che investono risorse preziose, in termini di tempo e denaro, nel prodotto di una startup: è fondamentale, per invogliarli a farlo, che essi credano nel valore che il prodotto può portare nelle proprie vite.

Un esempio illustre citato da Walla è quello di Evernote, che si è trovato sulla soglia del fallimento: i suoi clienti ci credevano così tanto da investire nell’azienda e salvarla dalla bancarotta.

3) The press has to believe.

Cosa distingue le startup che ottengono spazi sulla stampa da quelle che non ne ottengono? Secondo Walla la risposta è molto semplice: la stampa crede più nelle prime che nelle seconde.

La stampa, ad esempio, ha sempre amato molto Twitter: ci hanno creduto prima della maggior parte delle persone che sono poi diventate suoi utenti. La stampa ci ha creduto, e ha convinto anche altre persone a crederci.

4) Investors have to believe.

Per far sì che gli investitori credano nella startup, bisogna dimostrare che riusciranno a compensare il finanziamento con un ritorno elevato. Bisogna che gli investitori credano nella startup, devono convincersi che abbia il potenziale per diventare un’azienda miliardaria.

Ad esempio, Dropbox ha faticato parecchio a trovare degli investitori, ma è riuscita comunque a raggiungere il successo grazie ad alcuni finanziatori che credevano davvero nel prodotto.

5) The team has to believe.

Il team deve credere davvero nel progetto per lavorare al massimo: in particolare, i migliori sviluppatori, venditori, marketers sono coloro che scelgono di investire il proprio talento in qualcosa per cui valga davvero la pena.

Pandora, ad esempio, ha rischiato la bancarotta nel 2001. Aveva un team di oltre 50 persone che hanno investito nella società oltre 1,5 milioni di dollari, che hanno rinunciato al proprio stipendio per 2 anni: lo hanno fatto perché credevano nell’azienda.

6) Your partners have to believe.

Le giuste partnership sono fondamentali per un business development che faccia crescere l’azienda su larga scala. Per ottenere questi risultati è necessario dimostrare ai potenziali partner di essere in grado di aggiungere valore per i loro utenti: nessuno è disposto ad inviare migliaia o milioni di clienti ad una startup in cui non crede.

Bill Gates, ad esempio, ha concesso i suoi software in licenza a IBM, costruendo un partenariato di successo: IBM, infatti, ha creduto che Microsoft avrebbe apportato valore aggiunto per i suoi clienti.

In conclusione, afferma Walla, tutto ciò ci riporta all’inizio della storia, quando il founder è l’unico believer della startup: il primo lavoro da svolgere è quello di creare nuovi believers, perché la startup ha bisogno di clienti, dell’appoggio della stampa, di investitori, di un team e di partner che credano davvero nelle sue potenzialità.

 

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L’articolo originale è disponibile qui: https://www.linkedin.com/pulse/your-job-founder-create-believers-joseph-walla

Napoli, 28/08/2015

Startup Tips: 4 errori tipici da evitare quando si presenta il pitch a potenziali investitori

Heidi Allstop è founder di Spill, sito web dedicato ai giovani che desiderano condividere consigli e storie sulle problematiche tipiche della loro età: la startup è nata durante il periodo degli studi universitari di Heidi, ed è stata lanciata e diffusa in oltre 150 campus in 15 paesi.
Di recente, il portale AlleyWatch ha pubblicato un articolo firmato da Heidi Allstop dedicato ai 4 errori più diffusi (con i consigli per evitarli) quando i founder presentano il pitch della propria startup di fronte ai potenziali investitori.

L’autrice paragona il pitch agli investitori ad un primo appuntamento: bisogna che i founder siano sicuri di sé, senza tuttavia sembrare presuntuosi; disponibili, senza mostrarsi disperati; appassionati, senza sembrare troppo sopra le righe. Continuando in questa “metafora”, il pitch agli investitori deve essere un incontro che crea curiosità ed interesse senza forzare, lasciando all’interlocutore la voglia di scoprire di più sul prodotto/servizio offerto.

Partendo da questa visione, vediamo quindi quali sono i 4 errori più frequenti degli startupper alle prese con gli investitori e scopriamo alcuni interessanti consigli su come evitarli.

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1) PUSHING RATHER THAN PULLING (Spingere, anziché tirare)

Occorre trovare il giusto equilibrio nell’esporre il proprio progetto di startup, non commettendo l’errore di esporre troppe informazioni, ma raccontando abbastanza da creare la curiosità del potenziale investitore all’ascolto, senza tuttavia forzarne l’interesse.
Lo scopo del pitch deve essere quello di mostrare la propria value proposition facendo capire a chi ascolta che sono applicabili alla vita e alle esigenze quotidiane: in questo modo, il prodotto offerto dalla startup risulterà decisamente più appetibile.

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2) USING BUZZWORDS AND INDUSTRY JARGON (Utilizzare neologismi e gergo settoriale)

I neologismi, spesso molto di moda, possono rendere il discorso banale per chi ascolta, facendo perdere credibilità al progetto di fronte al potenziale investitore. Termini come “rock-star team”, “massively disruption”, “game-changing technology” suonano come ingenui clichè facendo perdere punti allo startupper che sta presentando la propria idea.
Il pitch deve invece trasmettere un’idea originale, e contenere informazioni, metriche, aneddoti utili e significativi per l’ascoltatore.
Allo stesso modo, non è consigliabile infarcire il pitch di termini troppo tecnici e legati al proprio settore di riferimento: per capire un pitch, l’investitore non deve aver bisogno di un dizionario o di una laurea ad hoc. Occorre quindi utilizzare una terminologia semplice e diretta, che chiunque possa comprendere a prescindere dal proprio settore di attività o dal background culturale.

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3) PITCHING AROUND A POWERPOINT (Basare la presentazione del pitch sulle slide del PowerPoint)

Basarsi troppo strettamente sulle slide del PowerPoint fa sembrare il pitch poco sincero e “personalizzato”: quando si presenta la startup ad un potenziale investitore, invece, occorre far capire all’interlocutore che quel pitch è unico. Si tratta infatti di un accorgimento importante per costruire fin dal primo incontro la fiducia necessaria in qualsiasi rapporto.
Il pitch, inoltre, dovrebbe essere costruito in maniera tale da garantire immediatamente un contatto “visuale” per l’interlocutore, che deve guardare le slide ma ascoltare le parole dello startupper.
Tra gli aspetti fondamentali da analizzare nelle prime slide, l’autrice ricorda gli aspetti-chiave di base: problema, soluzione, opportunità e dimensioni del mercato, team, tecnologia, concorrenza, strategia di distribuzione, business model.
Una volta affrontati gli aspetti di base, il suggerimento è quello di costruire le cosiddette “power cards”, slide che raccolgono informazioni quali le metriche più “impressive”, citazioni utili di commenti dei clienti, parteneriati di alto livello, ecc.

Time for Feedback

4) CRAFTING THE PITCH ALONE (Costruire il pitch da soli)

Chiedere un secondo parere sul pitch prima di presentarlo è sempre una buona idea, un po’ come quando si chiedere un parere sul vestito scelto per il primo appuntamento. Un secondo parere può essere utile per ricevere consigli, incoraggiamento, critiche su cui impostare eventuali modifiche e miglioramenti al pitch.
Chiedere il parere di una seconda persona, spesso, è difficile da accettare per uno startupper: gli aspiranti imprenditori hanno una mentalità da “self-starters”, che tuttavia deve essere superata per riuscire a costruire un pitch di successo.
L’autrice stessa, infatti, ricorda quanto siano stati utili i confronti con gli altri startupper incontrati durante il suo percorso di accelerazione a TechStars: quello che bisogna ricordare sempre, è ascoltare i feedback altrui attentamente, prendendo tutte le informazioni utili, senza accampare scuse di nessun tipo.

In conclusione, Heidi Allstop afferma che qualsiasi decisione sull’impostazione del pitch deve essere presa alla fine di un processo basato sulla prospettiva, la fiducia e la pratica, ricordando sempre che ciò che si fa e il modo in cui ci si pone può essere più importante delle parole usate.

Il post originale è disponibile qui: http://www.alleywatch.com/2013/12/4-common-startup-pitch-mistakes-to-avoid/

Napoli, 27/08/2015

ItaliaRestartsUp: da ICE, Smau e MISE l’evento che fa incontrare startup innovative italiane e investitori esteri

Abbiamo parlato ieri, in questo post del nostro blog, della prossima edizione della BIAT – Borsa dell’Innovazione e dell’Alta Tecnologia, prevista a Bari nel febbraio 2016. Si tratta di un’iniziativa promossa dall’ICE Italian Trade Agency, che rientra tra le attività implementate in favore delle startup e imprese innovative con potenzialità di espansione sul mercato internazionale. La partecipazione alla BIAT è riservata a startup e imprese con sede operativa in una delle Regioni Convergenza.

Per attori di tutte le altre Regioni d’Italia, invece, l’ICE organizza l’evento ItaliaRestartsUp: la manifestazione, nata dalla collaborazione tra ICE, Ministero dello Sviluppo Economico e Smau, si svolgerà a Milano il 22 e 23 ottobre presso Smau Internazionale e nasce allo scopo di offrire agli attori dell’ecosistema innovativo italiano la possibilità di incontrare investitori internazionali.

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La partecipazione a ItaliaRestartsUp è gratuita, ma con posti limitati: le iscrizioni alle selezioni sono aperte fino al 4 settembre 2015. (N.B. iscrizioni prorogate al 9 settembre 2015) Possono partecipare:

1) Startup in possesso dei seguenti requisiti: impegnate nello sviluppo di un prodotto o servizio innovativo, in attività da non oltre 6 anni, che abbiano ottenuto finanziamenti per almeno 100.000€, con un piano di espansione di almeno 500.000€.

2) Investitori in startup

3) Enti di sviluppo territoriale attivi nel sostegno alle startup

ICE

Per le startup, il modulo di iscrizione on-line è disponibile qui: https://docs.google.com/forms/d/1gR7BrgWbE_-ejysSzD7SyHu0C4cKE8VeKCJRq1xPD3o/viewform

Per gli investitori e gli enti, il modulo di iscrizione on-line è disponibile qui: https://docs.google.com/forms/d/1Iil8gLho0N8ZKcSW4TlA54MY5nWgax4y8eIuYn5FRfc/viewform

Ingresso di Via Molise, 2

Il programma dell’evento prevede, nella prima giornata (22 ottobre) una sessione plenaria e una serie di seminari tematici, mentre nel pomeriggio si terranno i primi incontri B2B tra startup italiane e investitori esteri.
La seconda giornata (23 ottobre) sarà invece dedicata agli incontri B2B tra investitori esteri, investitori italiani, enti di sviluppo territoriale.
Saranno inoltre organizzati eventi di netwroking riservati ai partecipanti.

Per maggiori informazioni, la Circolare Informativa è disponibile al seguente link: http://www.innovationitaly.it/attachments/article/132/ItaliaRestartsUp%202015%20circolare%20partecipanti%20italiani.pdf

Napoli, 27/08/2015

BIAT 2016: dall’ICE, nuove opportunità al Sud Italia per l’internazionalizzazione di startup e imprese. Iscrizioni entro il 15 settembre

Dopo la prima edizione, ospitata a Napoli nel mese di dicembre 2014, l’ICE – Italian Trade Agency si prepara alla seconda edizione della BIAT – Borsa dell’Innovazione e dell’Alta Tecnologia, che si terrà a Bari l’11 e 12 febbraio 2016.
La manifestazione è dedicata alla valorizzazione e alla commercializzazione di prodotti e servizi innovativi e di beni intangibili (in particolare brevetti) proposti da startup e imprese e dal mondo della ricerca delle Regioni Convergenza (Campania, Calabria, Puglia e Sicilia), al fine di incentivarne la collocazione sui mercati esteri.

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L’edizione 2016 della BIAT sarà incentrata, in particolare, sui seguenti settori di interesse:

Biotecnologie
ICT
Nanotecnologie
Materiali innovativi
Energie rinnovabili
Ambiente
Nautica
Tecnologie per le smart communities

La partecipazione alla manifestazione è aperta a micro e PMI, startup, reti di imprese, consorzi, università, parchi tecnologici con sede operativa in una delle quattro Regioni Convergenza.
La procedura di iscrizione è aperta fino alle ore 17:00 del 15 settembre 2015 e prevede due fasi:

1) compilare, in lingua inglese, il form on-line disponibile al seguente link: http://biat2016.ice.it/iscrizione-all-evento

2) trasmettere via e-mail la scheda progettuale, in lingua italiana, all’indirizzo biat2016@ice.it

Per le startup e imprese che partecipano all’evento, il Programma prevede una prima giornata (11 febbraio) con sessione plenaria di carattere istituzionale e sezione tecnica su argomenti quali gli incentivi, la brevettazione, le forme di finanziamento per l’innovazione.
Nella seconda parte della prima giornata e per tutta la seconda giornata (12 febbraio) si svolgeranno invece gli incontri B2B con le controparti estere, che provengono dai seguenti Paesi: Brasile, Canada, Cina, Corea, Danimarca, Emirati Arabi Uniti, Federazione Russa, Francia, Germania, Giappone, India, Israele, Qatar, Regno Unito, Singapore, Stati Uniti, Svezia, Svizzera.

Oltre alle opportunità di matchmaking e networking offerte dalla BIAT 2016, l’ICE prevede per i partecipanti una serie di servizi, tra cui la validazione del progetto, la raccolta delle schede progettuali in una pubblicazione in lingua inglese, assistenza tecnica in materia di brevettazione e licensing.

Per ulteriori informazioni, il sito web dedicato all’evento è disponibile qui: http://biat2016.ice.it/home

Napoli, 26/08/2015